UNA BREVE RIFLESSIONE PER CONCLUDERE

(Precedenti uno, due, tre, quattro)

Il bambino quando viene al mondo, e per molti anni ancora, ha un certo numero di bisogni che non può soddisfare da solo: qualcun altro deve provvedere. Per questo il primo bisogno in assoluto, prima di quello di essere accudito e pulito, prima di quello di essere curato se sta male, prima ancora di quello di essere nutrito, è quello di essere accettato: se il bambino non è accettato, non saranno soddisfatti neanche gli altri suoi bisogni. E il bambino lo sa: molto prima di acquisire la capacità di ragionare, anche in età precocissima (per quella di due mesi posso garantire personalmente), il bambino istintivamente percepisce che per sopravvivere deve compiacere in ogni modo chi possiede le chiavi di questo bene primario e vitale, e per compiacerlo è pronto a fare qualunque cosa, ad accettare qualunque compromesso, a mentire spudoratamente ogni volta che si renderà necessario. E così quando la vicina cretina fa alla bambina di quattro anni l’immancabile domanda cretina “Chi sposerai da grande?”, la bambina sa che il padre si aspetta che lei risponda con entusiasmo “Il papà!”; sa che se non rispondesse così, il papà resterebbe molto deluso, e sa che il papà deluso è un’esperienza che è decisamente meglio non rischiare di affrontare. L’entusiasmo magari no, quello con tutta la buona volontà proprio non riesce a mettercelo, però la risposta, decisa, è quella: “Il papà”. Anche se quell’uomo le provoca soprattutto ansia e terrore (e più avanti anche ribrezzo e schifo. E orrore). E il papà gongola soddisfatto. Poi magari dieci o venti o trenta anni dopo, capiterà che in un normale scontro fra madre e figlia, la madre in vena di vittimismo chieda “Ma che cos’ha quella con me?”, e allora il padre le spiegherà con aria saputa: “Tutte le figlie odiano la madre, perché sono innamorate del padre e vorrebbero andare a letto con lui”.

Ecco, il famigerato complesso di Edipo e di Elettra è tutto qui. Poi, come già detto altrove, saggi e trattati non li scrivono i bambini bensì i genitori dei bambini, i quali hanno provveduto a riaggiustare tutta la faccenda a loro uso e consumo.

barbara

VIOLAZIONI DEL SETTING

Ovvero le violazioni dei limiti nei rapporti fra terapeuta e paziente in campo psicanalitico. Un libro (del 1995) da una parte scontato, dall’altra sconvolgente. Scontato perché non ho mai avuto il minimo dubbio sul fatto che gli psicoanalisti siano psicopatici, sconvolgente perché nonostante tutto non immaginavo fino a che punto arrivassero gli abusi degli psicanalisti nei confronti dei pazienti. Qualche riga dell’introduzione potrà cominciare a darne un’idea.

Non conosciamo la reale portata del problema, ma nella zona di Boston e dintorni più di 400 donne hanno frequentato gruppi di supporto per pazienti che hanno subito abusi sessuali da parte del loro analista o terapeuta.

Abusi di ogni genere, fra cui quelli sessuali, particolarmente gravi e abbietti in quanto perpetrati su persone fragili, usando ogni mezzo, dalla persuasione alla pressione al ricatto fino allo stupro vero e proprio.

Un esempio concreto.

Il caso del dottor G

Il dottor G era un analista di 48 anni accusato di comportamenti sessuali scorretti dopo che sei pazienti si fecero avanti dichiarando che aveva avuto rapporti sessuali con loro. Ognuna di loro descrisse la medesima situazione. Inizialmente si dimostrava affettuoso e comprensivo con queste donne, tutte con gravi difficoltà nelle relazioni interpersonali. Dopo alcune settimane di terapia o di analisi, il dottor G diceva che il loro problema principale consisteva nell’incapacità di fidarsi degli uomini. Diceva così: “Probabilmente non ha nemmeno abbastanza fiducia in me da togliersi la camicetta”. Alla risposta indignata delle pazienti che ovviamente non si sarebbero spogliate di fronte a lui, egli replicava “vede cosa intendo?”.
Con modi affascinanti e persuasivi, continuava a fare proposte sessuali alle pazienti facendo loro più o meno questo discorso: “Se lei non riesce a fidarsi di me tanto da avere con me dei rapporti sessuali, come può pensare di riuscire mai a fidarsi degli uomini al di fuori della terapia? Questa relazione è un luogo sicuro in cui esplorare i suoi problemi relativi alla fiducia e alla sessualità. Deve pur cominciare da qualche parte”. In questa maniera poteva riuscire a intaccare la riluttanza delle pazienti ad avere rapporti sessuali con lui. Quando infine accettavano le sue avance, egli chiedeva loro di confessargli le loro più spaventose fantasie sessuali. Quindi le agiva con le pazienti per aiutarle a “elaborare” le loro paure.
Anche se inizialmente negò le accuse, quando gli venne revocata la licenza per praticare la professione riconobbe che c’era una parte di verità nei resoconti delle pazienti ma negò con forza di aver sbagliato. Sostenne che in ognuno dei casi i rapporti sessuali erano stati consensuali e che le donne avevano tratto dei benefici dall’aver fatto l’amore con lui. Non aveva alcun rimorso e si fece tranquillamente beffe della possibilità di aver fatto del male. […]
La grande maggioranza di questi casi coinvolge un terapeuta maschio e una paziente femmina. Tuttavia, esiste un piccolo numero di casi in cui le terapeute hanno sistematicamente sedotto le loro pazienti e le hanno coinvolte in attività sessuali umilianti, degradanti e sadiche (Benovvitz, 1995). Terapeuti con caratteristiche predatorie, omosessuali o bisessuali, possono a loro volta sedurre pazienti dello stesso sesso (Gonsoriek, 1989).

Ma accade anche che una terapeuta donna si lasci irretire dal giovane tossicodipendente belloccio in cui “intuisce” una carenza di attenzioni materne e quindi decide di risarcirlo dandogli tutta se stessa, e tutti i soldi che chiede, e siccome ne chiede sempre di più trova che sia più semplice dargli la sua carta di credito, e quando si accorge che la sta svenando e lo invita a moderare le spese, il bimbo viziato diventa violento e lei è costretta a fuggire e nascondersi, vivendo poi nel terrore che lui riesca a trovarla. E queste sono le persone a cui soggetti resi fragili dai problemi, soprattutto relazionali, spesso relativi ad abusi subiti, che si sono trovati ad affrontare, affidano la propria sorte. Impressionante anche l’elenco dei disturbi più frequentemente riscontrati negli analisti: disturbi psicotici, parafilie e psicopatia predatoria, mal d’amore, resa masochistica, narcisismo, e, onnipresente sullo sfondo, la diffusa convinzione che il sesso fra terapeuta e paziente fosse di per sé terapeutico.

Un altro brano significativo.

Anna Freud riconobbe in tarda età che si era sentita sfruttata in molti modi dall’analisi del padre su di lei, inclusa la pubblicazione da parte di Freud dei resoconti dei sogni diurni della figlia (Young-Bruehl, 1988). La Klein incoraggiava i suoi analizzandi a seguirla nella Foresta Nera per le vacanze, dove avrebbe analizzato i pazienti stesi sul letto nella sua stanza d’albergo (Grosskurth, 1986). Winnicott aveva tenuto per mano Margaret Little per molte sedute quando si stendeva sul lettino e, alla fine, ruppe la riservatezza raccontandole di un altro paziente che stava trattando e delle sue reazioni controtransferali verso quel paziente (Little, 1990). ]udy Cooper (1993) ha riferito che quando era in analisi con Masud Kahn, lui continuava a darle i suoi scritti chiedendole di leggerli. Indubbiamente, le aspettative di fedeltà degli analisti didatti da parte del candidato che hanno in analisi è stato uno dei più gravi problemi dei confini nel corso della storia della psicoanalisi, fino addirittura al punto che in alcuni casi degli analisti si sono presi cura dei loro precedenti analisti didatti quando sono diventati anziani.
Le violazioni dei confini sia sessuali che non sessuali erano comuni tra analisti molto influenti nello sviluppo della psicoanalisi negli Stati Uniti. Margaret Mahler ebbe una relazione sessuale con August Aichorn, che la stava analizzando (Stepansky, 1988). Frieda Fromm-Reichmann (1989) si innamorò di un suo paziente e lo sposò. Karen Horney presumibilmente ebbe una relazione con un suo candidato che aveva in analisi (Quinn, 1987). Stephen Farber e Marc Green (1993) hanno fatto il resoconto della storia di numerosi analisti infatuati di dive nel sud della California, i quali condussero analisi prive di confini con le loro celebri pazienti. Inoltre, alcuni diventarono i consulenti tecnici dei film prodotti dai loro pazienti; altri collaborarono alle sceneggiature con i loro pazienti; altri ancora addirittura incoraggiarono donazioni da parte di pazienti per varie fondazioni a cui l’analista era legato. Soprattutto, c’era una mancanza di definizione del confine tra relazione sociale e analitica.

Per non parlare dei casi in cui l’analista agisce in modo da evitare accuratamente che il paziente migliori e arrivi alla guarigione, per non dovere subire il “lutto” della fine del rapporto.

Come ho detto prima, anche per chi come me dal mondo della psicanalisi si aspetta il peggio del peggio, la quantità di letame che viene sciorinata in questo libro è davvero sconvolgente. Da raccomandare a chiunque stia meditando di affidarsi a uno psicanalista per risolvere i propri problemi.

Glen O. Gabbard – Eva P. Lester, Violazioni del setting, Raffaello Cortina Editore
violazioni-del-setting
barbara

COMPLESSO DI EDIPO: NE VOGLIAMO PARLARE?

Restando in tema col post precedente, ripropongo questa riflessione che avevo pubblicato nell’altro post una quindicina d’anni fa.

Secondo la teoria messa a punto da un povero signore col cervello spappolato dalla cocaina (se qualcuno avesse ancora dei dubbi, da qui può ricavare la prova definitiva di quanto faccia male) consisterebbe nel desiderio – più o meno inconscio – del bambino di far fuori il papà e scoparsi la mamma. L’archetipo di questo impulso si riscontrerebbe nel mito di Edipo che, ci viene spiegato, ha appunto ucciso il padre per poi accoppiarsi con la propria madre. Ma siamo davvero sicuri che le cose siano andate proprio così? Proviamo ad esaminare con una qualche attenzione il mito di Edipo, così come ci viene tramandato. Innanzitutto è opportuno ricordare che quello di essere ucciso dal figlio con contorno di corna postume non è, per Laio, un tragico destino, bensì una punizione: in tempo di gioventù aveva infatti rapito e violentato il figlio di Pelope, suo amico e ospite. Ricordiamo che nella cultura greca la pedofilia, poetico nome che significa “amore per i bambini” era cosa normalmente accettata e praticata; ricordiamo che questo “amore per i bambini” non si estrinsecava confezionandogli la calza della befana, o portandoli al cinema, o regalandogli la play station: i greci manifestavano il loro amore per i bambini inculandoseli. Quindi Laio, innamorato del figlio del suo amico e ospite, per averlo non avrebbe dovuto fare altro che chiederlo, e lo avrebbe sicuramente avuto senza la minima difficoltà. Ma lui ha scelto di rapirlo e violentarlo, infrangendo così le regole sociali, i doveri di ospitalità, il legame dell’amicizia. Quindi la maledizione che viene scagliata su di lui è la giusta punizione per il suo crimine. Punizione alla quale cerca in tutti i modi di sfuggire: quando gli nasce il figlio, Edipo, gli perfora entrambe le caviglie con un gancio, gli lega i piedi con una corda e lo espone sul monte Citerone affinché muoia di freddo e fame. E qui, come si suol dire, la domanda sorge spontanea: chi vuole uccidere chi? E tutto questo, non dimentichiamolo, avviene con la complicità – passiva secondo alcuni autori, attiva secondo altri – della moglie Giocasta, madre di Edipo. Salvato dal pastore che aveva il compito di esporlo, Edipo cresce, e un giorno, fatalmente, incontra il padre Laio nel crocicchio di Delfo. E Laio aggredisce Edipo. Per motivi banali, per giunta. Semplicemente per il gusto, che ha accompagnato tutta intera la sua vita, di aggredire e usare la violenza. E per la seconda volta tenta di ucciderlo. Ed Edipo, per legittima difesa, è costretto ad uccidere il padre, di cui, beninteso, ignora l’identità. E infine l’ultimo atto della tragedia: l’incontro con la madre Giocasta e l’accoppiamento con lei. Edipo, cui era stato persino vietato di indagare sulla propria nascita, non ha alcun elemento per sospettare l’identità della donna, ma lei? Lei che conosceva le profezie? Lei che conosceva i fatti? Davvero lei era così completamente all’oscuro dell’identità del suo compagno di letto? E dunque, chi vuole scopare chi? In conclusione, nel mito di Edipo abbiamo un figlio che i genitori tentano di assassinare alla nascita, che il padre tenta una seconda volta di uccidere, con cui la madre, pur avendo molti buoni motivi per sospettarne l’identità, si accoppia senza esitazioni: siamo davvero sicuri che sia Edipo il cattivo? Siamo davvero sicuri che sia lui il colpevole? Siamo davvero sicuri che sia il figlio a odiare i genitori e non, come quotidianamente accade nella nostra vita reale e come la cronaca non manca di ricordarci, l’esatto contrario?

Aggiungo alcuni commenti, miei e altrui, lasciati nel post pubblicato all’epoca. Il primo, mio, è una risposta a un lettore che afferma che “Freud non dice questo”.

“Il suo (di Edipo) destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l’oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il nostro primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno convinzione. (…) Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce della sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti.” Sigmund Freud, da Interpretazione dei sogni, 1900

E adesso guardiamo la cronaca quotidiana: quanti sono i genitori che uccidono i figli e quanti i figli che uccidono i genitori? Quanti sono i genitori che seviziano i figli e quanti i figli che seviziano i genitori? Quanti sono i genitori che stuprano i figli e quanti i figli che stuprano i genitori? E fra i figli che uccidono i genitori, quanti lo fanno per pura malvagità e quanti per legittima difesa? Tra i figli che odiano i genitori, quanti sono i casi in cui si tratta di odio gratuito e quanti quelli in cui l’odio è provocato dalle inenarrabili sofferenze inflitte dai genitori ai figli? – E il mito di Edipo rappresenta ESATTAMENTE questa realtà. Il fatto che si sia tentato di capovolgerlo mi sembra niente altro che un tentativo di mascherare la realtà. E visto che non sono i bambini a scrivere saggi e trattati, bensì i genitori dei bambini, è anche evidente il motivo per cui ciò viene fatto: è esattamente lo stesso processo per cui lo stupratore ti racconta che è stata lei a provocarlo, lo stesso per cui il nazista ti spiega che sono gli ebrei che con i loro comportamenti fanno nascere sentimenti antisemiti. Nessuna sostanziale differenza.

Per quello che ne so, da sempre mamma orsa deve difendere i piccoli dagli appetiti, anzi: dall’appetito del padre (Erasmo)

Cronos, che si mangiava i figli, e a sua volta unico scampato alle grinfie di Urano che eliminava tutti i suoi figli: nessuno si chiede come mai in TUTTE le mitologie ci siano i padri che fanno fuori i figli? Da dove saranno mai scaturite?

ma Crono uccideva i propri figli per il timore di essere spodestato da uno di essi… (Djakomo)

1. a) Crono – e così suo padre Urano – non poteva avere motivi ragionevoli per temere di venire spodestato se non, mettendola in termini psicanalitici, per un meccanismo proiettivo; b) nella migliore delle ipotesi possiamo comunque dire che il potere gli interessava molto di più della sopravvivenza dei propri figli.
2. Stai continuando a trascurare ciò che sta alla base del mito di Edipo: per Laio non si tratta di un tragico destino bensì della punizione per il suo crimine. Perché Laio è un criminale, e lo è molto prima della nascita di Edipo.
3. Prendi per buone le pulsioni raccontate da Freud, e io invece non ho una sola ragione al mondo per prenderle per buone. In effetti tutta la faccenda si basa unicamente sulle elucubrazioni di Freud, che per arrivarci ha dovuto letteralmente capovolgere la vicenda di Edipo.

E vogliamo parlare della figlia Anna, costretta per tutta la vita al ruolo di sua vestale, di cui era così patologicamente geloso da non avere mai permesso a nessun uomo di avvicinarlesi – e chissà se avrebbe scelto il lesbismo se fosse stata libera di scegliere la propria vita… Figlie innamorate del papà, eh? Figlie gelose delle donne che si avvicinano al papà, eh? Figlie che sognano di scoparsi il papà, eh?

barbara

IDA

Ida si chiamava, Ida e non Dora, come l’ha ribattezzata il suo aguzzino, lo psicopatico dal cervello spappolato dalla cocaina, inventore del complesso di Edipo e dell’invidia del pene; lo psicopatico che ha fabbricato due etichette in cui riversare le proprie perversioni; lo psicopatico che proiettava poi le sue personali perversioni sulle proprie pazienti; lo psicopatico che quando una paziente denunciava i continui abusi sessuali subiti dal padre si inventava che questi non erano mai esistiti, che erano tutte fantasie sviluppate dalla paziente per mascherare a se stessa il folle desiderio di essere scopata dal paparino. Lui.

Era stato suo padre a portare Ida da Freud. Il padre aveva un’amante, e il marito dell’amante aveva ripetutamente insidiato Ida, fin da quando era quasi una bambina. Quando Ida si decide a raccontare al padre quanto avvenuto, il padre chiama l’amico e molto pacatamente gli chiede se sia vero, e l’amico – indovinate un po’? – non solo nega categoricamente, ma insinua che, a dirla proprio tutta, in realtà è la ragazza che… E il padre – indovinate un po’ anche questa – sceglie di credere all’amico, che gli è parso sincero e convincente. Ida, persona evidentemente un po’ fragile che anche in passato aveva avuto dei problemi, somatizza il doppio colpo ricevuto dall’amico di famiglia e dal padre. Il quale prima va da Freud e gli racconta i fatti dal suo punto di vista (la ragazza si comporta male e si è inventata che…) e poi la costringe ad andare dal geniale dottore che, bontà sua, accetta di prenderla in cura: un’ora al giorno, sei giorni la settimana. E, come in un processo staliniano in cui la colpevolezza è stata stabilita a priori e l’unico scopo della commedia è quello di costringere l’imputato a confessare, senza limiti né legali né morali agli strumenti usati per raggiungere lo scopo, comincia la tortura, ossia il tentativo di convincerla che lei è follemente innamorata del padre, che muore dalla voglia di scopare col padre, che è follemente innamorata anche del persecutore sul quale ha trasferito l’amore impossibile per il padre, e naturalmente, avendo deciso che questa è la verità, qualunque argomento, qualunque episodio, qualunque spiegazione serve a dimostrarlo. I periodi di afonia? La prima volta è durato esattamente quanto l’assenza del suo amante (sic!): chiaro: se manca lui che è la sua ragione di vita, non vale la pena di parlare. Ma altre volte sono rimasta afona anche quando lui era presente: chiaro, per mascherare la verità, che sarebbe apparsa evidente a tutti se la tua afonia avesse coinciso con l’assenza di lui. La tosse? Un tentativo per indurre il padre a lasciare l’amante. E come?! La tosse è una proiezione: speri che venga a lui così non potrà più incontrare la sua amante, della quale sei gelosa perché vorresti essere tu al posto suo. E in che modo la tosse potrebbe impedirglielo? Non c’è un solo tipo di rapporto sessuale, tu stai pensando al rapporto orale (naturalmente la ragazza non ha la minima idea di che cosa stia parlando, usando oltretutto termini latini, ma questo non ha importanza: lei non conosce quella faccenda, ma il suo inconscio sicuramente sì). Mal di pancia? Viene alle donne che si masturbano. Perdite vaginali? Vengono alle donne che si masturbano (lui è al corrente del fatto che il padre nel corso delle scorribande prematrimoniali si è beccato una malattia venerea, che dopo il matrimonio l’ha trasmessa alla moglie che non è mai guarita e ne soffre tuttora, e che non si può escludere che lei l’abbia a sua volta trasmessa alla figlia durante la gravidanza, ma dal momento che lui sa qual è la vera causa, neppure per un momento è disposto a prendere in considerazione questa possibilità). Apre la borsetta appena comprata e infila le dita per accarezzare le sue iniziali ricamate nella fodera? Sta simulando un atto masturbatorio. Ha comprato la borsetta coi soldi che le ha regalato il padre? Allora è chiaro come il sole: sta morendo dalla voglia che quel gesto su di lei lo faccia suo padre. E così via, con un crescendo di toni aggressivi e intimidazioni, in un delirio senza fine, in un abisso di follia in cui tenta di trascinare la vittima, come fa con tutte le sue vittime – ma questa volta accade qualcosa di imprevisto: la vittima oppone resistenza, la vittima riesce a sottrarsi al tentativo di lavaggio del cervello, la vittima, pur con qualche perplessità e dubbio iniziale, sa perfettamente che non è innamorata del proprio padre, sa che non sta rimuovendo desideri proibiti nei suoi confronti, sa che quell’altro uomo le fa schifo, sa che tutto quello che emerge nelle sedute quotidiane è unicamente la fantasia malata del dottore, la sua insana perversione, e si rifiuta di lasciarsi portare come una pecora al macello: la vittima sacrificale rifiuta di essere sacrificata, si ribella al carnefice e lo abbandona, per sempre. E Freud scriverà il suo Dora come cronaca di un fallimento. Perché una vittima che sfugge alla scure del boia, per il boia è indubbiamente un fallimento.

Questo libro è stato scritto dalla pronipote di Ida: raccogliendo testimonianze, documenti e ricordi ricostruisce la sua vita fin dall’infanzia, la tormentata vita familiare, i problemi fisici che la assillano, il bellissimo rapporto con il fratello e, fuori di casa, la Vienna della belle époque, la guerra, il fratello Otto capo della socialdemocrazia austriaca, i disordini del ’34, l’avvento del nazismo, l’annessione alla Germania, i crescenti problemi per gli ebrei, la fuga in America… È un libro che merita di essere letto, perché è bellissimo, perché rende finalmente giustizia a una donna trattata da isterica – e passata alla storia come tale grazie al libro a lei dedicato dallo psicopatico – a causa di presunte pulsioni sessuali represse  (il mantra, da Freud in poi, del più becero maschilismo misogino), e perché ci rende un interessante spaccato di un’epoca intensa e travagliata.

Katharina Adler, Ida, Sellerio
Ida
barbara