IERI È STATO YOM HAZICHARON

il giorno del ricordo dei soldati caduti per difendere Israele. Come Jonathan Elazari

Negli ultimi sette mesi il numero è aumentato in maniera spaventosa; vale tuttavia la pena di ricordare che

E se è triste vedere tanto odio scatenato contro Israele, è però di notevole conforto sapere che sono solo antisionisti, non certo volgari antisemiti.

Così come siamo sicuri è che è solo per distrazione, non certo per cattiveria o, diocenescampieliberi, malafede che l’UNRWA è stata beccata a rubare e vendere gli aiuti umanitari.
Concediamoci ancora qualche secondo per riflettere su una domanda retorica,

e poi filate tutti di corsa a leggere o, per gli amici di più vecchia data, rileggere qui (anche i commenti. E guai a voi se vi azzardate a non guardare il power point).

Forza Israele, resisti e distruggi tutti i tuoi nemici (e sbrigati a finire, che quando arrivo preferirei evitare di beccarmi un missile in testa).

barbara

UN PO’ DI ROBA CHE SUI MEDIA PASSA POCO

La miseria la fame la carestia l’emergenza umanitaria

Quelle centinaia di migliaia di studenti o sedicenti tali che in tutto il mondo manifestano a tempo pieno come mai prima si erano visti manifestare, per nessuna causa, e urlano apertamente, molto più che l’amore per la Palestina, l’odio per Israele, l’ebbra felicità per il massacro del 7 ottobre, la volontà di distruggere Israele e sterminare tutti gli ebrei: vi siete chiesti perché? Beh, sicuramente ricorderete il suggerimento di Giovanni Falcone per trovare il bandolo degli inghippi: ecco, la strada è quella. Non che non l’avessimo capito, ma adesso abbiamo anche le cifre.

E poi ci sono gli altri, da cui loro sono diversi. Molto diversi

Leggo poi su Repubblica:

I giovani che lottano per Gaza e il disagio degli universitari ebrei: le due facce della Columbia


Due domande: non è un tantino riduttivo parlare di “disagio” per dei ragazzi costretti a seguire le lezioni online perché se escono dalle loro stanze vengono pestati? Non è un tantino riduttivo parlare di disagio per dei docenti a cui viene materialmente impedito di fare lezione, anzi, di accedere all’università? Ma soprattutto: “lottano” in che senso? Ecco, qui possiamo averne un’idea – tenendo presente che questo video è di 5 mesi fa, ancora lontani dal raggiungere l’acme

Mi piace concludere con queste immagini dello scorso dicembre in cui un parlamentare turco proclama che Israele non riuscirà a sfuggire alla collera di Allah, e appena pronunciata l’ultima parola crolla a terra colpito da infarto

barbara

OMAGGIO ALLA SIGNORA IOTTI LEONILDE DETTA NILDE

(con due giorni di ritardo, causa altre urgenze di cronaca e problemi di salute)

salita ai vertici dell’arena politica grazie all’arte di fare certi servizietti da resuscitare un morto (altro che Mara Carfagna: come minimo come Kamala Harris) nel 104° anniversario della nascita.

Giancarlo Lehner

Per i cento anni del Pci e l’antisemitismo rosso.

Palmiro e Nilde non furono grati ai coniugi Slánský, i due ebrei cecoslovacchi, che li accolsero nella loro dacia appena fuori Praga, allo sbocciare dell’amore in fuga dall’occhiuto bigottismo del Pci. Rudolf e Josefa Slansky, anfitrioni affettuosissimi, cedettero addirittura il letto matrimoniale, dormendo sul divano, pur di regalare un’alcova degna di tanta passione al drudo Palmiro.
Galeotto fu Rudolf Slánský, dunque, che era, peraltro, non un comunistello qualsiasi, bensì il segretario generale del Pcc. Purtroppo, Stalin, che, onorando il patto Ribbentrop-Molotov (1939) aveva già fatto omaggio ad Hitler di centinaia di ebrei sovietici, destinandoli al massacro, nel 1950-1951 decise che bisognava ripulire del tutto i partiti comunisti dai portatori insani di sionismo.
I giudici compagni, fautori e maestri del processo breve, in un solo anno, accusarono, processarono e fecero eseguire le condanne a morte.
Togliatti festeggiò le esecuzioni.
Resta agli atti della Historia il difensore di Rudolf – legale che piacerebbe assai ai forcaioli d’Italia -, visto che si appellò alla corte, chiedendo, tout court, la condanna a morte del suo cliente.
Su quattordici dirigenti del Pcc, finiti nel tritacarne delle toghe rosse, ben undici furono ritenuti efferati israeliti, ergo nazionalisti borghesi, cioè sionisti, legati all’American Jewish joint distribution committee, nonché alla Massoneria. Insomma, a riprova della contiguità fra nazismo e comunismo, venne riproposto in versione rossa il delirio del complotto plutogiudaicomassonico.
Il cadavere di Rudolf fu cremato e le sue ceneri, ultimo sfregio, furono sparse nel fango. La vedova, sospetta sionista, venne reclusa per anni insieme ai figli, un maschio e una femminuccia, anch’essi col dna giudaico, ergo colpevole. Patirono fame e gelo, tanto che Josefa, attraverso un carceriere umano, fece giungere all’esterno un bigliettino rivolto all’amica-sorella, Nilde Iotti.
La lettera fu regolarmente spedita da Praga e recapitata a Roma. In essa non si chiedeva un impossibile sostegno di tipo garantista, ma soltanto un pacco con sciarpette, calzini, magliette, cuffiette per i due piccini.
La Iotti non spedì niente.
Josefa si stupì di tanta ingratitudine, eppure, per affetto, s’inventò delle giustificazioni, illudendosi sulla forza imperitura dell’amicizia. Nella stagione della primavera di Praga scrisse di nuovo alla donna che aveva spesso ospitato. C’era Dubcek e il “comunismo dal volto umano”, eppure Nilde rimase impassibile.
Non rispose e non si compromise con l’ebrea deviazionista.
I carri armati del 1968 diedero ragione alla nostra stalinista.
Quando, nel 1990, andai a Praga, per incontrare Josefa, trovai una donna straordinaria, stremata dalla sofferenza e dalla povertà, più rughe che carne, eppure capace di gioire perché il figlio, sopravvissuto alla polmonite, era diventato ambasciatore cecoslovacco, nientemeno che… a Mosca. E la bimba, scampata all’inedia e ai brividi, adesso era un’affermata dottoressa.
Ringraziava il Creatore, continuando a illudersi che la Iotti non fosse un’ingrata. Le scrisse ancora un paio di volte.
Non ebbe mai risposta.

Degna compagna del compagno migliore, prostituto lui e baldracca, nell’anima ancor più che nel corpo, lei. Possano i loro nomi essere maledetti in eterno.

barbara

E POI

E poi in Svizzera

E poi a Parigi

E poi in California

E poi sempre in California
E oltre a quanto scritto nel commento all’articolo citato, c’è da dire che da anni gli studenti ebrei nei campus statunitensi sono sempre più bullizzati, ostracizzati, minacciati. Ora si sta avendo un picco, ma la loro persecuzione non è nata il 7 ottobre, esattamente come la Shoah non è nata il 20 gennaio del ’42.

E poi c’è tutto il resto.

Signori dei mass media: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori dell’Onu: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori della Croce Rossa: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori di Amnesty International: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori di Medici senza frontiere: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori dell’Unicef: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori di Save the Children: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signori governanti europei: voi non avete niente a che fare con tutto questo?
Signor Biden (e tutta la cricca che ne tira i fili): lei non ha niente a che fare con tutto questo?

C’è poi questo articolo di Ugo Volli relativo a un tema trattato nei commenti al post precedente, ossia la questione della comunicazione. Volli propone molte spiegazioni, tutte assolutamente valide, ma manca LA spiegazione, che è in realtà molto semplice: quando mi si mette davanti una foto, io mi accorgo immediatamente se ci sono due ombre che vanno in direzioni diverse, e che quindi quella non è una foto bensì un fotomontaggio e che il fatto che la foto mostra non è mai avvenuto: perché i responsabili dei mass media fingono di non accorgersene? Se vedo questa foto

mi appare del tutto evidente che è stata tagliata, salta proprio agli occhi, e infatti la scena reale è questa:

perché i responsabili dei mass media prendono per buona la prima e pubblicano quella senza porsi domande? E che dire dell’arte delle moltiplicazioni che quella dei pani e dei pesci al confronto diventa roba da dilettanti? Che dire delle deprecazioni ripetute ogni volta di fronte alla stessa immagine? Tutti senza memoria? Adesso è diventata virale la foto di questo ragazzo fortemente iponutrito, del quale però non viene raccontata la causa, gettandone la responsabilità su “Israele che affama Gaza”. Oppure queste immagini, la cui assurdità dovrebbe saltare agli occhi e invece no, vengono sciorinate come “prove” dei “crimini” di Israele.
Verissimo che le disponibilità palestinesi, economiche e di personale, oltre alla propensione all’imbroglio e alla fabbricazione di notizie false, sono infinitamente superiori a quelle israeliane, ma le notizie vere ci sono, escono, sono disponibili; il punto è che i titolari dell’informazione preferiscono le altre. Ricordate il video che ho mostrato tempo fa di Carmen Lasorella che negava pervicacemente  l’esistenza di prove delle decapitazioni e tutto il resto? E l’ambasciatore e Paolo Mieli a ripetere ci sono i video, deve solo guardarli, e lei imperterrita: “No, non esistono prove, non c’è alcuna prova”, guardandosi bene dall’andare a guardare i video che le avrebbero irrefutabilmente dimostrato che quei fatti sono avvenuti. Se ho deciso che il mio dio è più bello del tuo, è inutile che mi portiate davanti tutte le prove di questo mondo: non accetterò mai di guardarle perché “la verità la conosco già”. E quindi no, la causa delle informazioni distorte, parziali, manipolate o addirittura capovolte che arrivano dai nostri massa media non sta nella maggiore abilità palestinese, qui non si tratta di un “votate per me perché le mie promesse sono più belle di quelle di Gianfederico” e loro si lasciano convincere a votarmi perché sono più brava a parlare del mio avversario, qui si tratta di una precisa scelta aprioristica: ho di fronte le affermazioni – spesso illogiche, incoerenti, contraddittorie, assurde (cade il missile e tre secondi dopo ho il numero esatto di morti, magari anche già suddiviso in donne vecchi bambini) – di una parte e le informazioni documentate dell’altra, e scelgo di accogliere e rendere note le prime, scegliendo, oltretutto, accuratamente il lessico per renderle ancora più criminalizzanti nei confronti della controparte. Quanto a quelli che scendono in piazza, loro le notizie non le ascoltano proprio, né da una parte né dall’altra, lo abbiamo visto in diversi video che ho pubblicato, non sanno neppure di che cosa parlano e non sono minimamente interessati a saperlo: l’unica cosa che sanno e che gli interessa è che ci sono di mezzo gli ebrei, e quindi stanno dall’altra parte, tutto qui.

Per avere poi la misura dell’entità delle menzogne che vengono diffuse, basti pensare a quello che è ormai diventato un mantra, ossia che quella che sta perpetrando Israele è la più grande strage di musulmani mai vista:

E infine vi faccio spiegare da questo signore, che lo sa fare molto meglio di me, tutto quello che abbiamo capito in questi cinque mesi da quel fatidico 7 ottobre.

Odio sistemico. La pretesa futile che le democrazie occidentali sappiano difendersi dall’antisemitismo

Iuri Maria Prado

Antisemitismo: ricapitoliamo? Premesso che l’antisemitismo è bbrutto bbrutto bbrutto, specie alla luce della Costituzione antifascista della Repubblica democratica fondata sulla Resistenza antifascista, sul reddito da 25 aprile e sul vitalizio da Bella Ciao, sull’Anpi, sull’Atac, sulla pace, su Sanremo, sulle leggi democratiche contro l’odio e contro il ritiro dei ghiacciai, sulla magistratura democratica, sul sindacato democratico, sulla Rai democratica, sulla Prima della Scala democratica, sul cinema democratico, sul teatro democratico, sui fumetti democratici, sul giornalismo democratico e sui comitati di redazione democratici, sulla scuola democratica, sull’università democratica, sui vigili urbani democratici, sui forestali democratici e sul taglio democratico delle ciocche democratiche dei capelli democratici, ecco, premesso tutto questo, ma dove sta l’antisemitismo?
Abbiamo capito che non sta nel 7 ottobre, che non viene dal nulla, come ha spiegato il Senhor Guterres e come ha raddoppiato la sua consulente, l’avvocata farlocca dei diritti umani – sì sì, quella lì, quella che gli Stati Uniti sono soggiogati dalla lobby giudaica – che l’altro giorno gliel’ha spiegato da par suo al sionista, a Emmanuel Macron, che il 7 ottobre non ne hanno sgozzati milleduecento e rapiti qualche centinaio perché sono antisemiti. Macché lo hanno fatto perché Israele è genocida.
Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nei proclami dei terroristi secondo cui bisogna rifarlo, il 7 ottobre, dal fiume al mare, e ammazzare gli ebrei ovunque si trovino: è resistenza. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta negli aeroporti e negli alberghi in cui si esercita la caccia all’ebreo: è protesta.
Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nel corteo capeggiato dalla stronza che grida «Fuori i sionisti da Roma»: so’ ragazzi. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nell’assalto alle fiere che ospitano gli stand degli usurai: è critica anticapitalista. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nel bastardo che in un liceo romano invita gli studenti a mettersi nei panni del compagno israelita, affinché provino ad assumere il suo punto di vista di appartenente alla schiatta genocidiaria: è educazione pluralista. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nel malvissuto stalinista secondo cui “Israele ha perso il diritto a essere Stato, se mai lo ha avuto”: è geopolitica coi controcazzi.
Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nelle stelle disegnate sulle case degli ebrei, nelle sassate ai bambini con la kippah, nelle bastonate ai rabbini, nelle squadracce pacifiste adunate davanti ai negozi e ai ristoranti degli ebrei: è confronto sociale. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta, da Londra a Parigi a Berlino a New York a Madrid, nello strappo dei volantini con le immagini degli ostaggi: è tutela del decoro urbano.
Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta, qui da noi, nella Repubblica democratica fondata sulla Costituzione antifascista fondata sulla Resistenza eccetera, non sta nella rimozione e deposizione nella monnezza dei volantini con le immagini degli ostaggi: è par condicio, dice Amnesty Italia, perché se fossero stati ostaggi valdostani, o liguri, o del Principato di Monaco, o di Berna, o maltesi, o di San Marino, e pure di Frascati o di Abbiategrasso, cari i miei critici, avremmo fatto lo stesso nonostante le proteste dei discendenti delle vittime del genocidio dei valdostani, dei liguri e dei sudditi del Principato di Monaco, nonostante il disappunto dei bernesi, dei maltesi e dei sanmarinesi sopravvissuti ai campi di concentramento e nonostante la rabbia dei superstiti dei pogrom inflitti alla razza frascatese o ai fedeli della religione abbiategrassina.
Schiena dritta, perdio: non sono forse tutti uguali, gli ostaggi? Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nel boicottaggio delle imprese esercitate dagli ebrei: è che fanno concorrenza sleale alle produzioni democratiche yemenite e nordcoreane. Poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nel boicottaggio delle istituzioni scolastiche ebraiche: è che l’alfabeto è diverso. Ah, poi dimenticavamo che poi abbiamo capito che l’antisemitismo non sta nelle rettoresse democratiche secondo cui mica puoi farla semplice nel giudicare l’inno al genocidio degli ebrei, perché dipende dal contesto, e il giorno dopo il pacifista dell’Italia pacifista a spiegare che guarda un po’ cosa ti combina l’Entità Sionista, che vuole cacciare quelle coraggiose donne di pace.
Quindi, no: niente antisemitismo in tutta quella roba. Ma allora ’ndo sta questo antisemitismo? Non c’è, perché se poco poco fa capolino, la Repubblica democratica eccetera eccetera je mena forte. (Qui)
(Amo quest’uomo)

Inutile cercare spiegazioni complesse, magari trascendentali, la spiegazione a quanto sta accadendo è una sola: ANTISEMITISMO. Perché Hitler ce l’ha insegnato: l’unico ebreo buono è l’ebreo morto, e se è un ebreo sionista non è buono neanche da morto e dopo morto va squartato decapitato smembrato bruciato e poi portato in corteo per essere sputato, che si divertano un po’ anche i poveri civili rimasti a casa.

barbara

QUANDO LE PAROLE UCCIDONO

Se questo è genocidio

L’uso a sproposito delle parole è un’altra forma di antisemitismo

Iuri Maria Prado

Usare a sproposito “genocidio” serve a giustificare il terrorismo di Hamas, le teorie complottiste contro Israele e a negare diritti alla popolazione ebraica

AP/Lapresse

Genocidio. Se fosse soltanto una questione nominalistica si potrebbe anche soprassedere. Se si trattasse solo di rimettere a posto l’uso di quella parola in ambito giuridico e disciplinare si potrebbe anche lasciar perdere. Ma non è una questione nominalistica, e l’uso improprio di quella parola fa ben altro, e ben peggio, che trascurarne la dovuta collocazione legale.
Se anche questo non fosse un segno preciso di quanto è grave l’affare, sarebbe stupefacente vedere come persone anche intelligenti, non prevenute nel giudizio in un senso o nell’altro, lascino intendere che dopotutto è una questione di formule verbali, quel che succede chiamalo come vuoi ma ci sono stragi e massacri che bisogna fermare e condannare.
La realtà è che quell’uso è pericolosamente improprio a prescindere dai criteri di legge che limitano e giustificano il richiamo della figura. È improprio, pericolosamente improprio, per fatto civile, storico, culturale. E politico.
Genocidio, infatti, per l’uso che si fa della parola, per l’intenzione di chi ne fa uso e, soprattutto, per la disavvertenza di chi non ne coglie l’improprietà, né i motivi che dovrebbero censurarla – facendo le viste che appunto si tratti solo di un nome magari innocuamente sbagliato, tutt’al più una irrilevante devianzioncella rispetto al formale tracciato della legge –, è questo: è il perfezionamento e completamento della cospirazione ebraica nel sopruso e nello sterminio. Questo è, in quell’uso violentemente improprio, questo è nelle intenzioni di chi vi ricorre e nella trascuratezza di chi lascia che vi si ricorra: è lo sprigionarsi sanguinario del maligno ebraico, lo sviluppo in armi della sopraffazione giudaica che ha messo radici in quella terra usurpata e da lì ha preso a coltivare le sue ambizioni di potenza sino alla programmazione e attuazione della soluzione finale.
Genocidio è la continuazione, con i tank imbandierati di stelle – le nuove svastiche –, dell’insinuazione ebraica nel sistema delle banche e finanziario. Genocidio è la prosecuzione, tramite l’apartheid coloniale imposto dai barbuti con Uzi e filatteri, del dominio giudaico a Hollywood e in Big Pharma.
Genocidio è “gli ebrei” che vogliono fare ai palestinesi le stesse cose che i nazisti hanno fatto agli ebrei, come dice una funzionaria dell’Onu dicendo esattamente così, non Israele, non il governo israeliano: ma “gli ebrei”.
Genocidio è l’intollerabile, e finalmente chiara a tutti, illegittimità della pretesa ebraica di impedire che abbia sfogo e trionfi il sacrosanto diritto di liberazione dal fiume al mare. Genocidio è l’insubordinazione degli ebrei al dovere di rimanere nel ghetto. Genocidio è la sopravvissuta al campo di sterminio che rifiuta di dichiararsi appartenente alla schiatta genocidiaria. Genocidio è l’ebreo genocida il cui genocidio non è venuto dal nulla. Genocida è il nome della cosa, l’ebreo. (Qui)

Aggiungerei ancora una cosa, che Prado ha appena sfiorato. Se gli ebrei (perché è così che funziona: si inizia il discorso con esercito israeliano, si prosegue con israeliani, si continua con sionisti e alla fine si approda immancabilmente a ebrei) sono un popolo genocida, non meriterebbe forse un premio Hitler (immach shemo) per averne eliminato una buona fetta, riducendo così il loro genocidio futuro? Non dovremmo considerarlo un benefattore dell’umanità?
E, in merito al titolo di questo post, quanti morti ha fatto finora, fuori di Israele, questa grottesca leggenda del genocidio?

Aggiungo una cosa che apparentemente non c’entra ma invece c’entra, e anche tanto. Tutti noi ci siamo, giustamente, indignati per il silenzio di Liliana Segre, ma se vergognoso è quel silenzio, che dire di Edith Bruck che ogni volta che Israele è sotto attacco non si lascia scappare l’occasione per schierarsi dalla parte dei carnefici e sputare veleno e menzogne su Israele? Ricordo una lettera a lei rivolta da Deborah Fait, parecchi anni fa quando, in occasione della risposta di Israele all’ennesimo micidiale attacco terroristico, aveva, anche allora, sposato acriticamente la narrativa del terrorismo palestinese e si era scagliata contro Israele.
Come già in altra occasione ho detto, avere sofferto non è un titolo di merito e non rende automaticamente intelligenti, né tanto meno fornisce un salvacondotto per sparare cazzate con annesso diritto a non essere criticati.

barbara

A 13 ANNI E MEZZO DI DISTANZA

Corsi e ricorsi storici.

14/02/2024

Mario Sechi: c’è un errore su Gaza, il cessate il fuoco

Il Parlamento italiano ha deciso che nella guerra tra Israele e Hamas è giunto il momento di un “cessate il fuoco”. La sintesi politica è questa: il Partito democratico ha presentato una mozione che è passata con il voto di Dem, Cinque Stelle e l’astensione del centrodestra. Il passaggio politico è stato siglato con un’intesa tra Giorgia Meloni e Elly Schlein, preceduto dalle dichiarazioni da “colomba” del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Il premier e il segretario del Pd hanno messo il sigillo su una posizione (che dovrebbe basarsi su dei principi non negoziabili, immagino) che ha come centro di gravità la salvaguardia dei civili a Gaza e Rafah. L’iniziativa va inserita nello scenario di un pressing diplomatico, guidato dall’amministrazione Biden, sul governo israeliano e il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu. È una linea “onusiana” che tende automaticamente a rimuovere la strage del 7 ottobre (e non a caso l’Onu fatica a ricordarla nei documenti ufficiali, perché è l’elemento scatenante della guerra), mette le belve di Hamas tra parentesi e si avventura in pericolose teorie sul “genocidio” dei palestinesi, una tesi vergognosa sul piano storico e del diritto. A questo punto, bisogna chiedersi se sia davvero questa la via per “vincere la pace”, perché la storia è una foresta di pugnali, di nobili intenzioni che poi si rivelano tragici errori. E temo che il governo, la maggioranza, non abbiano pensato alle inattese conseguenze di una scelta che apre la porta come minimo del “giustificazionismo” ai nemici di Israele.
Il rischio è quello di una nuova sindrome di Monaco. Cercare un “accomodamento” con il nemico, l’Idra dalle molte teste che sibila morte all’Occidente. Con un nemico letale, che in maniera esplicita programma e attua il genocidio del popolo ebraico (questo è successo il 7 ottobre), non ci sono possibilità di negoziato, Hamas deve essere eliminato. Questo è lo scopo della guerra.
Voltarsi indietro aiuta a capire. Non c’è peggior errore di una guerra non finita. O conclusa (male) con le premesse per innescarne un’altra ancora più grande.
Non andrò indietro fino alle lezioni della rivalità tra Atene e Sparta, il Novecento e questi primi vent’anni del Duemila sono un memento. Un libro di ricordi prezioso e inquietante. La storia è un pendolo di conflitti irrisolti: negli anni Novanta George Herbert Walker Bush non finì la guerra in Iraq contro Saddam (1990-1991), il conto con Baghdad rimase in sospeso e George Walker Bush (il figlio) dopo l’attacco alle Torri Gemelle (2001) invase l’Afghanistan (2001) tentando di porre le basi per un avamposto dell’Occidente in Medio Oriente con l’invasione dell’Iraq (2003). È una storia che arriva fino a oggi, con la tragica decisione di Joe Biden di ritirarsi dall’Afghanistan (2021, una ritirata che ha incoraggiato la Russia e la Cina), fino alla richiesta di questi giorni del governo iracheno di far partire le ultime truppe americane rimaste. E poi? Il vuoto, l’incognita dell’Iran che muove i fili delle milizie sciite in Iraq e muove i fili contro Israele. Ieri e oggi, un altro capitolo del romanzo su cui gli Stati Uniti non hanno messo il punto. A Washington furono colti di sorpresa dalla rivoluzione khomeinista (1978-1979), Jimmy Carter rovinò la presidenza con la crisi degli ostaggi (1979-1981), gli Stati Uniti provarono a piegare Teheran con le sanzioni, mentre Ronald Reagan era impegnato a far cadere il Muro di Berlino (1989) e domare l’Unione Sovietica fino alla sua dissoluzione (1991). Risultato, l’Iran oggi è l’officina di tutte le guerre: produce droni per la Russia nella guerra in Ucraina, muove Hezbollah, protegge Hamas, supporta i guerriglieri dello Yemen, alimenta la crisi del Mar Rosso.
Il bersaglio siamo noi. La storia è maestra inascoltata, le guerre vanno combattute fino in fondo. La Prima guerra mondiale fu il detonatore della Seconda, ne vide il bagliore in lontananza John Maynard Keynes che con profetica lucidità spiegò ne Le conseguenze economiche della pace perché la Germania avrebbe ricostruito e mosso di nuovo il suo esercito contro i vincitori dell’epoca. E fu lo sterminio, fu la Shoah, fu una guerra che non ha più testimoni in grado di risvegliare le coscienze. Stiamo scivolando al “se questo è un uomo” pensando che sia fiction e altro da noi. E non è “colpa degli ebrei”, frase che schiude la pianta carnivora dell’antisemitismo. È colpa nostra, perché non abbiamo chiuso bene le guerre, come avevano fatto Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Josif Stalin. Berlino non cadde con il negoziato, ma con la guerra degli Alleati. Il Giappone fu piegato dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. I conflitti sono orribili, in un mondo che si è illuso di poter cancellare il sacrificio e la morte, è tornato il Novecento di ferro e fuoco. E non sarà un voto in un Parlamento che cerca una pace in guanti bianchi a cancellare la realtà.

Mario Sechi, Direttore di Libero, capo ufficio stampa del Governo

20/08/2010

Qualche riflessione sugli ennesimi “colloqui di pace”

Dato che si sa ma nessuno osa dirlo, qualcuno dovrà pure decidersi a farlo…

La settimana prossima si riuniranno negli USA israeliani e palestinesi, finalmente di nuovo gli uni di fronte agli altri. Ma con quali speranze? Di mettere fine a un conflitto che dura da un secolo? Certamente no. L’unico obiettivo immediato che si può ravvisare è quello che sta a cuore al presidente americano: porre un freno al suo drammatico calo di consensi. Nell’impossibilità di modificare in fretta i parametri dell’economia, nell’incapacità di trovare una onorevole via di uscita ai conflitti che vedono schierati tanti soldati americani, Obama sembra aver pensato che una correzione (reale? duratura?) del suo atteggiamento verso Israele e verso il conflitto che l’oppone ai palestinesi sia l’unica speranza per salvare le oramai vicine elezioni di midterm.
Abu Mazen sa bene di non avere alcun margine di trattativa di fronte alle offerte molto generose a suo tempo rifiutate da Arafat. Potrebbe egli accettare quanto Arafat ha rifiutato? Ed è immaginabile che un qualsiasi leader israeliano possa oggi offrire ancora di più?
Anche a causa di questa realtà non è mai stato possibile trovare una base da cui partire per la riapertura dei colloqui diretti. Ma esaminiamo meglio i termini della questione.
Innanzitutto guardiamo ai negoziatori palestinesi: Abu Mazen non ha titolo alcuno per firmare alcunché, dato che i termini della sua presidenza sono scaduti da lungo tempo; inoltre la sua leadership è contestata da larga parte della sua gente e, soprattutto, non ha mai goduto dell’autorità e del prestigio indispensabili per poter condurre qualsivoglia trattativa. E il suo primo ministro, pur abile nella gestione del governo, non gode di alcuna popolarità tra i palestinesi. Qualunque documento da loro sottoscritto sarebbe contestato dai capi arabi. Se si pensa al rifiuto opposto dalla Lega araba agli accordi firmati dal Presidente Sadat, lui sì titolato a firmare quegli accordi, è difficile immaginare che un trattamento migliore potrebbe essere riservato ad un Abu Mazen che eventualmente firmasse un accordo di pace. Vale inoltre la pena di ricordare che anche l’Onu approvò ben due risoluzioni di condanna, il 6 e il 12 dicembre 1979, contro l’Egitto che aveva concluso con Israele una pace separata – cosa, allora come oggi, inevitabile dal momento che la quasi totalità degli stati belligeranti continuano a rifiutare qualunque ipotesi di negoziato e di accordo con Israele – e, addirittura, dichiarò nullo tale accordo (qui e qui i testi delle due risoluzioni). Nel 1994 anche la Giordania concluse una pace separata con Israele, e se non vi furono conseguenze negative, viene da pensare con un pizzico (forse) di cinismo, fu solo perché a togliere di mezzo re Hussein arrivò prima il cancro. Ricordiamo, per inciso, che nel frattempo, nell’ambito degli accordi di Oslo, era nata l’ANP, Autorità Nazionale Palestinese, teoricamente svincolata dall’obbligo statutario dell’OLP di perseguire la distruzione di Israele (qui la Costituzione di al-Fatah, sua principale componente), in realtà, in quanto emanazione dell’OLP, legata agli stessi vincoli.
Alle considerazioni di carattere politico va poi aggiunto il fatto che l’islam vieta ai musulmani di stipulare veri e propri accordi di pace con i non musulmani (Dal Corano 5:51: “O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti” e 5:57: “O voi che credete, non sceglietevi alleati tra quelli ai quali fu data la Scrittura prima di voi, quelli che volgono in gioco e derisione la vostra religione e [neppure] tra i miscredenti. Temete Allah se siete credenti.” “La fine dei giorni sopraggiungerà solo quando  i musulmani uccideranno tutti gli ebrei. Verrà l’ora in cui il musulmano muoverà guerra all’ebreo e lo ucciderà, e finché vi sarà un ebreo nascosto dietro una roccia o un albero, la roccia e l’albero diranno: musulmano, servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo” (Muslim, 2921; al-Bukhaari, 2926). E, sempre per al-Bukhaari: “per Allah, e se Allah vuole, se faccio un giuramento e successivamente trovo qualcosa migliore di quello, allora faccio ciò che è meglio e faccio ammenda per il giuramento.”), divieto che, soprattutto in questi tempi, difficilmente i dirigenti palestinesi potranno permettersi di trasgredire.
In queste ultime settimane ci sono state dure discussioni sull’opportunità di aprire le trattative con o senza precondizioni, ma gli americani sembrano non preoccuparsi di questi aspetti fondamentali, tutti tesi come sono a raggiungere il loro obiettivo, cioè superare le elezioni, e non certo preoccupati di raggiungere un accordo che anche loro sanno impossibile. Se Netanyahu riprendesse, alla scadenza dei 10 mesi di interruzione, le costruzioni sospese nei territori di Giudea e Samaria (e tralasciamo, in questo contesto, di occuparci di quelle di Gerusalemme, problema ancor più complesso e intricato), i palestinesi, hanno preavvertito, interromperebbero subito i negoziati. Ci si dovrebbe a questo punto domandare perché abbiano aspettato tanto a lungo prima di acconsentire a sedere allo stesso tavolo degli israeliani: la sospensione non era stata concessa proprio in risposta alle richieste palestinesi, come condizione preliminare per iniziare una trattativa? Di chi dunque la responsabilità se durante questi dieci mesi di sospensione le trattative non sono iniziate? Concediamoci tuttavia una botta di ottimismo e immaginiamo che i palestinesi non interrompano immediatamente le trattative e che queste partano regolarmente. Immaginiamo, giusto come ipotesi, che Netanyahu, ufficialmente o ufficiosamente, tenga ancora bloccate le nuove costruzioni. E immaginiamo anche che si arrivino a delimitare i territori che gli arabi, sconfitti nelle varie guerre che si sono succedute dal ‘48 in avanti, concederanno agli israeliani vincitori di quelle guerre (e già questo è un ben anomalo modo di procedere, quando da che mondo è mondo sono sempre state le potenze vincitrici a imporre le proprie condizioni). Ed infine immaginiamo ancora che Netanyahu non pretenda l’accettazione da parte palestinese di uno Stato di Israele che si definisca “stato ebraico” (cosa che Abu Mazen non potrebbe mai accettare, in quanto per l’islam qualunque terra che sia stata in passato islamica, fosse anche per un solo giorno, dovrà restare islamica per sempre).
A questo punto, se anche si fossero risolti gli altri problemi, ci si scontrerebbe sul problema dei profughi che il mondo, e l’ONU per prima, sta ignominiosamente tenendo aperto da 62 anni, concedendo quanto non ha permesso altrove, e quanto nessuna logica può giustificare. Quella stessa ONU ha avallato il trasferimento, nei medesimi anni del dopoguerra, di oltre 10 milioni di profughi tedeschi (non necessariamente colpevoli per i crimini del nazismo), di milioni di induisti cacciati dal Pakistan e di altri milioni di musulmani cacciati dall’India, e via via, seguendo la stessa logica, nelle varie aree di conflitto fino ai più recenti trasferimenti di popolazioni greche dalla Cipro occupata militarmente dalla Turchia, e delle varie etnie all’interno della ex Yugoslavia; tutti trasferimenti dettati dalla corretta logica di cercare, nelle varie nazioni, una omogeneità etnica e religiosa necessaria per creare condizioni di stabilità (qui un ricco e documentato articolo di Ben Dror Yemini sul tema). Israele non potrà mai accogliere quei milioni di uomini, donne e bambini che nessuno stato arabo vuole, che non sono mai vissuti in quelle terre, e che non potranno mai integrarsi nella civiltà israeliana anche a causa degli insegnamenti che, da sempre, sono stati loro impartiti dagli arabi e dagli occidentali (questi ultimi, non dimentichiamolo, per via degli enormi interessi in gioco). Se addirittura si applicassero le proposte fatte nel 2004 dall’allora segretario dell’ONU Kofi Annan per risolvere il problema dei profughi ciprioti, Israele, lungi dal doverne accettare di nuovi, dovrebbe espellere molti musulmani residenti nello Stato. Non vi è oggi spazio per trovare una soluzione a questo problema, dato il modo in cui è stato, fin dall’inizio, impostato e gestito, così come non ha potuto trovarlo il negoziatore Mitchell.
E poi rimane ancora il problema di Gerusalemme, per la quale gli arabi rifiutano perfino di ammettere i legami storici che gli ebrei hanno con la città, atteggiamento che toglie ogni spazio residuo alla possibilità di una trattativa.
Qual è allora la strada da perseguire? È triste dirlo, ma non è l’apertura di questi negoziati.
Uno dei mantra più gettonati fra le anime belle, da decenni ormai, è che “le guerre non hanno mai risolto niente”. Ebbene, chi lo afferma o ignora la storia, o mente in malafede, perché un semplice sguardo a tutta la storia passata permette di constatare che, al contrario, spesso le guerre hanno risolto i problemi per i quali erano state scatenate, fossero essi di natura religiosa, o politica, o territoriale o di qualunque altro genere. Non si vuole certo, con questo, affermare che la guerra sia bella, o buona, o giusta – e meno che mai santa – ma solo fare un po’ di chiarezza: che le guerre non risolvano i problemi è falso. Le guerre possono risolvere, e spesso di fatto risolvono, i problemi (e magari capita anche che, dopo una pesante sconfitta, riescano ad aprire la porta alla democrazia, vedi Germania, vedi Italia, vedi Giappone). A condizione che vengano lasciate combattere. A condizione che fra i contendenti non si intromettano entità estranee e interessi estranei. A condizione che alle guerre venga consentito di giungere alla loro naturale conclusione: la vittoria del più forte. Ed è questo che non è MAI stato fatto nelle guerre combattute da Israele: ogni volta che Israele, aggredito allo scopo di annientarlo, stava per prendere il sopravvento, ogni volta che Israele stava per avere ragione degli eserciti nemici o delle organizzazioni terroristiche, ogni volta che Israele è stato in procinto di concludere finalmente, in modo definitivo, questa che si avvia ormai a diventare una delle guerre più lunghe della storia dell’umanità, l’intero consesso internazionale si è massicciamente mobilitato per impedire che ciò avvenisse. Ed è per questo che, per fare un solo esempio, quando l’Onu e il mondo intero hanno imposto a Israele di interrompere la guerra del 1967 prima di giungere a una vera, definitiva sconfitta dei suoi nemici, tutti gli stati arabi si sono potuti permettere di respingere in blocco tutte le richieste contenute nella risoluzione 242 (no al riconoscimento, no al negoziato, no alla pace) e continuare lo stato di belligeranza. Qualcuno immagina forse che si sarebbe potuto fermare Hitler con qualche bel discorso? O lanciando palloncini colorati? O con qualche pressione internazionale? O magari con la “politica della mano tesa” e generose concessioni? Qualcuno si è illuso di poterlo fare, e si è puntualmente realizzata la profezia lanciata già nel 1938 da Churchill: “Potevate scegliere tra la guerra e il disonore. Avete scelto il disonore. Avrete la guerra“. E le parole di Churchill rimangono sempre di scottante attualità: negoziare con chi ti vuole distruggere senza averlo prima sconfitto non porterà non solo l’onore, ma neanche la pace.
Discorso cinico? No, semplicemente realistico. Che spiacerà soprattutto agli israeliani, talmente desiderosi di pace da essere disposti, in nome di essa, quasi a tutto, ma sessant’anni di guerra preceduti da quasi trent’anni di terrorismo sono lì a dimostrare che ogni altra via è destinata al fallimento. E di un altro mantra occorrerà sbarazzarsi al più presto: quello della “proporzione”. Quando ci si avventura in una contesa, sia essa una guerra di offesa, una guerra di difesa, un incontro di calcio o una partita a briscola, non lo si fa per essere proporzionati: si fa per vincere. Altrimenti la contesa continuerà all’infinito in una situazione di sostanziale stallo, con un interminabile stillicidio di morti, da una parte come dall’altra. Perché non solo in medicina, ma anche in politica e in guerra il medico pietoso fa la piaga purulenta: ricordarlo farebbe un gran bene a tutti. E soprattutto alla pace.

Barbara Mella, Emanuel Segre Amar

Ma il mondo non vuole capire, e i presidenti dem coi consensi in calo a causa dei disastri che hanno combinato devono vincere le elezioni, e l’Onu ha la sua agenda nella quale la sopravvivenza di Israele non trova spazio, e gli emissari di hamas sono in mezzo a noi e non fanno passare giorno senza farci sentire il loro fetido fiato sul collo – fiato che in troppi respirano assorbendo tutto il suo veleno – e la corsa a un micidiale cessate il fuoco che significa ecatombe di ebrei e fine di Israele si fa sempre più frenetica.

Dal 1948 Israele si è sempre lasciato fermare quando stava per vincere, e ogni volta ciò ha regalato a coloro che vivono all’unico scopo di portare a termine la soluzione finale la possibilità di riprendere subito la lotta, con la conseguenza di morte e distruzione da entrambe le parti. Auguriamoci tutti, noi amanti della pace – quella vera – che stavolta Israele riesca a non farsi fermare e a poter mettere finalmente il sigillo definitivo al proprio diritto a esistere.

barbara

ALLA PERIFERIA DELLA STRAGE

Dopo la strage grandi manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Ai perpetratori della strage.

Londra

Vienna

E altrove. E dove ci sono manifestazioni pro Israele

E poi preoccupazioni per questa incredibile intimazione di Israele:

Israel told the United Nations that the entire population of northern Gaza — over 1 million people — should relocate within 24 hours.
Come è possibile, si chiede il mondo sgomento, come è possibile che oltre un milione di persone lascino le proprie case per mettersi in salvo in 24 ore? Come è possibile che qualcuno pretenda una cosa simile? A distanza di poche dozzine di ore hanno già dimenticato che ai civili israeliani non sono stati dati preavvisi. Non hanno avuto 24 ore per mettersi in salvo. Neanche 24 minuti. Neanche 24 secondi.
Qualcuno ha anche notato un non trascurabile dettaglio:

Adriano Mastromarco

Come ha detto ieri in trasmissione Il Grande Mario Giordano, mentre sgozzavano i poveri coloni ebrei e decapitavano i loro bambini, i terroristi urlavano allah akbar, non free palestine.

Del resto gridavano Allahu akhbar anche gli sgherri di Arafat mentre assaltavano il villaggio di Damour per fare strage di cristiani.
Che poi, comunque, dopo avere fatto strage dei nostri, adesso vogliono una bella strage dei loro da esibire alle telecamere politicamente corrette,

così

E poi i giornali

Emanuel Segre Amar

Orribile articolo di Battistini;

Cito solo questa frase: “All’operazione Tempesta di Al Aqsa, che in un sabato ha preso ostaggi e sgozzato 1.200 agnelli innocenti, Israele risponde con un diluvio di fuoco che, d’innocenti, ne seppellisce 1.100 in tre giorni.”
1100 innocenti, “giornalista” Battistini

Me lo ricordo, Battistini, quando ha preso il posto di corrispondente da Israele all’inizio del 2002: attento, veritiero, preciso, onesto. Poi, come capitava, e sicuramente capita, a tutti i corrispondenti stranieri, a quanto pare gli hanno fatto educatamente capire che dire la verità sull’autorità palestinese e sui palestinesi in generale non fa troppo bene alla salute (qualcuno non ci aveva creduto, e allora sono gentilmente passati dalla teoria alla pratica, così hanno capito anche loro), e si è adeguato. Riporto qui il mio articolo per Informazione Corretta del 1 aprile 2002, nel pieno di quella guerra terroristica, preparata – al pari dell’attuale – per anni, passata alla storia col nome di seconda intifada. Lo metto tutto, per ricordare a chi, dopo oltre vent’anni, avesse dimenticato come anche allora funzionasse l’informazione su Israele.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA DEI MASS MEDIA

Le abbiamo lette tutti, le notizie dei giorni scorsi pubblicate dai nostri giornali: abbiamo letto che un’orrenda strage ha devastato un Seder di Pesach, abbiamo letto che il terrorista era stato segnalato dalle autorità israeliane a quelle palestinesi in quanto estremamente pericoloso, abbiamo letto che Arafat aveva assicurato di averlo arrestato ma poi, o non lo ha arrestato affatto o, come al solito, lo ha arrestato “per finta” e poi immediatamente liberato. Sta di fatto che, per volontà di Arafat, il terrorista ha seminato distruzione e morte. E adesso? Tutto dimenticato! Non è più Arafat il mandante di terroristi e Israele la vittima del terrorismo: nel giro di ventiquattr’ore la situazione si è completamente ribaltata.

ASSALTO DEI SOLDATI ISRAELIANI, ARAFAT BARRICATO
titola il Corriere di sabato, accompagnando il titolo con una vignetta di Giannelli: una dolcissima colomba bianca in gabbia con un coltello piantato nella schiena e il sangue che gocciola. Chiaro: Arafat in questo momento è in gabbia, la colomba pugnalata alla schiena è lui. E domenica:
ULTIMATUM DI ISRAELE, ARAFAT CHIEDE AIUTO
E Repubblica sabato:
ISRAELE, ASSALTO AD ARAFAT
e domenica:
ARAFAT, DRAMMATICO ASSEDIO
e all’interno:
SHARON ATTACCA, ARAFAT PRIGIONIERO
Non da meno la Stampa. Sabato:
ISRAELE ATTACCA IL BUNKER DI ARAFAT
e domenica:
ARAFAT. UN GRIDO DAL BUNKER: “AIUTATEMI”

Concordi, le tre testate, nel mostrarci un povero Arafat vecchio, stanco, malato, tremante per il Parkinson e per la tremenda situazione in cui lo ha messo Sharon, il nemico di sempre che da vent’anni, dai tempi del Libano, lo odia e lo insegue.
Sul Corriere di sabato Franco Venturini vorrebbe fare un discorso pacato ed equilibrato: il mezzo che usa è quello di distribuire fraternamente colpe e responsabilità: “Nelle ultime ore entrambe le parti hanno superato ogni precedente”. Niente causa, niente effetto.
Guido Olimpio, nell’articolo intitolato “Ariel il ‘bulldozer’ che non sa far altro che combattere” ci presenta un ritratto di Sharon tutto in negativo, ci parla della sua lotta “personale” contro Arafat, cita Sabra e Chatila senza parlare delle responsabilità dirette (e quindi, visto che si sta parlando di Sharon…), ci ripete per l’ennesima volta che Sharon “Non si vergogna di dire che ‘dobbiamo provocare così tante perdite all’altra parte che alla fine accetteranno di negoziare”, parole che Sharon in realtà non ha mai pronunciato, non in questa forma e non con questo significato.
C’è anche un articolo di Manuela Dviri: “E quei bambini, nostri e loro, che nella morte sono identici”: identici i bambini morti sì, certo, identici i loro uccisori proprio no! Certamente comprensibili il dolore e l’empatia di una madre che ha perso il proprio figlio e si identifica col dolore di tutte le madri che hanno perso il proprio; un po’ meno comprensibile il Corriere che non perde occasione per sfruttare il dolore di questa madre per portare avanti la propria politica.
E passiamo a domenica. Ennio Caretto non riesce a nascondere il proprio indignato stupore per il fatto che gli USA si sono sì allineati alle richieste di EU e stati arabi, ma “in maniera ambigua”, mentre Bush
“non chiede il ritiro delle truppe israeliane dal quartier generale di Arafat, al contrario sostiene che Sharon è sotto assedio e che il suo operato risponde alla volontà degli elettori, lasciando intendere che Israele è minacciato dal terrorismo”.
Ma come farà questo Bush a mettersi in testa certe idee!
Francesco Battistini invece ci informa che

Cinque medici sarebbero stati usati come scudi umani
notizia ovviamente fornita da fonte palestinese e non verificata. E subito dopo, con autentico orrore:
In un ospedale gli israeliani sono entrati coi cani (un animale che molti musulmani considerano impuro) a caccia di terroristi e d’esplosivo.
Chiaro che il rispetto della sensibilità dei musulmani è molto più importante dell’evitare che centinaia di civili innocenti vengano dilaniati da quei terroristi con quell’esplosivo.

Guido Olimpio opera disinvoltamente il solito rovesciamento di causa ed effetto: gli israeliani assediano, i palestinesi rispondono coi kamikaze. Sergio Romano invece usa il suo solito sistema per attaccare Israele: per confondere le acque annuncia di volerci parlare delle occasioni mancate dai palestinesi per arrivare alla pace e allo stato, e per un intera pagina ci espone tutte le “nefandezze” commesse da Israele. E così ci parla di 800.000 palestinesi cacciati dalla loro terra – aumentandone il numero e lasciando credere che siano stati tutti cacciati, uno per uno, dagli israeliani; attribuisce a Israele la responsabilità della guerra del 1967 e lo accusa di indifferenza nei confronti delle risoluzioni Onu – senza minimamente menzionare i rifiuti della controparte; afferma che alla pace con l’Egitto Israele sarebbe arrivato a causa delle pressioni americane; attribuisce a Israele la responsabilità dei campi profughi e dei massacri di Sabra e Chatila e alla “passeggiata” di Sharon l’esplosione della guerra; conclude infine affermando che la pace arriverà quando gli israeliani si decideranno a ritirare il mandato a Sharon: così finalmente sappiamo chi è l’unico responsabile del macello che sta avvenendo in medio oriente.

E passiamo a Repubblica. Sabato Bernardo Valli ci informa che l’esistenza stessa di Arafat evoca per Sharon lo spettro dello stato di Palestina, e ci racconta che venerdì la polizia israeliana ha attaccato i musulmani sulla spianata delle moschee (Monte del Tempio, prego!), dimenticandosi di aggiungere che lo ha fatto perché i musulmani avevano preso a sassate gli ebrei in preghiera al Muro del Pianto; Leonardo Coen non si perita di arrivare alla blasfemia:
Ma come il Cristo della Via Dolorosa, Arafat risorge.
Eugenio Cirese si incarica invece di descriverci il corpo spezzato in due della ragazza suicida, mentre non una sola parola viene spesa per i corpi dilaniati delle sue vittime, e ci spiega che la ragazza era stata bloccata all’ingresso, “altrimenti sarebbe stata strage”: evidentemente due morti e trentuno feriti per il buon Cirese sono solo uno stuzzichino.
Domenica ci aspetta l’ardua lettura del ributtante editoriale di Eugenio Scalfari:

Due popoli che hanno ormai non solo le mani, ma anche la mente e l’anima imbrattate dal sangue degli innocenti
esordisce, nel tentativo di apparire imparziale distribuendo equamente le colpe. E infatti subito dopo ribadisce:
i due protagonisti, i due solidali gestori del mattatoio e della reciproca strage
Ma poi ci informa che “le responsabilità dei due protagonisti del mattatoio non sono identiche”, però, evidentemente per non dover essere accusato di parzialità filopalestinese si rifiuta di dire chi sia più colpevole. Ci spiega però che è ridicolo chiedere di fermare il terrorismo a un Arafat prigioniero e impotente – dimenticando che per quarant’anni non è stato né prigioniero, né impotente, e il terrorismo lo ha sempre fomentato, come del resto continua a fare ancora oggi dal suo cellulare ancora funzionante. Si chiede se si possa invece chiedere a Israele di non rispondere più ai colpi, e la risposta è sì, certo che si può, anche se naturalmente sappiamo che Israele respingerà la richiesta, perché Israele non ha mai fatto altro che questo: rispondere di no a tutti. E così
continuerà un terrorismo vero perché quando un popolo non ha speranza non può che uccidere gli altri e se stesso.
E dunque il terrorismo non è più solo giustificato, ma anche dichiarato obbligatorio.

Non vale invece neppure la pena di occuparci di igor man, diventato ormai addirittura patetico nel suo arrampicarsi sugli specchi per presentarci il suo carissimo amico Arafat come l’uomo che ha dedicato la sua vita intera alla ricerca della pace con Israele, e neanche del nuovo delirio di Barbara Spinelli, che con le sue solite frasi piene di parole dotte ed evanescenti e vuote di significato, si premura di informarci che nel futuro non ci sarà posto per gli ebrei, perché quello che sta facendo Israele cancellerà il ricordo della Shoah. Per fortuna, a salvare La Stampa, dallo sfacelo totale, rimane Fiamma Nirenstein.

In conclusione, i tre maggiori quotidiani nazionali sembrano essersi alleati nell’opera di ribaltamento della situazione: Arafat, da mandante e finanziatore del terrorismo si è trasformato in un povero vecchio prigioniero, in un Cristo in croce, in una colomba pugnalata alle spalle; e Israele, da vittima del più bestiale e cieco terrorismo che mai il mondo abbia conosciuto, nel feroce assalitore di innocenti, con uno degli eserciti più potenti del mondo scatenato contro un povero vecchio malato e indifeso.

A proposito di Sabra e Chatila, che continua da più di 40 anni a venire tirata in ballo, a proposito e a sproposito, e sta venendo tirata fuori anche adesso, invito chi ha tempo e voglia a leggere questo vecchio e importantissimo post.
Una testimonianza che contribuisce a chiarire il contesto, nel caso a qualcuno non fosse ancora chiaro del tutto

Ugo Fonda

RIPORTO…

“Sono stato in arabia saudita nel 1996 per lavoro, avevo un cliente, un ragazzo giovane di nome Rayid, che aveva studiato in America, era prima dell’11 settembre, per me i musulmani erano persone normali, come noi, con un’altra religione ma persone con cui si poteva vivere in pace. Due cose mi hanno fatto capire l’islam. La prima che Rayid mi disse: per noi non esiste arabia o marocco o tunisia o egitto etc questi sono confini che avete creato voi, per noi esiste solo allah a cui un giorno vi dovrete tutti sottomettere. La seconda è che arrivato all’areoporto di riyad mi fu trovata una catenina con la croce al collo, era un regalo per la mia Prima Comunione a cui peraltro non facevo troppo caso, la portavo per abitudine. Mi fu sequestrata e mi fu detto che per quella cosa in arabia saudita potevo avere anche la pena di morte per oltraggio al profeta, ovviamente non mi fu restituita nel momento di tornare in Italia. Quando capiremo che non c’entra nulla un pezzo in più o in meno di terra, ma che l’obiettivo è di islamizzare il mondo intero, sarà comunque troppo tardi.

Aggiungo un documento che smentisce radicalmente la leggenda che i palestinesi siano fancazzisti. È vero che non scavano pozzi e non sfruttano la desalinizzazione e si fanno fare l’acqua da Israele, e sono vere anche tante altre cose, però…

Gaetano Evangelista

Quei geni di Hamas a Gaza hanno inventato un modo geniale, a suo modo equo e solidale, per utilizzare gli acquedotti costruiti con le donazioni internazionali alla causa palestinese.
Si fa così. Si accede agli acquedotti, smontandoli pezzo per pezzo.
Poi si prendono i tubi, e si butta tutto il resto.
I tubi sono poi impiegati nella fabbricazione di razzi e missili.
Usando il cloruro di ammonio, fertilizzante copiosamente donato a Gaza per far rifiorire le serre lasciate loro dagli israeliani nel 2005 ai tempi dello sgombero totale, come esplosivo.
Creativo, senz’altro.
Ora bisogna ingegnarsi di trovare l’acqua a cui è stato necessario rinunciare. Per la causa, s’intende.
Male che vada, sappiamo già a chi addebitare le colpe.

Per non parlare dell’abilità nel costruire i tunnel. Guardate qui che gioiellini!

Questi sono gli ultimi trovati

Ora una bellissima notizia

Bar Kohba 

Una pizzeria di Hawarrah, in Samaria si è fatta la pubblicità usando l’immagine dell’anziana rapita da HamaSS.
è stato mandato un buldozer per ristrutturare la pizzeria.

Non è più tempo di sopportare il nazismo islamico.

E anche questa, a modo suo, è una notizia buona

Chiudo con una battuta (parecchio realistica, mi sa)

e una domanda retorica.

barbara

IN MEMORIA DEL CARO ESTINTO

Ancora una volta prendo spunto dalla professora scrittora italianista latinista grecista storica giornalista pubblicista e tuttologa di vaglia.

Galatea Vaglio

Riposi in pace.
Francesco Nuti, intendo.

Segue una lunga serie di commenti, tra i quali riprendo questi pochi.

Massimiliano Triggiani
Ti ho conosciuta acquistando e leggendo con entusiasmo il tuo libro su Cesare. Il libro mi ha fatto divertire e mi è piaciuto. Invece, sono sconcertato da quanto sei misera nei tuoi commenti legati alla strettissima attualità odierna. Per fortuna la cattiveria (e davvero tanta pochezza) non appartengono a tutti e sicuramente non apparteneva a Berlusconi. Lui sicuramente riposerà in pace non sono tanto convinto che lo stesso possa accadere a tutti

Galatea Vaglio
Massimiliano Triggiani e stic**zi?

Massimiliano Triggiani
Galatea Vaglio complimenti

Massimiliano Triggiani
Galatea Vaglio sei cattiva, cafona e pure una brutta zecca e ribadisco, non solo zecca

Sabry Barby
Peccato che i suoi libri vengano venduti anche dalla Mondadori, che fa capo alla Fininvest, ramo guidato da Marina Berlusconi.

Galatea Vaglio
Sabry Barby e quindi non posso addolorarmi per Francesco Nuti?

Sabry Barby
Certo, ma non denigrare in questo modo Berlusconi.

Galatea Vaglio
Sabry Barby e dove avrei denigrato Berlusconi?

Sabry Barby
Galatea Vaglio, basta leggere i post, anche questo, “intendo”, per me lo poteva evitare, bastava specificare Francesco Nuti.

Galatea Vaglio
Sabry Barby quando avrò bisogno della tua consulenza per farmi dire per chi posso dispiacermi te lo farò sapere. Fino ad allora, soprattutto sulla mia bacheca, decido io.

Galatea Vaglio
Sabry Barby e ti faccio notare “denigrare” ha un significato ben preciso, che è ben diverso da quello che pensi tu, evidentemente.

Sabry Barby
Galatea Vaglio, smetto io di seguirla, mi ha deluso in pieno.

Galatea Vaglio
Sabry Barby perché, ti avevo mai chiesto di seguirmi, forse? Manco so chi sei. [Mamma mia quanto è acerba quest’uva, una roba signora mia…]

Giuliana Dea
Massimiliano Triggiani guarda che è meglio zecca che essere come te. [Qui si apprezza soprattutto l’esaustività del commento]

Seguono lodi sperticate di Francesco Nuti, alti lai per la sua dipartita, rimpianto eccetera eccetera. Ai quali voglio aggiungere anch’io due parole. Francesco Nuti è quel tizio che ad un certo punto aveva evidentemente esaurito la vena e da un pezzo non riusciva più a fare film e allora se n’è uscito a dire che se non gli avessero fatto fare un film entro la fine dell’anno si sarebbe suicidato. Ed è anche quel tizio che una sera aveva ospiti a cena, fra cui un tizio, portato da un amico, che lui non conosceva. Poi ad un certo momento è venuto fuori che il tizio in questione era ebreo e lui si è messo a urlare come un forsennato: “Fuori di qui! Fuori immediatamente da casa mia! Io non voglio ebrei di merda in casa mia!”
Poi ha anche fatto qualche filmetto carino, per carità, ma direi che possiamo fermarci qui. E concludiamo con un po’ di politica. Quella seria

barbara

HO LETTO CHE HA FINALMENTE TIRATO LE CUOIA

quel pezzo di merda di Alberto Asor Rosa (perché io la memoria ce l’ho ancora buona, e le infamie non le dimentico e non le perdono). Ho raccattato su un po’ di vecchie cose.

L´antisemitismo di sinistra: Alberto Asor Rosa

Alberto Asor Rosa, indicato da Oliviero Diliberto come futuro Ministro dell´Università : “Gli ebrei, da razza deprivata, perseguitata e decisamente diversa è diventata una razza guerriera, persecutrice e perfettamente omologata alla parte più consapevole e spregiudicata del sistema occidentale. La colpa dell´occidente verso l´ebraismo è stata risarcita, assumendosi il carico di una colpa altrettanto grande verso l´islam. Da un popolo di religiosi e di pensatori è nato un popolo di zeloti“.
Questi stralci sono tratti dal libro di Alberto Asor Rosa intitolato La Guerra.
Se costui arriva al Governo c´è da preoccuparsi.
Anche perché potrebbero sentirsi legittimati e incoraggiati, quelli che nei cortei bruciano le bandiere d´Israele. (Qui)

Risposta ad Alberto Asor Rosa

Lettera inviata al Corriere della Sera e non pubblicata

La lettera di Alberto Asor Rosa al Corriere della Sera (16 maggio 2006) è basata sul seguente ragionamento: “la causa ebraica non coincide con quella dello Stato d’Israele”; quindi egli ha diritto di criticare il secondo senza essere accusato di ledere la prima; invece, i suoi critici non fanno che confondere le due cause e così lo fanno oggetto di una forma acuta di intolleranza. Così messa sembrerebbe ineccepibile. Se non fosse che colui che ha fatto confusione è proprio Asor Rosa quando, nel suo libro, ha dedotto dalla critica allo Stato d’Israele conclusioni pesantissime nientemeno che nei confronti della “razza ebraica” – espressione che non dovrebbe uscire dalla penna di un intellettuale contemporaneo, tenuto a sapere che il concetto di razza non ha basi scientifiche ed è soltanto un aggregato di pregiudizi dalle tragiche conseguenze -, una “razza” che da perseguitata sarebbe diventata persecutrice, e altre consimili deduzioni riguardanti gli ebrei nel loro complesso che è soltanto triste ricordare. Ad Asor Rosa è stato chiesto ripetutamente di rivedere questa infelice uscita. Al contrario, qui, con un gioco dialettico, per nasconderla egli ne scarica la colpa sui suoi critici. In tal modo, egli ha dato soltanto prova della fondatezza della tesi secondo cui la manifestazione attuale dell’antisemitismo è l’antisionismo. Sta a lui, se e quando vorrà finalmente farlo, correggersi e dimostrare di essere soltanto vittima di questa manifestazione, e combattere ora e qui l’antisemitismo nel modo che serve.
Tralascio per brevità di entrare su altri aspetti di merito, come il richiamo all'”ingiustizia della fondazione dello Stato d’Israele” cui – per sua grazia – non si deve porre rimedio con la sua distruzione. E’ davvero curioso che si debba parlare di ingiustizia soltanto nel caso della fondazione dello Stato d’Israele e non di innumerevoli altri casi analoghi di cui è intessuta la storia. Per esempio, la fondazione della Grecia è stata pagata al prezzo di ingiustizie, come quella della famiglia di chi scrive, deprivata di case e averi. Eppure viviamo qui tranquilli senza rivendicare diritti al ritorno, come non li rivendicano il milione e passa di ebrei deprivati di case e averi nei paesi arabi. Se dovessimo rifare le bucce alla storia trasformeremmo la terra in uno scannatoio.
Infine, se il Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche non ha il diritto di esprimere perplessità di fronte a chi parla (e in termini così negativi) di razza ebraica, tanto vale sciogliere l’Unione e mandarne a casa organi e presidenza. In tal caso, sarà stato Asor Rosa ad aver esercitato una pressione indebita e intimidatoria volta a inibirne la libertà di espressione.
Giorgio Israel, qui.

Israele e lo strabismo di Asor Rosa

Victor Magiar – L’Unità 17 maggio 2006

NOTA: Victor Magiar è sinistrassimo e molto critico nei confronti di Israele. Tuttavia l’abisso delle affermazioni di Asor Rosa è tale che perfino lui sente la necessità di ribellarsi e prendere posizione.

In quasi tutti i paesi democratici del mondo, gran parte del voto ebraico si esprime a «sinistra» o, meglio, per quelle formazioni politiche che potremmo definire di progresso, sensibili ai temi dei diritti civili e della giustizia sociale: in Italia non è più così.
Certo è vero che, in tutto il mondo, abbiamo assistito negli anni ad un progressivo spostamento a destra del voto ebraico, ma sempre in misure ragionevoli: nella scorsa competizione presidenziale americana la percentuale degli ebrei statunitensi che ha votato per i Democratici è passata dall’85 all’81% .
Tornando in Italia, comprendere le ragioni di questo spostamento a destra è semplice: basta aprire certa stampa collocata a sinistra, ascoltare politici o intellettuali di sinistra, per assistere a una costante demonizzazione di Israele, compiuta con gli strumenti del revisionismo storico di stampo negazionista e/o terzomondista.
Un campione di questa tendenza è il professor Asor Rosa che proprio ieri, dalle pagine del Corriere della Sera, ha compiuto l’ennesimo transfer revisionista.
Fra i tanti cammei colpisce quello con cui, quasi con un candore, sostiene che se è una vergogna essere antisemiti non lo è essere anti-israeliani: «La solidarietà assoluta alla causa ebraica non cancella il laico diritto di critica alle scelte politiche e ideologico-culturali di Israele».
Buffo no? La metà degli israeliani critica laicamente il proprio governo, così come fa buona parte della diaspora ebraica, senza però divenire anti-israeliani. Del resto anche qui nel nostro Paese, metà degli elettori critica laicamente il governo di turno, senza però divenire anti-italiani.
Perché allora essere anti-israeliani?
Cosa vuol dire essere anti-israeliani?
Significa criticare un governo, una politica, o significa (unico caso al mondo) contestare l’esistenza di uno Stato? Negare il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico così come sancito dall’Onu?
La risposta la dà sempre il Professore con un secondo cammeo quando, con il solito candore e citando se stesso, ci spiega che la nascita di Israele sarebbe un’ingiustizia.
Per fortuna, bontà sua, si perita anche di dirci che non si può «pretendere che all’ingiustizia della fondazione dello Stato d’Israele faccia seguito l’ingiustizia della sua eventuale distruzione e cancellazione».
Chiunque conosca la Storia sa che la nascita dello Stato per gli ebrei, Israele, è stato un atto di giustizia.
Una giustizia tardiva e mal compiuta.
Tardiva e mal compiuta per responsabilità delle potenze coloniali e delle forze arabe nazionaliste che, oltre ad eliminare i leader arabi dialoganti, hanno oppresso il popolo arabo della Palestina Mandataria.
La tragedia della mancata nascita di uno stato per gli arabi nella Palestina Mandataria è totale responsabilità dei regimi arabi.
La tragedia dei profughi è totale responsabilità dei regimi arabi che hanno dichiarato innumerevoli guerre al neonato Stato ebraico e alle minoranze ebraiche interne ai loro Paesi, causando lutti ed esodi: oltre ai 650 mila profughi palestinesi va aggiunto quel milione di ebrei cacciati dalle terre arabe (la cui tragedia sembra invisibile a tanti nobili cuori).
Se il Professore si limitasse a filosofeggiare e sostenere che essere anti-israeliani sia un diritto, ovviamente laico e di sinistra, la nostra rimarrebbe una disquisizione intellettuale, sebbene stravagante e preoccupante.
Ma la sorpresa di oggi è stata un po’ più amara, quasi scioccante:
abbiamo infatti appreso che le dichiarazioni di Claudio Morpurgo, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, sarebbero «un’indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano, e un pericoloso precedente»… come se Morpurgo fosse un capo di stato straniero.
No, Claudio è un cittadino italiano, contribuente ed elettore…
Riassumendo l’Asor-pensiero:
1) come Stato, Israele è l’unico ad esistere ingiustamente;
2) nel mondo tutti possono, laicamente e liberamente, criticare lo Stato di Israele e i rappresentanti delle autoctone e millenarie comunità ebraiche;
3) per contro gli ebrei non possono criticare, obiettare, osservare… sarebbe ovviamente «un’indebita pressione sugli affari interni e sulla politica dello Stato italiano, e un pericoloso precedente».
Complimenti.
Victor Magiar, qui.

Naturalmente nella sinistra estrema è tutto un insorgere a difesa del povero Asor Rosa incompreso e diffamato; lo fa per esempio l’infame Rossana Rossanda, qui se avete voglia di dare un’occhiata: io sono riuscita a procedere per poco, perché la malafede e la perfidia sono a un livello tale da dare il vomito. E poi ovviamente non può mancare il saltimbanco sedicente ebreo, con una faccia di bronzo di uno spessore tale da non temere il rischio della vergogna.

Moni Ovadia, saltinbanco di successo

Per Moni Ovadia, cantore yiddish, il passato buono è Asor Rosa, il futuro possibile Gino Strada. Un saltimbanco di successo che sull’unità censura i mala tempora e a Milano riempie i teatri (anche con Cofferati). Come Benigni, stia attento al suo Pinocchio
MGM – Il Foglio
Roma. Il grande saltimbanco si dice certo che la sinistra in cui lui si riconosce si dissocia dalla kefiah, però resta convinto che l’attuale politica porterà Israele in un cul de sac, per lui il premier, appena rieletto secondo le regole del voto democratico, è un uomo ottuso, imbevuto di odio.
Per lui gli ebrei di Roma, che gli scrivono qualche lettera di critica, hanno una radice “popolare e bottegaia”, sic, poco esercitata al pensiero critico, i rigurgiti di fondamentalismo essendo purtroppo sempre più evidenti, come dimostra anche la brutta storia capitata ad Asor Rosa. Citiamo da recentissima intervista sull’Espresso, nella quale par di cogliere alle intemperanti certezze del grande saltimbanco un qualche imbarazzo nella più accorta intervistatrice, perfino un cedimento quando lui per forza le propina il sogno di fine terapia psicanalitica.
Che sarà mai successo ad Asor Rosa, forse qualcosa di criticabile c’è nell’ultimo libro del pensatore insigne? Il grande saltimbanco il libro non lo ha letto, ahi ahi, però ha capito dalla lettura dei giornali che hanno fatto una cosa indegna, gli hanno dato dell’antisemita a un uomo come lui, anziché aiutarlo a capire, rispettando la sua specchiata storia di democratico.
“Nei lager nazisti, a fianco degli ebrei, sono morti proprio gli Asor Rosa dell’epoca. E quando ricapiterà saranno gli Asor Rosa i primi ad aiutare gli ebrei”. Infatti, per il grande saltimbanco le latenze antisemite sono molto più forti di quanto non si creda.
Ha ragione, si pubblicano impunemente scritti di questo tenore, “Gli ebrei, da razza deprivata, perseguitata e decisamente diversa sono diventati una razza guerriera, persecutrice e perfettamente omologata alla parte più consapevole e spregiudicata del sistema occidentale… gli ebrei hanno rinunciato ai valori della propria tradizione e alla memoria delle proprie sofferenze… hanno perso il carattere di vittime che li ha contraddistinti nella storia”[bello quando gli ebrei erano vittime, eh? Belli i tempi delle pecore al macello, eh? Ah, che nostalgia!]. Firmato Alberto Asor Rosa, è il famoso libro criticato, lui è il famoso democratico di storia specchiata che correrebbe in soccorso, immediato, ieri come oggi.
Il grande saltimbanco pubblica con Mondadori e con Einaudi, case editrici che fanno capo alla famiglia Berlusconi.
Dev’essere con questo peso sulla coscienza, non è proprio lui a dire che l’essere nato ebreo in Bulgaria, dove gli ebrei vennero salvati da deportazione e genocidio, gli ha procurato un senso di colpa incurabile, e dunque continuiamo così, facciamoci del male; con questo peso sulla coscienza va a congressi, convention, riunioni provinciali e nazionali, ovunque insomma la sinistra si riunisca, e dice “sono qui perché voglio essere un uomo libero e non un dipendente di un’impresa”, “contro questa destra non ci si può chiamare fuori”, e ancora “se dall’altra parte c’è un padrone che dice silenzio, qui decido io, allora la vostra litigiosità e le vostre differenze sono un valore aggiunto”.
Nel rispetto delle differenze il grande saltimbanco prima stava sempre con D’Alema, ora con Cofferati ci fa pure serate teatrali a Milano.
Il grande saltimbanco scrive sull’Unità tutte le settimane, una bella rubrica di pace, lui è uomo di pace, crede fermamente che l’uomo sia un progetto etico, per questo la rubrica si chiama “Mala Tempora”.
In quella dell’8 febbraio scorso, con il consueto stile scoppiettante scriveva: “La questione ebraica particolarmente in Italia si sta rimpicciolendo sempre di più, si sta appiattendo sul conflitto israelo-palestinese, non misurandosi responsabilmente con la complessa tragicità di quello scontro doloroso e apparentemente senza via d’uscita… Di questo approfitta surrettiziamente la destra post fascista, ergendosi a nuovo difensore degli ebrei per il tramite di un rapporto acritico e strumentale con l’attuale dirigenza israeliana… La destra, una volta sdoganata dalla sua posizione filoisraeliana, avrà facile gioco a mettere in sinergia il revisionismo con il suo nuovo maquillage filosemita, per confinare l’antifascismo nel quadro angusto di una ideologia vetero comunista, mentre qualsiasi democratico di buon senso sa quanto proprio in questo momento nel nostro paese ci sia vitale urgenza di una profonda consapevolezza dei valori espressi dall’antifascismo” [lo stile dei volantini delle brigate rosse, preciso sputato. Questo lo ha senz’altro scritto lui: gli articoli che gli scrive sua moglie sono decisamente migliori]. Proprio in questo momento.
Il grande saltimbanco sente così forte l’urgenza civile che a ogni suo spettacolo in teatro ci sono i banchetti, gli striscioni, i volontari di Emergency. Al gallerista Guido Guastalla, che gliene aveva finanziato uno, a Livorno, capitò di entrare al teatro “La Gran Guardia” e trovarsi circondato da gadget e volantini. Nessuno lo aveva informato, ci restò male [questa me la ricordo, me l’ha raccontata la figlia di Guido Guastalla, ancora sbalordita da quanto accaduto], ma il grande saltimbanco con il chirurgo di guerra e fondatore di Emergency, Gino Strada, ha un’intesa antica e un sodalizio profondo, che niente può spezzare, figuriamoci il vile denaro di un finanziamento, ci sono altre fonti disponibili. Per il libro di Strada dal titolo “Pappagalli verdi”, il grande saltimbanco fece una prefazione. “Gino Strada arriva quando tutti scappano, quando la guerra esplode nella sua lucida follia… In questo libro mette a nudo le immagini più vivide, talvolta i ricordi più strazianti, le amarezze continue della sua esperienza, profondamente etica, in una fase storica che alcuni definiscono senza più valori… In questi luoghi umani violati e negati, i Gino Strada costruiscono l’umanità possibile del futuro, l’unica possibile”.
E’ vero, basta leggere queste frasi, “Il terrorismo islamico non fa mistero sulle ragioni dei suoi attentati: questione israelo-palestinese, embargo contro l’Iraq, occupazione militare dei luoghi sacri dell’Islam… E’ un fatto che Israele abbia violato sistematicamente le risoluzioni delle Nazioni Unite e abbia trasformato Gaza in un campo di concentramento… Quelli che mettono le bombe nelle discoteche di Tel Aviv sono terroristi, ma lo sono come i soldati di Sharon che lanciano missili su Gaza. C’è anche un terrorismo di Stato. Ed è quello di Israele e degli Stati Uniti”. Parole di Gino Strada, alla Repubblica, sabato 8 febbraio.
Il grande saltimbanco è Moni Ovadia, 57 anni, milanese di adozione e a Milano non più giovane diventato popolare e ricco, cantore e teatrante, regista e attore della cultura ebraica orientale, praticamente un’icona.
Forse tanta fatica dà alla testa, forse la sua vera dimensione resta quella originale, l’umorismo, le grandi barzellette sugli ebrei. Come il Benigni di Beautiful, stia attento a Pinocchio.
20/02/2003, qui.

D’altra parte, come stupirsi, da parte dell’individuo che alla domanda Arafat, secondo lei, è un terrorista?
 risponde Arafat non è un terrorista e chi dice questo è un pazzo. Arafat è il democratico e legittimo rappresentante del suo popolo e che a me ha detto, anzi gridato, testualmente (oltre a vagonate di altre mostruosità) del Monte del Tempio non me ne frega un cazzo! Asor Rosa, Rossanda, Moni Ovadia, Gino Strada culo e camicia coi terroristi ai quali dava sempre la precedenza per cure e interventi chirurgici: come si suol dire, Dio li fa e poi li accoppia. Ma non sarebbe meglio se invece di accoppiarli li accoppasse?
Chiudo con un bel canto ebraico preso dal Salmo 133:
Ecco, com’è bello e soave che i fratelli siedano insieme! Ve lo presento in due diverse versioni: quella di uno degli uomini più belli del mondo

e quella dei soldati israeliani in uno dei film sulla missione Entebbe: tanti fratelli seduti insieme per andare a salvare altri fratelli.

barbara

DAVVERO INCONSAPEVOLE?

Dobbiamo proprio crederci?

Vincitore del Premio Campiello: quanto sono ancora radicati gli stereotipi antisemiti….

I premi letterari italiani di grande prestigio nazionale sono pochissimi e senza dubbio il Campiello è fra questi: nato sessant’anni fa per volontà degli industriali veneti, attribuito in cornice di gala a Venezia, ha laureato fra molti altri celebri scrittori anche Primo Levi (due volte) e Giorgio Bassani. Quest’anno il riconoscimento è andato a un’opera prima (il che non è frequente) di un ventisettenne, Bernardo Zannoni di Sarzana, intitolata in maniera piuttosto enigmatica I miei stupidi intenti.
Si tratta di una specie di fiaba ambientata in un mondo animale fin troppo umano, un po’ alla maniera di Disney: le tane di volpi, cinghiali, faine hanno camere, tavoli, finestre; gli animali parlano, perfino alcuni di loro leggono e scrivono, hanno sentimenti di odio e di amore, nostalgie, sogni, rivelazioni mistiche. Una scrittura molto scorrevole e precisa rende plausibili queste strane circostanze, senza farci cadere nella fantasy. Il protagonista è una faina, un maschio che si chiama Archy, il quale si azzoppa cadendo da un albero, non serve più per cacciare e allora viene venduto a una vecchia volpe, che di professione fa l’usuraia e  all’inizio lo maltratta molto ma poi lo educa nell’arte della lettura, gli insegna una sua bizzarra religione e gli muore fra le braccia. C’è un grande amore, ci sono lotte selvagge, c’è la composizione di un libro, la fame, il sangue, la famiglia. Alla fine Archy morirà ucciso da un suo stesso figlio abbandonato, ma in qualche modo contento per quel che ha imparato della vita.
Insomma uno strano romanzo di formazione, in cui i buoni sentimenti si mescolano a uno sguardo abbastanza lucido sulla durezza della natura. Senza dubbio un lavoro che si può leggere facilmente e che ha una sua originalità nella mescolanza di cultura umana e mondo animale.
Tutto bene, dunque? Purtroppo no, ci sono alcuni dettagli che stonano terribilmente. La volpe usuraia si chiama Salomon, il libro che essa legge è una Bibbia probabilmente ebraica, dato che si citano solo brani della Torà. In questo libro la volpe crede e lo studia continuamente, tanto da citare storie come la punizione dell’uomo che raccoglieva legna di sabato, o le dieci piaghe d’Egitto, o il fatto che “Dio ha quasi fatto uccidere Isacco da Abramo”. Fra l’altro la volpe dice di aver intrapreso la professione di strozzino “poco dopo aver scoperto Dio, grazie ai suoi insegnamenti”. Si cita anche il popolo ebraico, in maniera piuttosto ambigua: “Gli ebrei erano il suo popolo e li faceva combattere con altri che non lo conoscevano o lo ripudiavano”.
Insomma, questa volpe che fa l’usuraio e si chiama Salomon e ha un grande cane feroce che a sua volta si chiama Gioele, appare molto vicina all’immagine che degli ebrei hanno gli antisemiti. I miei stupidi intenti è un romanzo antisemita? Il caso è stato sollevato da Elisabetta Fiorito su Shalom , il magazine della Comunità ebraica di Roma. L’autore intervistato dal Giornale ha negato: “Sono profondamente colpito che la rivista Shalom abbia intuito riferimenti antisemiti nel mio romanzo. Davvero, mi addolora. Ho sempre provato fascino per l’ebraismo, per le sue storie dense di significati, i nomi più belli che esistano a questo mondo. Certo, nel libro ci sono riferimenti a loro, non ne ho potuto fare a meno, nemmeno ho voluto. […] Se qualcuno si è sentito offeso non era mia intenzione e mi dispiace molto”.
Si tratta però di una smentita che non cambia nulla, o forse peggiora il problema. Possiamo certamente credere che Zannoni non si senta antisemita e non voglia esserlo. Resta il fatto però che ha condito il suo romanzo con una dose di pregiudizi e di stereotipi che sono oggettivamente antisemiti: c’è un usuraio di nome Salomon, che magari ha qualche saggezza e bizzarria, ma non esita a fa ammazzare al suo Gioele chi non paga i suoi interessi da strozzo, c’è un’ispirazione assai violenta che gli viene dalla Torà e non, poniamo dai Veda o dal Corano, c’è un Dio presentato come violento e vendicativo: molto di quello che per secoli è stato descritto come la follia e il carattere criminale degli ebrei.
Che Zannoni non se ne sia reso conto e che nessuno dei giurati del Campiello abbia sollevato la questione, mostra quanto questi pregiudizi siano ancora diffusi, ottant’anni dopo la Shoah.
Ugo Volli, qui.

Nessun autore mette a caso i nomi dei propri personaggi: a chi potrebbe venire l’idea si mettere in scena un milanese fiero della propria milanesità da sette generazioni e chiamarlo Gennaro Gargiulo? Così come non sono mai messi a caso certi dettagli: se il mio personaggio è una suora di clausura, tranne il caso che sia una versione aggiornata della monaca di Monza, difficilmente la troveremo intenta alla lettura di Cinquanta sfumature di grigio. È dunque credibile che un Salomon che legge – anzi, studia – la Bibbia e fa l’usuraio sia piovuto nel romanzo per puro caso? È plausibile il suo cadere dal pero noncredevononpensavononvolevo? Davvero non saprei dire se sia peggio il libro o quelle ridicole scuse.
E poi c’è quest’altra.

La “storiella” raccontata da Lorenza Rosso al termine del suo intervento per la giornata europea della cultura ebraica continua a suscitare polemica. La presidente della Comunità ebraica, Petraroli: “Stupita dal basso livello culturale: scriverò al sindaco”.

GENOVA– La barzelletta   che nessuno si aspettava è piombata nel mezzo della mattAnnamaria Coluccia,inata nella sinagoga genovese, durante una delle iniziative organizzate ieri anche nel capoluogo ligure per la Giornata europea della cultura ebraica.

«Una volta un mio amico ebreo mi ha raccontato questa storia: “Sai perché gli ebrei hanno un naso grande? Perché l’aria è gratis”. Ecco, direi che questo accomuna ancora di più questa città a questa comunità». A raccontarla è stata l’assessore comunale ai Servizi sociali Lorenza Rosso, delegata dal sindaco Marco Bucci a rappresentare l’amministrazione cittadina al convegno.

L’assessore si difende: “E’ una battuta razzista? Forse non me ne rendo conto”

di Annamaria Coluccia

GENOVA – Assicura di non aver avuto alcun intento offensivo nei confronti della loro comunità ebraica, e si scusa se le sue parole sono state interpretate diversamente. Ma Lorenza Rosso, l’assessore nell’occhio del ciclone, è anche stupita dalle polemiche provocate dalle sue parole.

– La sua barzelletta ha suscitato sconcerto nella comunità ebraica e sta sollevando molte polemiche.
«Ma non è stato e non voleva essere affatto un affronto. Me l’aveva raccontata un amico, ebreo, che non c’è più, e io volevo mettere in evidenza un atteggiamento che accomuna ebrei e genovesi. Come poteva avere un significato negativo? Allora ho fatto uno sgarro anche a tutti i genovesi?».

– Però c’è chi vi ha letto uno sfondo razzista, antisemita.
«Ma è possibile interpretarla così? Perché magari io non me ne rendo conto».

– Ma non pensa che fosse una barzelletta quanto meno inopportuna in quella giornata e in quel contesto?
«Mi scuso moltissimo se ho offeso qualcuno. Non è proprio il mio essere quello di offendere le culture, e religioni, le libertà in generale. Tutto il discorso che ho fatto credo lo abbia dimostrato, probabilmente sono stata fraintesa. Ho raccontato quella barzelletta in un’ottica di comunanza in una giornata importante. Ho evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città, più di così… Come poteva essere travisata la barzelletta? Non lo capisco. Se lo è stata me ne scuso e se occorre presenterò scuse formali».

– Ma lei si è accorta delle reazioni che aveva suscitato?
«No, assolutamente, nessuno mi ha detto niente. Prima di andarmene sono andata salutare il rabbino, e non mi ha detto nulla».

– Le opposizioni in Comune chiedono le sue dimissioni da assessore.
«Se dovrò dare le dimissioni, le darò. Tutti pensano che io sia attaccata alla poltrona, ma non è affatto così».

(Il Secolo XIX, 19 settembre 2022)

Resta da capire se è tonta a livelli inverosimili o se sta tentando di salvarsi in corner recitando la parte della tonta: per “accomunare” ebrei e genovesi non trova di meglio che tirare fuori uno dei peggiori stereotipi antisemiti, ci aggiunge il nasone come caratteristica fisica attribuita agli ebrei dalla peggiore propaganda antisemita

Qui

(che oltretutto nessuno, che io sappia, ha mai attribuito ai genovesi), e parla di “interpretazione”? Parla di “fraintendimento”? Si vanta addirittura di avere “evidenziato che la comunità ebraica ha anche una funzione sociale in città” (“più di così…”)? Ma che razza di gente abbiamo nelle istituzioni?

barbara