LASCIATE CHE I PICCOLI VENGANO A LORO

E se non ci vogliono andare, portateceli!

Questo l’intervento di un rappresentante della comunità ebraica di Torino

Emanuel Segre Amar

Insieme al Presidente della Federazione Associazioni Italia Israele, Bruno Gazzo, ho inviato questo comunicato all’ANSA e a La Stampa.
Mentre posso comprendere il comportamento dell’Ambasciata di Israele che deve, istituzionalmente, seguire le vie diplomatiche (anche se talvolta apprezzo altre Ambasciate europee che si fanno sentire con forza pubblicamente), mi sento di stigmatizzare il comportamento della presidente dell’UCEI, Noemi Di Segni che ha scelto le vie riservate scrivendo al ministro Valditara una lettera che “deve rimanere riservata”: DEVE RIMANERE RISERVATA? È così che si difendono gli ebrei vivi dall’antisemitismo che aumenta ogni giorno di più anche in Italia? Noemi Di Segni non si tira indietro ogni volta che si parla di Shoah per esprimersi (giustamente) in pubblico, anche se talvolta, o spesso, non nei termini più giusti, ma non fa sentire la voce degli ebrei italiani che sono angosciati per questa manipolazione dei bambini di una II elementare? Mi auguro che tra x anni anche lei passi alla storia dell’ebraismo italiano accompagnata dalle critiche che per sempre accompagneranno i nomi di altri ebrei italiani che hanno ricoperto incarichi ufficiali. E vedo che ogni giorno di più, sono gli amici che condividono questo mio pensiero.

(La signora Di Segni, per inciso, è la signora che in seguito a questa vicenda, si è resa protagonista di questo ameno scambio NOEMI DI SEGNI)

E quest’altro è l’intervento di una persona onesta (sì, qualcuna c’è)

Resta da capire, PRIMO, come sia potuto accadere, SECONDO, perché non sia immediatamente intervenuto il ministro della pubblica istruzione, TERZO, perché l’insegnante non sia stato istantaneamente sospeso. Il fatto di non avere risposta a nessuna delle tre domande ci obbliga a essere molto pessimisti nei confronti del nostro futuro.

barbara

CORSI E RICORSI STORICI

Oltre l’orrore la shoah di Hamas

Ieri, la cronista che credeva di aver capito la storia del terrorismo e dell’antisemitismo ha dovuto girare pagina: niente è come era, il male ha una sua nuova incarnazione, che si è rivelata sabato 7 ottobre. Siamo fino al collo dentro una guerra nuova, inusitata, e se non ci difendiamo ne saremo travolti come da uno tsunami. Sull’onda infuocata dell’antisemitismo Hitler distrusse quasi tutto il mondo. Ma durante la Shoah i nazisti nascondevano lo sterminio degli ebrei, ci sono voluti anni per individuarne la dimensione e la crudeltà. I pervertiti terroristi di Hamas si sono messi sulla fronte le telecamere, hanno filmato il loro genocidio gestito con fantasia ad personam, yehud yehud, bambino per bambino, ragazza per ragazza, per poi postarlo su Tik Tok, Instagram, Facebook. Hanno documentato come davano fuoco ai bambini davanti agli occhi della madre e viceversa, come violentavano le ragazze e poi le ammazzavano, come stupravano le bambine e le vecchie in pigiama e sventravano le donne incinte, come hanno tagliato la testa a centinaia di persone e non contenti poi hanno usato le armi più taglienti per farle a pezzi e strappargli gli occhi.
Ieri, la nostra visita di vari gironi dell’inferno ha avuto la sua voragine più profonda prima di scendere al sud, nella base militare di Shura, una struttura rudimentale, all’aria aperta, in cui quello che si scorge arrivando sono file di container bianchi numerati, e alcune tende semichiuse in cui si lavora in silenzio. Entrano ed escono militari indaffarati e uno di loro, sotto il container ALLU 17024, denominato anche mecolà 10, ci spiega: “In tutti questi frigoriferi sono accumulati centinaia e centinaia di corpi ancora non identificati a causa dei roghi, delle torture, delle mutilazioni cui sono state sottoposte. Parlate piano, non fate tanto rumore”, chiede il colonnello Chaim Wisberg anche al gruppo di parlamentari europei guidati da Elmet, l’organizzazione che guida la loro missione di solidarietà e che mi ha aiutato nella visita: “Abbiamo tre modi di identificare per portare le persone a degna sepoltura riconsegnando i corpi alle famiglie disperate. Ancora tanti cercano, senza trovarli, i loro cari. Il primo modo è quello diretto, il secondo con l’esame della dentatura, il terzo col DNA. Purtroppo, il primo sistema, dato quello che i terroristi hanno fatto, non si può quasi mai praticare. I resti sono stati trovati nei posti più disparati, è stata una semina infinita di corpi ovunque, e poi amorosamente suddivisi in sacchi con numeri. Si cerca di rimettere insieme parti che Hamas ha tagliato: oltre alle teste, anche genitali, braccia, piedi, mani. I cadaveri delle donne violentate arrivano pieni di fratture ovunque. Prima di capire che un troncone era di una donna e del suo bambino insieme bruciati e seviziati, c’è voluto molto studio”. Vediamo nei container, da cui aprendoli esce il gelo a nuvole e l’odore della morte perché ormai i giorni sono passati e non si riesce a identificare tante creature, sacchi a centinaia, di tutte le dimensioni, tutti sistemati per grandezza. I volontari sono quieti e gentili, tutti in divisa. Sheryl spiega: “Cerchiamo la dignità, la memoria umana di quei poveri resti, in un orecchino da restituire alla famiglia, nelle bellissime unghie curate di qualche ragazza di cui non rimane quasi nient’altro… sistemiamo piano piano piano quel che c’è, con amore. Con ordine. I parenti che vogliono almeno seppellire i loro cari, qui entrano solo coi risultati certi del DNA”.
Per la strada, verso sud, ogni cespuglio parla, racconta la mostruosa sorpresa del sabato 7, L’esercito è ormai schierato lungo il confine sud, ci avvertono mentre siamo diretti a Kfar Aza che l’esercito ha proibito quell’obiettivo perché c’è una sospetta incursione terrorista; facciamo un giro largo per arrivare a Be’eri, la maggiore vittima della mattanza, che confina con Re’im, il kibbutz a fianco del quale si è svolta la festa dell’eccidio, quella in cui sono stati ammazzati almeno 260 ragazzi che ballavano, e da cui ne sono stati rapiti una buona parte dei 222 rapiti, e alla cui folla appartengono un gruppo degli scomparsi, fra i 100 e i 200. Numeri enormi. A Re’im, la grande tenda bianca stracciata, le masserizie, gli stracci, il nero dell’erba bruciata dagli spari e dalle battaglie è una belva in agguato: i fossi erano, ci dicono i militari, pieni di ragazzi uccisi. L’erba su cui sono fuggiti invano ha il colore del tradimento, e il giallo è più giallo, il nero del bruciato definitivo. A Be’eri il comandante Golan, un campione di umanità che in Turchia ha salvato 19 persone dopo l’ultimo terremoto, un esempio tipico dell’umanità di quei kibbutz tutti umanitari, liberali, amici degli arabi, ci mostra con parole ancora stupefatte, interrogative, le case bruciate con le famiglie intere chiuse dentro, esplose fino a mandare in briciole i tetti stessi, racconta che ha trovato il corpo carbonizzato di un suo poliziotto d ha raccolto il telefono anche contro la prassi perché la scritta sullo schermo diceva “amore mio”, e ha detto alla moglie dell’ucciso che il suo caro non c’era più. “Non volevo che aspettasse settimane l’identificazione”.
Le trincee in cui avevano tentato di nascondersi i fuggitivi della festa sono diventate fosse comuni; giovedì un membro del congresso americano ha trovato insieme a lui ancora un corpo in mezzo a quella pazzesca confusione di pietre pallottole, armi e pickup abbandonati da Hamas. Mentre parliamo si spara forte intorno. Non ti preoccupare, dice, sono spari nostri. Eitan Dana, il capo operazioni locale, restituisce il senso della bella Israele che ha lottato come un leone sorpreso e ferito: il suo migliore amico, comandante Elhanan e suo fratello, con la jeep sparando all’impazzata avanti e indietro ha salvato decine di persone, e poi è stato ucciso. È solo un esempio: la gente si è sacrificata senza risparmio, ha difeso col suo corpo famiglia e sconosciuti, correndo sempre in aiuto, dando la vita. Una grossa jeep armata dei terroristi ha intorno di tutto, chiavi, medicinali vari, pallottole speciali, si dice anche droghe, e cittadini di Gaza che ancora oggi, si afferma, tengono nelle loro case private gli ostaggi. Ecco, per loro batte il cuore di Israele: un gruppo di genitori e di figli e nipoti dignitoso, calmo, con le foto strette al petto dei loro ragazzi, dei loro nonni, ci incontrano per chiedere che si faccia tutto, qualunque cosa, per mettere la liberazione dei loro cari al primo posto. Ci raccontano il loro dolore impossibile Keren disperata, stretta al petto la foto della sua Mia che abbiamo visto ferita in tv, Shelly Shem Tov che come ultima notizia di suo figlio 22enne Omer ha l’immagine del rapimento sul pickup e poi più niente; Dalit prega per la zia, lo zio, il cugino, tutta la famiglia Katzir rapita, la figlia del 79enne Haim Peri dice “Presto. Non abbiamo tempo!”.
Prima di lasciare Be’eri, in un asilo nido letteralmente inondato di sangue, rosso, un lago fra i balocchi, ho chiesto il permesso di raccogliere un foglio con uno di cuori di plastilina che fanno i bambini. Il comandante mi ha detto “lo tenga come pegno, l’hanno prossimo qui sarà di nuovo pieno di bambini che restituiranno la vita a questo kibbutz, alla scuola, a quel bambino”. Per questo però, bisogna sconfiggere i mostri.
FIAMMA NIRENSTEIN, Il Giornale, 24 ottobre 2023 – secolo XXI d. C.

Così dice il Signore: «Per tre colpe di Gaza, ma specialmente per la quarta non la lascerò impunita: per aver consegnato i fuggiaschi ad Edom, rendendo il loro esilio completo. Scaglierò il fuoco contro le mura di Gaza e divorerò i suoi palazzi. Sterminerò gli abitanti di Ashdod e i governanti di Ashkelon, calerò la Mia mano su ‘Ekron e periranno i superstiti dei Filistei». Dice il Signore Iddio.
AMOS, 1:6-7 – secolo VIII a. C.

E per Shira Shohat, 19 anni, bruciata viva, non la lascerò impunita

E per Naama, 19 anni, attivista per la pace e per l’amicizia tra i popoli, di cui da quasi tre mesi non abbiamo notizie, non la lascerò impunita

E per la famiglia Bibas, inghiottita dalle sue spire infernali, non la lascerò impunita

E per avere inventato atrocità israeliane per scatenare l’odio non la lascerò impunita

E per avere abbandonato i propri vecchi indifesi in mezzo alla battaglia senza cibo e senz’acqua non la lacerò impunita

E per avere trasformato le sue scuole, i suoi ospedali, le sue moschee, le sue abitazioni civili in obiettivi militari non la lascerò impunita

E per la corruzione dei suoi propri bambini non la lascerò impunita

E per avere sparato sulla propria gente che tentava di riprendersi ciò che le veniva rubato non la lascerò impunita

E per i suoi propositi genocidi non la lascerò impunita

E per avere trasformato questo

in questo

non la lascerò impunita

Ma specialmente per ciò che ha fatto ai miei figli deportati non la lascerò impunita

Sharon Nizza

COSA SAPPIAMO DAGLI OSTAGGI RAPITI DA HAMAS A GAZA IL 7 OTTOBRE 2023

113 rapiti su circa 250 sono tornati in Israele finora. Piano piano, molto piano, cominciano a parlare. Ogni giorno viene rilasciato un pezzetto di questa macchina dell’orrore. La maggior parte non se la sente, non si è ancora ripresa dallo shock di aver appreso, solo al ritorno a casa, che non avevano più una casa, nella migliore delle ipotesi, o un marito, una madre, i vicini di casa, centinaia di compagni del Kibbutz… Sono stati catapultati in un mondo nuovo, in una società che è profondamente diversa dall’ultima volta che l’hanno vissuta, fino al 6 ottobre. Sono poi vincolati nei loro racconti per non mettere a rischio gli altri 129 ostaggi ancora a Gaza, in molti casi i loro compagni. Ci vorranno mesi, anni, per mettere insieme questa storia, per curare questa ferita, per superare il trauma. E la paura rimarrà a lungo sempre dietro l’angolo.
Qui, a partire del 15 dicembre 2023, annotero’ spezzoni dei racconti che stanno emergendo (in ordine dal più al meno recente).
Mia Shem a Channel 12, rilasciata dopo 54 giorni: rapita dal rave party, dopo che le avevano sparato a un braccio. Dopo 3 giorni a Gaza è stata operata senza anestesia e il chirurgo prima di iniziare l’operazione le ha detto: “Non tornerai mai viva a casa”.
La rapita Ofelia Roitman, 78 anni a Channel 12: “Quando mi hanno rapita mi avevano sparato ed ero ferita a una mano. Mi hanno caricata su un trattore. Arrivati a Gaza mi hanno portata dentro a uno dei tunnel. Nel tunnel c’era una stanza attrezzata come una sorta di ambulatorio. La dottoressa (palestinese) ha detto, in inglese, ‘l’ebrea non la curo'”. Il team che mi aveva portata lì l’ha costretta a curarmi. Da lì, dopo km di tunnel, mi hanno portata in una casa privata, mi hanno vestita da musulmana. Mi hanno interrogata, sposata, quanti figli, volevano i numeri di telefono e io ho detto che non ricordavo. Mi hanno sempre tenuta isolata, per 47 dei 53 giorni. Non c’era quasi nulla da mangiare. Loro mangiavano, li vedevo. L’appartamento in cui stavo era un punto di lancio di missili. Quando un missile colpiva un obiettivo in Israele, c’erano festeggiamenti, specie quando colpivano Tel Aviv e Beersheva. Quando sentivo i bombardamenti israeliani ero contenta. Non avevo paura. Facevo ogni volta un mio piccolo festeggiamento”. Ofelia aveva alcuni fogli e una penna e ha razionato lo spazio per poter scrivere qualcosina tutti i giorni, in spagnolo, sua lingua madre.
La rapita Yaffa Adar, 85 anni, (il nipote Tamir, 38 anni, ancora ostaggio) a Ilana Dayan: “Il secondo giorno, uno dei terroristi che ci teneva mi ha fatto vedere un estratto dalla TV israeliana in cui si parlava di me. C’era la mia foto in TV e il mio pronipote che piangeva. Loro erano contenti perché sentivano di avere tra le mani una celebrità”. “Ogni mattina cantavo Andrea Bocelli dentro di me per andare avanti”. “I rapitori cercavano di parlare con me di politica, su Bibi, la situazione interna, ma io non ho mai dato seguito, facevo l’ingenua”.
Yaffa, dopo due settimane in isolamento, è stata trasferita all’ospedale dove erano tenuti altri ostaggi (tra cui Doron Katz, di cui sotto).
“Quando sentivamo i bombardamenti (israeliani) ridevamo ‘alla fine moriremo per il fuoco amico’ ci dicevamo”. “Uno dei momenti in cui ho avuto più paura è stato quando ci stavano per consegnare alla Croce Rossa: la folla cercava di assalire il nostro van, ci lanciavano pietre”. “Ero disconnessa dalle mie emozioni, ed è quello che mi ha dato le forze di far fronte a questi 49 giorni. Ci ho messo giorni per piangere”. “Non sono più la Yaffa di ieri”.
La rapita Doron Katz Asher a Channel 12: è stata tenuta in ostaggio per tutto il tempo della prigionia (49 giorni), con le due figlie di 2 e 4 anni, in una stanza di ospedale a Gaza. Solo una tenda, seppur sigillata, la separava dai civili palestinesi che avevano trovato rifugio nell’ospedale, ma non ha tentato l’approccio per via delle minacce di ritorsione sulle figlie se avesse cercato di parlare con qualcuno.
La rapita Sapir Cohen, rilasciata dopo 55 giorni a Gaza (Il suo compagno Sasha Trupanov è ancora ostaggio), rivela alcuni momenti del rapimento dal Kibbutz Nir Oz e della prigionia: “Si sentiva solo Allahu Akbar, spari e le urla delle gente che veniva uccisa. (…) Arrivati a Gaza siamo stati presi d’assalto dalla folla, mi hanno spento sigarette addosso, bastonato. (…) Durante la prigionia ho provato sempre a parlare con i terroristi, volevo conoscerli, alcuni altri rapiti erano contrari a questo mio approccio, ritenevano fosse pericoloso”.

La fine di Sodoma e Gomorra, al confronto, dovrà sembrare uno scherzo. Poi, una volta concluso il lavoro, ci saranno due parole da dire anche a qualcun altro.

barbara

CROCE ROSSA, UN FILM GIÀ VISTO

E per inquadrare il già visto, faccio un breve passo indietro, cominciando col riproporre la mia recensione a questo libro, scritta quasi vent’anni  fa per Ebraismo e dintorni.

UN VIVO CHE PASSA

Sconvolgente intervista di Claude Lanzmann, regista, tra l’altro, del film “Shoah”, a Maurice Rossel, all’epoca delegato della Croce Rossa Internazionale. Nel 1943 lo mandano ad Auschwitz, unico, forse, non addetto ai lavori a mettere piede nel cuore dell’inferno – a titolo personale, beninteso, poiché la Croce Rossa è autorizzata a visitare solo i campi per internati militari e non quelli per internati civili. Ebbene, il signor Rossel, mandato all’inferno per vedere che cosa vi succeda, entra e … non vede l’inferno. Non solo non vede camere a gas e forni crematori, cosa che possiamo anche immaginare senza troppa difficoltà, ma non vede neanche i treni, non vede i camini, non vede il fumo, non sente l’odore delle tonnellate di carne umana bruciata (“Le baracche militari o cose simili hanno sempre un cattivo odore. Ma se mi parla di odore di carne bruciata, di cose di questo tipo, altri le hanno sentite o viste, io non ho visto nulla”).
A Theresienstadt invece arriva con una delegazione ufficiale, invitata dalla dirigenza nazista per porre fine alle chiacchiere su presunti maltrattamenti agli ebrei. Il suo compito è perfettamente chiaro: “Se ero inviato, ero gli occhi, dovevo vedere, e dovevo, se si vuole, cercare di vedere al di là, se c’era qualcosa da vedere al di là”. Deve cercare di “vedere al di là” perché c’è il forte sospetto che si tratti di una messinscena, di una visita organizzata e programmata dalle SS. E riesce, questa volta, a vedere? Oh sì, eccome se riesce a vedere, e anche “al di là”! “Quello che subito mi ha infastidito è stato anche l’atteggiamento degli attori israeliti”. Gli dispiace, davvero, con tutto il cuore, di dover parlar male di gente che tanto ha sofferto, ma c’è poco da fare, i fatti sono fatti: “… israeliti, e lo penso ancora, che a colpi di dollari, a colpi di versamenti in Portogallo, arrangiavano la loro situazione e si permettevano di durare. Perché, lei lo sa quanto me, alcuni israeliti ricchissimi hanno avuto persino visti di uscita firmati da Himmler”. Si irrita per la passività degli ebrei, “molto difficile da mandar giù”. E il suo rapporto finale, consegnato al Comitato Internazionale della Croce Rossa, è tutto un fiorire di “gradevole” e “soddisfacente”. L’unica cosa sgradevole, insomma, a Theresienstadt, erano gli ebrei, così fastidiosamente ricchi, così passivi da non mandargli neanche una strizzatina d’occhio piccola così: ah, questi incorreggibili ebrei!
Claude Lanzmann, Un vivo che passa. Auschwitz 1943 – Theresienstadt 1944, Cronopio

E proseguo con questo mio vecchio post.

CROCE ROSSA O BASE DI HAMAS?

Protesta: Quartier generale della Croce Rossa o base di Hamas?
di Hillel Fendel

La notte scorsa un gruppo di cittadini preoccupati ha organizzato una protesta davanti agli uffici della Croce Rossa a Gerusalemme, chiedendo di porre fine a ciò che chiamano la “vergogna” che sta avendo luogo nel cuore della capitale.
Tre leader di Hamas, temendo di essere arrestati o espulsi dalle autorità israeliane, si sono rifugiati negli uffici della Croce Rossa, presso il quartiere Shimon HaTzaddik/Sheikh Jarrah. Da più di due mesi stanno ricevendo visite, concedendo interviste alla stampa e, in generale facendo come se fossero in casa propria, sia dal punto di vista personale che professionale.
David Ish-Shalom, che ha organizzato la protesta, ha detto a INN TV: “La polizia e il governo in questo momento stanno concedendo ai leader di Hamas un rifugio sicuro a 100 metri dal Quartier Generale della polizia nazionale – proprio mentre Hamas programma, forse da questo stesso posto, altri attacchi terroristici come quello perpetrato la settimana scorsa, in cui quattro ebrei sono stati uccisi e altri due feriti.”
“Siamo qui per dimostrare sia contro il governo israeliano che contro la Croce Rossa” ha dichiarato un altro manifestante, il dott. Aryeh Bachrach, dell’Associazione vittime del terrorismo. “Come può il governo continuare a tollerare questa situazione, in cui viene dato asilo politico nel cuore del Paese ai leader di Hamas? … Allo stesso tempo la consideriamo una inaccettabile vergogna per la Croce Rossa, che dovrebbe essere un’organizzazione neutrale che lavora per la pace, il fatto di non pretendere con forza il diritto di visitare Gilad Shalit, mentre nello stesso tempo ospita e fornisce aiuto e asilo ai leader della stessa organizzazione che lo sta tenendo prigioniero. È un’ipocrisia che non possiamo ignorare”. (07.09.2010, qui [l’articolo originale non è più reperibile], traduzione mia)

Da più di due mesi, dice. In effetti alcuni giorni, in questi due mesi, mi è capitato di non leggere il giornale. Dev’essere stato in quei giorni lì che la notizia è stata pubblicata. Perché è stata pubblicata, vero?

E quest’altro, che queste cose magari non tutti le sanno

MI RACCOMANDO, NON SPARATE SULLA CROCE ROSSA

Che la Croce Rossa è una cosa buona e giusta e serve solo per cose buone e giuste, come è documentato anche qui e quindi spararci su è una cosa brutta e cattiva. E meno che mai sparate se si tratta della Croce Rossa dell’Onu, che è una cosa ancora molto più buonissima e giustissima della Croce Rossa normale perché l’Onu è quella cosa buonissima, onestissima, superpartissima che serve per portare la pace nel mondo.

Bello, vero? In effetti è abitudine inveterata dei palestinesi quella di usare le ambulanze per trasportare armi e terroristi. Poi il mondo si indigna se Israele “rallenta i soccorsi” fermando le ambulanze per perquisirle. Suggerisco poi, per chi avesse tempo e voglia, la lettura di questi altri due post, uno e due (quest’ultimo molto lungo, ma se avete tempo ne vale la pena).
Mi ricordo poi di quando, dopo che la Mezza Luna Rossa è stata incorporata nella Croce Rossa Internazionale, è stato chiesto di incorporarvi anche la Stella di Davide Rossa, e il presidente della CRI ha risposto: “E perché non anche la svastica allora, già che ci siamo?”

Ecco, questo era il passato. E questo è il presente:

Già, la vecchia baldracca non si smentisce mai.
E guardate anche questo

Giusto a proposito: dov’è Save the children? Sempre dalla parte dei terroristi anche loro, eh?
Poi, vogliamo partecipare anche noi al gioco delle 5 dita?

Concludo con la preghiera collettiva dei soldati che si accingono a entrare in Gaza – sapendo che sicuramente parecchi di loro non ne usciranno vivi ma sapendo, anche, che è necessario, e che se tocca morire ne sarà comunque valsa la pena.

barbara

UN PO’ DI COSE SPARSE

L’ordine in cui le pubblico è quasi sempre quello in cui le ho trovate in rete, quindi senza alcun ordine logico.. Prima di iniziare la carrellata dell’attualità propongo, per chi ha tempo e voglia, due mie esperienze di viaggio presso il confine di Gaza (uno e due) per dare un’idea delle posizioni. E ora proseguo con le cose che ho raccattato in giro.

Deborah Fait

Copiato adesso da Clara Banon Kirschner.
Per radio adesso parlavano di un bambino di 8 anni ed una bambina di 6 ..nascosti in un armadio per 13 ore. In cucina giacevano morti i genitori e la sorellina in fasce.

Due bambini nascosti in un armadio: ricorda niente?
E per esempio anche

E magari mettiamoci anche questi “prigionieri di guerra”

E non a caso

Nota per chi non fosse troppo addentro in questo genere di cose: quello che hanno in mano e che si accingono a lanciare, è un aquilone con attaccato un ordigno incendiario da lanciare, da presso il confine, in territorio israeliano per distruggere boschi e campi coltivati.

E visto che siamo in tema di confronti, dopo i bambini vediamo ora due vecchie: una vecchia ebrea

e una vecchia palestinese di Gaza

E poi lui

אוליאל מאיר

Il nostro ragazzo
Il più riuscito, il più bello, il più divertente, il più eroe
Hai lottato fino all’ultimo minuto per salvare 30 dei tuoi amici, hai portato i tuoi amici nelle forze di sicurezza e sei andato a combattere, hai ucciso dei terroristi. Grazie a te tutti vivono.
Guy Shami, un eroe è nato e ucciso a Kibbutz Reim 2003-2023

E a proposito di morti, un aggiornamento dei dati (risalente comunque a parecchie ore fa)

Emanuel Segre Amar

I morti ufficialmente sono saluti a 700 (ma saliranno ancora di molto) ed i feriti a 2156.
Senza considerare i rapiti e i dispersi.

E poi

Emanuel Segre Amar

Trovata la carta d’identità di un terrorista: aveva il permesso di lavoro in Israele.
Mi auguro che nessuno entri mai più in Israele da Gaza se nato prima del 7 ottobre 2023

Secondo me neanche nato dopo: quelli nati dopo hanno pur sempre genitori, che li crescono e li “educano”, nati prima del 7 ottobre 2023. Qualcuno insiste a dire che non sono tutti terroristi, ma quelli che per strada gridavano Allahu akhbar sputando sul cadavere della donna seminuda assassinata, non erano combattenti, erano cittadini comuni. Andrebbe ricordato a coloro che continuano a strepitare sulla distinzione fra combattenti e civili.

E naturalmente fra chi strepita non poteva mancare quella cloaca a cielo aperto di Amnesty International, la cui prima missione, da sempre, sembra essere quella di combattere contro Israele, poi magari, se resta tempo, anche contro le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani nel mondo.

Emanuel Segre Amar

Ecco che i nostri storici nemici iniziano già a combattere Israele ed i suoi diritti:
Amnesty International ha emesso questo comunicato vergognoso (per non dir di peggio):
Amnesty International ha sollecitato le forze armate israeliane e i gruppi armati palestinesi a compiere ogni sforzo per proteggere le vite dei civili.
“Siamo profondamente preoccupati per il numero di civili uccisi a Gaza (GIÀ, I PRIMI NELL’ORDINE, VERO?), in Israele e nei Territori palestinesi occupati e chiediamo a tutte le parti coinvolte di rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario ed evitare ulteriori bagni di sangue”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International.
“Attaccare volutamente civili e portare a termine attacchi sproporzionati (SOLITA FRASE USATA CONTRO ISRAELE) e indiscriminati che uccidono o feriscono civili sono crimini di guerra. Israele ne ha commessi a ripetizione (E DAI), impunemente, nelle precedenti guerre contro Gaza [e guai al mondo a parlare delle guerre di Gaza contro Israele]. I gruppi armati palestinesi devono smetterla di prendere di mira, come già fatto in passato e ancora di più oggi, la popolazione civile israeliana e porre fine all’uso di armi indiscriminate (SICURAMENTE HAMAS LA SMETTERÀ): queste azioni, a loro volta, costituiscono crimini di guerra”, ha aggiunto Callamard.
La rappresaglia [ma quanto piace, alle merde naziste, chiamare rappresaglie le risposte israeliane agli attacchi terroristici, in modo da poterli apparentare ai nazisti] di Israele contro Gaza ha causato, secondo il ministero della Salute palestinese, almeno 232 morti e quasi 1700 feriti (CHE PENA CHE MI FANNO). Gli organi d’informazione e il ministero della Salute israeliani hanno riferito di almeno 250 morti e oltre 1500 feriti a causa degli attacchi dei gruppi armati palestinesi (SONO OVVIAMENTE CITATI IN SECONDA FILA).
Le forze armate israeliane hanno informato la stampa che civili israeliani (minorenni inclusi) e soldati sono stati catturati e presi in ostaggio dai gruppi armati palestinesi: si tratta di azioni proibite dal diritto internazionale umanitario, che possono costituire crimini di guerra. Tutti i civili presi in ostaggio devono essere rimessi in libertà immediatamente. Tutti, in ogni caso, devono essere trattati con umanità e ricevere cure mediche (HAMAS UBBIDIRÀ).
Le cause profonde di questi ripetuti cicli di violenza devono essere affrontate con urgenza. Ciò significa rispettare il diritto internazionale e porre fine all’illegale blocco israeliano nei confronti di Gaza, in vigore da 16 anni, e a ogni altro aspetto del sistema israeliano di apartheid vigente contro tutta la popolazione palestinese (SOLITA MANFRINA; LA COLPA È DI ISRAELE).
Il governo israeliano deve cessare di incitare alla violenza e di alimentare tensioni nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme occupata, soprattutto nei siti religiosi (E DAI).
Amnesty International ha sollecitato la comunità internazionale a intervenire urgentemente per proteggere le popolazioni civili e impedire ulteriori loro sofferenze (VEDO GIà GLI UOMINI, TIPO UNIFIL, CORRERE PER SOCCORRERE I CIVILI NASCONDENDOSI NEI RIFUGI AL PRIMO ALLARME).
MA PER FAVORE, A.I.

Poi, a proposito di sproporzione:

08/10/23, ore 19

Israele, il bilancio sale a 700 morti e 2.100 feriti
Non si ferma il tragico conto delle vittime in Israele. Secondo l’ultima nota diffusa, i decessi sono 700 e i feriti oltre 2.1000. La maggior parte sono Civili.
“Hamas è stato più barbaro e più brutale dell’Isis”, ha detto il generale Daniel Hagari. “Lasciatemi essere chiaro: Israele risponderà con determinazione e forza a questi crimini di guerra immotivati”
Sul lato palestinese invece si contano 413 decessi.

Col piccolo dettaglio che i morti palestinesi sono nella stragrande maggioranza terroristi combattenti.

E ora una voce direttamente dalla carneficina

Durante l’assalto, Lanternari e la sua famiglia hanno fatto ricorso alla camera anti-razzo della propria abitazione, rifugio utilizzato da molti israeliani per ripararsi dagli attacchi [grave imprecisione, dettata da ignoranza, del giornalista: nella zona intorno a Gaza tutte le case devono avere obbligatoriamente una stanza bunker]. Ha riferito di aver osservato circa quindici miliziani avvicinarsi alla sua casa, obbligandolo a chiudere ogni possibile accesso. “Abbiamo visto una quindicina di miliziani dalla mia finestra venire verso la nostra casa e venire a sparare, abbiamo chiuso tutto”.
Nonostante il terrore, a Quarta Repubblica ieri sera ha raccontato con una certa lucidità gli eventi, descrivendo come i miliziani, armati di Kalashnikov e vestiti di verde, si trovassero proprio di fronte alla sua abitazione. Le grida in arabo e il suono delle pallottole che colpivano i muri della sua abitazione costituivano lo sfondo sonoro di quella terribile giornata. Eppure, alla fine, è stato proprio una camera di sicurezza dotata di finestra in piombo anti-missile a salvare la vita di Lanternari e della sua famiglia. “C’è una finestra, fatta con lastre di piombo ed antimissile. Hanno provato ad aprirla da fuori e non ci sono riusciti. Ma lì ho avuto paura.”
Una volta terminato l’assalto, la devastazione era ovunque. “Siamo usciti e abbiamo trovato la casa distrutta: hanno preso le mie due auto, ma non mi interessa. L’importante è la nostra vita.” Conclude Lanternari, attualmente insieme a molti residenti del suo kibbutz radunati nei bunker antimissile. (Qui)

Per questi altri invece serve il “C’era una volta”: c’era una volta una bella famiglia di cinque persone

(io ci sono stata a Nir Oz. E chissà che sorte sarà toccata a quel contadino).

E c’era anche, fra tutte quelle centinaia di persone, questa ragazza

e non si possono non ricordare le parole di Mordechay Horowitz

«Gli arabi amano i loro massacri caldi e ben conditi…e se un giorno riusciranno a “realizzarsi”, noi ebrei rimpiangeremo le buone camere a gas pulite e sterili dei tedeschi….».

Mentre loro, come dopo ogni mattanza di ebrei, festeggiano con la consueta distribuzione di dolci

Ancora un paio di notizie

Maria Teresa Leone

Cittadini americani e britannici, fra i morti e gli ostaggi in Israele.

Si deciderà finalmente qualcuno a muoversi, a capire che in gioco non c’è “solo” Israele?

Ilda Sangalli Riedmiller

Sono stati trovati 240 corpi di giovani che partecipavano ad una festa all’aperto TUTTI UCCISI DA HAMAS

E una considerazione

Onan il Barbaro
8 Ottobre 2023, 12:03
La Russia attacca l’Ucraina ed è colpa della Russia.
Hamas attacca Israele ed è colpa di Israele.

E sul fatto che la colpa sia di Israele (violazione delle risoluzioni Onu e della fantomatica “legge internazionale”, assassinio a sangue freddo di bambini e neonati, assedio di Gaza, apartheid e tutte quelle cose lì, you know) sembrano concordare una consistente parte dei frequentatori dei social, oltre che una buona fetta di politici, perché se camminando per strada ti casca un testa un vaso di gerani, ci puoi giurare che è colpa dei famigerati ebrei. E quindi, per la nota proprietà transitiva dei vasi comunicanti a corrente alternata secondo il principio di Archimede e nel rispetto del teorema di Pitagora, di Israele.

Concludo con questo straordinario video, per dare un segno di speranza, e per ricordare due persone meravigliose che non ci sono più

barbara

SEMPRE SIANO LODATI I SERVIZI SOCIALI

Ora e sempre nei secoli dei secoli.

A 15 anni scappa dai genitori affidatari e fa ritorno a casa

SCHIO/ROVIGO. A casa dei genitori affidatari non voleva più starci. E non perché lo trattassero male, ma semplicemente perché, nonostante le difficoltà e i momenti non sempre facili, voleva riabbracciare mamma e papà (quelli veri). Così, l’altro giorno, un ragazzino di 15 anni, affidato a una coppia di Schio, senza dire niente, ha preso le sue cose; quindi il treno e poi l’autobus, ed è tornato a casa sua, in provincia di Rovigo.
Ad allontanare il quindicenne dai genitori naturali era stato un decreto del tribunale per i minorenni dopo avere ricevuto la relazione dei Servizi sociali dell’Ulss 5 Polesana. Ma il caso, come tutti quelli che comprendono famiglie problematiche e ragazzi molto giovani, hanno mille sfaccettature e una lettura tutt’altro che univoca. «Mio figlio si è messo in pericolo pur di tornare a casa, facendosi molti chilometri da solo sui mezzi pubblici», denuncia la mamma dello studente. Che poi aggiunge: «Sebbene personalmente non condividessi il decreto di allontanamento che a mio avviso è invasivo e irreale, ho cercato di parlare con lui e di convincerlo a tornare a Schio, ma lui è stato irremovibile». Lui, insomma, voleva tornare a casa. Come aveva ripetuto anche agli assistenti sociali che stanno seguendo il suo caso, quando lo hanno ascoltato nel giugno scorso. «Lì (riferendosi alla famiglia affidataria) – aveva detto il quindicenne – si sta bene, c’è sempre qualcosa da fare. Andrà senz’altro bene per altri ragazzi». Ma evidentemente non per lui che continua a ritenere “casa sua” quella di Rovigo dove ci sono mamma e papà.
Del caso si sta occupando anche la onlus Ccdu – Comitato dei cittadini per i diritti umani. A rappresentare i genitori del ragazzo è l’avvocato Francesco Miraglia. «La decisione dei servizi sociali di allontanare il ragazzo è un’ammissione della loro incapacità di aiutare il ragazzo senza disgregare la famiglia. Questa vicenda mette in luce tutte le criticità di un sistema di tutela minorile di matrice psichiatrica che non funziona», dichiara Fabiola Pasin, della sezione Friuli e Veneto orientale del Ccdu. «Nella relazione dei servizi si legge che il ragazzo aveva manifestato più volte la sua contrarietà all’allontanamento e in momenti di fragilità in cui si era sentito «annichilito ha avuto reazioni forti ed enfatizzate, con pianti ricorrenti, chiedendo di vedere i genitori». Eppure il Servizio ha continuato a sostenere, anche nell’ultima relazione, la correttezza dell’allontanamento, sebbene tale decisione fosse stata presa solo perché «aveva dei bisogni ai quali i genitori non riuscivano a rispondere» in totale assenza di motivazioni di una gravità tale da portare a un provvedimento come la disgregazione di una famiglia, che dovrebbe essere l’extrema ratio», conclude la rappresentante del Ccdu. Intanto, ieri, l’avvocato Miraglia ha inviato una comunicazione ai Servizi sociali chiedendo che «il ragazzo e la famiglia vengano finalmente ascoltati e si predisponga un progetto efficace per aiutare questo ragazzo nella sua famiglia».
Tanto la mamma quanto il papà, già subito dopo l’allontanamento del figlio si erano detti pentiti di avere accettato la decisione dei Servizi sociali e che erano pronti a riaccogliere il ragazzo a casa. Un desiderio che avrebbero espresso più volte e che ritorno anche nella relazione che gli assistenti sociali dell’Ulss 5 hanno redatto.
M.B. (Qui)

Più si leggono notizie sui servizi cosiddetti sociali, più si ha l’impressione che la loro unica ragione di vita sia quella di distruggere le famiglie e annientare i bambini, magari obbligandoli con minacce e violenze fisiche e psicologiche a inventare abusi mai esistiti per poterli poi strappare alle famiglie e affidare ad amici pedofili.

barbara

ANCORA LE MANI SUI BAMBINI

Balenciaga fonde bambini e sadomaso e il problema sono i troll di destra?

Per i colti progressisti (soliti mandare al rogo chiunque esca dal politicamente corretto) non è esecrabile il contenuto perverso della campagna di moda, ma il popolo bue che non lo capisce

L’hashtag #balenciaga si è abbattuto su Twitter proprio quando Balenciaga ha levato le tende (dopo l’arrivo di Elon Musk) dal social: «Questo account non esiste», eppure da giorni vive in milioni di discussioni. Come se il problema fosse solo l’ormai famigerata campagna natalizia Gift Shop della maison tutta bambini piccolissimi che stringono orsetti imbracati in «outfit ispirati al BDSM» (acronimo di Bondage, Dominazione, Sadismo, Masochismo, il virgolettato è di Balenciaga, non di @giannibigotto72), tra giocattoli e accessori per adulti, scatti di Gabriele Galimberti.

I bambini tra i giocattoli fetish di Balenciaga

Come se il problema fosse solo l’altra campagna, Gard-Robe, quella realizzata in collaborazione con Adidas, dove nel caos di fogli sparsi su di una scrivania newyorkese, sotto una iconica borsa Hourglass, compare uno stralcio della United States v. Williams, sentenza della Corte Suprema che nel 2008 decise che la promozione di pedopornografia non fosse protetta dal diritto alla libertà d’espressione, scatti di Chris Maggio.
O gli scatti in uffici governati da modelle d’eccezione come Isabelle Huppert, Bella Hadid o Nicole Kidman dove trova posto, dietro a gambe in tacco a spillo allungate sulla scrivania, As Sweet as It Gets un libro sull’arte di Michaël Borremans, celebre autore di Fire from the Sun, ciclo di dipinti che raffigurano bimbi nudi insanguinati (in alcune immagini intenti a mangiare arti amputati), e un libro sui lungometraggi del Cremaster Cycle di Matthew Barney, un mix di cinema, arte, performance e videogiochi a tema sessualità e indeterminatezza del genere (da “cremastere: muscolo dell’apparato genitale maschile che regola innalzamento e abbassamento dei testicoli in relazione agli stimoli esterni”), scatti di Joshua Bright.

Per i “colti” il problema è la destra trumpiana

Il problema è di cosa stiamo parlando quando si parla di queste fotografie. E spostare l’obiettivo della discussione dal bambino ai detrattori di Balenciaga. «Ce n’è abbastanza per eccitare ed allarmare i cospirazionisti di Facebook e di TikTok, assetati di indizi demoniaci e di messaggi occulti. Bazzecole da social, sì, ma un certo scoramento viene. Anche una simile montagna di idiozie, in fondo, ha avuto il suo peso nel violento attacco contro Balenciaga», scrive Artribune dopo una altera lezioncina all’utente bigotto e ignorante su arte, moda, fotografia e performance degli artisti “omaggiati” dalle campagne.
«Come spesso accade negli Stati Uniti, le accuse inizialmente avanzate da utenti qualsiasi online sono state riprese da diversi media di destra molto seguiti, come il New York Post e il programma di Fox News “Tucker Carlson Tonight”, che negli ultimi anni ha dato moltissimo spazio alla teoria del complotto QAnon, secondo cui le élite che controllano la politica e i media adorerebbero Satana e gestirebbero un giro internazionale di prostituzione minorile», rincara il Post, non fosse chiaro che se c’è un problema sta tutto negli occhi dei cospirazionisti che guardano quelle foto e ci vedono il diavolo.

Il fotografo Galimberti: «Io di moda non ne capisco nulla»

Anche Gabriele Galimberti, il fotografo “per caso” della campagna fetish, attacca i canali «vicini alla destra trumpiana» (il virgolettato è di Repubblica, che l’ha intervistato), accusandoli di avergli attribuito anche gli scatti di Gard-Robe («Qui mi danno del pedofilo. Come ti difendi da un’accusa del genere, anche se priva di fondamento?») e alzando le mani sui suoi scatti ai bambini con i peluche bondage: «Io di moda non ne capisco nulla, non ho mai fatto un lavoro del genere. Ho dato per buono quello che mi dicevano. Anche perché il mio ruolo sul set non era decidere la linea stilistica del brand: ero il fotografo, e basta». Il vincitore del World Press Photo 2021 che è solito ricevere incarichi da National GeographicSunday TimesSternGeoLe Monde e, ovviamente, La Repubblica, spiega infatti: «Io non ho avuto voce in capitolo sulla scelta degli oggetti, sui bambini selezionati – sei, tutti figli di dipendenti Balenciaga o amici di Demna -, sulle location. Non ero parte in causa delle decisioni, nel senso che è stata tutta una scelta loro».
Demna è Demna Gvasalia, direttore creativo della maison del Gruppo Kering (1,76 miliardi di euro di ricavi nel 2021) – bastonato anche dalla sua musa Kim Kardashian in quanto «madre di quattro bambini» -, che dopo essersi scusato sul profilo Instagram a nome del brand, dichiarando Balenciaga pienamente responsabile di avere abbinato orsetti sado e bambini nella prima campagna e di avere omesso controllo degli oggetti sul set nella seconda, ha fatto causa per 25 milioni di dollari per danni d’immagine alla casa di produzione North Six che si è occupata di fornire gli oggetti di scena di quest’ultima. La tesi assurda del direttore è che nessuno in Balenciaga li avesse visti e approvati. Intanto Business of Fashion ha deciso di non conferirgli più il Global Voices Award 2022.

Allusioni sataniste diventano “montagna di idiozie”

Campagne ritirate, il problema resta: nelle fotografie che gli utenti rimpallano da un angolo all’altro dei social, stampa ed élite progressiste – che pure li usano abitualmente per fare processi e lanciare l’allarme sessismo, razzismo, omofobia, transfobia in qualunque caso mandando al rogo carriera e reputazione di chiunque esca dal perimetro del politicamente corretto – non vedono che questo: il popolo bue.
Un popolo di infervorati che di arte, fotografia, libera espressione e complessità non capisce niente. Che si mostra disturbato davanti a uno shooting in cui compaiono disegni da bambini del diavolo e bracciali in cui Balenciaga diventa Baalenciaga (da qui la summenzionata “montagna di idiozie” innescate da chi ha fatto notare che Baal è il nome di un demone a cui venivano sacrificati i bambini, altrimenti chiamato “Signore delle mosche”). O che sulla scia dello scandalo si permette di ripescare dall’account Instagram (oggi chiuso al pubblico) di Lotta Volkova – per anni punta di diamante di Balenciaga, «la più cool delle stiliste» – immagini (d’autore di grandi artisti e fotografi, of course) che mostrano rituali satanici, bambini in adorazione di teschi o legati alle sedie, scene di omicidi, sangue e sadismo. Il popolo bue che organizza manifestazioni di dissenso sminuzzando con le forbici abiti Balenciaga.

Il caso Balenciaga diventa un caso di troll

Deliri da conspiracy fashion, ci spiegano i colti del settore, «L’unica lezione che si può trarre da questa faccenda, che ha assunto contorni spropositati e grotteschi, è che si possono suonare le campane a morto per il tentativo culturale messo in atto dalla moda di far coesistere l’alto e il basso, lo streetwear e le maison, il giudizio popolare con quello della critica. La complessità non può essere ridotta a un’immagine semplicistica, a un tweet di 240 battute, a una story che dura ventiquattro ore e poi scompare. Essere capaci di riflettere, interrogarsi e informarsi richiede più tempo di quello che serve per esprimere un giudizio sommario, e digitarlo prima di tutti gli altri», scrive Linkiesta. «Internet è pieno di troll», rincara il New York Times.
I troll, ancora una volta sono loro i mostri morali della vicenda: la presenza sulla faccia dei social e della terra di troll così sforniti di complessità e intelligenza progressista da non riconoscere un “tentativo culturale” quando ne vedono uno. Vestito di top a rete, polsini, cinghie regolabili e lucchetti, e tenuto al guinzaglio o tra le braccia candide di una bambina di quattro anni.
Caterina Giojelli, 02/12/22, qui.

Non solo fluidi, non solo ipersessuati, non solo in costante crisi di identità: anche perversi e pervertiti li volete per poterli usare meglio, branco di luridi maiali. La cosa giusta per voi è stata scritta un paio di millenni fa: “Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.” Ma più che altro di rei che è meglio per noi, e soprattutto per i bambini. E se avete bisogno di una mano per sistemare la macina, fate un fischio che arrivo.

barbara

LE MANI SUI BAMBINI

Ancora e ancora e ancora. Senza tregua, senza misericordia. Perché rendono tanti tanti tanti soldi.

Ci dicono “segui la scienza”, poi cancellano maschi e femmine

Le scuole e gli istituti di medicina hanno abbracciato il trans attivismo e gli scienziati che sollevano dubbi sono messi alla gogna

“Seguite la scienza”, si sente ripetere ogni giorno. Tranne che sulla realtà più autoevidente, il sesso biologico. E’ la storia raccontata oggi da Katie Herzog sulla newsletter dell’ex giornalista del New York Times, Bari Weiss: “Le scuole di medicina ora negano il sesso biologico. I professori si scusano per aver detto ‘maschio’ e ‘femmina’. Gli studenti controllano gli insegnanti. Ecco come appare quando l’attivismo prende il sopravvento sulla medicina”.

Il trans attivismo sta diventando consenso scientifico. Secondo l’American Psychological Association, “sesso alla nascita” è ora considerato “denigratorio”. Il National Institutes of Health, il CDC e la Harvard Medical School hanno cancellato il sesso biologico e abbracciato l’identità di genere. L’American Academy of Pediatrics ha raccomandato i pediatri di “affermare” il genere scelto dai pazienti senza tenere conto della salute mentale, della storia familiare, dei traumi o della pubertà.

Uno degli esempi più famosi è quello di un medico ed ex professore alla Brown University, Lisa Littman. Ha messo in dubbio che tutti i casi transgender oggi siano legati a una effettiva disforia. E ha coniato il termine “disforia di genere a rapida insorgenza” per descrivere questo fenomeno. Ha ipotizzato che potrebbe essere una sorta di contagio sociale. Littman ha pubblicato i suoi risultati in un saggio. Littman, la rivista e la Brown University sono stati virtualmente presi a calci con accuse di transfobia sulla stampa e sui social. In risposta, il giornale ha annunciato un’indagine sul lavoro di Littman. Diverse ore dopo, la Brown University ha emesso un comunicato che denunciava il lavoro della professoressa. La carriera di Littman è stata distrutta per sempre. Non insegna più alla Brown e il suo contratto al dipartimento della salute dello stato del Rhode Island non è stato rinnovato. 

Littman non è la sola. Gli attivisti hanno preso di mira Ray Blanchard e Ken Zucker a Toronto, Michael Bailey della Northwestern e Stephen Gliske dell’Università del Michigan per aver pubblicato ricerche ritenute “transfobiche”.

Allan Josephson, l’ex capo della Divisione di Psichiatria e Psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza dell’Università di Louisville, è stato retrocesso dalla sua posizione dopo che gli attivisti dell’università hanno protestato contro la sua messa in discussione del trattamento transgender per i bambini. In Inghilterra, la Tavistock Clinic ha licenziato David Bell dopo che ha scritto un rapporto interno in cui affermava che “i bisogni dei bambini vengono soddisfatti in modo deplorevole e inadeguato e alcuni vivranno con conseguenze dannose” a causa dei trattamenti medici transgender.

Paul R. McHugh, uno dei più illustri psichiatri americani sulla questione transgender, in una intervista a Public Discourse ha appena detto: “Sono stupito dalla quantità di potere e di armi che ha dietro di sé ora, con il governo e la legge e persino le organizzazioni mediche che lo sostengono, ma sono assolutamente convinto che questa è una follia e che crollerà”.

Poi ci saranno da calcolare i danni che avrà arrecato nel suo cammino questa “scienza” che altro non era che una forma di oscurantismo.
Giulio Meotti, 27/07/2021

Il transgender sui bambini è un esperimento umano indegno della civiltà

In Inghilterra il fenomeno è fuori controllo. Le cliniche ufficiali trascinate in tribunale da chi si pente. E quelle illegali prescrivevano anche online gli ormoni ai minori

Un medico inglese che gestiva una clinica transgender senza licenza e dove somministrava ormoni per il cambio di sesso ai bambini è al centro di un caso nazionale finito in tribunale, racconta il Times. La dottoressa Helen Webberley, che ha fondato la clinica Gender GP, è accusata di aver “trattato” illegalmente 1.600 bambini dalla sua casa in Galles. Webberley si difende dicendo che la domanda è esplosa. Eloquenti i dati pubblicati sul sito del Servizio di Sviluppo dell’Identità di Genere: se nel biennio 2014-15 è stato “riassegnato” il sesso a 649 bambini, nel biennio 2018-19 il numero è lievitato a 2.364. 

Esiste a Londra una clinica del servizio sanitario nazionale perfettamente legale e specializzata nel cambiare sesso ai bambini. Si chiama Tavistock ed è anch’essa al centro di un caso giudiziario. Keira Bell è nata femmina, ma si sentiva maschio e adolescente ha iniziato l’iter farmacologico per cambiare identità sessuale. Le sono stati rimossi i seni con un’operazione pagata dal servizio sanitario nazionale, ma oggi è pentita e vorrebbe tornare indietro. Keira, racconta la BBC, si è ora unita in una causa contro il Tavistock intrapresa dalla madre di una ragazza autistica assistita dalla clinica e da una psichiatra che ha lavorato nella struttura: “Non voglio che altri bambini soffrano come me”.

Intanto anche lo psichiatra David Bell, pioniere e presidente della British Psychoanalityc Society, a lungo dirigente della Tavistock Clinic di Londra, è finito in causa con la clinica, dopo che ha compilato un rapporto interno in cui si riportavano le preoccupazioni di molti medici della clinica per il modo in cui si trattavano bambine e bambini. Quel rapporto gli è costato un’azione disciplinare, a cui hanno fatto seguito le sue dimissioni. Intervistato dal Guardian, il dottor Bell si è detto sconcertato e incredulo, perché “normalmente sarebbero rotolate delle teste”. Era una questione di coscienza. “Non potevo andare avanti così … non potevo più vivere così, sapendo del cattivo trattamento che veniva riservato ai bambini”. E invece è toccato a lui difendersi.

Perché mettere in discussione l’identità di genere è oggi tabù. Save the Children, ma non quella originale che ha appena abbracciato la transizione sessuale dei bambini. La School Diversity Week, una campagna sostenuta dal ministero dell’Istruzione di Gavin Williamson e adottata da migliaia di scuole, prevede l’insegnamento transgender ai bambini a partire dai cinque anni.

L’Inghilterra è oggi il teatro di una forma di ingegneria medico-sociale.
Giulio Meotti, 29/07/2021

E mi raccomando: armiamoci tutti e corriamo a fare la guerra a Orban. Quanto a Save the children

barbara

I BAMBINI LO SANNO

che cosa significa libertà:

E torna irresistibilmente alla mente il video che mostra le donne afghane, immediatamente dopo la ritirata dei talebani, strapparsi di dosso i burqa e buttarli tra le fiamme. Piccolo sacrificio, sostiene qualcuno: con la mascherina cancello la parte più identificativa della mia persona. In cambio di un grande vantaggio, viene aggiunto: ancora tutto da dimostrare, secondo molti.

barbara