E ANCHE SE LE TENEVANO COPERTE

con un grande e spesso tendone, alla fine si scoprì che tutte le pentole erano prive di coperchio, e fu dunque chiaro chi era il costruttore.

Vi ricordate quella storiella che il nemico era hamas e non i palestinesi? E che Israele doveva evitare a qualunque costo di colpire i civili palestinesi e limitarsi – non si sa bene come, ma non importa – a colpire unicamente i terroristi di hamas? Beh, contrordine compagni, quella cosa lì non vale più:

Biden to Netanyahu: ‘Ironclad Support’ for Israel, But No Support for Eliminating Hamas Leaders in Rafah

Non solo non si devono eliminare i cosiddetti civili, non importa se complici attivi di hamas, non importa se carcerieri e seviziatori e stupratori degli ostaggi deportati da Israele, non importa se partecipanti al massacro del 7 ottobre; non solo non si devono eliminare i generici appartenenti a hamas, non importa quanto grondanti di sangue siano le loro mani, no: non si devono eliminare neanche i leader di hamas. E perché non si devono eliminare? Semplice: perché se non ci sono più loro, chi organizzerà la prossima mattanza di ebrei, chi organizzerà la prossima strage di ebrei, chi organizzerà i prossimi stupri di donne ragazze bambine ebree, chi tenterà, per l’ennesima volta, di portare a termine il lavoro di Hitler?
Ha la vista lunga il vecchio Biden, eh?

barbara

UN PO’ DI ROBA CHE SUI MEDIA PASSA POCO

La miseria la fame la carestia l’emergenza umanitaria

Quelle centinaia di migliaia di studenti o sedicenti tali che in tutto il mondo manifestano a tempo pieno come mai prima si erano visti manifestare, per nessuna causa, e urlano apertamente, molto più che l’amore per la Palestina, l’odio per Israele, l’ebbra felicità per il massacro del 7 ottobre, la volontà di distruggere Israele e sterminare tutti gli ebrei: vi siete chiesti perché? Beh, sicuramente ricorderete il suggerimento di Giovanni Falcone per trovare il bandolo degli inghippi: ecco, la strada è quella. Non che non l’avessimo capito, ma adesso abbiamo anche le cifre.

E poi ci sono gli altri, da cui loro sono diversi. Molto diversi

Leggo poi su Repubblica:

I giovani che lottano per Gaza e il disagio degli universitari ebrei: le due facce della Columbia


Due domande: non è un tantino riduttivo parlare di “disagio” per dei ragazzi costretti a seguire le lezioni online perché se escono dalle loro stanze vengono pestati? Non è un tantino riduttivo parlare di disagio per dei docenti a cui viene materialmente impedito di fare lezione, anzi, di accedere all’università? Ma soprattutto: “lottano” in che senso? Ecco, qui possiamo averne un’idea – tenendo presente che questo video è di 5 mesi fa, ancora lontani dal raggiungere l’acme

Mi piace concludere con queste immagini dello scorso dicembre in cui un parlamentare turco proclama che Israele non riuscirà a sfuggire alla collera di Allah, e appena pronunciata l’ultima parola crolla a terra colpito da infarto

barbara

MA SI PUÒ ESSERE PIÙ COGLIONI DEGLI ISRAELIANI?

I missili iraniani, sicurissimamente iraniani, indubitabilmente iraniani, anche perché l’Iran se li è fotografati e ripresi per mostrare al mondo quanto è potente e come si vendicherà di Israele per l’oltraggio subito e come è in grado di colpire Israele al cuore, quei missili, dicevo, capita che arrivino sul Monte del Tempio, e se cadessero lì molto probabilmente distruggerebbero la moschea. E quei coglioni cosa fanno? Li intercettano e li distruggono!

Ma andate affanculo, va’.

Intanto il New York Times scrive che

Israel says Iran launched drones at its territory

Se poi sia anche vero va’ a sapere, tante ne raccontano questi perfidi giud sionisti, maestri di menzogna che imbastiscono su ogni sorta di storie approfittando del fatto che nessuno le può controllare. E infatti loro continuano a parlare di terrorismo, mentre sappiamo che in realtà

E comunque ricordiamo sempre che non sono antisemiti, sono “solo” antisionisti. Questa per esempio è la casa di un ebreo, in fiamme.

Berlino 1938? No: Londra 2024. E qui siamo in Irlanda

Questo invece è il signor Haniyeh il 7 ottobre 2023 che gode come un riccio di fronte alle immagini della riuscitissima mattanza

E questa è l’auto di un suo figlio l’11 aprile 2024

Il figlio era a bordo, e oltre a lui sono stati eliminati anche altri due figli e tre nipoti. Ma forse riderà ancora visto che ha 6 discendenti martiri in paradiso.
Comunque, tornando al tema di partenza, con tutti quei droni e missili che hanno fermato,

non potevano proprio accontentarsi e lasciar andare quel paio?

Poi, nel frattempo, nel Paese simbolo dell’apartheid succede questo.

Comunque qualcuno con le idee chiare su quanto sta succedendo, per fortuna c’è: uno

e due

E per celebrare l’evento vi regalo questa chicca

barbara

OGGI VI FACCIO FARE UN GIRO

nella deliziosa località di Pallywood.

Guardiamo innanzitutto questa deliziosa bambina di 4 anni o di 6 anni, non si sa (a noi sembrerebbe un po’ piccina per avere 6 anni, e anche per 4, ma con tutta la fame che gli fanno patire i perfidi e infami occupanti che per la verità avevano smesso di essere occupanti 18 anni e mezzo fa ma chi sta a badare a questi insignificanti dettagli, ovvio che crescono meno, e infatti si vede chiaramente quanto la povera creatura sia patita e denutrita), assassinata da un certa signora “Occupation”

Cercando in rete, tuttavia (perché cerchiamo sempre in rete quando “loro” ci mostrano un’immagine? Uhm, prova un po’ a indovinare…) troviamo questa stessa immagine (clic sulla foto per ringrandire) presentata come foto di una bambina al suo primo compleanno.

Poi c’è quest’altra immagine che gira da un po’, indicata come foto di una bambina “palestinese e vittima di bombardamenti israeliani”.

Una semplice ricerca su Google dopo decine di link recenti, mostra documenti più antichi della stessa bambina: nel 2020 era in Afghanistan e sempre nel 2018 ancora in Afghanistan, ma nel 2014 la troviamo in Siria e oggi è finita a Gaza a farsi bombardare dagli israeliani: cammina molto la pargola!

Poi c’è il soldato israeliano, fetente, tanto tanto fetente, col mitra addosso al povero civile innocente palestinese

Poi c’è questo povero bambino scheletrico che i soliti fetenti stanno facendo morire di fame

Poi c’è questa povera bambina due volte in fin di vita in due contesti diversi con abiti diversi con ferite diverse ma dicendo le stesse identiche cose.

E quest’altra povera bambina vittima delle belve israeliane

E sempre si pone la stessa domanda: se Israele sta facendo tutta questa strage di bambini, perché non ci mostrano i bambini palestinesi vittime di questa strage? Perché hanno bisogno di spacciare per bambini palestinesi dei bambini vittime di altre tragedie? Perché hanno bisogno di mettere in piedi dei set cinematografici con attori, adulti e bambini, che interpretano la parte di morti e feriti vittime di Israele? Perché?

Aggiungo ancora una chicca: il presidente Lula cortesemente ci informa che a Gaza Israele ha ucciso 12,3 milioni di bambini palestinesi. In Italia da 0 a 14 anni ce ne sono poco più di 7 milioni e mezzo. È vero che noi facciamo molti meno figli, però noi siamo quasi 60 milioni e loro poco più di 2, ma sicuramente sono io che sono meno brava di lui con la matematica.

Concludo con questa meravigliosa e suggestiva interpretazione di Ein Li Eretz Acheret

barbara

AL TRIAGE DEL PRONTO SOCCORSO

Mi chiede se ho allergie, e io tiro fuori il foglio che porto sempre con me in cui ho annotato tutto ciò che potrebbe avere bisogno di sapere un medico in qualunque circostanza – farmaci abituali, farmaci occasionali, allergie, intolleranze, ipersensibilità, patologie pregresse, patologie in atto, traumi, interventi chirurgici, gruppo sanguigno – e glielo porgo. Sbatte una mano sul foglio e dice:

– E qua cosa le diamo, l’acqua?
– Prego?
– Con tutte queste allergie cosa le diamo?
– Tutto quello che non è scritto lì.
– E il Tramadolo?
– Per quello non c’è problema: a causare l’allergia non è il principio attivo bensì gli eccipienti, infatti il Contramal che ha lo stesso principio attivo non mi crea nessun problema.
– Se uno legge qui vede Tramadolo e non le dà neanche l’altro.
– Se uno vede quello che ha scritto lei legge “Tramadolo”, se uno vede quello che ho scritto io legge “Tramadolo (eccipienti)” e quindi se non è scemo come te pezzo di stronza capisce.
– E questa allergia chi gliel’ha diagnosticata? Ha fatto il test?
– Il test con conseguente diagnosi è stato lo svegliarmi grattandomi forsennatamente la faccia e poi andare allo specchio e vedermi la faccia gonfia come un pallone color melanzana e restare così per settimane.
– Quindi la diagnosi non è stata fatta da un medico.
GRRRRRR. Magari avevo fatto un brutto sogno e il pallone color melanzana durato per settimane me l’ha fatto venire lui
– E poi cosa vuol dire non somministrare anticoagulanti? (Che nel mio foglio è scritto così: NON SOMMINISTRARE ANTICOAGULANTI)
– Significa che io ho un’enorme difficoltà a coagulare, mi basta un graffio per fare una mezza emorragia, se mi danno anche gli anticoagulanti mi dissanguano.
– Se arriva qui con un ictus glieli danno eccome gli anticoagulanti.
– Se arrivo qui con un ictus sapranno cosa devono fare, ma se non è questione di vita o di morte io NON DEVO ricevere anticoagulanti, l’ho scritto perché si sappia ma dato che non sono qui per un ictus perché continui a tenermi qui con tutte queste stronzate? Non te ne accorgi che non mi sto reggendo in piedi?
– Comunque se arriva qui con un ictus glieli danno.
VAFFANCULO

E io lì, con una sospetta frattura vertebrale, con tutto il peso sul bastone perché da sola non ero in grado di reggermi, e quella stronza che non la finiva di tenermi in piedi con le sue considerazioni cinofalliche (word mi segna errore cinofalliche. Sarà mica che preferisce “a cazzo di cane”? Sì, questo non me lo segna, vabbè). Poi per fortuna mi hanno chiamata relativamente presto e dentro ho trovato due medici, un uomo e una donna (si potrà ancora dire?) entrambi giovani e carini, che appena hanno sentito le parole “frattura vertebrale” mi hanno immediatamente fatta stendere sulla barella – dove sono rimasta per le successive sei ore. Mi è comunque andata bene che era di turno la mia ortopedica, che mi segue da otto anni. E in conclusione ancora di sicuro non so se la frattura c’è o no perché nei raggi non si vede, ma questo può succedere se è piccola, quindi adesso devo stare col busto (autentico strumento di tortura) e tenermi osservata: se entro una settimana il dolore non diminuisce drasticamente e non recupero del tutto o quasi la mobilità, o se si verificano variazioni nel funzionamento dell’intestino, devo tornare al pronto soccorso e fare la TAC.

E veniamo all’antefatto, che in realtà sarebbe il fatto ma siccome sono partita dal post quello adesso è diventato ante.
Mercoledì pomeriggio. Mi sto lavando i capelli per poi fare la doccia e poi andare all’appuntamento dalla ginecologa; ho finito di insaponarli e mi chino sulla vasca per risciacquarli e in quel momento sento uno schianto nella regione lombo-sacrale, esattamente identico a quello di otto anni fa (clic, clic. La seconda volta invece, sedici mesi dopo, è stato con una caduta, clic, clic). Sono completamente paralizzata dal dolore, non posso muovermi di un millimetro, lì con la testa insaponata e schiantata da un dolore disumano. Dopo un tempo infinito comincio a riuscire a compiere qualche microscopico movimento e, aggrappandomi a stipiti e librerie, raggiungo la cucina e prendo un antidolorifico e un miorilassante, poi, in qualche modo, riesco a finire di lavarmi. La ragazza che mi fa le pulizie e che doveva venire proprio quel giorno, mi trova in mezzo al corridoio, mezza piegata, una mano sulla schiena e una aggrappata alla libreria. Vuole mandarmi a letto, le spiego che ho appuntamento dalla ginecologa, provo a contattare l’amica che ha la macchina ma in quel momento è impossibilitata a muoversi da casa e la ragazza dice vengo con lei. E appoggiata di peso al suo braccio, fermandomi ogni tanto, per il dolore e per il senso di svenimento, riesco ad arrivare, con 20 minuti di ritardo. Al momento di uscire dall’ambulatorio la ginecologa mi vede sbandare paurosamente e mi richiama indietro per misurarmi la pressione: 80/50 (poi la sera la rimisuro: 79/45). Nel frattempo, mentre ero dentro, lei ha ricontattato l’amica che adesso era libera ed è venuta a prenderci. Arrivata a casa ero sfinita e sono andata dritta a letto, e mentre dormivo ha pulito silenziosissima la casa e mi ha preparato un piatto di pasta e fatto il sugo, e una frittata di cipolle (e mi è toccato litigare per pagarle l’ora in più che si era fermata, che non voleva assolutamente).
Il giorno dopo, giovedì, avevo appuntamento dall’otorino e ho deciso di fermarmi poi al pronto soccorso. Stavolta l’amica era libera e mi ha accompagnata. Mentre stavamo per arrivare all’ospedale di colpo mi viene in mente che ho dimenticato a casa il kindle, e l’idea di dover passare almeno una mezza dozzina di ore al pronto soccorso senza quello era da suicidio, così le ho dato le chiavi ed è andata a casa a prendermelo, salvandomi praticamente la vita.

Aggiungo, giusto perché non pensiate che abbia passato tutti questi giorni a girare intorno al mio ombelico, qualche nota di cronaca.

Comincio con una inequivocabile documentazione di quanto gli uomini (tutti quattro miliardi e rotti, ma gli italiani ovviamente di più) siano sessisti e quanto facciano bene le femministe, nel giorno della loro festa, a sbertucciarli gridandogli sessisti sessisti

E di come, se ti chiami “Non una di meno”, le donne ebree giustamente non abbiano diritto né di presenza, né di menzione

E di come sia premurosa la polizia inglese che se esponi un cartello contro hamas ti arresta. Per il tuo bene, naturalmente, non sia mai che a qualcuno venga in mente di farti delle malegrazie.

Poi devo purtroppo riconoscere che l’amico Erasmo a quanto pare aveva ragione:

Fotogallery – Arrivato in Italia il terzo volo con civili provenienti da Gaza

D’altra parte come non capirli se scappano, con tutta la fame che c’è da quelle parti! Guardate per esempio questo video, girato questa mattina presto, prima dell’inizio del ramadan:

Concludo con un appello: vi aspettiamo. Così

e non così

Così non vogliamo vedere mai più nessuno (e stavolta, visto che il “mai più” è in mano a Tzahal e non alle cariatidi dell’ANPI e altre consimili feci suine, forse potrà essere davvero realizzato, anche se tutto il mondo rema contro. Certo, se si decidessero a fare un bel bombardamento a tappeto invece che mandare i loro ragazzi a perlustrare casa per casa per farsi impallinare o saltare in aria, sarebbe decisamente meglio).

barbara

COMINCIAMO A DARE I NUMERI

La truffa dei media sui numeri delle vittime nella guerra di Israele

Distorcendo le cifre e spacciandole come le peggiori mai viste, i mezzi di comunicazione calunniano la parte che cerca di combattere in modo etico e alimentano un’ondata di antisemitismo

Di Ira Straus

Quante volte bisognerebbe ripetere che i media stanno imbrogliando il mondo sulle vittime civili a Gaza? Risposta: decine di volte al giorno.
I media mentono ogni volta che affermano “Israele ha ucciso a Gaza il numero X di civili” (al momento circa 30.000). Ogni volta che lo fanno (decine di volte al giorno) andrebbero denunciati come impostori che stanno ingannando il mondo.
Quel numero X è un imbroglio per almeno cinque motivi:

1. Non è il numero dei civili uccisi: in realtà mette insieme i combattenti di Hamas e i non combattenti. Hamas sostiene che siano 6.000 i suoi combattenti uccisi. Israele stima che i combattenti (di Hamas, Jihad Islamica e altri) siano più di 12.000. Qualsiasi mezzo di informazione onesto riporterebbe queste cifre e farebbe la semplice sottrazione.

2. E’ un numero che mette insieme le persone uccise da Israele con quelle uccise dai razzi di Hamas e dell’alleata Jihad Islamica Palestinese che ricadono all’interno della striscia di Gaza. Si tratta di circa 2.000 e passa razzi (compreso quello caduto nel parcheggio dell’ospedale Al-Ahli che, secondo Hamas, avrebbe ucciso 500 persone, in realtà 10 volte meno). Qualsiasi media onesto calcolerebbe una stima del numero di vittime dei razzi di Hamas e sottrarrebbe anche questa cifra dal numero totale diffuso da Hamas.

3. E’ il numero diffuso da Hamas. I numeri stimati da Israele sono diversi. Benjamin Netanyahu – quando gli è stato concesso un momento per presentare i numeri a “Meet the Press” (sulla NBC) – ha parlato di 20.000 morti totali, di cui 8.000 civili e 12.000 combattenti. I media non riportano mai queste cifre.

Con telefonate, messaggi di testo, volantini le forze israeliane avvertono i civili di sgomberare da siti e aree dove si apprestano ad attaccare i terroristi, mettendo fra l’altro a rischio i propri stessi soldati: una pratica che non viene adottata praticamente da nessun altro esercito al mondo, conferma John Spencer del Modern War Institute di West Point

4. I media informano ogni giorno la gente che dobbiamo tutti essere scioccati dal presunto numero di morti civili a Gaza definendolo “indiscriminato” e “sconsiderato” (termini che lo stesso governo degli Stati Uniti ha iniziato a ripetere). L’hanno spesso definito, falsamente, il più grande numero di civili uccisi in qualsiasi guerra recente. Riescono a fare questa affermazione con espressione seria e convinta, nonostante il numero clamorosamente più elevato di morti civili in molte altre guerre come in Sudan, Congo, Siria, Yemen, Myanmar, Iraq…

5. I media non si prendono nemmeno la briga di menzionare quello che è il vero parametro per misurare le uccisioni “indiscriminate” in una guerra: vale a dire, un rapporto troppo alto tra morti non combattenti e morti combattenti. Ripetono il grossolano numero totale di Hamas senza calcolare nessun rapporto.

Quel rapporto si può stimare con un calcolo relativamente semplice: prima si stima il numero di civili uccisi dalle Forze di Difesa israeliane effettuando le sottrazioni dei suddetti punti 1 e 2 (sottrarre dal totale i morti combattenti e le persone uccise dalla stessa Hamas & co.); poi si divide il risultato per il numero dei morti combattenti.
Usando i dati forniti da  Hamas, il rapporto risulta 4:1 (4 civili per ogni combattente). Anche fosse vero, è un rapporto considerato normale per una guerra urbana combattuta da un esercito occidentale professionale. Ed è estremamente più basso – frutto di azioni molto più attente e tutt’altro che indiscriminate – della media globale (che comprende anche le guerre dove non sono implicati eserciti occidentali) che è di 10:1 cioè 10 civili per ogni combattente.
Se usiamo i dati forniti da Israele, il rapporto scende addirittura a 0,8:1 (meno di un civile per ogni combattente ucciso): un dato incredibilmente basso, così basso che confermerebbe Israele come eccezionalmente etico nella sua condotta di guerra. Cosa che potrebbe benissimo essere.
Ma nessun media obiettivo indaga seriamente le stime delle due parti né cerca di capire quale sarebbe una stima accurata. Anche in questo, i nostri media ci imbrogliano.
Si potrebbe presumere con ragionevole certezza che il rapporto effettivo morti civili/morti combattenti sia un valore intermedio, quindi probabilmente compreso tra 1:1 e 3:1. Un valore molto basso rispetto agli standard globali, e più basso anche degli standard professionali occidentali. Il che rende la condotta dell’esercito israeliano più etica e tutt’altro che indiscriminata rispetto a quella di altri eserciti occidentali, nientemeno.
Questa conclusione è ulteriormente rafforzata dalle circostanze particolari di questa guerra. Hamas cerca deliberatamente di far uccidere da Israele a Gaza il maggior numero possibile di civili. Ciò malgrado, Israele riesce eroicamente a mantenere bassi i numeri (eroicamente, perché farlo costa più morti e feriti di parte israeliana ndr).

Capo di Hamas Ismail Haniyeh a Doha (Qatar): “L’ho già detto e lo ripeto: il sangue delle donne, dei bambini e degli anziani, siamo noi che abbiamo bisogno di questo sangue” (clicca la foto per la notizia e il video MEMRI con sottotitoli in inglese). Hamas cerca deliberatamente di far uccidere da Israele a Gaza il maggior numero possibile di civili

È una forma eccezionale di guerra postmoderna, dove una parte cerca di far uccidere quanti più civili possibile di entrambe le parti, mentre l’altra parte cerca di prevenire quante più vittime civili possibili di entrambe le parti.
I media rispondono a questo fenomeno applicando un’etica capovolta: attribuiscono colpa grave e perseguibile per le morti alla parte che cerca di prevenire le morti, assolvendo di fatto la parte che cerca di provocarle.
Ecco perché i reportage quotidiani dei media sull’argomento – che distorcono le cifre e le definiscono le peggiori che si siano mai viste senza fare un minimo approfondimento giornalistico onesto – si trasformano in una forma autentica, seppure misconosciuta, di antisemitismo. E’ un comportamento che corrisponde chiaramente ai criteri della Definizione operativa internazionale di antisemitismo, ampiamente accettata anche se non ufficiale. Questa definizione riconosce che l’applicazione di gravi e sistematici doppi standard ai danni dello stato ebraico è una forma di antisemitismo.
I nostri media cascano quotidianamente in questa definizione in tre modi. In primo luogo, pretendono di fatto che Israele rispetti uno standard etico-militare radicalmente più elevato rispetto a chiunque altro, altrimenti viene condannato [“altrimenti” un corno: lo rispetta oltre ogni limite immaginabile e viene condannato lo stesso, ndb]. In secondo luogo, aggravano la cosa denigrando Israele come un male quasi unico nella storia per questa – presunta – incapacità di essere radicalmente migliore di chiunque altro. In terzo luogo, aggravano ulteriormente la cosa travisando prove e cifre in modo da dare l’impressione che Israele sia davvero radicalmente peggiore della norma: falsificano prove e cifre a tal punto che la gente accusa convintamente Israele di commettere un genocidio, e questa accusa diventa lo slogan corrente dalle università, ai social, alle piazze.
Questo antisemitismo è tutt’altro che irrilevante o trascurabile. È una forma di teoria demonizzante sugli ebrei e sul loro potere come fonte del Male. Non si tratta del solito antisemitismo da salotto inteso come snobismo sociale contro gli ebrei. Si tratta di una replica dell’antica Grande Menzogna sugli ebrei e ricalca le antiche “calunnie del sangue”.
I media si macchiano di questo antisemitismo estremo ogni giorno, molte volte al giorno. Lo fanno su quasi tutti i principali mezzi di comunicazione di massa dell’Occidente, che sono anche i principali mass-media mondiali.
Ecco perché l’antisemitismo continua a peggiorare. Ecco perché diventa sempre più “normale” nelle nostre principali istituzioni. Ecco perché viene sempre più legittimato. Ecco perché gli ebrei nei campus universitari, come in molti altri ambienti, si sentono sempre più spaventati e messi alle corde.
Ci sono miliardi di gonzi in tutto il mondo che si bevono la nuova Grande Menzogna. Come potrebbero non farlo? La malvagità degli ebrei viene inculcata loro quotidianamente da tutti i principali media che “riportano” tutti le stesse falsità come fossero “fatti”. Non hanno modo di capire meglio, a meno che non facciano parte di quella piccola minoranza che fa l’enorme sforzo mentale di sottoporre costantemente ad analisi critica ciò che dicono i media.
In queste circostanze, una pericolosa ondata di antisemitismo è semplicemente inevitabile. La stiamo vedendo arrivare sotto i nostri occhi.
Arginare questa ondata sarebbe relativamente facile, se tutti i media iniziassero a fare onestamente il loro lavoro sui numeri: con accuratezza e costanza. Quasi nessuno di loro lo sta facendo.
Far sì che i media operino in modo onesto: questa è l’impresa veramente difficile.
(Da: Times of Israel, 24.2.24, qui)

E giusto per non farci mancare niente, arriva adesso la “strage” di un centinaio di palestinesi massacrati dai perfidissimi giud israeliani.
Per chi non è sommerso dalla malafede e dalla cecità selettiva nei confronti della realtà, il video mostra chiaramente l’assalto dei palestinesi ai camion degli aiuti umanitari.

Assalto in fin dei conti comprensibile, sapendo che nel momento in cui i camion arrivano a destinazione tutto il contenuto sparisce nei tunnel di hamas e la popolazione non ne vede una briciola (Onu, dove sei? Commissione per i diritti umani, dove sei? Croce Rossa, dove sei? Medici senza frontiere, dove siete? Governi mondiali tanto sensibili ai crimini contro l’umanità da riuscire a vederli anche dove non ci sono, dove siete? Unicef, dove sei? Save the children (PER I BAMBINI), dove sei? – Maggiori dettagli qui e qui), sta di fatto che in quell’aggressione violenta molti sono finiti sotto le ruote e molti sono stati calpestati durante la fuga. Ignoro se alla guida dei camion ci fossero autisti israeliani o palestinesi, ma non credo che questo cambi di molto la sostanza degli eventi. Il NYT comunque non ha dubbi:

Many were killed and injured after Israeli forces opened fire near an aid convoy.
Poi, bontà sua, aggiunge:
Starkly different accounts of what happened were offered.
Ma naturalmente la prima frase espone un dato di fatto, la seconda informa che ci sono anche altre ipotesi.

Concludo con una storia, che vi faccio raccontare direttamente dal protagonista

barbara

TEMA: RACCONTA IL GIORNO PIÙ BELLO DELLA TUA VITA

TEMA: RACCONTA IL GIORNO PIÙ BELLO DELLA VITA DI QUELL’ALTRO

TEMA: QUALCUNO RACCONTI QUELLO CHE DOVEVA ESSERE IL GIORNO PIÙ BELLO DELLA SUA (DI LEI) VITA

Era un raggio di luce nel mondo, di buon cuore, gentile e amorevole. Il suo sorriso era qualcosa che si vedeva da lontano.

Ci sono voluti 11 giorni prima che venisse identificata e il messaggio arrivasse a casa sua. Sua madre aveva una richiesta di identificazione, ma l’uomo che ha consegnato il messaggio ha detto “Non c’è nulla da identificare” e ha aggiunto “Abbiamo un pezzo della sua spina dorsale e 3 denti.”
Questa è la storia di Karin. È andata all’evento Nova con i suoi amici e non si è tirata indietro anche se si stava riprendendo da una gamba rotta. Alle 08:42 Karin ha chiamato sua madre e ha detto: “Mamma, ci stanno sparando, sono spaventata a morte. Se mi succede qualcosa, ti amo. Ci stanno sparando addosso con fuoco vivo” e ha riattaccato.
Ma Karin non poteva correre. È arrivata all’ambulanza designata parcheggiata a Nova, doveva essere un posto sicuro, ma i terroristi ci hanno sparato un lanciarazzi non appena hanno scoperto persone all’interno. Sono stati tutti bruciati vivi.
137 giorni dopo quella mattina, un pacco arrivò a casa sua, all’interno, quello che era rimasto di un orologio in mano.
Questa è la storia di una vita e di sogni che sono stati interrotti. Una storia di male assoluto contro bene puro. Questa è la storia dell’angelo Karin che non è tornato dalla nova. Sta sorridendo in paradiso ora. Il suo spirito è con noi per sempre.
Noè Magid

Nel frattempo si verifica che in quella che è stata definita una prigione a cielo aperto si stanno trovando più armi, più munizioni, più esplosivi, più mortai e più missili che nella Russia di Putin. E più soldi che nel caveau della Banca d’Italia – soldi sottratti alle nostre tasche, non dimentichiamolo.

Nel frattempo i famosi civili innocenti che, per colpa di Israele o per colpa di hamas, a seconda dei punti di vista, vengono massacrati in una guerra da cui senza colpa vengono travolti, si distraggono un po’ dalla noia quotidiana e provvedono a riprendersi, per poter poi mostrare i video agli amici davanti al caminetto nelle lunghe sere invernali, e per poter dire un giorno ai figli: vedete, noi sì che ci sapevamo divertire, altro che voi coi vostri stupidi videogiochi!
E ora, da bravi, ripetete con me: sono civili innocenti, SONO CIVILI INNOCENTI, SONO CIVILI INNOCENTI.

Nel frattempo apprendiamo che il governo norvegese ha proibito alla famiglia reale di porgere le condoglianze a Israele per i massacro del 7 ottobre (una famiglia reale che si lascia ordinare e proibire…?!) A quanto pare Quisling è vivo e lotta insieme a loro.

Nel frattempo nei tunnel sono stati trovati scatoloni di farmaci portati dai parenti dei prigionieri deportati e mai consegnati.

Nel frattempo alla Mecca, durante la visita alla Kaaba una donna esibisce la bandiera palestinese e la polizia l’arresta.

E non è tutto: l’Arabia Saudita ha bloccato i trasferimenti di denaro ai territori dell’Autorità Palestinese (stiamo vedendo cose che voi umani…)

E poi c’è il film intitolato Il maschiaccio e la ragazzina. “Sharmuta”, per chi non lo sapesse, vuol dire puttana.

Nel frattempo godiamoci la visita di Milei al Kotel (aka haKotel hama’ariv aka muro occidentale aka muro del pianto)

barbara

QUANDO LE PAROLE UCCIDONO

Se questo è genocidio

L’uso a sproposito delle parole è un’altra forma di antisemitismo

Iuri Maria Prado

Usare a sproposito “genocidio” serve a giustificare il terrorismo di Hamas, le teorie complottiste contro Israele e a negare diritti alla popolazione ebraica

AP/Lapresse

Genocidio. Se fosse soltanto una questione nominalistica si potrebbe anche soprassedere. Se si trattasse solo di rimettere a posto l’uso di quella parola in ambito giuridico e disciplinare si potrebbe anche lasciar perdere. Ma non è una questione nominalistica, e l’uso improprio di quella parola fa ben altro, e ben peggio, che trascurarne la dovuta collocazione legale.
Se anche questo non fosse un segno preciso di quanto è grave l’affare, sarebbe stupefacente vedere come persone anche intelligenti, non prevenute nel giudizio in un senso o nell’altro, lascino intendere che dopotutto è una questione di formule verbali, quel che succede chiamalo come vuoi ma ci sono stragi e massacri che bisogna fermare e condannare.
La realtà è che quell’uso è pericolosamente improprio a prescindere dai criteri di legge che limitano e giustificano il richiamo della figura. È improprio, pericolosamente improprio, per fatto civile, storico, culturale. E politico.
Genocidio, infatti, per l’uso che si fa della parola, per l’intenzione di chi ne fa uso e, soprattutto, per la disavvertenza di chi non ne coglie l’improprietà, né i motivi che dovrebbero censurarla – facendo le viste che appunto si tratti solo di un nome magari innocuamente sbagliato, tutt’al più una irrilevante devianzioncella rispetto al formale tracciato della legge –, è questo: è il perfezionamento e completamento della cospirazione ebraica nel sopruso e nello sterminio. Questo è, in quell’uso violentemente improprio, questo è nelle intenzioni di chi vi ricorre e nella trascuratezza di chi lascia che vi si ricorra: è lo sprigionarsi sanguinario del maligno ebraico, lo sviluppo in armi della sopraffazione giudaica che ha messo radici in quella terra usurpata e da lì ha preso a coltivare le sue ambizioni di potenza sino alla programmazione e attuazione della soluzione finale.
Genocidio è la continuazione, con i tank imbandierati di stelle – le nuove svastiche –, dell’insinuazione ebraica nel sistema delle banche e finanziario. Genocidio è la prosecuzione, tramite l’apartheid coloniale imposto dai barbuti con Uzi e filatteri, del dominio giudaico a Hollywood e in Big Pharma.
Genocidio è “gli ebrei” che vogliono fare ai palestinesi le stesse cose che i nazisti hanno fatto agli ebrei, come dice una funzionaria dell’Onu dicendo esattamente così, non Israele, non il governo israeliano: ma “gli ebrei”.
Genocidio è l’intollerabile, e finalmente chiara a tutti, illegittimità della pretesa ebraica di impedire che abbia sfogo e trionfi il sacrosanto diritto di liberazione dal fiume al mare. Genocidio è l’insubordinazione degli ebrei al dovere di rimanere nel ghetto. Genocidio è la sopravvissuta al campo di sterminio che rifiuta di dichiararsi appartenente alla schiatta genocidiaria. Genocidio è l’ebreo genocida il cui genocidio non è venuto dal nulla. Genocida è il nome della cosa, l’ebreo. (Qui)

Aggiungerei ancora una cosa, che Prado ha appena sfiorato. Se gli ebrei (perché è così che funziona: si inizia il discorso con esercito israeliano, si prosegue con israeliani, si continua con sionisti e alla fine si approda immancabilmente a ebrei) sono un popolo genocida, non meriterebbe forse un premio Hitler (immach shemo) per averne eliminato una buona fetta, riducendo così il loro genocidio futuro? Non dovremmo considerarlo un benefattore dell’umanità?
E, in merito al titolo di questo post, quanti morti ha fatto finora, fuori di Israele, questa grottesca leggenda del genocidio?

Aggiungo una cosa che apparentemente non c’entra ma invece c’entra, e anche tanto. Tutti noi ci siamo, giustamente, indignati per il silenzio di Liliana Segre, ma se vergognoso è quel silenzio, che dire di Edith Bruck che ogni volta che Israele è sotto attacco non si lascia scappare l’occasione per schierarsi dalla parte dei carnefici e sputare veleno e menzogne su Israele? Ricordo una lettera a lei rivolta da Deborah Fait, parecchi anni fa quando, in occasione della risposta di Israele all’ennesimo micidiale attacco terroristico, aveva, anche allora, sposato acriticamente la narrativa del terrorismo palestinese e si era scagliata contro Israele.
Come già in altra occasione ho detto, avere sofferto non è un titolo di merito e non rende automaticamente intelligenti, né tanto meno fornisce un salvacondotto per sparare cazzate con annesso diritto a non essere criticati.

barbara

A 13 ANNI E MEZZO DI DISTANZA

Corsi e ricorsi storici.

14/02/2024

Mario Sechi: c’è un errore su Gaza, il cessate il fuoco

Il Parlamento italiano ha deciso che nella guerra tra Israele e Hamas è giunto il momento di un “cessate il fuoco”. La sintesi politica è questa: il Partito democratico ha presentato una mozione che è passata con il voto di Dem, Cinque Stelle e l’astensione del centrodestra. Il passaggio politico è stato siglato con un’intesa tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, preceduto dalle dichiarazioni da “colomba” del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Il premier e il segretario del Pd hanno messo il sigillo su una posizione (che dovrebbe basarsi su dei principi non negoziabili, immagino) che ha come centro di gravità la salvaguardia dei civili a Gaza e Rafah. L’iniziativa va inserita nello scenario di un pressing diplomatico, guidato dall’amministrazione Biden, sul governo israeliano e il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu. È una linea “onusiana” che tende automaticamente a rimuovere la strage del 7 ottobre (e non a caso l’Onu fatica a ricordarla nei documenti ufficiali, perché è l’elemento scatenante della guerra), mette le belve di Hamas tra parentesi e si avventura in pericolose teorie sul “genocidio” dei palestinesi, una tesi vergognosa sul piano storico e del diritto. A questo punto, bisogna chiedersi se sia davvero questa la via per “vincere la pace”, perché la storia è una foresta di pugnali, di nobili intenzioni che poi si rivelano tragici errori. E temo che il governo, la maggioranza, non abbiano pensato alle inattese conseguenze di una scelta che apre la porta come minimo del “giustificazionismo” ai nemici di Israele.
Il rischio è quello di una nuova sindrome di Monaco. Cercare un “accomodamento” con il nemico, l’Idra dalle molte teste che sibila morte all’Occidente. Con un nemico letale, che in maniera esplicita programma e attua il genocidio del popolo ebraico (questo è successo il 7 ottobre), non ci sono possibilità di negoziato, Hamas deve essere eliminato. Questo è lo scopo della guerra.
Voltarsi indietro aiuta a capire. Non c’è peggior errore di una guerra non finita. O conclusa (male) con le premesse per innescarne un’altra ancora più grande.
Non andrò indietro fino alle lezioni della rivalità tra Atene e Sparta, il Novecento e questi primi vent’anni del Duemila sono un memento. Un libro di ricordi prezioso e inquietante. La storia è un pendolo di conflitti irrisolti: negli anni Novanta George Herbert Walker Bush non finì la guerra in Iraq contro Saddam (1990-1991), il conto con Baghdad rimase in sospeso e George Walker Bush (il figlio) dopo l’attacco alle Torri Gemelle (2001) invase l’Afghanistan (2001) tentando di porre le basi per un avamposto dell’Occidente in Medio Oriente con l’invasione dell’Iraq (2003). È una storia che arriva fino a oggi, con la tragica decisione di Joe Biden di ritirarsi dall’Afghanistan (2021, una ritirata che ha incoraggiato la Russia e la Cina), fino alla richiesta di questi giorni del governo iracheno di far partire le ultime truppe americane rimaste. E poi? Il vuoto, l’incognita dell’Iran che muove i fili delle milizie sciite in Iraq e muove i fili contro Israele. Ieri e oggi, un altro capitolo del romanzo su cui gli Stati Uniti non hanno messo il punto. A Washington furono colti di sorpresa dalla rivoluzione khomeinista (1978-1979), Jimmy Carter rovinò la presidenza con la crisi degli ostaggi (1979-1981), gli Stati Uniti provarono a piegare Teheran con le sanzioni, mentre Ronald Reagan era impegnato a far cadere il Muro di Berlino (1989) e domare l’Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione (1991). Risultato, l’Iran oggi è l’officina di tutte le guerre: produce droni per la Russia nella guerra in Ucraina, muove Hezbollah, protegge Hamas, supporta i guerriglieri dello Yemen, alimenta la crisi del Mar Rosso.
Il bersaglio siamo noi. La storia è maestra inascoltata, le guerre vanno combattute fino in fondo. La Prima guerra mondiale fu il detonatore della Seconda, ne vide il bagliore in lontananza John Maynard Keynes che con profetica lucidità spiegò ne Le conseguenze economiche della pace perché la Germania avrebbe ricostruito e mosso di nuovo il suo esercito contro i vincitori dell’epoca. E fu lo sterminio, fu la Shoah, fu una guerra che non ha più testimoni in grado di risvegliare le coscienze. Stiamo scivolando al “se questo è un uomo” pensando che sia fiction e altro da noi. E non è “colpa degli ebrei”, frase che schiude la pianta carnivora dell’antisemitismo. È colpa nostra, perché non abbiamo chiuso bene le guerre, come avevano fatto Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Josif Stalin. Berlino non cadde con il negoziato, ma con la guerra degli Alleati. Il Giappone fu piegato dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. I conflitti sono orribili, in un mondo che si è illuso di poter cancellare il sacrificio e la morte, è tornato il Novecento di ferro e fuoco. E non sarà un voto in un Parlamento che cerca una pace in guanti bianchi a cancellare la realtà.

Mario Sechi, Direttore di Libero, capo ufficio stampa del Governo

20/08/2010

Qualche riflessione sugli ennesimi “colloqui di pace”

Dato che si sa ma nessuno osa dirlo, qualcuno dovrà pure decidersi a farlo…

La settimana prossima si riuniranno negli USA israeliani e palestinesi, finalmente di nuovo gli uni di fronte agli altri. Ma con quali speranze? Di mettere fine a un conflitto che dura da un secolo? Certamente no. L’unico obiettivo immediato che si può ravvisare è quello che sta a cuore al presidente americano: porre un freno al suo drammatico calo di consensi. Nell’impossibilità di modificare in fretta i parametri dell’economia, nell’incapacità di trovare una onorevole via di uscita ai conflitti che vedono schierati tanti soldati americani, Obama sembra aver pensato che una correzione (reale? duratura?) del suo atteggiamento verso Israele e verso il conflitto che l’oppone ai palestinesi sia l’unica speranza per salvare le oramai vicine elezioni di midterm.
Abu Mazen sa bene di non avere alcun margine di trattativa di fronte alle offerte molto generose a suo tempo rifiutate da Arafat. Potrebbe egli accettare quanto Arafat ha rifiutato? Ed è immaginabile che un qualsiasi leader israeliano possa oggi offrire ancora di più?
Anche a causa di questa realtà non è mai stato possibile trovare una base da cui partire per la riapertura dei colloqui diretti. Ma esaminiamo meglio i termini della questione.
Innanzitutto guardiamo ai negoziatori palestinesi: Abu Mazen non ha titolo alcuno per firmare alcunché, dato che i termini della sua presidenza sono scaduti da lungo tempo; inoltre la sua leadership è contestata da larga parte della sua gente e, soprattutto, non ha mai goduto dell’autorità e del prestigio indispensabili per poter condurre qualsivoglia trattativa. E il suo primo ministro, pur abile nella gestione del governo, non gode di alcuna popolarità tra i palestinesi. Qualunque documento da loro sottoscritto sarebbe contestato dai capi arabi. Se si pensa al rifiuto opposto dalla Lega araba agli accordi firmati dal Presidente Sadat, lui sì titolato a firmare quegli accordi, è difficile immaginare che un trattamento migliore potrebbe essere riservato ad un Abu Mazen che eventualmente firmasse un accordo di pace. Vale inoltre la pena di ricordare che anche l’Onu approvò ben due risoluzioni di condanna, il 6 e il 12 dicembre 1979, contro l’Egitto che aveva concluso con Israele una pace separata – cosa, allora come oggi, inevitabile dal momento che la quasi totalità degli stati belligeranti continuano a rifiutare qualunque ipotesi di negoziato e di accordo con Israele – e, addirittura, dichiarò nullo tale accordo (qui e qui i testi delle due risoluzioni). Nel 1994 anche la Giordania concluse una pace separata con Israele, e se non vi furono conseguenze negative, viene da pensare con un pizzico (forse) di cinismo, fu solo perché a togliere di mezzo re Hussein arrivò prima il cancro. Ricordiamo, per inciso, che nel frattempo, nell’ambito degli accordi di Oslo, era nata l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, teoricamente svincolata dall’obbligo statutario dell’OLP di perseguire la distruzione di Israele (qui la Costituzione di al-Fatah, sua principale componente), in realtà, in quanto emanazione dell’OLP, legata agli stessi vincoli.
Alle considerazioni di carattere politico va poi aggiunto il fatto che l’islam vieta ai musulmani di stipulare veri e propri accordi di pace con i non musulmani (Dal Corano 5:51: “O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti” e 5:57: “O voi che credete, non sceglietevi alleati tra quelli ai quali fu data la Scrittura prima di voi, quelli che volgono in gioco e derisione la vostra religione e [neppure] tra i miscredenti. Temete Allah se siete credenti.” “La fine dei giorni sopraggiungerà solo quando  i musulmani uccideranno tutti gli ebrei. Verrà l’ora in cui il musulmano muoverà guerra all’ebreo e lo ucciderà, e finché vi sarà un ebreo nascosto dietro una roccia o un albero, la roccia e l’albero diranno: musulmano, servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo” (Muslim, 2921; al-Bukhaari, 2926). E, sempre per al-Bukhaari: “per Allah, e se Allah vuole, se faccio un giuramento e successivamente trovo qualcosa migliore di quello, allora faccio ciò che è meglio e faccio ammenda per il giuramento.”), divieto che, soprattutto in questi tempi, difficilmente i dirigenti palestinesi potranno permettersi di trasgredire.
In queste ultime settimane ci sono state dure discussioni sull’opportunità di aprire le trattative con o senza precondizioni, ma gli americani sembrano non preoccuparsi di questi aspetti fondamentali, tutti tesi come sono a raggiungere il loro obiettivo, cioè superare le elezioni, e non certo preoccupati di raggiungere un accordo che anche loro sanno impossibile. Se Netanyahu riprendesse, alla scadenza dei 10 mesi di interruzione, le costruzioni sospese nei territori di Giudea e Samaria (e tralasciamo, in questo contesto, di occuparci di quelle di Gerusalemme, problema ancor più complesso e intricato), i palestinesi, hanno preavvertito, interromperebbero subito i negoziati. Ci si dovrebbe a questo punto domandare perché abbiano aspettato tanto a lungo prima di acconsentire a sedere allo stesso tavolo degli israeliani: la sospensione non era stata concessa proprio in risposta alle richieste palestinesi, come condizione preliminare per iniziare una trattativa? Di chi dunque la responsabilità se durante questi dieci mesi di sospensione le trattative non sono iniziate? Concediamoci tuttavia una botta di ottimismo e immaginiamo che i palestinesi non interrompano immediatamente le trattative e che queste partano regolarmente. Immaginiamo, giusto come ipotesi, che Netanyahu, ufficialmente o ufficiosamente, tenga ancora bloccate le nuove costruzioni. E immaginiamo anche che si arrivino a delimitare i territori che gli arabi, sconfitti nelle varie guerre che si sono succedute dal ‘48 in avanti, concederanno agli israeliani vincitori di quelle guerre (e già questo è un ben anomalo modo di procedere, quando da che mondo è mondo sono sempre state le potenze vincitrici a imporre le proprie condizioni). Ed infine immaginiamo ancora che Netanyahu non pretenda l’accettazione da parte palestinese di uno Stato di Israele che si definisca “stato ebraico” (cosa che Abu Mazen non potrebbe mai accettare, in quanto per l’islam qualunque terra che sia stata in passato islamica, fosse anche per un solo giorno, dovrà restare islamica per sempre).
A questo punto, se anche si fossero risolti gli altri problemi, ci si scontrerebbe sul problema dei profughi che il mondo, e l’ONU per prima, sta ignominiosamente tenendo aperto da 62 anni, concedendo quanto non ha permesso altrove, e quanto nessuna logica può giustificare. Quella stessa ONU ha avallato il trasferimento, nei medesimi anni del dopoguerra, di oltre 10 milioni di profughi tedeschi (non necessariamente colpevoli per i crimini del nazismo), di milioni di induisti cacciati dal Pakistan e di altri milioni di musulmani cacciati dall’India, e via via, seguendo la stessa logica, nelle varie aree di conflitto fino ai più recenti trasferimenti di popolazioni greche dalla Cipro occupata militarmente dalla Turchia, e delle varie etnie all’interno della ex Yugoslavia; tutti trasferimenti dettati dalla corretta logica di cercare, nelle varie nazioni, una omogeneità etnica e religiosa necessaria per creare condizioni di stabilità (qui un ricco e documentato articolo di Ben Dror Yemini sul tema). Israele non potrà mai accogliere quei milioni di uomini, donne e bambini che nessuno stato arabo vuole, che non sono mai vissuti in quelle terre, e che non potranno mai integrarsi nella civiltà israeliana anche a causa degli insegnamenti che, da sempre, sono stati loro impartiti dagli arabi e dagli occidentali (questi ultimi, non dimentichiamolo, per via degli enormi interessi in gioco). Se addirittura si applicassero le proposte fatte nel 2004 dall’allora segretario dell’ONU Kofi Annan per risolvere il problema dei profughi ciprioti, Israele, lungi dal doverne accettare di nuovi, dovrebbe espellere molti musulmani residenti nello Stato. Non vi è oggi spazio per trovare una soluzione a questo problema, dato il modo in cui è stato, fin dall’inizio, impostato e gestito, così come non ha potuto trovarlo il negoziatore Mitchell.
E poi rimane ancora il problema di Gerusalemme, per la quale gli arabi rifiutano perfino di ammettere i legami storici che gli ebrei hanno con la città, atteggiamento che toglie ogni spazio residuo alla possibilità di una trattativa.
Qual è allora la strada da perseguire? È triste dirlo, ma non è l’apertura di questi negoziati.
Uno dei mantra più gettonati fra le anime belle, da decenni ormai, è che “le guerre non hanno mai risolto niente”. Ebbene, chi lo afferma o ignora la storia, o mente in malafede, perché un semplice sguardo a tutta la storia passata permette di constatare che, al contrario, spesso le guerre hanno risolto i problemi per i quali erano state scatenate, fossero essi di natura religiosa, o politica, o territoriale o di qualunque altro genere. Non si vuole certo, con questo, affermare che la guerra sia bella, o buona, o giusta – e meno che mai santa – ma solo fare un po’ di chiarezza: che le guerre non risolvano i problemi è falso. Le guerre possono risolvere, e spesso di fatto risolvono, i problemi (e magari capita anche che, dopo una pesante sconfitta, riescano ad aprire la porta alla democrazia, vedi Germania, vedi Italia, vedi Giappone). A condizione che vengano lasciate combattere. A condizione che fra i contendenti non si intromettano entità estranee e interessi estranei. A condizione che alle guerre venga consentito di giungere alla loro naturale conclusione: la vittoria del più forte. Ed è questo che non è MAI stato fatto nelle guerre combattute da Israele: ogni volta che Israele, aggredito allo scopo di annientarlo, stava per prendere il sopravvento, ogni volta che Israele stava per avere ragione degli eserciti nemici o delle organizzazioni terroristiche, ogni volta che Israele è stato in procinto di concludere finalmente, in modo definitivo, questa che si avvia ormai a diventare una delle guerre più lunghe della storia dell’umanità, l’intero consesso internazionale si è massicciamente mobilitato per impedire che ciò avvenisse. Ed è per questo che, per fare un solo esempio, quando l’Onu e il mondo intero hanno imposto a Israele di interrompere la guerra del 1967 prima di giungere a una vera, definitiva sconfitta dei suoi nemici, tutti gli stati arabi si sono potuti permettere di respingere in blocco tutte le richieste contenute nella risoluzione 242 (no al riconoscimento, no al negoziato, no alla pace) e continuare lo stato di belligeranza. Qualcuno immagina forse che si sarebbe potuto fermare Hitler con qualche bel discorso? O lanciando palloncini colorati? O con qualche pressione internazionale? O magari con la “politica della mano tesa” e generose concessioni? Qualcuno si è illuso di poterlo fare, e si è puntualmente realizzata la profezia lanciata già nel 1938 da Churchill: “Potevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore. Avrete la guerra“. E le parole di Churchill rimangono sempre di scottante attualità: negoziare con chi ti vuole distruggere senza averlo prima sconfitto non porterà non solo l’onore, ma neanche la pace.
Discorso cinico? No, semplicemente realistico. Che spiacerà soprattutto agli israeliani, talmente desiderosi di pace da essere disposti, in nome di essa, quasi a tutto, ma sessant’anni di guerra preceduti da quasi trent’anni di terrorismo sono lì a dimostrare che ogni altra via è destinata al fallimento. E di un altro mantra occorrerà sbarazzarsi al più presto: quello della “proporzione”. Quando ci si avventura in una contesa, sia essa una guerra di offesa, una guerra di difesa, un incontro di calcio o una partita a briscola, non lo si fa per essere proporzionati: si fa per vincere. Altrimenti la contesa continuerà all’infinito in una situazione di sostanziale stallo, con un interminabile stillicidio di morti, da una parte come dall’altra. Perché non solo in medicina, ma anche in politica e in guerra il medico pietoso fa la piaga purulenta: ricordarlo farebbe un gran bene a tutti. E soprattutto alla pace.

Barbara Mella, Emanuel Segre Amar

Ma il mondo non vuole capire, e i presidenti dem coi consensi in calo a causa dei disastri che hanno combinato devono vincere le elezioni, e l’Onu ha la sua agenda nella quale la sopravvivenza di Israele non trova spazio, e gli emissari di hamas sono in mezzo a noi e non fanno passare giorno senza farci sentire il loro fetido fiato sul collo – fiato che in troppi respirano assorbendo tutto il suo veleno – e la corsa a un micidiale cessate il fuoco che significa ecatombe di ebrei e fine di Israele si fa sempre più frenetica.

Dal 1948 Israele si è sempre lasciato fermare quando stava per vincere, e ogni volta ciò ha regalato a coloro che vivono all’unico scopo di portare a termine la soluzione finale la possibilità di riprendere subito la lotta, con la conseguenza di morte e distruzione da entrambe le parti. Auguriamoci tutti, noi amanti della pace – quella vera – che stavolta Israele riesca a non farsi fermare e a poter mettere finalmente il sigillo definitivo al proprio diritto a esistere.

barbara