LO STATO EBRAICO

Recupero, da un commento lasciato da “amica” in questo blog poco meno di tre anni fa, questo testo, che mi sembra il commento più adeguato all’indomani delle manifestazioni per la liberazione dell’Italia dal nazismo, in cui le bandiere dei liberatori – che per liberarci hanno combattuto e sono morti – sono state fischiate e insultate dagli adoratori dei discendenti delle SS islamiche e attuali sterminatori di ebrei e di altri innocenti.

È difficile da credere, ma è successo davvero. Università. Dipartimento di Lingue (uno dei migliori d’Italia). Sessione estiva. Esame di “Teoria della Traduzione”. Corso di Laurea Magistrale in “Traduzione”. Propongo alla studentessa che già ha risposto bene a varie domande, quale sia l’argomento che più l’ha interessata (“vediamo se posso darle trenta” − penso tra me). La studentessa, senza indugio, risponde: “La traduzione della Bibbia” (ovviamente, oltre alle lezioni a cui non era mai venuta, aveva libri appositi su cui prepararsi). Dopo un po’, dicendo cose molto confuse, afferma con perentorietà: “La Bibbia è scritta in ebraico, lingua che da duemila anni nessuno conosce più, è una lingua morta e del tutto ignota”. Il mio giovane collega coglie il fremito sul mio viso e mi previene, guardando la fanciulla con condiscendenza: “Dottoressa, se ci pensa, non è possibile quello che ha detto: non solo l’ebraico è sempre stato coltivato dagli studiosi della Bibbia (… e se no come avrebbero potuto tradurla − penso io), ma, se ci pensa, nello Stato Ebraico che lingua si parla oggi?” La ragazza (per altro, già laureata alla triennale, e quindi, come prevede lo Stato italiano, effettivamente “dottoressa”) ci fissa con uno sguardo vitreo, come non avesse affatto capito la domanda. Mi impensierisco e le chiedo: “Lei sa, vero, che esiste uno Stato Ebraico?”. “No − risponde quella con aria sinceramente stupita − non lo sapevo”. Il mio collega, per evitare che il mio fremito persistente esploda in una reazione poco professorale, interviene di nuovo: “Ci pensi, dottoressa, certo che lo sa, se ne parla spesso, se ne parla sempre: mai sentito del Medio Oriente?”. Quella allora smuove gli occhi, come avesse finalmente percepito un’illuminazione: “Ah, sì, ma voi intendete l’Iran!” − dice, un po’ stupita che le chiedano simili banalità. Mi paralizzo, non riesco a reagire. Poi respiro profondamente e alzo un po’ la voce. “Ma che sta dicendo?! Scusi, vorrebbe farmi credere che in 23 anni di vita non ha mai sentito parlare di Tel Aviv, di Gerusalemme, di Israele?”. “Sì, credo di sì,” − fa lei. − “ci stanno i palestinesi. Ma non sapevo che c’entrassero con l’ebraico…”. Ora vi chiederete voi: ma di chi è la colpa? Di nessuno? Di tutti? Io non lo so. Questo è certo il frutto della falsa democratizzazione della cultura che, invece di un’alta cultura per pochi, propone una non-cultura per tutti. E vi chiederete: cosa si fa in questi casi? Niente. Non si può bocciare uno studente perché confonde l’Iran con Israele, perché − come prontamente ha rimarcato la studentessa stessa − “alle altre domande ho risposto bene…”. Alla fine, segnandole il voto sul libretto, le chiedo: “Ma lei si rende conto della ragione per cui sono sconvolta? Non le interessa?”. “No.” − risponde − “Posso andare ora?”.
Laura Salmon, slavista

E, giusto per amore di coerenza, “Palestina libera, Palestina rossa”: rossa e libera come l’Unione Sovietica, come la Cina, come la Corea del Nord, come la Cambogia dei kmer rossi, come Cuba… Ah, il profumo della libertà! Lo sentite anche voi, vero, questo meraviglioso, inebriante profumo.

barbara

 

A proposito della dichiarazione Balfour

Ricordare oggi la Dichiarazione Balfour significa ricordare perlomeno due punti fondamentali.

Primo: l’autodeterminazione ebraica nella terra dei padri è ufficialmente all’ordine del giorno dell’agenda internazionale da quasi un secolo, tanto è vero che anche il concetto di spartizione della terra risale a prima della Shoà, perlomeno alle raccomandazioni della Commissione Peel del 1937.
Secondo: a differenza di molti altri stati, la legittimità internazionale dello stato di Israele è saldamente ancorata nel diritto internazionale. La Dichiarazione Balfour, infatti, lungi dal rimanere (come amano ripetere i propagandisti anti-israeliani) una sorta di scrittura privata tra governo di Londra e organizzazione sionista, nel 1922 venne inclusa parola per parola nel testo del Mandato. Pertanto da quel momento è la Società delle Nazioni che investe la Gran Bretagna della “responsabilità di mettere in pratica la dichiarazione fatta originariamente il 2 novembre 1917 […] a favore della creazione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico”.
Il diritto alla creazione dello stato venne infine sancito, esattamente sessant’anni fa, dallo storico voto del 29 novembre 1947 con cui l’Assemblea Generale dell’Onu approvò la spartizione dell’ex Mandato britannico in due stati, che venivano definiti – è importate ricordare le parole esatte – “Arab and Jewish States”.
Si sa come è andata. Il rifiuto arabo della spartizione diede origine a un’interminabile conflitto. Ma per meglio comprendere la natura di quel rifiuto, bisogna ricordare che la Commissione UNSCOP non aveva formulato solo la proposta di maggioranza a favore della spartizione. Esisteva anche il rapporto della minoranza pro-araba, che proponeva la creazione di un singolo stato federale comprendente due cantoni, uno ebraico e uno arabo. L’autonomia del cantone ebraico sarebbe stata assai più limitata e temi come la libertà di immigrazione, la questione vitale per cui gli ebrei avevano combattuto, sarebbero stati sottratti alla sua giurisdizione: il cantone ebraico non avrebbe potuto soccorrere gli ebrei d’Europa sopravvissuti alla Shoà, né quelli a rischio nei paesi mediorientali. E tuttavia, le dirigenze arabe respinsero anche il rapporto di minoranza dell’UNSCOP perché comunque ammetteva l’esistenza di una qualche entità nazionale ebraica, ed era proprio questo il concetto totalmente intollerabile.
“La maggior parte dei delegati all’Onu – ricorda Amnon Rubinstein (Jerusalem Post, 16.05.06) – considerò in modo molto negativo questa posizione estremista e intransigente. Anziché accettare il compromesso deliberato dal massimo organismo internazionale, che aveva l’autorità e il dovere di decidere del futuro delle terre sotto Mandato della Società delle Nazioni, gli arabi dichiararono guerra”. Sul piano del diritto e della giustizia non si deve dimenticare che, se arabi palestinesi e paesi arabi avessero accettato la risoluzione di compromesso dell’Onu, al popolo palestinese e a quello ebraico sarebbero state risparmiate grandi sofferenze, e si sarebbe potuto dare giustizia a entrambi. (qui)

Poi, per rinfrescare un po’ la memoria, può essere utile rileggere questo, questo e questo.
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barbara