QUELLA GRAN CIOFECA DELLA SERIE “CHERNOBYL”

Come sa chi mi segue, non guardo la televisione da quarant’anni, quindi la cosa non mi riguarda personalmente, ma siccome vedo in giro un sacco di gente convinta di avere visto che cosa realmente è successo a Chernobyl, riprendo questo ottimo articolo che mostra l’abissale distanza fra la fiction e la realtà.

Perché la serie “Chernobyl” di HBO sul nucleare sbaglia

giugno 11, 2019

[Tradotto dall’originale inglese [1] di Michael Shellenberger [2] a cura di Enrico Brandmayr per il Comitato Nucleare e Ragione]

Fin dall’inizio la mini-serie prodotta da HBO sul disastro nucleare del 1986, “Chernobyl”, ha riscosso il plauso dei media per l’accuratezza dei fatti narrati, seppur con qualche licenza artistica.
“La prima cosa da capire riguardo alla serie “Chernobyl”, ha scritto un giornalista su The New York Times, “è che si tratta in gran parte di finzione. Il secondo dato, e più importante, è che questo non importa granché”.
Il giornalista continua evidenziando lo stesso particolare inaccurato di cui già scrissi il mese scorso: “per qualche ragione le vittime da radiazioni sono spesso intrise di sangue”.
Ma HBO coglie correttamente “una verità di base,” scrive ancora, ovvero che Chernobyl fu “più conseguenza di bugie, insabbiamenti e un sistema politico marcescente… piuttosto che un’indicazione sull’inerente bontà o malvagità dell’energia nucleare”.
Su questo punto il creatore della serie “Chernobyl” Craig Mazin ha messo l’accento. “La lezione di Chernobyl non è la pericolosità dell’energia nucleare moderna,” ha scritto in un tweet, “ma che la menzogna, l’arroganza e la soppressione del dissenso sono pericolose”.
Gli addetti ai lavori del nucleare concordano. “I telespettatori potrebbero chiedersi quale sia la rilevanza della narrazione hollywoodiana al di fuori dell’Unione Sovietica” scrive il Nuclear Energy Institute. “In poche parole: non molto”.
Personalmente non ne sono convinto. Dopo aver visto tutti i cinque episodi “Chernobyl” e la reazione del pubblico, penso sia ovvio che la mini-serie abbia terrorizzato milioni di persone in merito alla tecnologia nucleare.
“Due settimane dopo aver finito di guardare la serie, non potevo smettere di pensarci” ha scritto una giornalista di Vanity Fair. “L’immagine che più mi ha colpito è stata la vista dei corpi dei primi soccorritori avvelenati dalle radiazioni, così devastati dall’esposizione che imputridiscono lentamente e, orribilmente, rimanendo disperatamente attaccati alla vita”.
“Ho guardato la serie con mio marito, e dopo per giorni abbiamo ricercato su Googledettagli sul disastro, inviandoci a vicenda particolari morbosi” continua la giornalista di Vanity Fair, “mentre mio padre… ha fatto ricerche su tutte le centrali nucleari in esercizio negli Stati Uniti”.
“Ho guardato il primo episodio di Chernobyl”, scrive in un tweet Sarah Todd, giornalista sportiva del Philadelphia Inquirer. “Quindi ho passato ore a leggere di energia nucleare. Ora sono in preda al panico e ho bisogno che qualcuno mi rassicuri in merito al fatto che si possa vivere tranquillamente sulla costa est degli Stati Uniti, sapendo che questa è la situazione”.
In molti hanno pensato che la mini-serie trattasse, infatti, di energia nucleare in sé.
“Il personaggio più caratterizzato della serie è probabilmente la stessa energia nucleare” scrive un critico per The New Republic. “Se ne parla continuamente, la sua natura è continuamente descritta e dibattuta… diviene un demone”.
Questo tipo di reazione non viene solo dai media. “Dopo aver visto Chernobyl ho cercato immediatamente su Google la centrale nucleare più vicina” scrive un telespettatore su Twitter. “Spaventoso”, aggiunge un altro, “ho visto un sacco di sangue e orrore in TV, ma questo li supera tutti. Perché? Perché potrebbe accadere ancora”.
“Attenzione a cosa sta accadendo in Bielorussia” mi ha scritto un artista. “Abbiamo paura della nostra nuova centrale nucleare perché è costruita dai russi. Hanno buttato giù il primo reattore da quattro metri di altezza”, ha detto. “Il secondo è stato danneggiato durante il trasporto, ma lo hanno installato ugualmente. Quindi mentre guardate la serie “Chernobyl”, per favore tenete a mente che potrebbe accadere ancora, e presto”.

Su cosa “Chernobyl” sbaglia

Nelle sue interviste riguardo al lancio di “Chernobyl”, il suo creatore, Mazin, ha più volte rassicurato sull’aderenza ai fatti realmente accaduti. “Mi sono piegato alla versione meno drammatica dei fatti”, ha detto Mazin, “non è bene oltrepassare la linea del sensazionalismo”.
In realtà, “Chernobyl” la linea del sensazionalismo la attraversa fin dal primo episodio, senza mai voltarsi indietro.
In un episodio, tre volontari sacrificano la loro vita per drenare dell’acqua radioattiva, evento mai accaduto.
“I tre personaggi erano in realtà gli operatori della centrale responsabili di quel settore dell’impianto, in turno al momento del disastro”, nota Adam Higginbotham, autore di Midnight in Chernobyl, una storia del disastro ben documentata. “Semplicemente ricevettero telefonicamente dal loro superiore l’ordine di aprire le valvole”.
Né le radiazioni contribuirono in alcun modo alla caduta di un elicottero, come “Chernobyl” sembra voler suggerire. Ci fu, sì, un elicottero caduto, ma i fatti avvennero sei mesi dopo il disastro e la causa fu l’impatto con una gru.
Il sensazionalismo più eclatante in “Chernobyl” sta nel descrivere le radiazioni come contagiose, alla pari di un virus. L’eroina-scienziata interpretata da Emily Watson letteralmente trascina via la moglie incinta di un pompiere che sta morendo di Sindrome Acuta da Radiazioni (SAR).
“Fuori! Fuori di qui!” grida Emily Watson, come se ogni secondo in più passato dalla donna al capezzale del marito contribuisse ad avvelenare il bambino che porta in grembo.
Ma le radiazioni non sono contagiose. Una volta rimossi i vestiti e accuratamente lavati, come avvenne in realtà per i pompieri, e anche nella serie “Chernobyl” la radioattività è contenuta nell’organismo.
Si può ipotizzare che sangue, urine, o sudore di una vittima di SAR possano recare una certa dose dannosa (non un’infezione) ma non vi è alcuna evidenza scientifica che ciò possa essere avvenuto durante il trattamento delle vittime di Chernobyl.
Perché dunque gli ospedali isolano i malati con teli di plastica? Perché il loro sistema immunitario è depresso e rischiano di essere esposti ad agenti patogeni per loro letali. In altre parole, la minaccia di contaminazione è l’opposto di quella dipinta nella serie “Chernobyl”.
Il bimbo muore. Emily Watson dice che “Le radiazioni avrebbero ucciso la madre, ma il feto le ha assorbite.” Mazin e la HBO apparentemente credono che tale scena sia realistica.
HBO cerca poi di ripulire il sensazionalismo con alcune note nei titoli di coda. Nessuna nota però specifica come ipotizzare che un feto muoia per aver assorbito radiazioni dal padre sia sublime fantascienza.
Non vi è alcuna prova attendibile che Chernobyl abbia mai ucciso un feto, né che abbia in alcun modo apprezzabile aumentato l’occorrenza di difetti alla nascita.
“Ad oggi abbiamo potuto osservare tutti i bambini nati al tempo di Chernobyl,” affermava nel 1987 Robert Gale, medico a UCLA, e “nessuno di loro, almeno alla nascita, mostrava deformazioni.”
Senza dubbio, l’unico impatto sulla salute pubblica mai documentato  furono 20,000 casi certi di cancro alla tiroide in minori di 18 anni al tempo del disastro.
Le Nazioni Unite nel 2017 conclusero che solo il 25%, 5,000 casi, poteva essere attribuito al disastro (paragrafi A-C). Negli studi precedenti, l’ONU aveva stimato fino a 16,000 i casi potenzialmente attribuibili alle radiazioni di Chernobyl.
Essendo il tasso di mortalità del cancro alla tiroide pari all’1%, le morti attese per cancro alla tiroide dovuto alle radiazioni di Chernobyl sono tra 50 e 160 su un arco di vita di 80 anni.
Alla fine la HBO sostiene l’occorrenza di “un drammatico picco di casi di cancro tra Ucraina e Bielorussia” ma anche questo non è vero.
I residenti di questi due Paesi “furono esposti a dosi di radiazione di poco superiori al fondo ambientale” secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Se mai ci fossero stati casi di cancro aggiuntivi questi rappresenterebbero “circa lo 0.6% delle morti per cancro normalmente attese in queste popolazioni per altre cause”.
Le radiazioni non sono la terribile tossina di cui “Chernobyl” narra. Nell’episodio pilota, le alte dosi di radiazioni fanno sanguinare i lavoratori, e nel secondo episodio, un’infermiera che tocca appena un pompiere vede la propria mano arrossire, come ustionata. Nessuna delle due cose è avvenuta o è possibile.
“Chernobyl” mostra minacciosamente un gruppo di persone radunate su un ponte per guardare l’incendio. Nei titoli di coda la HBO chiosa che “è attestato che nessuno di loro sopravvisse. Il ponte è oggi chiamato Il ponte della Morte”.
Peccato che “il ponte della morte” sia soltanto una formidabile leggenda metropolitana senza alcuna prova a supporto.
“Chernobyl” è altrettanto ingannevole per ciò che omette di raccontare. Vorrebbe far credere che tutti i primi soccorritori colpiti da SAR siano morti. In realtà, l’80% di loro sono sopravvissuti.
È chiaro che anche spettatori istruiti e informati, come i giornalisti, abbiano preso molto della finzione di “Chernobyl” per fatti.
The New Yorker ha rilanciato l’illazione che un feto “assorbì la radiazione” e morì. The New Republic ha descritto le radiazioni come “supernaturalmente persistenti” e contagiose (stile “zombie”, per cui ogni vittima diviene a propria volta un untore”). The EconomistPeople, ed altri hanno rilanciato la leggenda metropolitana del “ponte della morte”.
Questa cattiva narrazione ha un costo umano. L’idea che le persone colpite da radiazioni siano contagiose fu usata per terrorizzare, stigmatizzare e isolare le vittime di Hiroshima e Nagasaki, di Chernobyl e, ancora, di Fukushima.
Le donne della zona che ricevettero basse dosi di radiazioni dal disastro di Chernobyl abortirono, nel panico, tra 100,000 e 200,000 gravidanze e le vittime da radiazioni di Chernobyl risultarono affette da depressione, ansia e sindrome post traumatica da stress quattro volte di più del resto della popolazione.

Perché “Chernobyl” fraintende così tanto il nucleare

“Chernobyl” dichiaratamente narra le menzogne, l’arroganza e la soppressione del dissenso del regime comunista sovietico. Eppure la vita nell’Unione Sovietica degli anni Ottanta è rappresentata nella serie altrettanto inaccuratamente e melodrammaticamente quanto le radiazioni.
“La narrazione è piena di personaggi che agiscono per paura di essere giustiziati,” annota un giornalista di The New Yorker. “Questo è inaccurato: esecuzioni sommarie, o sulla base degli ordini di un singolo funzionario, sono un retaggio dell’Unione Sovietica degli anni Trenta”.
Il filo conduttore della serie è lo sforzo eroico degli scienziati di scoprire le cause del disastro, ma gli scienziati sovietici “erano perfettamente al corrente dei difetti dei reattori RMBK da anni”, fa notare Higgenbotham, e “specialisti del reattore giunti da Mosca entro 36 ore dall’incidente ne individuarono chiaramente e prontamente le cause”.
Il bisogno di drammatizzare non spiega da solo i fraintendimenti di “Chernobyl” sul nucleare.
Consideriamo come uno degli eroi scienziati del film descrive le radiazioni: come “un proiettile.” Ci chiede di immaginare Chernobyl come “tre milioni di milioni di proiettili nell’aria, nell’acqua e nel cibo… che spareranno per 50 mila anni”.
Le radiazioni però non sono come proiettili. Se lo fossero, saremmo tutti morti, dal momento che in natura siamo continuamente esposti alle radiazioni. E alcune persone che sono esposte a più proiettili, come gli abitanti del Colorado, di fatto vivono più a lungo.
Il proiettile del primo episodio diviene ben presto un’arma. “Il reattore 4 di Chernobyl è ora una bomba nucleare” dice l’eroe scienziato, una che esplode “ora dopo ora” e “non si fermerà… prima di aver ucciso tutto il continente.”
Prima di aver ucciso tutto il continente? La paura insinuata nello spettatore è, ovviamente, quella della guerra nucleare. Così “Chernobyl” usa lo stesso repertorio di tanti altri film di disastri nucleari.
Nel film del 1979 intitolato La sindrome Cinese è famosa la frase di uno scienziato che afferma che una centrale nucleare “potrebbe rendere inabitabile un’area delle dimensioni della Pennsylvania”.
Hollywood ha preso a prestito la narrazione falsa della fusione del nocciolo come un’esplosione nucleare dai capi del movimento anti nucleare quali Ralph Nader, che nel 1974 asseriva che “un incidente nucleare avrebbe potuto spazzare via Cleveland e i sopravvissuti avrebbero invidiato i morti”.
In sostanza, “Chernobyl” fraintende il nucleare alla pari di come l’umanità nel suo insieme lo ha frainteso negli ultimi sessant’anni, ovvero aver mutato la nostra paura delle armi nucleari in paura delle centrali nucleari.
A ben guardare, il disastro di Chernobyl dimostra invece come il nucleare sia la più sicura tra le fonti di produzione di elettricità. Nei peggiori disastri nucleari, solo una limitata quantità di radiazioni viene dispersa nell’ambiente e gli effetti sulla popolazione sono molto limitati.
Per il resto del tempo, le centrali nucleari riducono l’inquinamento atmosferico, diminuendo il ricorso a combustibili fossili e biomasse. Per questo motivo l’energia nucleare ha salvato circa due milioni di vite fino ad oggi.
Se vi è un lato positivo in “Chernobyl” e altra spazzatura pseudoscientifica come il libro di Kate Brown, docente del MIT, Manual for Survival, sta nella comparsa di nuovi coraggiosi scienziati delle radiazioni e giornalisti onesti come Higgenbotham.
“Le centrali nucleari non emettono né anidride carbonica né altri inquinanti in atmosfera e si dimostrano statisticamente più sicure di ogni altra forma di produzione energetica”, scrive, “incluse le turbine eoliche”.
E per quanto riguarda la nostra esagerata paura delle armi nucleari, gli ultimi 74 anni sono stati i più pacifici degli ultimi 700. Con la diffusione degli ordigni nucleari, le morti causate da guerra e combattimento sono calate del 95%.
Potrà la coscienza umana evolvere in modo da comprendere come qualcosa di così pericoloso abbia in realtà reso il mondo più sicuro?
Sono sempre più speranzoso. Uno dei migliori libri che abbia letto recentemente è un’etnografia di scienziati addetti agli ordigni nucleari, Nuclear Rites, scritta da un attivista anti nucleare poi divenuto antropologo, Hugh Gusterson.
Nel finale egli ammette che “la deterrenza nucleare ha avuto un ruolo chiave nell’evitare lo spargimento di sangue genocida di una terza guerra mondiale, e se un mondo pieno di ordigni nucleari è un mondo pericoloso, similmente, e per altre ragioni, è pericoloso un mondo senza la ferrea disciplina imposta dalle armi nucleari”.
Se Hollywood mai decidesse di raccontare la vera storia del nucleare, e spiegare agli spettatori la relazione paradossale tra pericolo e sicurezza, non avrebbe bisogno di ricorrere al sensazionalismo. La verità è già sensazionale di per sé.

Note:

[1] https://www.forbes.com/sites/michaelshellenberger/2019/06/06/why-hbos-chernobyl-gets-nuclear-so-wrong/#581f4903632f

[2] Michael Shellenberger, statunitense, è presidente di Environmental Progress, un’organizzazione di ricerca e politiche energetiche ambientali. “Eroe dell’Ambiente” secondo la rivista Time, ha vinto il Green Book Award. Scrive per The New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Scientific American, Nature Energy, and PLOS Biology. I suoi TED talks hanno oltre 1.5 milioni di visualizzazioni. (qui)

Come viene mostrato nella prima parte dell’articolo, sembrerebbe proprio che lo scopo della serie sia quello di terrorizzare. Esattamente come all’epoca si è tentato di terrorizzarci con lo spettro della catastrofe nucleare (e qualcuno oggi commenta: abbiamo abolito il nucleare, quando in realtà per risolvere il problema bastava abolire il comunismo). E proprio sull’onda di questo terrore indotto è stato indetto quel referendum (al quale purtroppo non ho potuto votare perché mi trovavo in Somalia – non che il mio voto avrebbe cambiato qualcosa in questa reazione di pancia) che NON chiedeva di chiudere le centrali nucleari esistenti, ma il cui risultato è stato usato per fare esattamente questo, costringendoci così a comprare a peso d’oro il nucleare prodotto venti metri oltre la nostra frontiera – dopo che ci avevano raccontato che la nube radioattiva si espande per miliardi di miliardi di chilometri. E va da sé che quelli che il nucleare no per carità sono gli stessi che il carbone no perlamordiddio, petrolio neanche parlarne, rigassificatori peggio che andar di notte, centrali idroelettriche vade retro Satana, e per andare a prendere il pane a settanta metri da casa prendono il SUV.

POST SCRIPTUM. Fino all’anno in cui sono andata in pensione, nel 2012, ho visto ogni anno arrivare a Brunico alcune decine di “bambini di Chernobyl”, che per tre settimane venivano ospitati da famiglie locali, affinché potessero respirare aria buona e “disintossicarsi dal nucleare”. Bambini di scuola elementare e media. Ventisei anni dopo l’incidente. Mi sono sempre posta delle domande. Non ho mai trovato risposte.

barbara

Una risposta

  1. Mi fa piacere scoprire che esiste qualcun altro che non guarda la TV da anni. Riguardo a quello che è successo a Chernobyl concordo pienamente, mentre sulla miniserie sono frazionalmente (e sottolineo frazionalmente!) più tollerante. Il realismo dell’ambientazione è impressionante: automezzi d’epoca perfetti, addirittura con le targhe giuste, per scadere però nel melodramma/predica nelle scene che hai segnalato. Anch’io mi ricordo i ragazzini ucraini che venivano ospitati da famiglie anche qui a Livorno…

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    • Probabilmente la perfetta ambientazione è funzionale al fare credere che sia tutto realistico. Come gli infiltrati che imitano perfettamente non solo la parlata della tua città, ma addirittura quella del tuo quartiere per meglio adescarti e fregarti.

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      • Potrebbe essere, ma non stimo così tanto i cialtroni che mettono insieme questa roba. Lasciami credere che esista uno scenografo locale competente al servizio di una sceneggiatura da fumetto… A parte i locali non ci sono poi in giro molte persone capaci di distinguere quello che ho descritto sopra. Comunque hai ragione: a pensar male… Di nuovo complimenti per il blog!

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