A CHE COSA SERVE IL FESTIVAL DI SANREMO?

Ovvio: a metterlo in c**o a Salvini, che altro? Lo ha capito bene questo signore, che adesso giustamente gongola e festeggia:

Questa sera il mio pensiero va a #Salvini e i suoi elettori che si sono visti vincere un ragazzo per metà sardo (la secessioneeeeee!), metà egiziano (invadono pure i palchiiiiii!) e omosessuale (vogliono i nostri stessi dirittiiiiii!) .
Bacioni
[letto su twitter] (qui)

Non so se le altre canzoni fossero meglio o peggio, perché non le ho sentite. Ho però voluto sentire la sua, e devo dire che è proprio bruttarella assai, insulsina assai, ripetitivuccia assai, squinternatina e sconclusionatina assai un bel po’. Insomma, non credo sia complottismo pensare che sia proprio una vittoria decisa a tavolino – viste oltretutto le premesse, le dichiarazioni preliminari del Grande Capo, le esclusioni note – per “dare un segno”. Quello che fa scompisciare è vedere questa gente convinta che chi ha votato Salvini, o comunque lo apprezza, in tutto o in parte, stia perdendo il sonno e strappandosi i capelli per la tremenda batosta che gli hanno rifilato facendo vincere quello lì. Il fatto che la sua vittoria sia stata realmente decisa a priori poi mi sembra ampiamente dimostrato da tutti quei giornalisti che gli hanno detto cose come “saranno stati contenti i tuoi genitori”. Che evidentemente non hanno ascoltato una sola parola della canzone. Perché se lo avessero fatto si sarebbero accorti che, pur nel suo inesistente valore artistico, la canzone è una pesante requisitoria nei confronti del padre egiziano, che ha abbandonato lui ancora bambino e la madre. Interessante poi il verso “Beve champagne sotto Ramadan”, con cui da una parte ironizza sull’ipocrisia religiosa del padre musulmano, dall’altra dimostra, sull’islam, un’abissale ignoranza, dato che a Ramadan è vietato mangiare e bere qualunque cosa, non solo l’alcol, e d’altra parte l’alcol è vietato sempre, non solo a Ramadan. Perché questa è l’altra cosa buffa di tutta la baracca: tutti i discorsi sul trionfo dell’integrazione. Quando questo qua è nato in Italia da madre italiana, la sua madrelingua è l’italiano, di arabo conosce giusto le tre parole inserite nel testo, non so quale sia la sua religione formale, ma sicuramente non è né di cultura né di pratica musulmana: a cosa diavolo si doveva integrare? Ma ha un cognome arabo, e tanto basta ai moralmente superiori per festeggiare la vittoria su Salvini. O tempora, o mores!

PS: d’altra parte, come ha giustamente osservato qualcuno, al festival delle mummie
mummie
baglioni
chi altro poteva vincere se non un egiziano?

barbara

VECCHIE SIGNORE A CONFRONTO

Io ho sessantasette anni e tre mesi e mezzo, lei ha sessantasette anni e nove mesi. Io ho i capelli grigi, lei no. Io ho diverse rughe intorno agli occhi e intorno alla bocca, lei no. Io ho le labbra un po’ assottigliate dall’età, lei no. Io ho le orrende, famigerate rughe del sonno sopra il labbro superiore (ben tre!), lei no.
iorughesì
berterugheno
barbara

NO, IL PRESENTE NO

Il passato magari sì – e a chi non è capitato di avere nel proprio passato qualcuno che “accecato d’amore” abbia detto, o sussurrato, o gridato “sei bellissima”. Ma il presente proprio no. Un presente con qualcuno che mi tratti come un pagliaccio, qualcuno che mi dica che non valgo niente, qualcuno che mi costringa a nutrirmi di ricordi “per affrontare il presente”, quello no, NO, NO! Non c’è mai stato né mai ci sarà, perché a nessuno ho mai permesso né mai permetterò di insultarmi, a nessuno ho mai permesso né mai permetterò di maltrattarmi, a nessuno ho mai permesso né mai permetterò di distruggermi.
Mi è capitato proprio recentemente di fare una considerazione. Ci sono donne che al primo schiaffo, o addirittura al primo “sta’ zitta cretina”, fanno le valigie e se ne vanno. Queste donne sono fra noi. TUTTE. Poi ci sono le altre, quelle che finiscono sui giornali perché ammazzate dal marito, dall’ex marito, dal partner, dall’ex compagno, perché non sopportava l’idea di essere lasciato, o perché gli è preso il ghiribizzo di afferrare un coltello da cucina e far vedere quanto è bravo nei lavori di intaglio. Nel 99% dei casi leggiamo di anni e anni di soprusi e di maltrattamenti e di violenze, sopportate perché “io però lo amo”, e “prima non era così sarà sicuramente un brutto momento poi gli passerà”, e “non posso privare i bambini del loro padre”. Mettiamocelo bene in testa: il primo “sta’ zitta cretina” lasciato correre è una porta aperta sull’abisso, è una autorizzazione ufficiale ad andare oltre, è lanciare una macchina senza freni su una strada in discesa: non la fermi più. VANNO FERMATI SUBITO, al primo accenno di violenza, anche “solo” verbale, senza scuse, senza attenuanti, senza indulgenze. O ci fabbrichiamo la nostra distruzione (e quella dei figli: non dimentichiamolo!) con le nostre mani: tutto ciò che un uomo ci fa, lo fa perché NOI gli permettiamo di farlo. Ci tradisce perché gli permettiamo di tradirci. Ci insulta perché gli permettiamo di insultarci. Ci maltratta perché gli permettiamo di maltrattarci. Ci usa violenza perché noi gli permettiamo di usarci violenza. Poi, certo, arriva il momento in cui il gioco ci sfugge di mano, e succedono cose che non permetteremmo affatto, ma la prima luce verde, quella che ha fatto alzare le sbarre, l’abbiamo data noi. Non si può dire no alla diciottesima violenza: o lo dici alla prima, o ti rassegni ad avere come unica possibilità di scelta quella tra sopportare tutto fino alla fine o morire giovane. Rari i casi di esiti diversi, e sempre, comunque, a prezzo di sofferenze immani, non solo proprie ma anche per i figli.
E, per favore, non raccontiamoci la favoletta dell’amore cieco: l’amore ci vede benissimo e va esattamente là dove vogliamo che vada La leggenda dell’amore cieco amiamo raccontarcela per giustificare davanti a noi stessi l’ingiustificabile, per mascherare la nostra pigrizia, o la nostra vigliaccheria, nient’altro che questo. L’AMORE CIECO NON ESISTE.

Post scriptum: quanto detto naturalmente vale per noi: noi occidentali, noi scolarizzate, noi con leggi che ci tutelano, noi con forze dell’ordine che ci difendono, noi con strutture che ci proteggono, noi con una società che, per quanto maschilista possa essere, non riconosce ai nostri uomini il diritto di vita e di morte su di noi. Noi che sappiamo che la nostra vita appartiene a noi e a nessun altro e abbiamo gli strumenti per tutelarla. Poi ci sono “le altre”, quelle che fin dalla nascita hanno subito il lavaggio del cervello, quelle che non sanno che la vita appartiene a loro perché è stato loro tenuto accuratamente nascosto, quelle che vivono in una società in cui padri fratelli mariti hanno su di loro un incontestabile diritto di vita e di morte, quelle che non trovano protezione né nelle leggi né in alcun genere di istituzioni. Queste nostre più sfortunate sorelle non hanno in mano il proprio destino. Non possono dire no. Non possono sfuggire. Non possono decidere alcunché. Per loro dobbiamo provvedere noi. A volte possiamo fare poco, a volte niente del tutto. Ma cerchiamo almeno, se proprio altro non possiamo fare, di risparmiare loro l’oltraggio di proclamare che “è la loro cultura”, sottintendendo che a loro sicuramente andrà bene così. E non stanchiamoci di denunciare gli abusi che subiscono, tutte le volte che ne veniamo a conoscenza.

Poi magari, se vi va, fate un salto qui, e vedete se la cosa vi interessa.

barbara

AGGIORNAMENTO: ho trovato questo, e mi sembra che ci stia molto bene.