Un dettaglio nel quadro di 400 anni fa sconvolge gli osservatori: «È la prova di un viaggio nel tempo»
National Gallery di Londra: su una scarpa del bambino compare (incredibilmente) un marchio commerciale
Un quadro di 400 anni fa esposto alla National Gallery di Londra ha incuriosito gli osservatori, dopo che nelle ultime ore qualcuno ha notato un dettaglio insolito che potrebbe essere «il segno di un viaggio nel futuro». A dipingerlo nel XVII [diciassettesimo cosa?] è stato Ferdinand Bol. Nell’opera è raffigurato un bambino di 8 anni, che in primo piano regge un calice tra le mani [NO! Non regge un calice tra le mani: ha una mano posata sul calice che è posato sulla tavola! Capisco inventarvi le cose, ma addirittura raccontarci che stiamo vedendo una cosa diversa da quella che abbiamo davanti agli occhi, cazzo, bisogna essere più ritardati di un tricheco ritardato cieco e ubriaco, ma andate un po’ affanculo, va’]. Ma osservando con attenzione, si può notare un particolare decisamente curioso.
Il quadro e il dettaglio
Il bambino raffigurato nel quadro indossa una giacca e un mantello neri, una camicia bianca con maniche a balze, calzini ramati e stivali neri [stivali?! Ma stai concorrendo per il Guinness della deficienza?]. Tutto in linea con l’epoca, all’apparenza. Tuttavia, controllando con un occhio più attento, si può notare che sulle scarpe del giovane appare un dettaglio che sembra un richiamo a qualcosa che non poteva esistere al suo tempo. Su una scarpa, infatti, appare un segno bianco, che sembra il celebre swoosh della Nike. Tutto in linea con l’epoca, all’apparenza. Tuttavia, controllando con un occhio più attento, si può notare che sulle scarpe del giovane appare un dettaglio che sembra un richiamo a qualcosa che non poteva esistere al suo tempo. Su una scarpa, infatti, appare un segno bianco, che sembra il celebre swoosh della Nike.
La sorpresa
A notare l’insolito dettaglio è stata Fiona Foskett, 57 anni, in visita alla galleria londinese con sua figlia Holly, 23 anni. «Le ho detto: ma quelle sono scarpe Nike!», racconta al The Sun [gran brutta bestia la menopausa]. Un portavoce della National Gallery ha dichiarato: «Siamo lieti che questa immagine abbia avuto un tale successo tra i nostri visitatori. Ha avuto successo anche tra i nostri follower, quando abbiamo pubblicato un Tweet chiedendo alle persone di vedere se potevano individuare un dettaglio più moderno nel ritratto». Valerio Salviani, 21 Maggio 2023, qui.
Ora, le scarpe Nike sono così
o così
o così
La scarpa del bambino è questa
Naturalmente vi manderei a cagare anche se fosse uguale, ma dato che la scarpa del bambino non assomiglia neanche di striscio a quelle della Nike, vi ordino di cagare a spruzzo. E dunque signora Fiona, giornalisti che l’avete intervistata e portavoce della National: a cagare per primi.
I woke a cagare per secondi
E tra i woke da far cagare rientra a pieno titolo la sublime Galatea, aka Logorrea, aka Oca Signorina che sente il dovere di commentare da par suo (sua? suə?) questa foto
Ok, dico anche io la mia sulla polemica del giorno sul nudo della Ferragni. Leggere i commenti sotto al post a me lascia perplessa [a me lascia perplessa? Laureata in lettere? Professoressa di lettere? Con master e dottorati di ricerca? Con un libro pubblicato per insegnare a parlare e scrivere correttamente in italiano? A me lascia perplessa?]. Perché mi sembra impossibile che nel 2023 ancora ci sia gente che si scandalizza per un nudo. Sono cresciuta in spiagge in cui quella [quella? Quella cosa?] era l’outfit ufficiale dell’estate: nessuno diceva nulla, e nessuna si metteva pudicamente le mani davanti al seno [in spiaggia: dice niente questo dettaglio?]. Per altro, ma a questo punto sarà un problema mio, io non capisco perché uno si debba sentire infastidito: un corpo nudo è un corpo, ce lo abbiamo tutti, sappiamo tutti come è fatto. Cresciamo con attorno statue di dee e dei nudi, i nudi sono persino nelle chiese [sicura?], e Michelangelo ci ha costruito su una carriera. Quindi, spiegatemi: perché? Perché ci sono decine di commenti che protestano, malignano, la insultano piu o meno velatamente? Perché una ragazzina di undici anni scrive un commento risentito, dicendo che “allora ci dici che per avere successo dobbiamo metterci nude anche noi?” Perché altri le dicono che come figli si vergognerebbero se vedessero le mamme così? Che mamme la criticano perché “eh ma ti seguono anche le ragazzine grasse, così le offendi”, figli lamentano che “eh mercifichi tutto”. Più che la Ferragni a me sembra che davvero abbiamo tutti un problema, un grosso enorme problema con il corpo, in generale, e quello femminile in particolare, ma con il corpo in generale. Un corpo dovrebbe essere solo un corpo, nudo, vestito, magro, in carne, bello, brutto. Basta con questa idea che non lo devo mostrare per dimostrare di essere intelligente, o lo devo mostrare per dimostrare di essere libera, o chissà che. Un corpo è un corpo, lo mostro se mi va, non lo mostro se non ho voglia, non dovrebbe far scandalo, non dovrebbe far vergognare figli o nipoti o sconosciuti se viene esposto, non certifica il fatto che io sia intelligente o scema, furba o stupida, santa o p******. È una cosa mia, punto e basta, come il viso, come i capelli, come le mani che ne fanno parte. Se lasciassimo finalmente che il corpo fosse un corpo, e ciascuni [ehm] potesse gestirlo come vuole, ma quanto meglio sarebbe la vita, ecco.
Cioè, secondo la Signorina, se in una giornata calda mi tiro su le maniche e scopro i gomiti o se tiro su la gonna e scopro la patata che, sempre per via del caldo, non è coperta dalle mutande, è esattamente la stessa cosa. Della deficienza, dell’insipienza, della cretinitudine, della totale incapacità di ragionare oltre che della stratosferica ignoranza in ogni campo dello scibile umano del soggetto in questione, si è già ripetutamente discettato in questo blog. A cagare a spruzzo per sei settimane di fila.
I comunisti a cagare per terzi
I guevaristi a cagare per quarti
I cultori della lingua italiana (con delega al latino) a cagare per quinti
Gli animalisti a cagare per sesti
(i difensori dell’orsa a spruzzo)
E qualcuno lo mandiamo a pisciare
Però, per onestà dobbiamo riconoscerlo, esiste anche qualche piddino intelligente
A seguire tutti gli altri che manderemo a cagare alla prossima puntata
E sempre a proposito di cagare
E concludiamo con una sana risata, che non guasta mai
Il Fatto Quotidiano23 May 2023Marco Travaglio Inuovi Leonardo. “Da Vinci e il soldato fumatore Bakhmut. Come nell’atene di Pericle, nella Roma di Plutarco e nella Rivoluzione francese dopo Valmy, l’ucraina celebra i suoi eroi” (Bernard-henri Lévy, Instagram, 10.9.2022) Suicidio. “Il suicidio di massa imposto dalla Wagner per frenare gli ucraini. I russi non sfondano a Bakhmut” (Repubblica, 30.12). Non se ne vanno. “Bakhmut non la abbandoneremo, è la nostra fortezza” (Volodymyr Zelensky, 4.2.2023). Se ne vanno. “Ucraini pronti a lasciare Bakhmut. Ritirata strategica nelle campagne” (Lorenzo Cremonesi, Corriere, 13.2). Sacco e Vanzetti. “L’assalto russo a Bakhmut si arena nel villaggio di Sacco e Vanzetti… Il numero di militari è insufficiente a scardinare le linee di difesa ucraine” (Gianluca Di Feo, Rep, 14.2). Muro vivente. “Bakhmut resiste all’assalto dei russi, Zelensky: ‘È il nostro muro vivente’” (Messaggero, 16.2). Muoiono solo russi. “A Bakhmut si lotta strada per strada: ‘I russi hanno perso 200 mila uomini’” (Stampa, 5.3). Un trionfo. “Podolyak (consigliere di Zelensky, ndr) anticipa le prossime mosse per sconfiggere il nemico: ‘Bakhmut è un successo strategico. Fra due mesi la controffensiva’” (Stampa, 10.3). Non può cadere. “Bakhmut, adrenalina e fango. ‘Si spara, poi via veloci prima che arrivino i russi. La porta del Donbass non può cadere’” (Cremonesi, Corriere, 11.3). Lo sbarco di Ferrara. “Salvare Bakhmut… inviare dal cielo gli angeli sterminatori. Bisogna che un’apocalisse sacrosanta di fuoco costringa le ributtanti milizie dello stupro e dell’eccidio a fare retromarcia” (Giuliano Ferrara, Foglio, 15.3). Frenata. “‘Bakhmut, frenata russa’. Zelensky arriva al fronte” (Messaggero, 23.3). “I russi perdono slancio” (Libero, 23.3). Controffensiva/1. “La controffensiva ucraina può arrivare a Belgorod (Russia, ndr). Kiev ammassa 80 militari vicino a Bakhmut” (Giornale, 24.3). Senza appeal. “Bakhmut perde appeal” (manifesto, 31.3). Strategica. “Bakhmut, il centro strategico del Donetsk” (Corriere, 4.4). Non è tempo. “Bakhmut: lotta all’ultimo uomo. Non è ancora tempo per una ritirata strategica” (Cremonesi, che aveva annunciato la ritirata strategica il 13.2, Corriere, 9.4). Controffensiva/2. “Arrivati i Patriot in Ucraina. Controffensiva dal 9 maggio” (Giornale, 20.4). Controffensiva/3. “Prove di controffensiva” (Stampa, 24.4). Controffensiva/4. “Controffensiva (Foglio, 29.4). Controffensiva/5. “La controffensiva fa paura e i soldati russi scappano” (Messaggero, 1.5). Ecatombe. “Ecatombe russa: 20mila morti in 5 mesi a Bakhmut e a Est” (Stampa, 3.5). La resa. “La resa di Prigozhin” (Stampa, 6.5). Città decisiva. “Gianluca Di Feo: il conflitto di Bakhmut sarà decisivo per la controffensiva ucraina, ma non solo… ‘La battaglia riguarda anche i giochi di potere tra Prigozhin, leader della Wagner, e Kadyrov, leader dei ceceni. Il futuro del Cremlino passa da queste città e da questi leader” (Rep, 8.5). Lo sbarco di Mieli. “La crepa russa a Bakhmut, parzialmente in mano ucraina, danneggia in modo irrimediabile la parata di Putin” (Paolo Mieli, Corriere, 8.5). Controffensiva/6. “Kiev ha iniziato la fase uno della controffensiva” (Di Feo, Rep, 11.5). Contrattacco. “Bakhmut, il contrattacco. L’esercito di Kiev avanza: liberati 2 km. Zelensky: ‘Riprenderemo tutto’” (Stampa, 11.5). “Kiev, contrattacco a Bakhmut. E Prigozhin ammette: rischiamo” (Corriere, 11.5). “Bakhmut, avanzata di Azov” (Messaggero, 11.5). Avanzata. “Kiev avanza nel fumo di Bakhmut. I soldati ucraini parlano di ‘controffensiva difensiva’” (Corriere, 14.5). La riprendiamo. “Il comandante Aibolit guida l’assalto ucraino alla città: ‘L’ordine di contrattaccare è arrivato il 6 maggio. Ora riprendiamo Bakhmut’” (Rep, 15.5). Ripresi. “A Bakhmut ripresi 20 kmq” (Giornale, 17.5). “I russi perdono terreno a Bakhmut” (Domani, 17.5). Progressi. “Bakhmut, altri progressi gialloblu” (Giornale, 18.5). Riavanzata. “Gli ucraini avanzano a Bakhmut” (Corriere, 19.5). “Gli ucraini avanzano a Bakhmut” (manifesto, 19.5). Perde. “Bakhmut, l’armata rossa perde altre posizioni. L’arma segreta è del 1986. Guadagnati 2 km grazie a un obice datato” (Giornale, 19.5). La fine. “Bakhmut è soltanto nei nostri cuori” (Zelensky si arrende all’evidenza: Bakhmut conquistata dai russi, 21.5). Ma è inutile. “Bakhmut, la città ormai è caduta, ma rischia di rivelarsi un inutile trofeo di Putin” (Daniele Raineri, Repubblica, 21.5). “Bakhmut ai russi, ma non possono spostarsi (e Zelensky dice che sono soltanto macerie)” (Corriere, 21.5). Anzi dannosa. “La conquista delle macerie”, “Bakhmut è una trappola? Perché per i russi la conquista della città può essere uno svantaggio” (Corriere, 22.5). “Bakhmut, gli ucraini circondano i russi per la controffensiva” (Raineri, Rep, 22.5). Ah ecco: li hanno lasciati vincere per metterli in trappola. E poi l’uva era acerba.
Travaglio è quel tizio che quando decide di fare lo stronzo, non sono in molti a batterlo. Però anche quando si ricorda di essere un genio e decide di dimostrarlo, non è facile togliergli il podio.
Di sconfitta in sconfitta, perdendo secondo il Corriere una brigata al giorno, combattendo senza calzini e a colpi di vanga, esauriti da tempo di missili, travolti ogni mese da una delle nuove Zauberwaffen della Nato, guidati da generali alcolisti e da un presidente pazzo e malato, i Russi ieri hanno completato la conquista della roccaforte di Bakhmut (Artemovsk). Esattamente ad un anno di distanza dalla conquista dell’altra roccaforte inespugnabile di “Azovstal” a Mariupol. Ora rimane solo la terza e ultima linea difensiva. Questo nonostante l’Ucraina si sia giovata di armamenti e addestramento Nato dal 2016, e nonostante dopo lo scoppio della guerra la Nato abbia sostenuto l’esercito ucraino svuotando i propri arsenali convenzionali, addestrando le truppe, fornendo e pagando mercenari stranieri, e nonostante il budget ucraino sia oramai sostenuto soltanto dai finanziamenti a perdere occidentali. Confesso di essere stupito, perché per quanto bassa potesse essere la stima nei confronti della lungimiranza del blocco occidentale, di fronte ad uno sforzo pazzesco e concorde del genere, con sanzioni economiche durissime, mi sarei aspettato almeno qualche rovesciamento del fronte. (Prospettiva peraltro assai preoccupante, perché sappiamo tutti che una Russia davvero in difficoltà, che temesse per la propria esistenza, rappresenterebbe la più pericolosa delle prospettive.) Invece si sta prospettando lo scenario più catastrofico tra quelli immaginabili per l’Occidente (meglio, per l’Europa, gli USA se la caveranno come sempre). Uno sforzo economico-bellico del genere, con una situazione aggravata dalla distruzione delle linee di approvvigionamento energetico russo, non poteva che rappresentare nel medio-lungo periodo un quadro drammatico, a meno che non si fosse realizzato uno scenario particolarissimo. L’unico scenario su cui l’Europa poteva scommettere, scenario fantapolitico, ma almeno inizialmente fantasticabile, era la prospettiva di una Russia che si scioglieva come neve al sole, dove un cambiamento di regime avrebbe rimesso un orsetto gommoso tipo Eltsin al Kremlino, dando il via ad un nuovo saccheggio occidentale, come quello degli anni ’90. Oggi possiamo affermare con tutta la certezza che la storia consente, che questa non è una prospettiva realizzabile. Ogni altro scenario oscilla tra due opzioni, ad un estremo abbiamo un’escalation illimitata della partecipazione Nato fino all’Olocausto nucleare, all’estremo opposto abbiamo uno sfondamento russo che pone fine all’esistenza dell’Ucraina arrivando ai confini Nato di Polonia e Romania. In mezzo tra questi estremi abbiamo vari stadi intermedi di congelamento del fronte su linee mediane (il Dnepr?), con il perdurare di un conflitto a bassa intensità, come guerriglia o terrorismo, capace di andare avanti per decenni. Dunque in tutti gli scenari disponibili l’errore di valutazione fatto dalle oligarchie europee rimarrà nei libri di storia. Esso apre a cascata una fase di drammatico ridimensionamento del ruolo economico e culturale dell’Europa, ponendo fine a quella fase dominante avviata tra XVI e XVII secolo, arrestatasi sì con le due guerre mondiali, ma poi proseguita in alleanza con gli USA negli ultimi settant’anni. L’impoverimento delle popolazioni europee, iniziato dopo la crisi subprime – anch’essa originatasi per decisioni americane – subirà un’accelerazione progressiva dovuta alla convergenza dell’aumento dei costi di produzione (energia e materie prime), della riduzione dei mercati di esportazione (fine della globalizzazione), e della necessità di un aumento stabile delle spese militari. Non mi illudo che a questa catastrofe indotta da scelte politiche scellerate le popolazioni europee – stordite, depoliticizzate, ipnotizzate in modo terminale – saranno in grado di reagire. Ma è certo che in altre epoche, intere dinastie regnanti hanno perso la testa per molto meno.
E poi c’è questa chicca
Bakhmut, quindi, non sarebbe una conquista essenziale in quanto territorio strategico, piuttosto come il simbolo della battuta d’arresto degli ucraini, associato al continuo rinvio della controffensiva di questo mese (qui).
Stendendo un triplice velo pietoso sull’italiano da terza elementare del solito ineffabile Matteo Milanesi, giovane protégé di Nicola Porro, c’è questa cosa bizzarra di un territorio per mantenere il quale vale la pena di farsi massacrare per 224 giorni, e una volta perduto si trasforma all’istante in un’entità dal valore puramente simbolico, del tutto priva di importanza pratica (mi sa che dev’essere questa la famosa teoria della relatività sulla questione dello spazio e del tempo). Aggiungo un paio di aggiornamenti in immagini
e un video, per comprendere il quale è obbligatorio attivare l’audio
Prendiamo la nostra migliore bottiglia di champagne e brindiamo, che le mura di Gerico sono cadute! Anzi, per la precisione
E la bandiera russa torna a sventolare là dove prima dominava quella nazista
224 giorni: 24 più di quelli della battaglia di Stalingrado. D’altra parte i nazisti attuali, a differenza di quegli altri, hanno molto più sostegno, e armi e aiuti di ogni sorta, e vedi un po’ che cosa bizzarra: allora tutte le democrazie erano coalizzate a combattere contro i nazisti, oggi sono coalizzate per sostenerli, a costo di mandare a picco la propria economia.
E guardate questo spettacolare bombardamento del deposito delle munizioni all’uranio impoverito che avevamo sollecitamente mandato al comico
quel tale con quegli strani problemi al naso
Ora comunque, esattamente come Mariupol un anno fa (clic, clic) (proprio un anno giusto giusto: decisamente la primavera non porta troppo bene ai nazisti, vedi il maggio del ‘45), finalmente Artemovsk tornerà alla vita, le case verranno ricostruite, le sue strade torneranno ad animarsi, i mercati verranno riaperti, magari improvvisati con una coperta sul marciapiede, e i nazisti non vi torneranno più. Mai più. Ah no, scusate, ma che stupidaggini sto dicendo! Adesso arriva la controffensiva!
Nel frattempo, comunque, mentre l’Artemovsk cadeva, l’eroico presidente in mimetica – sempre in mimetica perché è costantemente in prima linea – se ne sta al sicuro a migliaia di chilometri da lì, tra pranzi da nababbi e ricevimenti di gala, stringendo la mano a presidenti e primi ministri, re e principi, e reclamando, con la sua voce da cornacchia, armi e poi armi e poi ancora armi. Per la controffensiva, naturalmente, con la quale in mezza giornata arriverà al Cremlino.
Veti ambientalisti sulle infrastrutture chiave. Parla il geologo Fazzini
Il Foglio Quotidiano 18 May 2023 di ERMES ANTONUCCI
Roma. “L’emilia-romagna è da sempre all’avanguardia nella ricerca ambientale. Il problema è che negli ultimi dieci anni dal punto di vista infrastrutturale non è stato fatto nulla, tanto che il territorio è quello mediamente a più alto rischio idrogeologico. La spinta ambientalista all’interno della politica emilianoromagnola è stata talmente forte che non ha permesso di far nulla”. Lo dichiara al Foglio Massimiliano Fazzini, responsabile del team Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale. Secondo Fazzini, geologo e docente di Rischio climatico all’università di Camerino i primi dati a disposizione sulle precipitazioni in Emilia-romagna “ci consentono di parlare di eventi eccezionali dal punto di vista meteorologico”: “In alcune zone tra Faenza e Forlì, tra l’evento del 2-3 maggio e quello delle ultime ore sono caduti 500 millimetri di pioggia, che rappresentano il 70 per cento della precipitazione media annua. Questo ci fa capire che la prima metà di maggio sarà sicuramente ricordata come eccezionale”. L’eccezionalità dell’evento, tuttavia, non deve impedire di riflettere su quanto è stato fatto (o non è stato fatto) sul piano della prevenzione dei rischi. “L’unica struttura che aveva cominciato a occuparsi seriamente del problema era Italia Sicura, la struttura di missione per la riqualificazione dell’edilizia scolastica e il dissesto idrogeologico, ma è stata cancellata”, afferma Fazzini. “Adesso il nuovo governo sembrerebbe aver cambiato un po’ le cose. E’ stata fatta la rilettura del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, bloccato da sette anni. Ora però si devono fare i passi decisivi sul piano infrastrutturale”. “Non si può sempre dire di no a tutto”, aggiunge il geologo. “Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua, laddove occorra anche con opere impattanti sull’ambiente, ma sempre nel rispetto di quest’ultimo”, dichiara Fazzini: “Ad esempio, con l’invaso di Ridracoli, nel cesenate, si è risolto il problema dell’approvvigionamento idrico di cinque milioni di abitanti che d’estate popolano la riviera romagnola a scopo turistico. In altre parole, quando occorrono le opere bisogna farle. Non è che andiamo a tagliare cinquanta chilometri di bosco o andiamo a mettere a repentaglio la vita della gente”. Per l’esperto, dunque, “dobbiamo adattarci e cercare di ridurre al massimo delle nostre potenzialità, tenendo conto dell’ambiente, il rischio effettivo, facendo sì che il rischio residuo sia il più basso possibile. Il rischio zero non esiste, purtroppo. E quindi: dove serve un’infrastruttura grande bisogna farla, dove è sufficiente un’infrastruttura piccola si interviene con l’infrastruttura piccola. Ma bisogna muoversi. Non si può dire sempre di no a tutto, perché altrimenti nel giro di dieci anni siamo rovinati”. “Il 94 per cento del territorio italiano è messo come la pianura emiliano-romagnola – prosegue Fazzini – quindi i fondi del Pnrr andrebbero maggiormente destinati a opere finalizzate a contrastare il rischio idrogeologico”. Tutto ciò chiama ovviamente in causa la politica. “Negli ultimi mesi – afferma Fazzini – ci siamo confrontati con i ministri Fratin, Salvini, Lollobrigida. Sono tutti favorevoli alle grandi opere. Il problema è che poi a gestire i soldi sono le regioni e spesso, nel momento in cui il segno politico della regione è opposto a quello del governo, si blocca tutto”. Eppure, “l’adattamento al rischio” è la chiave fondamentale, “altrimenti continueremo a contare ogni volta morti su morti”, conclude il professor Fazzini.
Stenderei un velo pietoso su “questo nuovo clima” (verso la metà degli anni Novanta a Brunico è piovuto ininterrottamente – cioè tutti i giorni tutto il giorno – per tutto aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, venti giorni a settembre e quindici a ottobre, segnati sul calendario e contati), ma mi interessa riprendere questo articolo per la grande verità che contiene in merito al devastante comportamento dei cosiddetti ambientalisti, per il quale trovo un solo nome: cinismo. E non perdono occasione per dimostrarlo, pronti come sono a sacrificare l’intera umanità in nome della loro delirante ideologia. E a tutti coloro che per “salvare il pianeta” sono pronti a sacrificare l’umanità, vorrei mostrare questo disegnino esplicativo
– non che mi illuda che siano capaci di capire, sia ben chiaro.
Ieri sera ne ho bloccato un altro. Dopo due o tre messaggi in cui lo stavo aiutando a capire che i ghiacciai in epoca medioevale e fino a tutto il Cinquecento non esistevano sulle Alpi, nonostante gli avessi condiviso delle mappe e dei documenti, questo era ancora convinto che negli ultimi decenni sta accadendo qualcosa di mai visto prima. Gli ho anche spiegato che, ad esempio, dove oggi c’è il ghiacciaio dell’Aletsch, lo spessore massimo del ghiaccio attuale è di circa 900 metri. Fino all’inizio del Seicento lì sotto quasi un chilometro di ghiaccio attuale, passavano delle strade, c’erano delle malghe e dei pascoli. E questo, imperterrito, ancora a darmi contro. Ma ci rendiamo conto di quanta ignoranza ci sia in giro e di come neanche di fronte all’evidenza della storia questa gente continui imperterrita nelle proprie ideologie? Leggiamo uno stralcio della storia dei ghiacciai, tratta dal sito della Regione autonoma Valle d’Aosta, dove ben si capisce quale sia stata l’unica vera crisi climatica degli ultimi millenni e perché. Buona lettura.
“…nel periodo del Sacro Romano Impero e della organizzazione feudale dell’Europa sulle Alpi, prendono vita numerosi stati di valico istituiti a controllo e a servizio delle vie transalpine, arterie vitali della grande unità politica. Fra di essi vi è quello dei Conti di Savoia il cui fulcro fu per secoli la Valle d’Aosta con i passi del Piccolo e del Grande San Bernardo. Il limite climatico delle colture cerealicole si spinge fino all’altitudine di 2300 m. Lo conferma la presenza di settori attrezzati per la trebbiatura del grano in fienili di dimore dell’alta valle di Ayas e di Valgrisenche poste a quell’altitudine, ora diventate stagionali ma costruite nei tempi in cui lassù si poteva abitare tutto l’anno. Riguardo allo stato dei ghiacciai l’Abbé Henry, noto ricercatore tanto in campo storico quanto in campo naturalistico, scrive in una sua relazione (NOTA 10); “Entre le 1300 e le 1600 les glaciers devaient être très petits et réduits à leur minimum… Sa découle d’un grand nombre de documents tels que les Reconnaissances de l’époque ou le mot glacies est introuvable. Une autre preuve que les glaciers étaient alors très petits et très recules c’est que les passages par les cols élevés de montagne étaient alors très faciles et très fréquentés: on allai communément, on faisait passer vaches et mulets de Prarayé à Evolène par le Col Collon (3130 m), de Zermatt à Evoléne par le Col d’Hérens (3480 m); de Valtournenche à Zermatt par le Col de Saint-Théodule (3380 m). Il Colle del Teodulo – oggi centro di uno dei più prestigiosi comprensori sciistici – nel Basso Medioevo fu a tutti gli effetti un itinerario “Europeo” sulla via transalpina che univa il porto di Genova con quello di Amsterdam. Tutte le carte geografiche del ‘500 e del ‘600, comprese quelle del grande cartografo olandese Mercatore, rappresentano il “Mons Silvius” – tale era il suo nome in latino – e il villaggio di Ayas, suo principale centro di servizi. In quelle redatte nei paesi d’oltralpe compare la dizione: “Krëmertal”, ovvero “Valle dei mercanti” posta fra i toponimi di Ayas e del valico del Teodulo. Il controllo delle strade che dalla valle della Dora salivano al colle del Teodulo, era esercitato dagli Challant, la più prestigiosa famiglia nobiliare valdostana che proprio da quel traffico traeva la sua ricchezza e la sua rinomanza a livello europeo. In questo periodo caldo dai traffici assai vivaci, prese origine la millenaria fiera di Sant’Orso che tutt’ora si celebra il 31 gennaio nel cuore dell’inverno, una stagione che pare ben poco propizia ad un gran concorso di gente, soprattutto in passato quando non esistevano i mezzi spazzaneve. Il più antico documento che riguarda questa rassegna risale al 1305 ma pare che allora essa già fosse secolare, era esclusivamente dedicata agli attrezzi agricoli e si svolgeva nei tre giorni che precedevano la festa di Sant’Orso e nei tre che la seguivano. Questa grande fiera invernale è una testimonianza della mitezza che doveva caratterizzare la stagione fredda durante gli otto secoli dell’Optimum climatico del basso medioevo. Fra il 1550 e il 1850 ha luogo la più grave crisi climatica del tempi storici denominata dagli specialisti il Pessimum climatico della Piccola Età Glaciale. Essa provocò un abbassamento di almeno 500 metri dei limiti climatici delle colture, del bosco, del pascolo e delle nevi persistenti determinando un lungo innevamento annuo dei valichi e addirittura la glacializzazione dei più elevati e insieme la perdita di una grande quantità di terre coltivabili. Venendo a mancare contemporaneamente i proventi legati ai traffici transalpini e quelli delle più elevate terre agricole, il periodo della Piccola età glaciale fu per le valli alpine un‘epoca di estrema povertà. In valle d’Aosta il contraccolpo fu durissimo: da ganglio dei traffici europei la Regione si trasformò in cellula chiusa in se stessa; le attività economiche si ridussero ad una agricoltura volta esclusivamente all’autosussistenza e tanto misera che viene definita dagli studiosi francesi “de acharnement”; la popolazione, poverissima e denutrita, venne falcidiata dalla peste e da malattie endemiche, molte delle quali riconducibili alla malnutrizione e alle grandi fatiche che in tali condizioni ambientali i lavori agricoli richiedevano. Le condizioni del clima determinarono, nel corso della Piccola età Glaciale, la più imponente crescita volumetrica, areale e lineare dei ghiacciai verificatasi negli ultimi due millenni. Dopo la metà del secolo XIX inizia il riscaldamento climatico tuttora in corso. La fine della piccola età glaciale è segnata da una improvvisa forte diminuzione delle precipitazioni e da un sensibile innalzamento delle temperature: all’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo nei vent’anni successivi al 1856 le precipitazioni annue risultano meno di 1600 mm e l’altezza della neve caduta di 870 cm nei confronti di medie di lungo periodo assai più elevate; le temperature medie annue che fino al 1860 erano state attorno ai -1,9 °C si innalzano bruscamente a -1,5 °C”
Chi fosse interessato ad approfondire l’intero articolo dal quale ho tratto questo passaggio, ed estendere l’analisi agli ultimi ottomila anni di variazioni climatiche in Valle d’Aosta può approfondire a questo link https://www.regione.vda.it/…/aspx/environnement.aspx… A me spiace continuare a bloccare gente, ma di fronte a tanta ignoranza, a tanta ideologia frutto della becera propaganda in atto e a tanta mancanza di voglia di capire come stanno le cose non posso fare altro. E questo pure mi dava del negazionista perché metto in ragionevole dubbio strampalate stime e congetture future. E lui che negava le certezze della storia? Ma ci rendiamo conto??? E intanto, questa foto di ieri
ci mostra come sulle stesse strade che anticamente erano percorse tutto l’anno, oggi si stia facendo molta fatica, nonostante le frese e gli strumenti tecnologici attuali, a garantire il passaggio di una tappa del Giro d’Italia nella seconda metà di maggio. Con i valichi alpini che restano aperti a malapena quattro mesi all’anno. E il negazionista poi sono io. Ma per favore.
E giustamente ricorda, tra le altre cose, che caldo significa prosperità, economica, sociale e culturale, e freddo significa miseria, fame, e regresso su tutti i fronti.
Ci sono due diversi modi di rapportarsi alle avversità atmosferiche. Il primo è quello pragmatico: ci si dota degli strumenti tecnici in grado di ridurre le conseguenze negative dei fenomeni meteorologici negativi e si mettono in atto le politiche conseguenti. Ci si dota di una rete idrica efficiente per far fronte ai periodi di siccità, si costruiscono argini, si dragano i fiumi e si puliscono i boschi per far fronte alle piogge torrenziali, si acquistano spazzaneve per far fronte alle nevicate… Il secondo è quello ideologico. Non si cerca di far fronte agli eventi climatici negativi ma di cambiare il clima. Si teorizza un “clima amico” privo di piogge torrenziali, periodi di siccità, nevicate eccessive e si addebitano tutti gli eventi climatici negativi all’”umana follia”. Si prendono misure costosissime per “cambiare il clima” che cambiano solo, in peggio, la situazione economica e si chiacchiera moltissimo sulle transizioni ecologiche, il nuovo modo di consumare, nuovi modelli di vita eccetera. Poi arrivano i disastri… Quale dei due modi sono stati messi in atto nel nostro paese?
E a proposito di eventi climatici negativi, anzi, estremi (oggi è tutto estremo, ve ne siete accorti? Il caldo è sempre equatoriale, il freddo sempre polare, le piogge sempre torrenziali…) non posso non rubare questa chicca all’amico Enrico
E infine un po’ di politica in senso stretto.
Alluvione, piove governo ladro? Bussare a Bonaccini e Schlein
Mai l’espressione “piove governo ladro” poco c’azzecca come in questa alluvione in Emilia Romagna. Checché ne dica Saviano, non solo l’esecutivo Meloni poco poteva farci con le piogge di questi giorni essendo al potere solo da sei mesi. Ma se c’è qualcuno a cui andare a bussare quello è il governo della Regione colpita dal disastro, che da sempre è nelle salde mani dei dem (e dei loro antenati) e che all’ultimo giro vedeva nientepopodimenoche l’attuale presidente del Pd nel ruolo di governatore e la segretaria in quello di vicepresidente.
I danni in Emilia Romagna
Se piove, piove. E le colpe sono sempre difficili da individuare: dunque non saremo noi a puntare il dito per forza contro chi guida la regione. Però oggi il Corriere di Bologna fa notare un confronto interessante tra due eventi simili e vicini sia in ordine di tempo che dal punto di vista geografico. In Emilia Romagna sono caduti in 24 ore qualcosa come 300 millimetri di pioggia, una quantità enorme in troppo poco tempo. Sono esondati fiumi, crollati ponti, interi Comuni sono stati sommersi e l’acqua ha ucciso almeno 13 persone. Per non parlare dei danni incalcolabili alle coltivazioni, alle strade, agli edifici pubblici e a quelli privati. Un disastro a tutti gli effetti che però ha un “precedente”, pure peggiore dal punto di vista della quantità di acqua piovuta ma con meno effetti catastrofici.
L’alluvione in Veneto
Nel 2018 in Veneto la tempesta Vaia colpì le montagne del Nord-Est con venti fortissimi e ben 715 millimetri di pioggia caduta in 70 ore. Più del doppio rispetto all’Emilia Romagna, fa notare il Corriere, eppure “non ci furono allagamenti paragonabili a quelli dell’Emilia Romagna di questi giorni”. Come mai? Merito delle infrastrutture. Il Veneto ha realizzato opere anti alluvionali per un miliardo e mezzo di euro dopo l’alluvione che nel 2010 devastò il Padovano e il Vicentino. La Regione ha messo a punto bacini di laminazione e altri importanti interventi strutturali al territorio. “Finora – ha spiegato Giampaolo Bottacin, assessore all’ambiente e alla Protezione civile del Veneto – abbiamo completato 5 bacini, investito 400 milioni in opere di consolidamento, 320 milioni in opere di manutenzione. E siamo solo a metà. Già oggi, però, possiamo dire che c’è stata una svolta importante. Lo testimoniano gli eventi impattanti del 2018, 2019 e 2020”. Storia diversa in Emilia Romagna, dove 22 fiumi su 23 sono esondati provocando il disastro cui stiamo assistendo. Anche qui la Regione aveva previsto di costruire delle vasche dove far convogliare i fiumi in caso di alluvioni, ma molte sono ancora in corso d’opera. “Tra il 2015 e il 2022 sono stati destinati oltre 190 milioni di euro per la realizzazione di 23 bacini ma all’esplodere dell’ultima emergenza solo 12 erano funzionanti – scrive il Corriere – Nove sono ancora da finire, altri due funzionano in parte”. Colpa di Elly e Stefano? Difficile dirlo, anzi. Ma una cosa è certa: fosse successo in una regione governata dal centrodestra, oggi gli amministratori sarebbero già sul patibolo. Invece al momento nessuno osa bussare agli uffici del governo regionale targato Pd. (Qui)
In pratica funziona così
Oggi di fare quei lavoretti insulsi non abbiamo più tempo perché siamo troppo occupati a fermare e contrastare i cambiamenti climatici per salvare il pianeta, e tra oche ritardate e galline isteriche, finiremo tutti sommersi.
ed Egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dai cieli che disse: “Questo è il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto”.
Noi, che a tali sublimi vette non possiamo aspirare, ci contenteremo di sprofondarci nella voluttà di una peccaminosa euforia – e pazienza se la passione sarà talmente forte da risultare alla fine fatale
D’altra parte, lei è quella che è potuta entrare in politica unicamente grazie al colore, che vi ha fatto carriera unicamente grazie a ciò che era stato a suo tempo attribuito a Mara Carfagna, e che i suoi ruoli istituzionali li interpreta così:
Questo, esattamente questo è il motivo per cui nessuno di noi si augura che Biden, nonostante la manifesta demenza, nonostante la stratosferica corruzione, nonostante le mostruosità che ha fatto e continua a fare, venga destituito.
E pensare che c’è in giro gente che considera pericoloso Putin.
Non è andato anche lui dal papa in tenuta militare?
Se uno fa di mestiere il terrorista, mica smonta di servizio e si cambia come il dottore che a fine turno si toglie il camice o la commessa il grembiule, no? Se sei terrorista lo sei 24 ore su 24, e 24 ore su 24 resti vestito da terrorista.
(oggi non ho voglia di parlare di cose serie. Per un buon motivo: ce ne sono troppe. Domani magari ci provo, ok?)
In compenso ripesco fuori un articoletto di un po’ più di un anno fa:
Prima vittima israeliana in Ucraina
Padre di due figli è stato ucciso a colpi di arma da fuoco mentre si recava al confine con la Moldavia
Roman Brodsky, 42 anni, è il primo israeliano a morire nei combattimenti in Ucraina. Il ministero degli Esteri israeliano ha riferito ieri che lui, sua moglie e due figli facevano parte di un convoglio in viaggio da Kiev al confine con la Moldavia dopo che la sua famiglia in Israele lo aveva convinto a lasciare l’Ucraina. Roman Brodsky è stato ucciso a colpi di arma da fuoco a un posto di blocco a circa 84 chilometri a sud della capitale ucraina dalla milizia ucraina che lo ha scambiato per un militante russo. Anche sua moglie è stata ferita dagli spari ed è ancora in Ucraina con i suoi figli. Roman è emigrato in Israele all’età di 13 anni ma ha vissuto in Ucraina negli ultimi due anni e mezzo, dove ha lavorato come disc jockey. I suoi genitori vivono in Israele e sono stati informati del tragico incidente. Il ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato: “Il ministero degli Esteri desidera porgere le sue più sincere condoglianze alla famiglia in questo momento difficile e continuerà a sostenerla nel miglior modo possibile”. (israel heute, 1 marzo 2022 – trad. www.ilvangelo-israele.it)
E vediamo un po’ che cosa non torna, cominciando dallo stile di comunicazione “morire nei combattimenti in Ucraina”. Ecco, no, Roman non è morto “nei combattimenti”, non è morto mentre stava combattendo, non è morto perché si fosse trovato in mezzo a un fuoco incrociato, non è morto per un accidentale errore: Roman è stato intenzionalmente assassinato. “Scambiato per un militante russo”: forse – lo ipotizzo giusto per amore di conversazione, in realtà non ne so niente, e probabilmente non lo sapevano neanche quelli che lo hanno assassinato – forse, dicevo, aveva simpatia per la Russia, ma non stava combattendo per la Russia, era un civile, ripeto, un CIVILE in viaggio con la moglie e due figli per lasciare l’Ucraina e rientrare in Israele. Non che avessimo bisogno di prove ulteriori, però abbiamo di fatto una prova ulteriore: i nazisti ucraini assassinano i civili, a sangue freddo, in situazioni non di guerra né di combattimento. Perché è esattamente questo che fanno i nazisti.
Quelli che combattono i nazisti invece fanno altro
Fine della guerra per l’Unione Sovietica e data in cui si festeggia la vittoria, ossia la definitiva sconfitta del nazismo. Un po’ più di un anno fa qualcuno, le prossime celebrazioni con la consueta parata militare, le prevedeva così:
A un po’ più di un anno di distanza abbiamo il dittatore nazista aka marionetta della cricca bideniana che ci informa che è praticamente a un passo dalla vittoria totale, dalla disfatta del nemico, dalla riconquista completa di tutti i territori perduti, però bisogna che gli diamo 10 volte le armi che gli stiamo dando ora – da un anno, in aggiunta a tutte quelle mandate da USA e NATO negli otto anni precedenti, oltre a quelli spesi per il colpo di stato e a tutte le altre cose che sappiamo. Per rinfrescare la memoria vi invito a riguardare questo vecchio post, e poi ad ammirare il nostro nelle sue vesti di artista
E dopo il pagliaccio che si spaccia per artista, un artista vero che si finge pagliaccio (con una bella musica klezmer)
Perché noi siamo vecchi incartapecoriti rincitrulliti rincoglioniti stantii e soprattutto irrimediabilmente arroccati sulle nostre idee, mentre loro sono giovani freschi puri svegli e soprattutto aperti e pronti a rimettere in discussione qualunque cosa (e poi fluidi, diciamolo, che quello ci sta sempre bene).
Qui l’articolo con alcuni altri frignamenti della stronzetta isterica cafona e incivile. Ma voi avete mai visto una più perfetta interpretazione dell’espressione “faccia da schiaffi”? Da dargliene fino a spaccarsi le braccia e poi pagare uno che vada avanti al posto tuo fino a quando non ti riprendi e puoi riattaccare un’altra volta (e rimpiangere che non ci siano più i riformatori).
Naturalmente tutta la riprovazione e tutto il disgusto che possiamo provare nei confronti di questa piccola idiota ignorante dal cervello candeggiato, non cancella e neppure attenua le gravissime responsabilità di chi invita a “discutere” una simile nullità assoluta come se avesse qualcosa da dire (si prega di notare: non “qualcosa di interessante”: qualcosa e basta) e addirittura cerca di trattenerla quando sdegnosamente se ne va, quando il suo preciso dovere di padrone di casa sarebbe stato di cacciarla immediatamente a calci in culo dopo quel “Posso parlare?” “No! Basta!” Calci in culo materiali, intendo, non metaforici.