IERI È STATO YOM HAZICHARON

il giorno del ricordo dei soldati caduti per difendere Israele. Come Jonathan Elazari

Negli ultimi sette mesi il numero è aumentato in maniera spaventosa; vale tuttavia la pena di ricordare che

E se è triste vedere tanto odio scatenato contro Israele, è però di notevole conforto sapere che sono solo antisionisti, non certo volgari antisemiti.

Così come siamo sicuri è che è solo per distrazione, non certo per cattiveria o, diocenescampieliberi, malafede che l’UNRWA è stata beccata a rubare e vendere gli aiuti umanitari.
Concediamoci ancora qualche secondo per riflettere su una domanda retorica,

e poi filate tutti di corsa a leggere o, per gli amici di più vecchia data, rileggere qui (anche i commenti. E guai a voi se vi azzardate a non guardare il power point).

Forza Israele, resisti e distruggi tutti i tuoi nemici (e sbrigati a finire, che quando arrivo preferirei evitare di beccarmi un missile in testa).

barbara

UN VECCHIO RICORDO

scaturito da un episodio recente. L’episodio è l’oscena premiazione di questa foto,

il ricordo è quello di un video ispirato alle vicende della guerra in Jugoslavia. Quelli che compaiono nel video sono attori, i morti sono morti finti, il sangue è sangue finto, il cinismo è recitato, ma i fatti sono autenticissimi. Tranne, temo, l’ultima scena, nella quale non credo possano riconoscersi molti dei giornalisti attivi in quella guerra. E sicuramente non vi si riconoscerà nessuno dei giornalisti complici dei carnefici di Gaza.

barbara

NOI L’ABBIAMO SEMPRE SAPUTO

Noi che sapevamo come stavano le cose.

APRILE 2005 

Intervista con una colona [non sarebbe meglio residente?] di Gush Katif

Il mensile in lingua tedesca edito a Gerusalemme, “Israel Heute”, nel suo numero di aprile pubblica un’intervista con Rachel Saberstein (64 anni, madre di 3 figli e nonna di 9 nipoti), una residente nel blocco di insediamenti di Gush Katif, nella striscia di Gaza.

– Shalom, signora Saberstein! Lei vive qui con suo marito, Moshe, a Neve Dekalim, nel blocco di insediamenti di Gush Katif. Da quando vive qui? E come si sente in questi giorni, sapendo dell’imminente sgombero della striscia di Gaza?
Siamo arrivati a Gush Katif nel 1997, dopo essere immigrati dagli USA in Israele nel 1968. Siamo venuti qui per motivi ideologici e per di più con il pieno sostegno del governo israeliano. Ma dal 2000 qui si vive sotto il fuoco continuo dei terroristi palestinesi. Nonostante questo, abbiamo tenuto duro. E adesso chi ci caccia è proprio il governo israeliano, cosa che ai terroristi finora non è riuscita…

– Che cosa pensa del piano di ritiro di Ariel Sharon?
Nessuno ci ha chiesto niente! Ed era stato proprio Ariel Sharon ad assicurarci che noi siamo la spina dorsale della nazione, eroi che combattiamo al fronte più avanzato, e che Gush Katif e Tel Aviv sono una stessa cosa. Fino a che, nell’ottobre scorso, alla radio sentiamo dire il contrario: che mettiamo in pericolo il paese. Personalmente, sono sconvolta nel vedere con quanta facilità si possano cacciare degli ebrei dalla loro terra ebraica, in spregio ad ogni convinzione che Israele sia la patria degli ebrei. C’è ancora qualche speranza per gli ebrei nel mondo?

– Crede ancora che qualcosa possa arrestare il ritiro in luglio?
Qui abbiamo vissuto ogni giorno con molti miracoli. Nei quattro anni e mezzo di intifada sono morti in tutto tre lavoratori esterni, due soldati e un colono, e questo sotto la continua grandine dei razzi. Avrebbero potuto essere centinaia! Se Dio avesse voluto cacciarci via di qui, avrebbe avuto abbastanza possibilità. Io continuo a credere che Dio troverà una via per farci uscire da questa situazione.

– Come reagirà allo sgombero? Con la violenza?
Noi dimostreremo, ma la violenza verrà dalle unità dell’esercito e della polizia. Hanno ricevuto per questo la necessaria autorizzazione. Zippi Livni ha perfino emanato una legge a questo scopo, con la quale sarà facilitato l’arresto dei dimostranti e i bambini potranno essere strappati ai loro genitori senza che ci si possa opporre. La fine di ogni democrazia!

– Distruggeranno la sua casa, come è avvenuto nel 1978 a Yamit, nel Sinai?
No, le nostre case saranno messe a disposizione dei leader di Hamas e delle autorità palestinesi come residenze invernali. I profughi palestinesi continueranno ad essere tenuti nei lager come capri espiatori. Le nostre sinagoghe saranno riciclate in moschee e le scuole in luoghi di addestramento per aspiranti terroristi [in realtà sono state immediatamente incendiate e distrutte non appena l’ultimo ebreo è uscito da Gaza]. Quanto ai cimiteri, i parenti dovranno prelevare le ossa dei loro morti e riseppellirli, cosa che secondo le leggi ebraiche halacha richiederà altri sette giorni di cordoglio Shiva. Dove e quando questo avverrà, fino ad ora non lo sa nessuno.

– Lei ritiene che la striscia di Gaza sia parte della Terra promessa?
E’ una striscia di terra promessa da Dio alla tribù di Giuda. Questo è stato sempre un luogo di presenza ebraica. La storia di Sansone si è svolta qui, le zimrot per lo Shabbat di Israele Najjora sono state redatte qui. Dopo la distruzione del secondo Tempio molti ebrei sono venuti nella striscia di Gaza, e nel 1492, sotto l’inquisizione spagnola, è stata il punto di ritrovo di molti ebrei in fuga. [A parte questo, Gaza è stata “occupata” in una guerra di difesa, sottraendola all’Egitto che l’aveva illegalmente occupata nel ’48; diversi residenti, poi, si erano trasferiti qui dopo lo sgombero forzato dal Sinai regalato all’Egitto nel ’79 in cambio del trattato di pace. Fra questi c’era la famiglia Fogel, strappata dal Sinai, risistematasi a Gush Katif, strappata da Gush Katif e risistematasi in Giudea, e qui sterminata da un eroico resistente palestinese, compresa Hadas, di 3 mesi, sgozzata nella culla]

– Lei sa già come andrà a finire?
No, qui nessuno lo sa. Non abbiamo un’altra residenza, non abbiamo case né posti di lavoro. Gli agricoltori del posto hanno fatto contratti per anni con l’Unione Europea, con importi anche di milioni di euro, e adesso non potranno mantenerli, cosa che alla fine danneggerà anche l’economia israeliana. Posso aggiungere anche un’altra cosa? I bambini di Gush Katif si incontrano una volta alla settimana con un Rabbi su un grande spiazzo erboso e pregano i salmi. Se qualcuno gli chiede perché lo fanno, rispondono: “Preghiamo Dio che il signor Sharon non ci cacci dalle nostre case.” Preghi anche lei per noi, che sia ebreo o no, affinché a nessun ebreo sia fatta una cosa simile!”

Molte grazie per questa intervista, signora Saberstein.

(Israel Heute, aprile 2005)

Prima il traditore Rabin, odiato, più che da ogni altro, dai palestinesi onesti, che lui ha fatto invadere dai “terroristi di Tunisi”, come li chiamavano loro, ossia tutta la cricca di Arafat: se agli israeliani gli accordi di Oslo hanno portato lo scatenamento di un terrorismo di dimensioni mai viste prima, ai palestinesi onesti hanno distrutto la vita, annientato il futuro, disintegrato ogni speranza di coesistenza pacifica con Israele. E dopo il traditore Rabin è arrivato il traditore Sharon, con la sua deportazione di ottomila ebrei da Gush Katif, la cui conseguenza, prima una sorta di guerra civile a Gaza e poi guerra terrorismo morte e distruzione in Israele, era prevedibile e prevista, dopo che il ritiro unilaterale dal Libano aveva fatto moltiplicare a dismisura il terrorismo sulla Galilea e la consegna dell’intero Libano nelle mani prima della Siria, poi dell’Iran tramite hezbollah (Clic, qualche ulteriore informazione nei commenti). E che il prezzo da pagare per questa criminale follia sarebbe stato altissimo, lo sapevano anche loro, i lavoratori palestinesi di Gush Katif.

GIUGNO 2005

Palestinesi contro il ritiro da Gaza

Un redattore di “Israel Heute” ha parlato con alcuni lavoratori palestinesi in Gush Katif sul piano di sgombero israeliano

Non sono soltanto i coloni ebrei di Gush Katif a temere il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza, ma anche i loro lavoratori palestinesi. Più di 3.000 palestinesi che lavorano ogni giorno nelle piantagioni israeliane pregano Allah di impedire a tutti i costi il piano di ritiro di Ariel Sharon. «Se gli ebrei lasciano la striscia di Gaza, io perdo il mio posto di lavoro», dice a “Israel Heute” Dscherbil (34 anni) di Chan Yunis, nel sud della striscia di Gaza. «Da più di 12 anni lavoro nelle piantagioni israeliane, dirigo più di 30 operai. Dal mio datore di lavoro israeliano ricevo 20 euro al giorno, tre volte di più di quello che riceverei da un datore di lavoro palestinese in Gaza.» Dschebril e i suoi colleghi di lavoro ci comunicano quanto è depresso lo stato d’animo tra i lavoratori palestinesi alla vigilia dello sgombero.
Molti di loro lavorano già da molti anni negli insediamenti ebraici che dovranno essere evacuati nei prossimi due mesi. «Quando i coloni ebraici perderanno le loro case, noi perderemo il nostro posto di lavoro», ci confida Mohammed (30 anni), che abita non lontano dal suo amico e collega di lavoro Dschebril. «Sono cresciuto in queste piantagioni e non posso immaginarmi una vita senza il mio lavoro. In Gaza non c’è lavoro e se veramente le case e le piantagioni non verranno distrutte dopo il ritiro, è garantito che noi non riceveremo niente. [Facile profeta: un miliardario ebreo americano le aveva acquistate dagli israeliani, per un miliardo di dollari se ricordo bene, per regalarle ai palestinesi, in modo che potessero conservare il lavoro e magari, i più esperti, diventare imprenditori al posto degli israeliani. Immediatamente dopo il ritiro-deportazione degli israeliani, sono state completamente distrutte] Andrà a finire tutto sotto le grinfie della direzione dell’OLP», spiega Mohammed.
Mohammed, Dschebril, Adel e altri palestinesi che da anni possono testimoniare di una pacifica collaborazione con i coloni ebrei, hanno perso fiducia nella direzione palestinese e israeliana. Contro il fatto che la direzione palestinese è corrotta, non possono farci niente. Della situazione di crisi in cui si trova oggi la popolazione palestinese, attribuiscono tutti la responsabilità a Israele. «Se Israele non avesse fatto accordi con il defunto Rais, Führer Yasser Arafat, la nostra sofferenza non sarebbe stata così grande», dichiara Adel, che ha lavorato quasi 20 anni nell’agricoltura ebraica in Gush Katif. «Ebrei e arabi possono vivere insieme; ci ricordiamo tutti degli anni ’70 e ’80, fino allo scoppio della prima intifada nel 1987. La direzione OLP di Tunisi ci succhia il sangue e la popolazione è delusa di lei.»
Poiché la direzione dell’OLP è così corrotta, il popolo cerca un rifugio alternativo e per la frustrazione cade nelle spire di Hamas. «Invece di parlare con il popolo, avete trattato con un uomo di nome Arafat che ha mandato tutto in rovina», dice Dschebril. «Oggi l’OLP paga fino a 200 euro se si vota lui e non Hamas. Ma adesso nessuno si fida più dell’OLP. Dove sono tutti i soldi che la direzione dell’OLP ha ricevuto negli ultimi 10 anni da USA, Europa, Giappone e Cina per lo sviluppo dell’Autonomia? E’ sparito tutto nelle casse dell’OLP a Tel Aviv.»
Per i lavoratori agricoli palestinesi nella enklave ebraica Gush Katif soltanto un miracolo può impedire l’evacuazione degli insediamenti ebraici. «Non appena i miei datori di lavoro ebrei saranno evacuati, i miei figli ed io mangeremo la polvere», dice Mohammed, che incolpa Ariel Sharon per il furto del suo lavoro e del suo stipendio mensile. Di una cosa sono sicuri tutti e tre i palestinesi: il piano di ritiro di Sharon non cambierà in meglio la vita dalla parte israeliana e da quella palestinese. Adesso i coloni e i palestinesi sperano in un miracolo, perché tutti dipendono dal successo dell’agricoltura in Gush Katif, nella striscia di Gaza. «Ci completiamo a vicenda, il mio datore di lavoro ebreo ha bisogno di me nella sua piantagione e io ho bisogno di lui nella striscia di Gaza», ci dichiara Adel sorridendo, ma con voce triste. A.S.

Dolorose concessioni in nome della pace

La pace, obiettivo fondamentale della tradizione ebraica, è da sempre l’obiettivo politico esplicito dello Stato di Israele. Israele ha cercato a lungo di arrivare alla pace con i suoi vicini arabi e in particolare con i palestinesi. La grande sfida nel fare la pace risiede nel fatto che si tratta di un processo che si auspica non si concluda semplicemente con la cessazione delle ostilità tra ex nemici, bensì con l’inizio di un nuovo rapporto di coesistenza. L’obiettivo ultimo di Israele è stabilire relazioni di buon vicinato con il futuro stato palestinese.
Sullo sfondo di più di quattro anni di stragi terroristiche, Israele ha avviato il suo piano di disimpegno dalla striscia di Gaza e parte della Cisgiordania settentrionale allo scopo sia di migliorare la propria sicurezza [e abbiamo visto quanto sia migliorata], sia di rimettere in moto [RImettere? Perché, quand’è che era stato in moto?] il processo di pace con i palestinesi. Affinché abbia la possibilità di funzionare, il piano richiede un considerevole sacrificio da parte di circa 1.700 famiglie, per un totale di circa 8.000 persone, che dovranno lasciare le case e le attività che si erano costruite nell’arco di vari decenni [e questo è stato il criminale errore di tanti governi israeliani: la pace si dà in cambio di pace, non di terra, perché se sei pronto a cedermi terra, io ne chiederò sempre di più – considerando oltretutto che TUTTA la tua terra è esattamente il mio obiettivo. In secondo luogo si fa con chi la vuole, non con chi la usa come strumento di ricatto, perché chi cede una volta al ricatto, ne resterà schiavo per sempre. In terzo luogo si fa con chi ha in mano la situazione ed è in grado di far funzionare gli accordi stipulati. Con l’Egitto, anche se sempre di pace freddissima si è trattato, ha funzionato perché Sadat comandava, e comandava solo lui. Quando hai a che fare con un’accozzaglia di tribù e capitribù, nessuno ha il diritto di essere così stupido da illudersi che funzionerà. E meno ancora quando hai a che fare con una cultura in cui la pace col nemico non esiste e i contratti che stipulo valgono fintanto che mi fa comodo e non un minuto di più].
Nell’immediato, sono questi israeliani delle colonie che dovranno pagare gran parte del prezzo per la pace. Erano stati incoraggiati dai precedenti governi israeliani ad insediarsi su terre aride e trascurate per trasformarle in case, giardini e fattorie con lo stesso spirito pionieristico che a suo tempo contribuì a creare le basi dello Stato di Israele. Ora viene chiesto loro di abbandonare queste realizzazioni in nome di un bene più grande.
Molti di loro, arrivati nella striscia di Gaza come giovani coppie, devono ora affrontare il trauma di lasciare le proprie case insieme a figli e nipoti per i quali la striscia di Gaza è stata terra natale e unico luogo di residenza in tutta la loro vita.
Ecco a che cosa gli israeliani stanno rinunciando in nome della pace [in nome della favola della pace, a cui nessuno di loro, nessuno dei deportati ha creduto, perché l’età delle favole e della befana e della fata dei dentini è passato da un pezzo]. Complessivamente lo sgombero dei 25 villaggi ebraici israeliani dalla striscia di Gaza e di parte della Cisgiordania settentrionale significa che:

  • devono essere chiusi 42 centri assistenziali day-care, 36 asili, sette scuole elementari e tre scuole superiori;
  • 5.000 scolari devono inserirsi in altre scuole;
  • devono essere smantellate 38 sinagoghe;
  • 166 aziende agricole israeliane devono essere chiuse, con la perdita di posti di lavoro anche per 5.000 palestinesi;
  • 48 sepolture del cimitero ebraico di Gush Katif devono essere riesumate e trasferite in Israele, comprese quelle di sei abitanti uccisi da terroristi.

“Come si può vedere – conclude il ministero degli esteri israeliano – Israele sostiene con i fatti i propri impegni verbali ed è pronto a pagare un prezzo doloroso in nome della pace” [sulla pelle dei propri cittadini. Vaffanculo].

(MFA, 28 luglio 2005)

barbara

E ANCHE SE LE TENEVANO COPERTE

con un grande e spesso tendone, alla fine si scoprì che tutte le pentole erano prive di coperchio, e fu dunque chiaro chi era il costruttore.

Vi ricordate quella storiella che il nemico era hamas e non i palestinesi? E che Israele doveva evitare a qualunque costo di colpire i civili palestinesi e limitarsi – non si sa bene come, ma non importa – a colpire unicamente i terroristi di hamas? Beh, contrordine compagni, quella cosa lì non vale più:

Biden to Netanyahu: ‘Ironclad Support’ for Israel, But No Support for Eliminating Hamas Leaders in Rafah

Non solo non si devono eliminare i cosiddetti civili, non importa se complici attivi di hamas, non importa se carcerieri e seviziatori e stupratori degli ostaggi deportati da Israele, non importa se partecipanti al massacro del 7 ottobre; non solo non si devono eliminare i generici appartenenti a hamas, non importa quanto grondanti di sangue siano le loro mani, no: non si devono eliminare neanche i leader di hamas. E perché non si devono eliminare? Semplice: perché se non ci sono più loro, chi organizzerà la prossima mattanza di ebrei, chi organizzerà la prossima strage di ebrei, chi organizzerà i prossimi stupri di donne ragazze bambine ebree, chi tenterà, per l’ennesima volta, di portare a termine il lavoro di Hitler?
Ha la vista lunga il vecchio Biden, eh?

barbara

UN PO’ DI ROBA CHE SUI MEDIA PASSA POCO

La miseria la fame la carestia l’emergenza umanitaria

Quelle centinaia di migliaia di studenti o sedicenti tali che in tutto il mondo manifestano a tempo pieno come mai prima si erano visti manifestare, per nessuna causa, e urlano apertamente, molto più che l’amore per la Palestina, l’odio per Israele, l’ebbra felicità per il massacro del 7 ottobre, la volontà di distruggere Israele e sterminare tutti gli ebrei: vi siete chiesti perché? Beh, sicuramente ricorderete il suggerimento di Giovanni Falcone per trovare il bandolo degli inghippi: ecco, la strada è quella. Non che non l’avessimo capito, ma adesso abbiamo anche le cifre.

E poi ci sono gli altri, da cui loro sono diversi. Molto diversi

Leggo poi su Repubblica:

I giovani che lottano per Gaza e il disagio degli universitari ebrei: le due facce della Columbia


Due domande: non è un tantino riduttivo parlare di “disagio” per dei ragazzi costretti a seguire le lezioni online perché se escono dalle loro stanze vengono pestati? Non è un tantino riduttivo parlare di disagio per dei docenti a cui viene materialmente impedito di fare lezione, anzi, di accedere all’università? Ma soprattutto: “lottano” in che senso? Ecco, qui possiamo averne un’idea – tenendo presente che questo video è di 5 mesi fa, ancora lontani dal raggiungere l’acme

Mi piace concludere con queste immagini dello scorso dicembre in cui un parlamentare turco proclama che Israele non riuscirà a sfuggire alla collera di Allah, e appena pronunciata l’ultima parola crolla a terra colpito da infarto

barbara

LA VOCE DELL’IRAN

Quest’altra invece è la voce di Biden che raccomanda agli israeliani a non attaccare Haifa.

E se questo tipo di effetti della demenza suscita il riso, altre mosse statunitensi mettono invece a rischio il mondo intero.
Dopo l’attacco israeliano in Iran, appare evidente che i due stati sono strettamente legati nel comune impegno a bloccare ogni possibilità di escalation. La risposta israeliana era, per chiunque conosca mentalità e modus vivendi dei protagonisti, non solo scontata ma anche obbligatoria: il non rispondere sarebbe stato interpretato come segno di debolezza, che, nella cultura arabo-islamica, rappresenta un invito a colpire a fondo (il non colpire in una circostanza di questo tipo sarebbe a sua volta interpretato come debolezza e farebbe perdere la faccia, e perdere la faccia, in quel mondo, è la peggiore sciagura che possa capitare). E dunque Israele ha risposto, e lo ha fatto non solo nel modo più sobrio e moderato, ma anche con il messaggio più esplicito e inequivocabile: ha colpito un obiettivo, uno solo, ha scelto un obiettivo militare, e lo ha scelto ben lontano dagli impianti nucleari. E non ha rivendicato l’attacco. E l’Iran?

«“Non è stato chiarito quale sia il Paese straniero da cui è stato generato l’incidente. Non abbiamo ricevuto alcun attacco esterno e non abbiamo in programma ritorsioni da attuare con urgenza”, ha dichiarato una fonte ufficiale del regime di Teheran alla stampa. Il comandante in capo dell’Esercito iraniano, Abdolrahim Mousavi, ha invece definito “assurde” le ricostruzioni che considerano Israele colpevole dell’attacco.»
«La Mehr News, agenzia semi-ufficiale iraniana, ha riferito che la situazione a Esfahan, città vicina agli attacchi, rimane “completamente calma”.»

Tutto bene, dunque? Ahimè no: fonti ufficiali americane hanno fatto arrivare ai giornali l’informazione che l’attacco è stato condotto da Israele, aprendo così la porta alla possibilità un’escalation di rappresaglie e contro rappresaglie.

Questo invece, quello coperto di sangue, è Yarden Bibas, marito di Shira e padre di Ariel e Kfir; quelli intorno che lo stanno massacrando e quello che guida la moto con cui, dopo averlo catturato, lo ha portato a Gaza, sono i famosi civili innocenti palestinesi

Questa è l’evoluzione dei tempi

Questa è l’ennesima smentita della leggenda nera della povera Gaza zona più densamente popolata del mondo

E questo è un bambino palestinese steso, non si capisce bene perché, sopra le macerie (e senza un solo granello di polvere addosso) che stringe al petto il suo gatto. I gatti palestinesi, come tutti certamente saprete, per adeguarsi ai bambini palestinesi che hanno 6 dita,

si sono dotati di 5 zampe.

E questi sono due inni della resistenza ebraica, che curiosamente terminano con le stesse parole: Mir zaynen do, noi siamo qui. Il primo, di cui trovate qui la traduzione in inglese (che non ho controllato) è il canto dei partigiani ebrei di Vilna, Zog nit keynmol, Non dire mai, di Hirsh Glick (1922-1944)

L’altro (qui la traduzione) è di Lejb Rosenthal, anch’egli di Vilna, novembre 1916-gennaio 1945

barbara

SORPRESA SORPRESA…

Il Ministero della Sanità di Gaza, gestito da Hamas, ammette difetti nei dati sulle vittime

Ultimi sviluppi

Il Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas ha dichiarato il 6 aprile di disporre di “dati incompleti” per 11.371 delle 33.091 vittime palestinesi che sostiene di aver documentato. In una relazione statistica, il ministero riferisce che considera incompleto un documento individuale se manca uno dei seguenti dati chiave: numero di identità, nome completo, data di nascita o data di morte. Il ministero della Salute ha anche pubblicato un rapporto il 3 aprile in cui riconosceva la presenza di dati incompleti ma non definiva cosa intendesse per “incompleti”. In quel rapporto precedente, il ministero aveva riconosciuto l’incompletezza di 12.263 documenti. Non è chiaro il motivo per cui, dopo appena tre giorni, il numero sia sceso a 11.371, con una diminuzione di oltre 900 casi.
Prima di ammettere la questione dei dati incompleti, il Ministero della Salute aveva affermato che le informazioni relative a oltre 15.000 decessi provenivano da “fonti mediatiche affidabili”. Tuttavia il ministero non ha mai identificato le fonti in questione, e Gaza non ha media indipendenti.

Analisi degli esperti

“Gli improvvisi cambiamenti nei metodi di rendicontazione del ministero suggeriscono che stia cercando di intorbidare le acque per evitare che il suo lavoro scadente [la traduzione è lavoro scadente, ma io direi lavoro sporco] venga allo scoperto. Per mesi i media statunitensi hanno dato per scontato che il numero di vittime fornito dal ministero fosse sufficientemente affidabile da poterlo inserire negli aggiornamenti quotidiani sulla guerra. Anche il presidente Biden ne ha citato i numeri. Ora stiamo vedendo che un terzo o più dei dati del ministero potrebbero essere incompleti nella migliore delle ipotesi – e fittizi nella peggiore”. — David Adesnik , ricercatore senior e direttore della ricerca
“È importante riconoscere che Hamas è profondamente impegnata nel plasmare la narrativa che emerge da Gaza, in particolare per quanto riguarda il numero delle vittime della guerra. Inoltre, questo controllo dei dati va oltre le statistiche fornite dal ministero della sanità controllato da Hamas, poiché c’è anche uno sforzo deliberato per minimizzare il numero di terroristi che sono stati uccisi da Israele durante la guerra, che potrebbero ammontare a più di 10.000”. – Joe Truzman , analista ricercatore senior presso il Long War Journal della FDD

Un record di false affermazioni

Il 16 ottobre, il ministero della Sanità ha dichiarato ai media di tutto il mondo che un attacco aereo israeliano era responsabile di un’esplosione che ha ucciso 500 palestinesi nell’ospedale Al Ahli Arab, nel nord di Gaza. I media statunitensi hanno subito riportato la storia, anche se nel giro di poche ore è diventato chiaro che non c’erano prove a sostegno delle affermazioni di un attacco aereo o di un bilancio delle vittime vicino a 500. Ben presto sono emerse prove che un razzo lanciato dai terroristi palestinesi aveva quasi certamente causato un’esplosione nel parcheggio dell’ospedale. Un rapporto non classificato dell’intelligence statunitense del 18 ottobre affermava che l’esplosione avrebbe probabilmente causato tra i 100 e i 300 morti , e si orientava verso stime delle vittime “nella fascia bassa dello spettro tra 100 e 300”.
Tuttavia, il ministero della Sanità non identifica le persone che sono morte a causa del fuoco palestinese fuori bersaglio [e conteggia anche queste come vittime di Israele], anche se le forze di difesa israeliane hanno riferito che il 12% dei razzi lanciati durante il primo mese di guerra sono caduti all’interno di Gaza, per un totale di oltre 1.000 lanci giunti fuori bersaglio. [Notare le cifre: oltre 1000 sono il 12% di quelli lanciati nel primo mese, il che significa che ne sono stati lanciati circa 8400, 280 al giorno, dopo i 5000 nel giorno dell’attacco. Successivamente si sono stabilizzati su una media di un centinaio al giorno]

Analisi correlate

“ I giochi sui numeri delle vittime di Hamas ”, di David Adesnik

“ 5 cose da sapere sul Ministero della Sanità di Gaza gestito da Hamas ”, FDD Insight

“ Dentro il gioco di propaganda di Hamas ”, di Joe Truzman

Qui, via Toscano irriverente, traduttore automatico con correzione mia (stavolta ho controllato tutto, ma se qualcuno trova qualcosa da correggere è il benvenuto).

Ma nonostante tutto questo c’è chi invece
Per non parlare dell’oscena amnesty international (e word, evidentemente complice, tenta di correggermi mettendo maiuscole entrambe le parole)

NB: Mancano alcuni dettagli sulle sevizie inflitte al ragazzo, che trovate in questo articolo.

E non dimentichiamo la vecchia buona cara santa croce rossa

Comunque non facciamoci illusioni: se non hanno creduto a stupri mutilazioni sgozzamenti decapitazioni eccetera ripresi dagli stessi carnefici con le bodycam, quando mai accetteranno di credere alla falsificazione delle cifre riconosciuta dagli stessi falsificatori. E tuttavia non per questo dobbiamo rinunciare a denunciare tutti gli imbrogli di cui veniamo a conoscenza, se non altro per togliere ai fiancheggiatori dei terroristi l’alibi dell’ignoranza in buona fede.

Per restare in tema di disinformazione, consapevole e intenzionale, propongo quest’altro documento

Enrico Richetti

Ho appena scritto al Sole 24 Ore:
“Buongiorno,
sono vostro lettore da quarant’anni.
Ottimo motivo perché io mi indigni se un giornalista, Roberto Bongiorni, invece di scrivere notizie vere, naturalmente con le proprie opinioni, ne pubblica di false. Toglie credibilità al Vostro quotidiano. Che tempo fa continuava a parlare della distruzione dell’ospedale di Al Ahli, distruzione mai avvenuta e già pubblicamente smentita
A pagina 4 del Sole del 7 aprile prima di tutto parla di:
“rappresaglia israeliana” e “punizione collettiva”. Non è una rappresaglia, è una guerra contro Hamas che oltre a compiere un massacro senza precedenti dal 1945, ne ha preannunciato altri. E ha lanciato dal 7 ottobre circa ventimila missili contro Israele E’ una guerra di difesa, per sua natura molto più vasta di una rappresaglia
“33 mila palestinesi morti, in grandissima parte civili”. Ammesso che siano 33 mila come dice Hamas, da dove ha ricavato Roberto Bongiorni la notizia che siano in grandissima parte civili e non in grandissima parte terroristi di Hamas o loro collaboratori senza divisa?
“Nessuno poteva immaginare di vedere i corpi di bambini consumati dalla fame, le orbite incavate a gli occhi fissi nel vuoto, che non implorano nemmeno aiuto”.
Questa è la falsità più grave. Li ha visti? Se è così perché nessun telegiornale li mostra, anzi, mostra bambini che, per quanto spaventati, appaiono in buone condizioni, non cioè consumati dalla fame e incapaci di reggersi in piedi?
“Non sono stati risparmiati nemmeno gli ospedali”.. certo che no, il giornalista non scrive però che negli ospedali si annidavano i terroristi, con i loro depositi di armi. E che dagli ospedali sparavano contro i soldati israeliani.
“Sui 36 originari (un numero insufficiente già prima del 7 ottobre)”. Per 2 milioni e quattrocentomila abitanti 36 ospedali sarebbero insufficienti. Secondo Roberto Bongiorni. Cioè un ospedale ogni 67 mila abitanti sarebbe troppo poco. Che dire di noi poverissimi vicentini che, con centomila abitanti, abbiamo un unico ospedale?
Siete responsabili di una disinformazione che non fa che alimentare odio contro Israele e contro gli ebrei di tutto il mondo. Questo modo di fare giornalismo è indegno.
Ovviamente pubblico questa mia mail sul mio profilo Facebook, autorizzando chiunque a condividerla
Distinti saluti
Enrico Richetti”

D’altra parte ricordo ancora un articolo di un quarto di secolo fa, o giù di lì, quando lo compravo la domenica per via della ricca pagina culturale, in cui si spiegava che le radici del conflitto risiedono nel fatto che sia gli arabi sia gli ebrei hanno rifiutato la risoluzione Onu 181 del 29 novembre 1947 che istituiva la nascita di uno stato ebraico e uno arabo (no, non palestinese: il popolo palestinese sarebbe stato fabbricato 17 anni più tardi, molto lontano da lì).

E giusto a proposito della fame che sta imperversando a Gaza, guardate qua che bella carrellata

e poi questo, ripreso da un giornalista palestinese (lo sappiamo da sempre, ma meglio ribadire il concetto)

che probabilmente è lo stesso di quest’altro video

Poi, per riprendere il tema del post precedente, c’è l’ennesimo esempio del vecchio vizio dei morti palestinesi di resuscitare quando credono che le telecamere siano state spente

Ancora un cenno al tragico incidente del drone israeliano che durante la notte ha colpito un veicolo privo di segni identificativi luminosi o catarifrangenti, uccidendo sette volontari, che tanto sdegno ha suscitato in tutto il mondo, e in particolare negli Stati Uniti

E poi c’è la merda

barbara

OGGI VI FACCIO FARE UN GIRO

nella deliziosa località di Pallywood.

Guardiamo innanzitutto questa deliziosa bambina di 4 anni o di 6 anni, non si sa (a noi sembrerebbe un po’ piccina per avere 6 anni, e anche per 4, ma con tutta la fame che gli fanno patire i perfidi e infami occupanti che per la verità avevano smesso di essere occupanti 18 anni e mezzo fa ma chi sta a badare a questi insignificanti dettagli, ovvio che crescono meno, e infatti si vede chiaramente quanto la povera creatura sia patita e denutrita), assassinata da un certa signora “Occupation”

Cercando in rete, tuttavia (perché cerchiamo sempre in rete quando “loro” ci mostrano un’immagine? Uhm, prova un po’ a indovinare…) troviamo questa stessa immagine (clic sulla foto per ringrandire) presentata come foto di una bambina al suo primo compleanno.

Poi c’è quest’altra immagine che gira da un po’, indicata come foto di una bambina “palestinese e vittima di bombardamenti israeliani”.

Una semplice ricerca su Google dopo decine di link recenti, mostra documenti più antichi della stessa bambina: nel 2020 era in Afghanistan e sempre nel 2018 ancora in Afghanistan, ma nel 2014 la troviamo in Siria e oggi è finita a Gaza a farsi bombardare dagli israeliani: cammina molto la pargola!

Poi c’è il soldato israeliano, fetente, tanto tanto fetente, col mitra addosso al povero civile innocente palestinese

Poi c’è questo povero bambino scheletrico che i soliti fetenti stanno facendo morire di fame

Poi c’è questa povera bambina due volte in fin di vita in due contesti diversi con abiti diversi con ferite diverse ma dicendo le stesse identiche cose.

E quest’altra povera bambina vittima delle belve israeliane

E sempre si pone la stessa domanda: se Israele sta facendo tutta questa strage di bambini, perché non ci mostrano i bambini palestinesi vittime di questa strage? Perché hanno bisogno di spacciare per bambini palestinesi dei bambini vittime di altre tragedie? Perché hanno bisogno di mettere in piedi dei set cinematografici con attori, adulti e bambini, che interpretano la parte di morti e feriti vittime di Israele? Perché?

Aggiungo ancora una chicca: il presidente Lula cortesemente ci informa che a Gaza Israele ha ucciso 12,3 milioni di bambini palestinesi. In Italia da 0 a 14 anni ce ne sono poco più di 7 milioni e mezzo. È vero che noi facciamo molti meno figli, però noi siamo quasi 60 milioni e loro poco più di 2, ma sicuramente sono io che sono meno brava di lui con la matematica.

Concludo con questa meravigliosa e suggestiva interpretazione di Ein Li Eretz Acheret

barbara

AL TRIAGE DEL PRONTO SOCCORSO

Mi chiede se ho allergie, e io tiro fuori il foglio che porto sempre con me in cui ho annotato tutto ciò che potrebbe avere bisogno di sapere un medico in qualunque circostanza – farmaci abituali, farmaci occasionali, allergie, intolleranze, ipersensibilità, patologie pregresse, patologie in atto, traumi, interventi chirurgici, gruppo sanguigno – e glielo porgo. Sbatte una mano sul foglio e dice:

– E qua cosa le diamo, l’acqua?
– Prego?
– Con tutte queste allergie cosa le diamo?
– Tutto quello che non è scritto lì.
– E il Tramadolo?
– Per quello non c’è problema: a causare l’allergia non è il principio attivo bensì gli eccipienti, infatti il Contramal che ha lo stesso principio attivo non mi crea nessun problema.
– Se uno legge qui vede Tramadolo e non le dà neanche l’altro.
– Se uno vede quello che ha scritto lei legge “Tramadolo”, se uno vede quello che ho scritto io legge “Tramadolo (eccipienti)” e quindi se non è scemo come te pezzo di stronza capisce.
– E questa allergia chi gliel’ha diagnosticata? Ha fatto il test?
– Il test con conseguente diagnosi è stato lo svegliarmi grattandomi forsennatamente la faccia e poi andare allo specchio e vedermi la faccia gonfia come un pallone color melanzana e restare così per settimane.
– Quindi la diagnosi non è stata fatta da un medico.
GRRRRRR. Magari avevo fatto un brutto sogno e il pallone color melanzana durato per settimane me l’ha fatto venire lui
– E poi cosa vuol dire non somministrare anticoagulanti? (Che nel mio foglio è scritto così: NON SOMMINISTRARE ANTICOAGULANTI)
– Significa che io ho un’enorme difficoltà a coagulare, mi basta un graffio per fare una mezza emorragia, se mi danno anche gli anticoagulanti mi dissanguano.
– Se arriva qui con un ictus glieli danno eccome gli anticoagulanti.
– Se arrivo qui con un ictus sapranno cosa devono fare, ma se non è questione di vita o di morte io NON DEVO ricevere anticoagulanti, l’ho scritto perché si sappia ma dato che non sono qui per un ictus perché continui a tenermi qui con tutte queste stronzate? Non te ne accorgi che non mi sto reggendo in piedi?
– Comunque se arriva qui con un ictus glieli danno.
VAFFANCULO

E io lì, con una sospetta frattura vertebrale, con tutto il peso sul bastone perché da sola non ero in grado di reggermi, e quella stronza che non la finiva di tenermi in piedi con le sue considerazioni cinofalliche (word mi segna errore cinofalliche. Sarà mica che preferisce “a cazzo di cane”? Sì, questo non me lo segna, vabbè). Poi per fortuna mi hanno chiamata relativamente presto e dentro ho trovato due medici, un uomo e una donna (si potrà ancora dire?) entrambi giovani e carini, che appena hanno sentito le parole “frattura vertebrale” mi hanno immediatamente fatta stendere sulla barella – dove sono rimasta per le successive sei ore. Mi è comunque andata bene che era di turno la mia ortopedica, che mi segue da otto anni. E in conclusione ancora di sicuro non so se la frattura c’è o no perché nei raggi non si vede, ma questo può succedere se è piccola, quindi adesso devo stare col busto (autentico strumento di tortura) e tenermi osservata: se entro una settimana il dolore non diminuisce drasticamente e non recupero del tutto o quasi la mobilità, o se si verificano variazioni nel funzionamento dell’intestino, devo tornare al pronto soccorso e fare la TAC.

E veniamo all’antefatto, che in realtà sarebbe il fatto ma siccome sono partita dal post quello adesso è diventato ante.
Mercoledì pomeriggio. Mi sto lavando i capelli per poi fare la doccia e poi andare all’appuntamento dalla ginecologa; ho finito di insaponarli e mi chino sulla vasca per risciacquarli e in quel momento sento uno schianto nella regione lombo-sacrale, esattamente identico a quello di otto anni fa (clic, clic. La seconda volta invece, sedici mesi dopo, è stato con una caduta, clic, clic). Sono completamente paralizzata dal dolore, non posso muovermi di un millimetro, lì con la testa insaponata e schiantata da un dolore disumano. Dopo un tempo infinito comincio a riuscire a compiere qualche microscopico movimento e, aggrappandomi a stipiti e librerie, raggiungo la cucina e prendo un antidolorifico e un miorilassante, poi, in qualche modo, riesco a finire di lavarmi. La ragazza che mi fa le pulizie e che doveva venire proprio quel giorno, mi trova in mezzo al corridoio, mezza piegata, una mano sulla schiena e una aggrappata alla libreria. Vuole mandarmi a letto, le spiego che ho appuntamento dalla ginecologa, provo a contattare l’amica che ha la macchina ma in quel momento è impossibilitata a muoversi da casa e la ragazza dice vengo con lei. E appoggiata di peso al suo braccio, fermandomi ogni tanto, per il dolore e per il senso di svenimento, riesco ad arrivare, con 20 minuti di ritardo. Al momento di uscire dall’ambulatorio la ginecologa mi vede sbandare paurosamente e mi richiama indietro per misurarmi la pressione: 80/50 (poi la sera la rimisuro: 79/45). Nel frattempo, mentre ero dentro, lei ha ricontattato l’amica che adesso era libera ed è venuta a prenderci. Arrivata a casa ero sfinita e sono andata dritta a letto, e mentre dormivo ha pulito silenziosissima la casa e mi ha preparato un piatto di pasta e fatto il sugo, e una frittata di cipolle (e mi è toccato litigare per pagarle l’ora in più che si era fermata, che non voleva assolutamente).
Il giorno dopo, giovedì, avevo appuntamento dall’otorino e ho deciso di fermarmi poi al pronto soccorso. Stavolta l’amica era libera e mi ha accompagnata. Mentre stavamo per arrivare all’ospedale di colpo mi viene in mente che ho dimenticato a casa il kindle, e l’idea di dover passare almeno una mezza dozzina di ore al pronto soccorso senza quello era da suicidio, così le ho dato le chiavi ed è andata a casa a prendermelo, salvandomi praticamente la vita.

Aggiungo, giusto perché non pensiate che abbia passato tutti questi giorni a girare intorno al mio ombelico, qualche nota di cronaca.

Comincio con una inequivocabile documentazione di quanto gli uomini (tutti quattro miliardi e rotti, ma gli italiani ovviamente di più) siano sessisti e quanto facciano bene le femministe, nel giorno della loro festa, a sbertucciarli gridandogli sessisti sessisti

E di come, se ti chiami “Non una di meno”, le donne ebree giustamente non abbiano diritto né di presenza, né di menzione

E di come sia premurosa la polizia inglese che se esponi un cartello contro hamas ti arresta. Per il tuo bene, naturalmente, non sia mai che a qualcuno venga in mente di farti delle malegrazie.

Poi devo purtroppo riconoscere che l’amico Erasmo a quanto pare aveva ragione:

Fotogallery – Arrivato in Italia il terzo volo con civili provenienti da Gaza

D’altra parte come non capirli se scappano, con tutta la fame che c’è da quelle parti! Guardate per esempio questo video, girato questa mattina presto, prima dell’inizio del ramadan:

Concludo con un appello: vi aspettiamo. Così

e non così

Così non vogliamo vedere mai più nessuno (e stavolta, visto che il “mai più” è in mano a Tzahal e non alle cariatidi dell’ANPI e altre consimili feci suine, forse potrà essere davvero realizzato, anche se tutto il mondo rema contro. Certo, se si decidessero a fare un bel bombardamento a tappeto invece che mandare i loro ragazzi a perlustrare casa per casa per farsi impallinare o saltare in aria, sarebbe decisamente meglio).

barbara