A QUELLI CHE “OGM NO GRAZIE”

Ambiente, sviluppo e sostenibilità: perché ci servono gli ogm

Ho un sogno: che il nostro cibo sarà un giorno valutato per le sue caratteristiche nutrizionali e non per come è stato ottenuto il suo genoma. C. S. Prakash.

È probabilmente la proteina più abbondante in natura, così dichiara la ricercatrice Amanda Cavanagh parlando di RuBisCO, l’esotico acronimo usato per indicare l’enzima ribulosio-1,5-difosfato carbossilasi ossigenasi.
RuBisCO è il grande produttore di biomassa: prende il carbonio dell’anidride carbonica e lo usa per fare zuccheri durante la fotosintesi, sfruttando l’energia solare. Spesso però RuBisCO ossigena invece che carbossilare. Questo porta alla produzione di una sostanza tossica, il glicolato, che deve essere metabilizzato attraverso un processo chiamato “fotorespirazione”. Perciò l’eliminazione di questi sottoprodotti tossici sottrae energie alla piante, ne riduce l’efficienza e porta a perdite produttive del 20-50%. Questo è vero in particolare per le piante cosiddette C3, come frumento, soia, riso ecc.
Il problema della ridotta efficienza fotosintetica è ben noto ai ricercatori, che da molto tempo lo studiano per ridurlo. Cavanagh fa parte della squadra di scienziati finanziati da USDA e dalla Bill and Melinda Gates Foundation che ha recentemente pubblicato uno studio (P. F. South et al, Science, 2019) che dimostra come sia possibile alterare la via metabolica delle fotorespirazione. Usando le biotecnologie per promuovere vie metaboliche più efficienti e contemporaneamente inibire quelle originarie hanno ottenuto aumenti della produzione di biomassa in tabacco fino al 40%. Insomma risultati molto promettenti in una C3 fanno sperare in sviluppi anche su piante di maggiore interesse agrario.
Produrre il 20-40% in più per unità di terreno coltivato non è cosa da poco in tempi di cambiamenti climatici che devastano ampie aree agricole, desertificazione che avanza, popolazione mondiale in crescita. Ma guardiamola anche dal punto di vista degli agricoltori: se il resto del mondo dovesse adottare questa tecnologia, applicandola ad altre piante coltivate, i produttori italiani sarebbero spazzati via per impossibilità di competere con chi dovesse ottenere una capacità produttiva del genere. Non mi si dica che ci salveremo con il Made in Italy: tutti i nostri prodotti potrebbero beneficiare di varietà tipiche rese più produttive, più sane, più efficienti.
Non c’è solo questo in dirittura di arrivo. C’è riso il transgenico ad aumentata tolleranza alla siccità: grazie ad un gene della pianta Arabidopsis riduce le perdite in caso di stress idrico. Possiamo permetterci quelle perdite? Penso di no: un terreno coltivato, sottratto all’ecosistema naturale e che ha ricevuto input produttivi deve dare tutto il cibo che le nostre competenze possono chiedergli. Lasciare che quella coltivazione sia inefficiente è un lusso che non possiamo permetterci, prima di tutto dal punto di vista ambientale.
C’è la patata resistente alla peronospora, grazie a tre geni provenienti da solanacee selvatiche. Ottenuta da ricercatori di Uganda, Perù, Stati Uniti e Kenya, permette ai piccoli agricoltori africani di ridurre drasticamente i trattamenti fungicidi contro una malattia responsabile del 15-30% delle perdite di prodotto nell’Africa subsahariana. Vogliamo impedire loro di usarla?
E ancora, in Nigeria stanno lavorando al legume resistente a “Maruca”, un insetto che porta a perdite fino all’80%. Non esistono varietà resistenti da utlizzare, quindi l’unica soluzione sono gli insetticidi, fino a 8-10 volte le settimana. I livelli dei residui nei legumi nigeriani sono talmente alti che le esportazioni sono impossibili. Una pianta geneticamente migliorata per difendersi da sola è la soluzione più efficace. In Africa sta nascendo un movimento contro le ONG, prevalentemente europee, che, a quel che affermano i leader del movimento, spargono notizie false contro gli OGM, per esempio che provocherebbero cancro e sterilità. “Vogliono tenerci in una condizione di povertà perpetua”, lamentano.
Anche la Cina sta investendo cifre immense nel miglioramento genetico vegetale, concentrandosi soprattutto su riso, frumento e mais. Per loro la sicurezza nell’approvvigionamento alimentare è una priorità assoluta. Da noi? Si sente rispondere: non abbiamo bisogno delle commodities, le possiamo importare, siamo un Paese ricco. Sicuri? In caso di calamità e crolli delle produzioni dovuti per esempio a siccità o inondazioni, fenomeni sempre più frequenti, avremo davvero potere d’acquisto sufficiente? E in caso affermativo, questo significherà portare via cibo e risorse a chi non potrà permettersi di pagare quanto noi ricchi europei? Domande che abbiamo il dovere di porci.
E poi ancora c’è la banana arricchita di provitamina A, sviluppata in Australia con finanziamenti della Bill and Melinda Gates Foundation. Oppure la patata viola sviluppata in Perù, con altissimo potere antiossidante e un contenuto di ferro e di zinco pari quasi al doppio del normale. O la pianta da appartamento chiamata pothos, capace di rimuovere cloroformio e benzene dall’aria, dell’Università di Washington.
Di tutto questo in Italia non si parla.
È anche una questione etica: è morale non adottare tecnologie che offrono processi produttivi meno impattanti sull’ambiente? In nome di cosa, poi? È folle condannare la tradizione a non accogliere innovazioni utili: la si condanna a morte per incapacità di progredire e di migliorarsi. Non credo che possiamo permettercelo. Promuovere la guerra contro il miglioramento genetico o è il frutto dell’ignoranza o della volontà di cavalcare le paure delle persone per profitto. Ignoranza e paura non sono opportunità: guai a usarle per farsi pubblicità.
Se una società non è in grado di valutare e accettare quelle innovazioni utili al proprio sviluppo sostenibile significa che è destinata all’obsolescenza, è vecchia e incapace di investire nel proprio futuro. È destinata a essere soppiantata da società giovani, più ottimiste, in grado di scommettere sul futuro, sulla ricerca delle soluzioni, sull’innovazione per una crescita sostenibile.

Deborah Piovan, 08/01/19, qui.

Ma in Italia, si sa, siamo sempre più furbi degli altri: rinunciamo al nucleare perché è pericolosissimo e compriamo a caro prezzo quello prodotto tre metri oltre le nostre frontiere, vietiamo gli OGM, non sia mai che poi ci vediamo crescere le orecchie d’asino (giuro, l’ho sentita, e non sono tanto sicura che fosse una battuta) e lo compriamo dall’estero, rinunciando all’autosufficienza – o alla quasi-autosufficienza – alimentare. E in compenso esportiamo cervelli alla grande.

barbara

Una risposta

  1. Penso che la risposta sia un po’ più complessa di un semplice si o no. Io non credo che l’OGM sia dannoso alla salute, ma il vero problema di un uso che non sia fortemente regolamentato sta nella possibile perdita della sovranità alimentare da parte dei popoli. Già oggi la disponibilità di sementi sul mercato è data dalle scelte delle ditte che producono sementi, varietà produttive solo a patto che si adottino protocolli determinati dai produttori. Le sementi ibride e le OGM non sono riproducibili dagli agricoltori e la biodiversità coltivata è a rischio così come l’impoverimento alimentare dovuto all’eliminazione di colture poco redditizie. Oggi ci sono organizzazioni che producono e conservano sementi di varietà particolari garantendone la conservazione senza brevetti di sorta, incentivando mercati locali e nazionali. Un uso massiccio di OGM lo permetterebbe ancora? E l’eliminazione rapida della biodiversità quali conseguenza avrebbe?

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  2. Mi ci metto anch’io.. nulla vieta al contadino di qualunque parte del mondo esso sia di continuare ad utilizzare sementi “originali” non OGM : non credo che la Monsanto abbia il fucile puntato e spari a chi non adotta i propri prodotti.
    Certo, se li adotti, non puoi sperare nella filantropia altrui; chi ci ha messo anni e soldi per sviluppare il prodotto è naturale che se lo tenga stretto e cerchi di ripagarsi l’investimento. E lo fa nel modo più semplice: rendendo sterile il seme. Non vuoi dipendere da Monsanto? 2 alternative: a). continui ad utilizzare le sementi “storiche”. Se però per difenderle dai parassiti usi il DDt, io ti obbligo a dichiararlo e mi riservo il diritto di non comprarle. E se ti danno resa scarsa, non ti devi lamentare perchè b). studi delle alternative. Cioè fai come Monsanto: investi, studi e poi utilizzi. Diventi indipendente. Lo so, costa fatica, molta di più che lamentarsi della rapacità di Monsanto. Ma tant’è.

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    • Ho letto una volta, su una fonte che dovrebbe essere ben informata, che un tribunale indiano stava procurando delle grosse noie alla Monsanto proprio per la sterilità di certe sementi e la multinazionale per liberarsi dal problema ha semplicemente prodotto e venduto una varietà fertile degli stessi semi. Oltretutto non mi stupirei se in molti casi sia più semplice comprare di volta in volta le semenze più adatte piuttosto che tenersi sempre quelle.

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      • Non ho alcun tipo di competenza in materia, ma non mi stupirei se, come in qualunque tipo di organismo, a forza di riprodursi “pura”, la razza un po’ alla volta si impoverisse. A meno che ad un certo momento non si provveda a incrociarla con qualche altra razza in modo da rafforzarla… modificandone il DNA (haha)

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        • Sì, anche quello magari, ma io pensavo a un coltivatore che non si sposta di un millimetro dalle sue posizioni, aspettandosi che il mondo e la natura gli ricambino il favore.

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        • Dato che avevi parlato di “sementi più adatte” contrapposte a “sempre quelle”, ho pensato unicamente a quello che succede andando avanti sempre con lo stesso identico DNA nei secoli dei secoli dei secoli.

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  3. A conferma di vari interventi più sopra, esistono le prove delle modifiche avvenute negli ultimi 2000 anni, perché reperti di cereali e altre piante alimentari sono stati trovati nelle tombe, sia in Italia che in Egitto. In particolare, le spighe di grano e altri cereali contenevano molti meno chicchi. Quale cattiva multinazionale avrà prodotto OGM nel medioevo e nell’era moderna? Bisognerà indagare.
    Più in generale, occorre dire che qualunque cosa è possibile fare ed è conveniente fare, come risultato del progresso scientifico, sicuramente sarà fatta. Si rassegnino quindi non solo gli anti-OGM, ma anche tutti quelli che temono sviluppi di dubbia etica, tipo la clonazione di umani. Ciò non significa che la cosa debba piacere: significa che opporsi serve solo a ritardare di qualche anno, o, come si dice qui sopra, a svantaggiare economicamente qualche paese a beneficio di altri.

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      • La Verità è molto più inquietante! Altro che gli ultimi 2000 anni, 4 o forse 5000 piuttosto, si è cominciato a coltivare grano in Mesopotamia, e chi altro venne da quelle parti, da Ur in particolare? Coincidenze? Noi di Voyager pensiamo di no! Oltretutto il conduttore di Voyager chi era? Giacobbo, e che nome è Giacobbo? Un altro chiaro indizio! Adesso scusate, ma la mia cena mi sta chiamando, beh, in effetti sta scappando, ma sono solo dettagli.

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  4. Tanto per dirne una il tanto magnificato “grano cappelli” era un OGM, il suo “figlioletto” oggi diffusissimo in italia, il “Creso”, è stato ottenuto irraggiando semi di grano con raggi gamma nei laboratori dell’ENEA.

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  5. L’argomento mi interessa, per svariati motivi. Il più importante è che mi ricordo quando ero bambino e a scuola – dai preti – ci parlavano sempre della fame in India. Allora erano 400 milioni e morivano di fame, oggi sono un miliardo (e due, credo) ed esportano cibo. Non certo grazie a Panzana Shiva.
    Ora, noi saremo anche dei ricchi annoiati che possono permettersi di mangiare “biologgico” e “no OGM”, ma cercare di imporlo agli Africani, facendo pressioni tramite le solite disutili agenzie dell’ONU, è veramente criminale, e fa il paio con il bando del DDT. Ci sono grafici interessanti, reperibili sul sito dell’OMS: negli anni ’60 la malaria era praticamente debellata nel mondo, oggi fa milioni di morti all’anno.
    Poi i razzisti siamo noi.

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