MA VOI LO SAPETE CHE COSA HA FATTO LA BRIGATA EBRAICA?

Eh? Lo sapete? No che non lo sapete, branco di ignoranti che non siete altro!

E quindi, se stabiliamo che la Brigata Ebraica non ha fatto nessuna carica, ne consegue logicamente che non c’è stata nessuna carica: perché a chi altro mai potrebbe venire in mente di caricare?

Ma a voi, dopo una simile figura di merda, non verrebbe voglia di spararvi?

PS: la domanda di sempre: ma perché, se si celebra la liberazione e si ricordano coloro che l’hanno resa possibile, non ci sono bandiere statunitensi, inglesi, canadesi, australiane, neozelandesi? E perché non ci sono quelle dei partigiani cattolici e dei partigiani monarchici – parecchi dei quali, per inciso, sono stati assassinati dai partigiani comunisti?

Poi, piccola nota a margine, ci sarebbe questa cosa qui

barbara

LA VOCE DELL’IRAN

Quest’altra invece è la voce di Biden che raccomanda agli israeliani a non attaccare Haifa.

E se questo tipo di effetti della demenza suscita il riso, altre mosse statunitensi mettono invece a rischio il mondo intero.
Dopo l’attacco israeliano in Iran, appare evidente che i due stati sono strettamente legati nel comune impegno a bloccare ogni possibilità di escalation. La risposta israeliana era, per chiunque conosca mentalità e modus vivendi dei protagonisti, non solo scontata ma anche obbligatoria: il non rispondere sarebbe stato interpretato come segno di debolezza, che, nella cultura arabo-islamica, rappresenta un invito a colpire a fondo (il non colpire in una circostanza di questo tipo sarebbe a sua volta interpretato come debolezza e farebbe perdere la faccia, e perdere la faccia, in quel mondo, è la peggiore sciagura che possa capitare). E dunque Israele ha risposto, e lo ha fatto non solo nel modo più sobrio e moderato, ma anche con il messaggio più esplicito e inequivocabile: ha colpito un obiettivo, uno solo, ha scelto un obiettivo militare, e lo ha scelto ben lontano dagli impianti nucleari. E non ha rivendicato l’attacco. E l’Iran?

«“Non è stato chiarito quale sia il Paese straniero da cui è stato generato l’incidente. Non abbiamo ricevuto alcun attacco esterno e non abbiamo in programma ritorsioni da attuare con urgenza”, ha dichiarato una fonte ufficiale del regime di Teheran alla stampa. Il comandante in capo dell’Esercito iraniano, Abdolrahim Mousavi, ha invece definito “assurde” le ricostruzioni che considerano Israele colpevole dell’attacco.»
«La Mehr News, agenzia semi-ufficiale iraniana, ha riferito che la situazione a Esfahan, città vicina agli attacchi, rimane “completamente calma”.»

Tutto bene, dunque? Ahimè no: fonti ufficiali americane hanno fatto arrivare ai giornali l’informazione che l’attacco è stato condotto da Israele, aprendo così la porta alla possibilità un’escalation di rappresaglie e contro rappresaglie.

Questo invece, quello coperto di sangue, è Yarden Bibas, marito di Shira e padre di Ariel e Kfir; quelli intorno che lo stanno massacrando e quello che guida la moto con cui, dopo averlo catturato, lo ha portato a Gaza, sono i famosi civili innocenti palestinesi

Questa è l’evoluzione dei tempi

Questa è l’ennesima smentita della leggenda nera della povera Gaza zona più densamente popolata del mondo

E questo è un bambino palestinese steso, non si capisce bene perché, sopra le macerie (e senza un solo granello di polvere addosso) che stringe al petto il suo gatto. I gatti palestinesi, come tutti certamente saprete, per adeguarsi ai bambini palestinesi che hanno 6 dita,

si sono dotati di 5 zampe.

E questi sono due inni della resistenza ebraica, che curiosamente terminano con le stesse parole: Mir zaynen do, noi siamo qui. Il primo, di cui trovate qui la traduzione in inglese (che non ho controllato) è il canto dei partigiani ebrei di Vilna, Zog nit keynmol, Non dire mai, di Hirsh Glick (1922-1944)

L’altro (qui la traduzione) è di Lejb Rosenthal, anch’egli di Vilna, novembre 1916-gennaio 1945

barbara

DUE TESTIMONIANZE

più una

7 OTTOBRE – Hila e Na’ama: Al Pitigliani, la testimonianza di due sopravvissute al Nova festival

«Mi chiamo Hila, ho 26 anni. Il 7 ottobre avevo il turno al festival Nova dalle 23.30 alle 8.30». È iniziata così la testimonianza di due ragazze israeliane sopravvissute alla mattanza perpetrata al festival di musica nei pressi del kibbutz Re’im. Un evento organizzato in corrispondenza degli ultimi giorni delle festività d’inizio dell’anno ebraico ma conclusosi con la morte di 364 fra staff e partecipanti a seguito dell’attacco scatenato da Hamas sul sud d’Israele. Hila e Na’ama hanno raccontato come sono uscite dal quel pogrom domenica sera al Pitigliani nel corso di un evento organizzato fra l’altro con l’aiuto della World Zionist Organization e dell’associazione intergenerazionale sionista Brit Am. Sul palco a moderare gli interventi delle due giovani c’erano la giornalista italo-americana Anselma Dell’Olio e Silvia Mosseri per Brit Am.
Hila è convinta di aver salvato la vita grazie al manager dell’organizzazione del festival che, arrivato l’allarme missili, l’ha trattenuta in zona rave party per un’ora. Per il resto del tempo Hila ha sempre corso, prima in auto e poi a piedi, poi di nuovo in auto, cercando disperatamente una via d’uscita fra le file di macchine di giovani in fuga dall’orrore. Nella sua marcia notturna Hila ha incontrato «un poliziotto che sanguinava dalla bocca, persone che urlavano, una ragazza in un’ambulanza che gridava di non sentire più le gambe, persone che si nascondevano dietro alle auto mitragliate dai proiettili. Vedo una ragazza ferita alle gambe ma i suoi amici la aiutano, continuo a correre. Mi nascondo in un avvallamento del terreno. Vedo la mia amica Bar. La chiamo, corriamo insieme verso est, verso Ofakim come ci ha detto la polizia». Poi un grande blackout. Hila ha rimosso l’orrore di quanto visto ma ricorda i suoni della strage: le risate dei terroristi e le grida “Allahu akhbar”. «Abbiamo corso per oltre 5 ore, bevendo acqua sporca. Siamo arrivate al kibbutz Patish. Da lì a Beer Sheva e da Beer Sheva a Tel Aviv». La sera Hila arriva a casa. Non è ferita ma è sotto shock. La mia storia è una storia «buona», dice. Lo shock però continua. Perché la sera «mi arrivano video di amici che sono stati rapiti, e video di miei amici che non ci sono più. Ho perso sei amici, altri tre sono fra gli ostaggi a Gaza. Una è la mia amica Noa Argamani e tutti sappiamo cosa fanno alle donne della mia età. Un altro è il suo fidanzato Avinadav. Poi c’è Alexander Lobanaov, il manager che mi ha salvato la vita e la cui moglie ha avuto un bambino due mesi fa».

La testimonianza di Naama

«Alle 6:30 c’era tantissimo traffico non sapevamo dove andare. Sentiamo i colpi di arma da fuoco. Un ragazzo ci dice di scappare e andiamo tutti in direzione diverse. Io sono tornata in mezzo al rave. Qualcuno mi ha spinto dentro un cassonetto della spazzatura dove mi sono nascosta con una trentina persone per sei ore. A mezzogiorno una ragazza muove una gamba: le dico di fare piano ma un terrorista ci sente, apre il cassonetto e spara». Na’ama si prende quattro pallottole AK che si muovono nel suo corpo, oggi segnato dalle cicatrici. «Capisco che sto morendo e con la mano sinistra chiamo mia mamma per dirle addio. Poi mando la mia posizione all’interno del gruppo Whatsapp dell’organizzazione di Nova». Lei rimane nascosta sotto la spazzatura. Ore dopo il suo amico Ron e un altro manager, feriti, la issano fuori adagiandola in terra. «Ron è stato poi rapito ed è ancora a Gaza. Sono sdraiata a terra e vedo due terroristi che cercano di sparare un Rpg ma il soldato che è là li uccide». Intanto un paramedico ferma l’emorragia alla sua gamba sinistra, ma non in quella destra. «Arriva un’ambulanza ma non ha medicine, poi una seconda, poi una terza. Arrivo all’ospedale alle 15,30 ma avevo perso la metà del mio sangue. Ho perso conoscenza e mi hanno operata. Sono rimasta a letto per due mesi. Ho grandi cicatrici che mi fanno male, premono sulle terminazioni nervose. Non mi fanno dormire. Ho perso cinque amici».
Oggi Hila e Na’ama fanno riabilitazione fisica e psichica. Parlare aiuta, dicono, e una volta alla settimana si incontrano con gli altri ex dipendenti di Nova, ora diventata una fondazione per l’auto-aiuto: «Tra di noi non abbiamo bisogno di parlare ma ci facciamo coraggio». Hila non riesce più a studiare «perché quando mi siedo mi vengono gli attacchi di panico e non lavoro neppure». E nonostante sia lei quella traumatizzata aggiunge: «Noi israeliani vogliamo che voi ebrei della diaspora non vi sentiate soli: noi siamo con voi». Poi riprende: «Prima andavo sempre a fare acquisti nel villaggio arabo di Kfar Qassem, ma adesso quando sento parlare arabo mi prende il terrore. Sono andata a parlarne con il dottore, ma non c’era perché era stato richiamato come riservista: al suo posto c’era un medico arabo che è stato gentile. Non vogliono tutti ammazzarci, lo so. Ma io ho paura». Na’ama non la vede diversamente. «Non riesco a lavorare, ho troppi dolori e penso tutto il tempo ai miei amici. Prima del 7 ottobre avevo amici arabi: oggi ho preso un caffè a Roma, ho sentito parlare arabo e mi è venuto un attacco di panico». E se Hila dice di aver paura di tutto, «di guidare, del deserto, dell’arabo», ma vuole restare in Israele, Na’ama spiega di non poter immaginare «di crescere figli in un paese dove ti possono tornare a casa con quattro pallottole in pancia perché sono andati a ballare».
Alla fine dell’incontro Hila e Na’ama hanno risposte alle domande dei rappresentanti dei movimenti ebraici giovanili. «Attenti ai social», hanno messo in guardia. «Lo sapete che i social censurano i contenuti pro-Israele?». (Qui)

Già. E nel sito di Porro un discreto numero di commentatori continuano a strepitare che gli ebrei, i giudei, i nasoni controllano tutta la stampa – esattamente come tutto il resto – e censurano tutte le informazioni oneste sui palestinesi per poter continuare a recitare la parte delle vittime. Dice, e quei 1400 tra ammazzati e catturati? Propaganda sionista. E comunque dopo quasi 80 anni di ininterrotto genocidio palestinese dovevano aspettarselo, e bene gli sta.

E questa è l’altra testimonianza

SPORT – La leggenda del calcio iraniano si schiera con Israele
«Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica»

«Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica». È una rivendicazione coraggiosa quella che l’ex leggenda del calcio iraniano Ali Karimi ha scritto ieri sul proprio profilo su X (l’ex Twitter), accompagnando lo status con l’immagine di due mani che si stringono: una con i colori della bandiera iraniana; l’altra con quelli della bandiera israeliana.

Tutto il contrario, insomma, di quel che auspica il regime di Teheran.
Ali Karimi, 45 anni, in attività era conosciuto come il «Maradona d’Asia». Un talento mai banale, capace di giocate sopraffine che avevano impressionato i grandi club europei e in particolare la dirigenza del Bayern Monaco, con cui a metà degli anni Duemila ha vinto un campionato tedesco e una Coppa di Germania. Dopo ben 125 presenze e 39 goal in nazionale, dopo il titolo di calciatore asiatico ottenuto nel 2004 e molti altri riconoscimenti, Ali Karimi conferma di essere un “campione” anche fuori dal campo. Quantomeno di coraggio, come ha più volte dimostrato in questi anni con ripetute prese di posizione a favore dei manifestanti anti-regime. Nel 2023, dopo una serie di minacce di morte che l’hanno raggiunto fino a Dubai, è stato costretto a emigrare negli Stati Uniti d’America.
«Dover vivere in esilio è terribile», ha raccontato in un’intervista. Ma nessun rimpianto, ha poi specificato, invitando anzi i suoi colleghi calciatori ad essere «dalla parte giusta della storia» e a impegnarsi a fianco «del movimento Donna, Vita, Libertà» che combatte ogni giorno contro gli ayatollah. Ali Karimi ha sposato ora anche questa “battaglia”, contrastando la narrazione ostile allo Stato ebraico che impera a Teheran e condividendo questo suo messaggio con i suoi quasi due milioni di follower.
Il messaggio è diventato subito virale, con centinaia di migliaia di visualizzazioni. Chissà che tra loro non vi siano anche alcuni dei tifosi che in ottobre, poche ore dopo il pogrom compiuto da Hamas, fischiarono il gruppo terroristico palestinese in uno stadio della capitale. O quelli che hanno fatto lo stesso pochi giorni fa durante un minuto di silenzio tributato in un impianto in ricordo di Mohammad Reza Zahedi, il comandante delle Guardie della Rivoluzione ucciso a Damasco. Atti anch’essi di grande coraggio. A conferma del fatto che «Siamo l’Iran, non la Repubblica islamica» non lo pensa il solo Ali Karimi. (Qui)

E ricordiamo anche lui, il grandissimo campione-non campione.

Piccola nota a margine, a proposito dell’«ambasciata iraniana bombardata a Damasco»:

Ricordando che

E magari dedichiamo un pensierino anche all’ambasciata cinese a Belgrado bombardata Dalla NATO il 7 maggio 1999, così, giusto per non perdere di vista le proporzioni.

barbara

MA SI PUÒ ESSERE PIÙ COGLIONI DEGLI ISRAELIANI?

I missili iraniani, sicurissimamente iraniani, indubitabilmente iraniani, anche perché l’Iran se li è fotografati e ripresi per mostrare al mondo quanto è potente e come si vendicherà di Israele per l’oltraggio subito e come è in grado di colpire Israele al cuore, quei missili, dicevo, capita che arrivino sul Monte del Tempio, e se cadessero lì molto probabilmente distruggerebbero la moschea. E quei coglioni cosa fanno? Li intercettano e li distruggono!

Ma andate affanculo, va’.

Intanto il New York Times scrive che

Israel says Iran launched drones at its territory

Se poi sia anche vero va’ a sapere, tante ne raccontano questi perfidi giud sionisti, maestri di menzogna che imbastiscono su ogni sorta di storie approfittando del fatto che nessuno le può controllare. E infatti loro continuano a parlare di terrorismo, mentre sappiamo che in realtà

E comunque ricordiamo sempre che non sono antisemiti, sono “solo” antisionisti. Questa per esempio è la casa di un ebreo, in fiamme.

Berlino 1938? No: Londra 2024. E qui siamo in Irlanda

Questo invece è il signor Haniyeh il 7 ottobre 2023 che gode come un riccio di fronte alle immagini della riuscitissima mattanza

E questa è l’auto di un suo figlio l’11 aprile 2024

Il figlio era a bordo, e oltre a lui sono stati eliminati anche altri due figli e tre nipoti. Ma forse riderà ancora visto che ha 6 discendenti martiri in paradiso.
Comunque, tornando al tema di partenza, con tutti quei droni e missili che hanno fermato,

non potevano proprio accontentarsi e lasciar andare quel paio?

Poi, nel frattempo, nel Paese simbolo dell’apartheid succede questo.

Comunque qualcuno con le idee chiare su quanto sta succedendo, per fortuna c’è: uno

e due

E per celebrare l’evento vi regalo questa chicca

barbara

VANNO COMPRESI

E se non li comprendiamo la colpa è nostra, chiaro.

Galatea Vaglio

Perché una statua di una donna che allatta offende qualcuno?
Sembra un paradosso che una statua di una madre che allatta, creata da Vera Omodeo, artista scomparsa nel 2023, sia oggetto di polemiche e una commissione del Comune di Milano neghi l’autorizzazione ad esporla in una piazza, perché “potrebbe urtare la sensibilità”. Però i motivi che giustificano questa posizione vanno compresi.
1) da anni in Italia si sottolinea il problema della scarsa rappresentazione femminile [TU, presenzialista compulsiva che riempi il profilo delle tue foto filtrate e fotoshoppate per sembrare di 30 anni più giovane, lo sottolinei]. Luoghi pubblici e statue sono quasi tutti dedicati agli uomini, perché le figure femminili sono rappresentate o come allegorie (la Pace, la Vittoria) o attraverso la figura della Madonna o di altre sante [le quali sante evidentemente non erano donne, non sono realmente vissute, non hanno agito, non hanno influito sulla società del loro tempo – e magari, in conseguenza di un certo numero di sane scopate, messo al mondo e allattato dei figli]. Le statue maschili rappresentano uomini precisi che hanno fatto la storia [e tutte le statue di dei e personaggi mitologici che continui a schiaffare sul tuo profilo?], le statue femminili figure mitologiche o allegoriche, che rappresentano spesso solo figure di cura [e le statue di Maria Teresa, dell’imperatrice Sissi, della regina Vittoria, di Caterina di Russia, di Paolina Borghese, di Anna Frank, di tutte le donne di Rodin? E quelle di dee e figure simboliche perché continui a offrirle in pasto al tuo pubblico se sono così scandalose?]. Gli uomini hanno modelli di protagonisti a cui ispirarsi, le donne molto meno. Se si vuole colmare questa lacuna, che senso ha nel 2024 di nuovo proporre una figura femminile anonima [perché, il Pensatore chi è? Ha nome cognome indirizzo?] (la madre che allatta) invece di una eroina femminile storica che sia di esempio positivo?
2) perché nuda? Non è moralismo, è una domanda legittima. Nessuna madre che allatta lo fa scoprendosi completamente il busto [chi te l’ha detto? Hai controllato tutti i miliardi di donne nel mondo che allattano?]. Quindi perché? Ancora una volta perché si sente il bisogno di giocare con una immagine inutilmente sessualizzata, con abiti che cadono come veli ammiccanti? [La malizia, come si suol dire, è nell’occhio di chi guarda, e per vedere sessualità e ammiccamenti in questa statua, di merda sugli occhi e nel cervello devi averne proprio tanta]
3) ma siamo solo madri? [Ma è vietato essere madri? Peccato che non lo pensasse tua madre] Mettere una statua in un luogo pubblico è indicare in maniera forte un modello [come il dito medio di Cattelan? Sono questi i valori che tu apprezzi e condividi?]. Di cosa? Di donna che viene riconosciuta come tale solo in quanto madre allattante? [Perfetta esemplificazione di “avere il baco nel cervello”] Siamo ancora a questo? [A questo cosa? Al fatto che le donne possono fare figli? Al fatto che possono decidere di averli? Al fatto che possono scegliere di allattarli? Al fatto che una donna possa avere voglia di modellare una statua di donna che allatta? Scandaloso, eh? E dimmi: tu chi cazzo sei per permetterti di dire che non lo doveva fare?]
È il solo orizzonte in cui la donna può essere rappresentata? [È il solo orizzonte che riesci a vedere? Non che la cosa possa sorprendere, eh]
4) ma il padre dov’è? [Magari a lavorare per mantenere moglie e figlio?] Sì chiediamocelo [Perché, quando tua madre ti allattava tuo padre era sempre lì di fianco a lei?]. Perché i figli si fanno in coppia [poi però non si passa il resto della vita appiccicati col Bostik, ma evidentemente di vita di coppia non devi sapere molto]. E oggi anche i padri allattano [gli danno il biberon: le parole hanno un significato, e se non lo conosci dovresti studiare] e cambiano i pannolini. Dunque perché ancora questa rappresentazione della maternità come eroismo solitario della donna [davvero questa donna la vedi rappresentata come un’eroina? Ma non eri quella che oltre che per italianista latinista grecista storica giornalista scrittrice si spacciava anche per esperta critica d’arte?], in cui i padri sono privati di ogni ruolo? [Dunque, se vedi una donna che allatta l’unica cosa che ti viene in mente è che si voglia imprigionare la donna in quell’unica funzione, se non vedi il padre di fianco alla madre nel momento in cui questa sta allattando – o forse anche in qualunque altro momento? – l’unica cosa che ti viene in mente è che l’uomo viene privato di ogni (OGNI, notate bene) ruolo: di gente ritardata nella mia ormai lunga vita ne ho vista tanta, ma tu superi proprio tutti] Mica solo le femministe dovrebbero sentirsi urtate, anche i padri e gli uomini in generale.
Prima di infervorarci, ragioniamo [certo che l’Oca Signorina e il verbo ragionare nella stessa frase…]: quella statua è una buona idea?

SÌ!

È veramente incredibile quanto quelli che si ritengono scaturìi (woke per quelli studiati e non veneti) siano schiavi dei più radicati (da quella parte della barricata) stereotipi, che tanto più pappagallescamente ripetono quanto più sono convinti di ragionare con la propria testa, fino a perdere ogni traccia di umana ragione, dimentichi del Poeta che ammoniva

Uomini siate e non pecore matte
sì che ‘l giudeo di voi tra voi non rida

E naturalmente non mancano i microcefali che in questo attestato di stima nei confronti del giudeo, tanto Uomo da potersi permettere di ridere di quelli che si comportano da pecore matte, riescono a vedere una manifestazione di antisemitismo.

PS: ma femminismo non dovrebbe essere anche promuovere opere di artiste donne e cercare di renderle il più possibile visibili?

barbara

OMAGGIO ALLA SIGNORA IOTTI LEONILDE DETTA NILDE

(con due giorni di ritardo, causa altre urgenze di cronaca e problemi di salute)

salita ai vertici dell’arena politica grazie all’arte di fare certi servizietti da resuscitare un morto (altro che Mara Carfagna: come minimo come Kamala Harris) nel 104° anniversario della nascita.

Giancarlo Lehner

Per i cento anni del Pci e l’antisemitismo rosso.

Palmiro e Nilde non furono grati ai coniugi Slánský, i due ebrei cecoslovacchi, che li accolsero nella loro dacia appena fuori Praga, allo sbocciare dell’amore in fuga dall’occhiuto bigottismo del Pci. Rudolf e Josefa Slansky, anfitrioni affettuosissimi, cedettero addirittura il letto matrimoniale, dormendo sul divano, pur di regalare un’alcova degna di tanta passione al drudo Palmiro.
Galeotto fu Rudolf Slánský, dunque, che era, peraltro, non un comunistello qualsiasi, bensì il segretario generale del Pcc. Purtroppo, Stalin, che, onorando il patto Ribbentrop-Molotov (1939) aveva già fatto omaggio ad Hitler di centinaia di ebrei sovietici, destinandoli al massacro, nel 1950-1951 decise che bisognava ripulire del tutto i partiti comunisti dai portatori insani di sionismo.
I giudici compagni, fautori e maestri del processo breve, in un solo anno, accusarono, processarono e fecero eseguire le condanne a morte.
Togliatti festeggiò le esecuzioni.
Resta agli atti della Historia il difensore di Rudolf – legale che piacerebbe assai ai forcaioli d’Italia -, visto che si appellò alla corte, chiedendo, tout court, la condanna a morte del suo cliente.
Su quattordici dirigenti del Pcc, finiti nel tritacarne delle toghe rosse, ben undici furono ritenuti efferati israeliti, ergo nazionalisti borghesi, cioè sionisti, legati all’American Jewish joint distribution committee, nonché alla Massoneria. Insomma, a riprova della contiguità fra nazismo e comunismo, venne riproposto in versione rossa il delirio del complotto plutogiudaicomassonico.
Il cadavere di Rudolf fu cremato e le sue ceneri, ultimo sfregio, furono sparse nel fango. La vedova, sospetta sionista, venne reclusa per anni insieme ai figli, un maschio e una femminuccia, anch’essi col dna giudaico, ergo colpevole. Patirono fame e gelo, tanto che Josefa, attraverso un carceriere umano, fece giungere all’esterno un bigliettino rivolto all’amica-sorella, Nilde Iotti.
La lettera fu regolarmente spedita da Praga e recapitata a Roma. In essa non si chiedeva un impossibile sostegno di tipo garantista, ma soltanto un pacco con sciarpette, calzini, magliette, cuffiette per i due piccini.
La Iotti non spedì niente.
Josefa si stupì di tanta ingratitudine, eppure, per affetto, s’inventò delle giustificazioni, illudendosi sulla forza imperitura dell’amicizia. Nella stagione della primavera di Praga scrisse di nuovo alla donna che aveva spesso ospitato. C’era Dubcek e il “comunismo dal volto umano”, eppure Nilde rimase impassibile.
Non rispose e non si compromise con l’ebrea deviazionista.
I carri armati del 1968 diedero ragione alla nostra stalinista.
Quando, nel 1990, andai a Praga, per incontrare Josefa, trovai una donna straordinaria, stremata dalla sofferenza e dalla povertà, più rughe che carne, eppure capace di gioire perché il figlio, sopravvissuto alla polmonite, era diventato ambasciatore cecoslovacco, nientemeno che… a Mosca. E la bimba, scampata all’inedia e ai brividi, adesso era un’affermata dottoressa.
Ringraziava il Creatore, continuando a illudersi che la Iotti non fosse un’ingrata. Le scrisse ancora un paio di volte.
Non ebbe mai risposta.

Degna compagna del compagno migliore, prostituto lui e baldracca, nell’anima ancor più che nel corpo, lei. Possano i loro nomi essere maledetti in eterno.

barbara

SORPRESA SORPRESA…

Il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ammette difetti nei dati sulle vittime

Ultimi sviluppi

Il Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas ha dichiarato il 6 aprile di disporre di “dati incompleti” per 11.371 delle 33.091 vittime palestinesi che sostiene di aver documentato. In una relazione statistica, il ministero riferisce che considera incompleto un documento individuale se manca uno dei seguenti dati chiave: numero di identità, nome completo, data di nascita o data di morte. Il ministero della Salute ha anche pubblicato un rapporto il 3 aprile in cui riconosceva la presenza di dati incompleti ma non definiva cosa intendesse per “incompleti”. In quel rapporto precedente, il ministero aveva riconosciuto l’incompletezza di 12.263 documenti. Non è chiaro il motivo per cui, dopo appena tre giorni, il numero sia sceso a 11.371, con una diminuzione di oltre 900 casi.
Prima di ammettere la questione dei dati incompleti, il Ministero della Salute aveva affermato che le informazioni relative a oltre 15.000 decessi provenivano da “fonti mediatiche affidabili”. Tuttavia il ministero non ha mai identificato le fonti in questione, e Gaza non ha media indipendenti.

Analisi degli esperti

“Gli improvvisi cambiamenti nei metodi di rendicontazione del ministero suggeriscono che stia cercando di intorbidare le acque per evitare che il suo lavoro scadente [la traduzione è lavoro scadente, ma io direi lavoro sporco] venga allo scoperto. Per mesi i media statunitensi hanno dato per scontato che il numero di vittime fornito dal ministero fosse sufficientemente affidabile da poterlo inserire negli aggiornamenti quotidiani sulla guerra. Anche il presidente Biden ne ha citato i numeri. Ora stiamo vedendo che un terzo o più dei dati del ministero potrebbero essere incompleti nella migliore delle ipotesi – e fittizi nella peggiore”. — David Adesnik , ricercatore senior e direttore della ricerca
“È importante riconoscere che Hamas è profondamente impegnata nel plasmare la narrativa che emerge da Gaza, in particolare per quanto riguarda il numero delle vittime della guerra. Inoltre, questo controllo dei dati va oltre le statistiche fornite dal ministero della sanità controllato da Hamas, poiché c’è anche uno sforzo deliberato per minimizzare il numero di terroristi che sono stati uccisi da Israele durante la guerra, che potrebbero ammontare a più di 10.000”. – Joe Truzman , analista ricercatore senior presso il Long War Journal della FDD

Un record di false affermazioni

Il 16 ottobre, il ministero della Sanità ha dichiarato ai media di tutto il mondo che un attacco aereo israeliano era responsabile di un’esplosione che ha ucciso 500 palestinesi nell’ospedale Al Ahli Arab, nel nord di Gaza. I media statunitensi hanno subito riportato la storia, anche se nel giro di poche ore è diventato chiaro che non c’erano prove a sostegno delle affermazioni di un attacco aereo o di un bilancio delle vittime vicino a 500. Ben presto sono emerse prove che un razzo lanciato dai terroristi palestinesi aveva quasi certamente causato un’esplosione nel parcheggio dell’ospedale. Un rapporto non classificato dell’intelligence statunitense del 18 ottobre affermava che l’esplosione avrebbe probabilmente causato tra i 100 e i 300 morti , e si orientava verso stime delle vittime “nella fascia bassa dello spettro tra 100 e 300”.
Tuttavia, il ministero della Sanità non identifica le persone che sono morte a causa del fuoco palestinese fuori bersaglio [e conteggia anche queste come vittime di Israele], anche se le forze di difesa israeliane hanno riferito che il 12% dei razzi lanciati durante il primo mese di guerra sono caduti all’interno di Gaza, per un totale di oltre 1.000 lanci giunti fuori bersaglio. [Notare le cifre: oltre 1000 sono il 12% di quelli lanciati nel primo mese, il che significa che ne sono stati lanciati circa 8400, 280 al giorno, dopo i 5000 nel giorno dell’attacco. Successivamente si sono stabilizzati su una media di un centinaio al giorno]

Analisi correlate

“ I giochi sui numeri delle vittime di Hamas ”, di David Adesnik

“ 5 cose da sapere sul Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas ”, FDD Insight

“ Dentro il gioco di propaganda di Hamas ”, di Joe Truzman

Qui, via Toscano irriverente, traduttore automatico con correzione mia (stavolta ho controllato tutto, ma se qualcuno trova qualcosa da correggere è il benvenuto).

Ma nonostante tutto questo c’è chi invece
Per non parlare dell’oscena amnesty international (e word, evidentemente complice, tenta di correggermi mettendo maiuscole entrambe le parole)

NB: Mancano alcuni dettagli sulle sevizie inflitte al ragazzo, che trovate in questo articolo.

E non dimentichiamo la vecchia buona cara santa croce rossa

Comunque non facciamoci illusioni: se non hanno creduto a stupri mutilazioni sgozzamenti decapitazioni eccetera ripresi dagli stessi carnefici con le bodycam, quando mai accetteranno di credere alla falsificazione delle cifre riconosciuta dagli stessi falsificatori. E tuttavia non per questo dobbiamo rinunciare a denunciare tutti gli imbrogli di cui veniamo a conoscenza, se non altro per togliere ai fiancheggiatori dei terroristi l’alibi dell’ignoranza in buona fede.

Per restare in tema di disinformazione, consapevole e intenzionale, propongo quest’altro documento

Enrico Richetti

Ho appena scritto al Sole 24 Ore:
“Buongiorno,
sono vostro lettore da quarant’anni.
Ottimo motivo perché io mi indigni se un giornalista, Roberto Bongiorni, invece di scrivere notizie vere, naturalmente con le proprie opinioni, ne pubblica di false. Toglie credibilità al Vostro quotidiano. Che tempo fa continuava a parlare della distruzione dell’ospedale di Al Ahli, distruzione mai avvenuta e già pubblicamente smentita
A pagina 4 del Sole del 7 aprile prima di tutto parla di:
“rappresaglia israeliana” e “punizione collettiva”. Non è una rappresaglia, è una guerra contro Hamas che oltre a compiere un massacro senza precedenti dal 1945, ne ha preannunciato altri. E ha lanciato dal 7 ottobre circa ventimila missili contro Israele E’ una guerra di difesa, per sua natura molto più vasta di una rappresaglia
“33 mila palestinesi morti, in grandissima parte civili”. Ammesso che siano 33 mila come dice Hamas, da dove ha ricavato Roberto Bongiorni la notizia che siano in grandissima parte civili e non in grandissima parte terroristi di Hamas o loro collaboratori senza divisa?
“Nessuno poteva immaginare di vedere i corpi di bambini consumati dalla fame, le orbite incavate a gli occhi fissi nel vuoto, che non implorano nemmeno aiuto”.
Questa è la falsità più grave. Li ha visti? Se è così perché nessun telegiornale li mostra, anzi, mostra bambini che, per quanto spaventati, appaiono in buone condizioni, non cioè consumati dalla fame e incapaci di reggersi in piedi?
“Non sono stati risparmiati nemmeno gli ospedali”.. certo che no, il giornalista non scrive però che negli ospedali si annidavano i terroristi, con i loro depositi di armi. E che dagli ospedali sparavano contro i soldati israeliani.
“Sui 36 originari (un numero insufficiente già prima del 7 ottobre)”. Per 2 milioni e quattrocentomila abitanti 36 ospedali sarebbero insufficienti. Secondo Roberto Bongiorni. Cioè un ospedale ogni 67 mila abitanti sarebbe troppo poco. Che dire di noi poverissimi vicentini che, con centomila abitanti, abbiamo un unico ospedale?
Siete responsabili di una disinformazione che non fa che alimentare odio contro Israele e contro gli ebrei di tutto il mondo. Questo modo di fare giornalismo è indegno.
Ovviamente pubblico questa mia mail sul mio profilo Facebook, autorizzando chiunque a condividerla
Distinti saluti
Enrico Richetti”

D’altra parte ricordo ancora un articolo di un quarto di secolo fa, o giù di lì, quando lo compravo la domenica per via della ricca pagina culturale, in cui si spiegava che le radici del conflitto risiedono nel fatto che sia gli arabi sia gli ebrei hanno rifiutato la risoluzione Onu 181 del 29 novembre 1947 che istituiva la nascita di uno stato ebraico e uno arabo (no, non palestinese: il popolo palestinese sarebbe stato fabbricato 17 anni più tardi, molto lontano da lì).

E giusto a proposito della fame che sta imperversando a Gaza, guardate qua che bella carrellata

e poi questo, ripreso da un giornalista palestinese (lo sappiamo da sempre, ma meglio ribadire il concetto)

che probabilmente è lo stesso di quest’altro video

Poi, per riprendere il tema del post precedente, c’è l’ennesimo esempio del vecchio vizio dei morti palestinesi di resuscitare quando credono che le telecamere siano state spente

Ancora un cenno al tragico incidente del drone israeliano che durante la notte ha colpito un veicolo privo di segni identificativi luminosi o catarifrangenti, uccidendo sette volontari, che tanto sdegno ha suscitato in tutto il mondo, e in particolare negli Stati Uniti

E poi c’è la merda

barbara