SIAMO SICURI DI SAPERE

in che mondo, esattamente, stiamo vivendo?

L’imam dei tagliagole con cui dialogavano tutti: i vescovi, il PD e i magistrati

Una storiaccia incredibile. Incontri in chiesa sulla “fratellanza” e tavole rotonde con l’imam che vuole “ucciderli tutti, anche le donne incinte”. Vi avevamo avvertiti che le pecore erano lupi

GIULIO MEOTTI, GIU 13, 2024

Alcuni (sempre meno, per la verità) intellettuali e scrittori, politici e un Papa, da vent’anni avevano fatto di tutto per allertare i contemporanei sui pericoli dell’Islam radicale. Avevano spiegato che l’irenismo di un certo “dialogo” era vuoto, un giro di carte retorico e una follia, che alcune pecore in realtà erano lupi. Sono stati trattati come fascisti e reazionari.
“Cattolici e musulmani insieme, per un messaggio di pace, un gesto di amicizia e fratellanza”, chiosa La Nuova Ferrara. Siamo a Cento, nella chiesa di San Lorenzo e in piazza Guercino, per un grande dialogo interreligioso dopo l’omicidio di padre Jacques Hamel nella sua chiesa in Normandia.
C’era Stefano Guizzardi, parroco di San Biagio. Poi il vicesindaco Simone Maccaferri, che disse: “Per l’integrazione, rimane tanto da fare”. Presente anche una delegazione del Pd con il capogruppo Piero Lodi. Prese la parola il presidente del Centro culturale Islamico Iqra di Bologna, Zulfiqar Khan, che disse: “Abbiamo assistito alla messa, poi ascoltato i versetti del Corano. Tante le cose che le nostre religioni hanno in comune. Islam, in arabo, vuol dire pace”.
Poi l’imam bolognese Khan lo troviamo seduto al fianco di Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale e uno dei più famosi costituzionalisti italiani. Si parla di “bene comune”.
Ora si chiede l’espulsione di Khan. Non perché l’imam sia cambiato, ma perché qualcuno ha deciso di mettergli gli occhi addosso.
L’imam ha inveito contro chi si schiera con America e Israele, che “farà una brutta fine”. Hamas? “La mano di Allah”. Il 12 aprile, rivolgendosi ai fedeli, dichiara: “Perpetrate il jihad contro questi bugiardi, questi assassini”. E, con orgoglio, dice che “se qualcuno dice a me ‘sei estremista islamico’ dico sì perché estremismo vuole dire seguire i fondamenti”.
Lo stesso imam che invita a “ucciderli tutti, anche i più piccoli e le donne incinte”, fa parte della Commissione per il dialogo interreligioso di Bologna.
Una storiaccia incredibile che dovrebbe essere oggetto di una seria inchiesta giornalistica, invece niente.
Perché il sindaco di Bologna Matteo Lepore, che ha partecipato con Zuppi all’Iftar Street, che segna la fine del digiuno durante il Ramadan, e che ha appeso le bandiere palestinesi dai palazzi comunali, non condanna un importante imam della sua città che chiede di uccidere gli “infedeli”, anche sotto forma di feto? E dov’è l’arcivescovo di Bologna Zuppi? C’è davvero da rimpiangere il tempo di Carlo Caffarra, che da arcivescovo di Bologna parlò di “una sfida alla nostra civiltà che ha come obiettivo islamizzare l’Europa”.
Cosa fare dell’imam Khan è semplice: espulsione immediata dall’Italia e ritorno in Pakistan, come ha fatto qualche settimana fa la Francia con un imam che aveva simili sogni di conquista e morte. Dodici ore e Parigi lo ha messo su un aereo per Islamabad, tra i suoi simili.
Ma il caso Khan, dopo il foglio di via, richiederebbe un’urgente discussione su certo ecumenismo, dialogo e irenismo interreligiosi. La crisi di coscienza della civiltà occidentale ha davvero affossato anche il suo cuore spirituale, la Chiesa? Sono questi gli imam che la Chiesa ha invitato a leggere sure islamiche sotto la Cupola del Brunelleschi a Firenze e nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma, alla cerimonia per Jacques Hamel, il prete ucciso dai terroristi islamici?
Il sacerdote cattolico Custodio Ballester è appena finito sotto inchiesta della magistratura in Spagna per un articolo intitolato “Il dialogo impossibile con l’Islam”. Ballester, parroco a Barcellona, ​ scrive: “Questa nuova riattivazione del dialogo cristiano-musulmano, paralizzato dalle presunte ‘imprudenze’ di Papa Benedetto XVI, è ben lungi dal diventare una realtà. L’Islam non consente il dialogo. Per l’Islam, o credi, o sei un infedele che deve essere sottomesso in un modo o nell’altro”.
E Khan non è certo un caso isolato.
L’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, ha dialogato sotto la Torre con l’imam Mohammad Khalil, che ha incitato al terrore di Hamas dopo il 7 ottobre.
L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, dialoga con l’imam Brahim Baya, assurto poche settimane fa alle cronache per il sermone e la preghiera all’Università di Torino in cui inneggiava al Jihad. Baya ha partecipato all’inaugurazione di un centro islamico a Cuneo assieme al vescovo. Poi incontri con Derio Olivero, vescovo di Pinerolo.
Delle due, l’una: o la Chiesa cattolica degli Zuppi era a conoscenza di questi soggetti e allora è compromessa fino al midollo oppure non sapeva ed è stata raggirata con la taqiya. E non so quale sia lo scenario peggiore. C’è comunque da avere molta paura per il pericolo che corriamo e per tanta colpevole incoscienza nell’aver deciso di seppellire la testa sottoterra perché dovevamo dimostrare ai terroristi che non volevamo vedere.
Lo sterminio selettivo dei cristiani e degli ebrei, motivato dall’odio dottrinale islamico anche da parte di chi si muove liberamente nelle nostre strade ed è invitato a sedersi al tavolo delle discussioni civiche e religiose, dovrebbe mettere ordine dove regna solo il disordine degli eufemismi e delle edulcorazioni. La Chiesa degli struzzi.

Aggiungo, abbastanza in tema, un piccolo promemoria sulla croce rossa, un annuncio pubblicitario per chi avesse bisogno di una stanza

e un’incursione nella mente dei “martiri”

barbara

NON CI SONO PROVE NON CI SONO PROVE NON CI SONO PROVE…

Come ha ripetuto fino a sfiatarsi la nota giornalista Carmen Lasorella, insieme a tanti compagni negazionisti.

Oggi vi offro un video, dura un po’ più di un’ora. Alcuni spezzoni li avete già visti, da me o altrove, altri sono inediti. Alle anime sensibili e agli stomaci delicati sconsiglio di vederlo, agli altri consiglio di procurarsi un’adeguata dose di maalox. Magari guardandolo a rate, perché tutto di fila è dura.

E ora da bravi, tornate a ripetere: non ci sono prove, non ci sono prove, non ci sono prove…

barbara

E GLI EBREI, NEL FRATTEMPO

Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina si ritrovò trasformato in un ostaggio a Gaza

È molto lungo, portate pazienza, ma ci sono storie che non possono essere raccontate in quattro righe. E neanche in quattro pagine. Magari leggetelo a rate, ma leggetelo.

Otto mesi senza luce del sole, acqua corrente, cibo e aria, abusati, torturati, costretti a leggere il Corano. Ma per l’Occidente marcio a cui tireranno il collo, gli ebrei rapiti meritano l’inferno

GIULIO MEOTTI, GIU 15, 2024

“Quando Gregor Samsa si risvegliò una mattina da sogni tormentosi si ritrovò nel suo letto trasformato in un insetto gigantesco’. Così inizia ‘La Metamorfosi’ di Franz Kafka, morto questa settimana un secolo fa. La storia sconvolse il mondo civilizzato. Ebbene, 109 anni dopo, sembra che una cosa del genere sia del tutto possibile, dopo tutto. Una mattina, il 7 ottobre 2023, decine di uomini, donne e bambini si sono svegliati nelle loro stanze, nei loro morbidi letti, per scoprire di essere ostaggi, esiliati in una minacciosa zona crepuscolare senza speranza di salvezza all’orizzonte”.
Così una delle più famose scrittrici israeliane, Nitza Ben Dov. “Ma a differenza di Gregor Samsa, non furono trasformati in parassiti giganti, ma trascinati via da questi. Kafka è spietato nella rappresentazione grafica del deterioramento del suo antieroe verso la sua tragica fine. Non conosciamo i dettagli del calvario subito dagli ostaggi. Non abbiamo nessuno scrittore che ce lo descriva con agghiaccianti dettagli kafkiani. La cronaca del loro declino fisico ed emotivo ci è nota solo dalle testimonianze degli ostaggi ritornati e da ciò che la nostra immaginazione è disposta e capace di contemplare”.
Milano, appena un mese dopo il 7 ottobre, a una manifestazione filo palestinese prese la parola un’attivista: “Oggi sono molto contenta, perché pensavano di poter prendere gli ostaggi con la forza. E invece hanno fatto quello volevano i palestinesi. Hanno dovuto fermare i bombardamenti per avere i loro prigionieri di guerra”.
Prigionieri di guerra? Donne, vecchi, bambini.
Delle 251 persone che sono state rapite il 7 ottobre, 7 sono state salvate. Più di 100 sono state rilasciate a novembre in cambio di terroristi palestinesi detenuti in Israele. Almeno un terzo dei 120 prigionieri rimasti a Gaza non sarebbero più vivi.

Una gabbia per ostaggi

Strano destino, quello degli ostaggi israeliani, venticinque dei quali in possesso di un passaporto straniero.
Questa settimana il ministro degli Affari esteri dell’Unione europea, Josep Borrell, ha condannato Israele per il blitz a Nuseirat, nel centro di Gaza, grazie al quale sono stati liberati quattro ostaggi israeliani (Noa Argamani, Almog Meir Jan, Shlomi Ziv e Andrey Kozlov) dopo che per mesi Israele aveva trovato soltanto corpi di ostaggi (morti). Borrell ha attaccato Israele per “un altro massacro di civili”. Il vice ministro degli Esteri norvegese, Andreas Motzfeldt Kravik, ha condannato Israele per quello che ha definito “un altro massacro di civili a Gaza”. E Francesca Albanese, l’inviata dell’Onu per i palestinesi, si è felicitata per gli ostaggi “released”: rilasciati.
Auto bruciate, bagni crivellati di proiettili e oggetti personali abbandonati. A New York una mostra ha portato i resti del massacro del Nova Festival, in cui 360 israeliani sono stati uccisi da Hamas il 7 ottobre e a decine presi in ostaggio. La mostra è stata attaccata dai manifestanti filopalestinesi. Nerdeen Kiswani, un attivista che ha organizzato la protesta, ha scritto che “il festival musicale Nova era un rave vicino a un campo di concentramento”. Quindi i 360 ebrei assassinati erano dei nazisti che meritavano la morte. I filopalestinesi non hanno ucciso nessuno, almeno non ancora. “Lunga vita all’Intifada”, ha esultato la folla fuori dalla mostra, che sorge in un luogo simbolo per New York, dove si ergeva il World Trade Center. I manifestanti hanno cantato “I sionisti non sono ebrei né umani”, uno striscione diceva “Lunga vita al 7 ottobre”. Giovani americani sventolavano le bandiere di Hamas e Hezbollah. Il New York Post ha pubblicato il video di un manifestante mentre urlava che avrebbe voluto che “Hitler fosse ancora qui”. Perché il leader nazista vi avrebbe “spazzato via tutti”. “Vi avrebbe spazzato via tutti”, ripete due volte, a scanso di equivoci. Bravo il sindaco democratico di New York, Eric Adams, che ha pubblicato sui social i volti delle vittime del festival Nova e che ha reso omaggio al memoriale. Potrebbero ispirarsi a lui i sindaci dem in Italia, come quello di Bologna, che invece garriscono con le bandiere palestinesi i loro palazzi comunali.

La casa della direttrice del Museo di Brooklyn, Anne Pasternak

Dunque nelle piazze occidentali si celebra il massacro e il rapimento.
Pochi giorni fa, duecento dipendenti delle istituzioni dell’UE a Bruxelles hanno protestato contro Israele come “Funzionari contro il genocidio”. Nessuno di loro ha chiesto il rilascio degli ostaggi nelle mani di Hamas.
Marcel Fontaine, Marcel Carton, Jean-Paul Kaufmann e Michel Seurat. I giornalisti scandivano, in una litania che finì per imprimersi nella memoria di tutti, il conto alla rovescia dei loro giorni trascorsi in prigionia. Erano “gli ostaggi francesi del Libano”, sociologi, giornalisti, diplomatici, rapiti da Hezbollah, le stesse milizie sciite, ausiliarie dell’Iran dei mullah, contro cui combatte Israele. Il fatto che non siano stati abbandonati al loro destino, né condannati al baratro dell’oblio, ha molto a che fare con l’esito positivo di quella vicenda. La situazione degli ostaggi francesi assurse a una causa europea e l’informazione instillava nell’opinione pubblica la sensazione della prova che stavano sopportando. La campagna mediatica fu impeccabile ed è durata più di due anni consecutivi, giorno dopo giorno, fino alla loro liberazione nel maggio 1988, a eccezione di Seurat, che morì in cattività. Ben diversa la sorte degli ostaggi israeliani.
L’inferno dei 120 ostaggi rimasti in mano a Hamas è scomparso dai nostri media.
Agam Goldstein-Almog è una ragazza israeliana che è stata per due mesi nelle mani di Hamas. A Gaza è stata costretta a indossare un velo completo e un abito lungo, le è stato imposto di guardare sempre a terra, è stata costretta a recitare le preghiere islamiche e i terroristi le hanno dato un nome tratto dal Corano: “Salsabil”. Anche gli ostaggi salvati nell’operazione al Nuseirat di Gaza hanno riferito di essere stati sottoposti a quello che hanno descritto come “lavaggio del cervello”, con i terroristi che li hanno costretti a leggere il Corano e studiare le norme islamiche.
Ad Amit Soussana è andata peggio. Una volta liberata, Amit ha raccontato di essere stata tenuta in ostaggio nella camera da letto di un bambino a Gaza con una catena alla caviglia. Il terrorista di Hamas incaricato di sorvegliarla, “Muhammad”, di tanto in tanto si sedeva accanto a lei sul letto, le sollevava la maglietta e la palpeggiava. Muhammad le chiedeva costantemente del ciclo mestruale, se si era lavata e quando sarebbe finito. Una mattina, Muhammad le slacciò la catena alla caviglia in modo che potesse lavarsi nella vasca da bagno. Poi è tornato con una pistola. “Mi ha puntato la pistola alla fronte”. L’ha trascinata nella stanza del bambino, ricoperta di immagini di SpongeBob. “Poi, con la pistola puntata, mi ha costretto a commettere un atto sessuale”.
Alcuni sono stati rapiti in condizioni di estrema violenza, altri sono stati testimoni del massacro, i bambini sono stati spesso separati dai genitori o hanno assistito alla loro uccisione. Anche la loro alimentazione varia e dipende dalle guardie e dalla loro capacità di procurarsi il cibo, nonché dalla loro volontà di fornirlo ai rapiti. Le donne che erano trattenute con i loro figli davano il loro cibo ai bambini. Le donne anziane detenute per lo più da sole hanno mostrato resilienza quando hanno affrontato i loro rapitori chiedendo loro più cibo. Una di queste donne ha chiesto di ricevere qualcosa di più del semplice riso, due volte al giorno, ed è riuscita a ricevere anche una pita. Non c’è mai stato accesso all’acqua pulita, secondo le testimonianze degli ostaggi rilasciati. Ad alcuni è stata data da bere acqua di pozzo inquinata, causando problemi gastrointestinali, diarrea e vomito. Le condizioni igienico-sanitarie erano pessime, con gruppi di ostaggi costretti a condividere un bagno senza acqua.
Un nutrizionista dello Sheba che li ha in cura ha detto che soffrono di grave malnutrizione e li attende una lunga riabilitazione. “Hanno mangiato un decimo di quello che dovrebbero mangiare”. Mittal Binyamin, nutrizionista clinico dello Sheba Hospital di Tel Hashomer che li ha in cura, ha spiegato in un’intervista a Walla: “Ciò che accade al corpo in una situazione del genere è che deve abbattere le riserve disponibili, i muscoli. Quando sono tornati, erano molto impoveriti in termini di muscoli. Nel corpo non erano rimasti muscoli, solo pelle flaccida; tutto era andato. Le conseguenze di ciò potrebbero essere danni agli organi interni; è probabile che se fossero stati più a lungo ostaggio, avremmo visto più lesioni, ad esempio, al muscolo cardiaco e, dal punto di vista neurologico”.
“Siamo tornati ai tempi delle liste degli ebrei” scrive sul Point Alain Jakubowicz. “Alla fine, chi decide? Chi stila le liste? Chi dà il pollice in su o il pollice giù, chi rilascia salvacondotti e permessi di soggiorno? Coloro che hanno seminato morte”.
L’esercito ha trovato i disegni realizzati da Emilia Aloni, di sei anni, liberata nel primo scambio. E cinque celle a forma di gabbia dove sono stati tenuti fino a venti ostaggi per volta, con mancanza di ossigeno e terribile umidità. Noa Argamani era tenuta in ostaggio da un giornalista, da suo padre medico e dal resto della famiglia (tutti uccisi durante l’operazione di salvataggio). Abdullah Al Jamal pubblicava articoli quotidiani in inglese su Palestine Chronicle e Al Jazeera. I quattro ostaggi salvati da Gaza si trovano in condizioni fisiche e psicologiche peggiori di quanto inizialmente creduto. Il Wall Street Journal ha riferito che tre dei quattro ostaggi salvati dall’esercito israeliano erano stati chiusi in bagno e avvolti in coperte quando faceva caldo durante la loro prigionia a Gaza. La Cnn ha riportato la valutazione di uno dei medici che avevano in cura i quattro, il dottor Itai Pessah dello Sheba Medical Center, secondo cui erano stati picchiati e soffrivano di malnutrizione. “Non avevano proteine, quindi i loro muscoli sono estremamente deperibili. A causa di ciò ci sono danni ad alcuni altri sistemi”, ha detto Pessah, aggiungendo che “ci sono stati periodi in cui non ricevevano quasi alcun cibo”. Shlomi Ziv ha detto che i suoi rapitori gli hanno fatto leggere il Corano e pregare ogni giorno. Il padre di Almog Meir Jan, uno dei quattro ostaggi liberati nel blitz, è stato intanto trovato morto nella sua casa poche ore prima che potesse riabbracciare il figlio liberato nel blitz. Il suo cuore non ha retto.
Pessah, direttore dell’ospedale pediatrico Edmond e Lily Safra presso lo Sheba Medical Center, fuori Tel Aviv, il cui team ha esaminato molti ostaggi liberati, racconta: “Abbiamo sentito e visto prove di abusi sessuali in una parte significativa delle persone che abbiamo trattato. Abbiamo sentito prove – e quella è stata una delle parti più difficili – di abusi contro coloro che sono ancora lì, sia fisico che sessuale”. Pessah ha anche affermato che gli ostaggi sono stati sottoposti a torture psicologiche (come sentirsi dire che Israele non esiste più). “Quello che mi ha veramente colpito è quanto fossero preparati i terroristi di Hamas riguardo al loro tormento psicologico. Era strutturato e pianificato in anticipo. Dicono costantemente: ‘Nessuno si preoccupa per te. Sei qui da solo. Senti le bombe cadere? A loro non importa di te. Siamo qui per proteggerti’. E questo ha davvero giocato con le loro menti. Ci sono stati alcuni episodi in cui hanno separato due membri della famiglia, e poi li hanno rimessi insieme, poi li hanno separati, poi li hanno rimessi insieme”. La Croce Rossa internazionale in otto mesi non è mai riuscita a fare loro visita [non è mai riuscita o non ha mai voluto?]. “Sono stati tutti maltrattati, puniti e torturati fisicamente e psicologicamente in molti modi” ha detto Pessah al New York Times.
Moran Stella Yanay ha raccontato: “Mi sono immaginata come la donna ebrea che gioca con i tedeschi per procurarsi il cibo. Giocavo a carte con loro e parlavo, cercando di farli ridere, così ottenevamo il più possibile e soffrivamo il meno possibile. Ma a un certo punto è subentrata un’amara realtà. Una volta eravamo tutti seduti nella stessa stanza a giocare a carte e tutti ridevano. Probabilmente ho detto qualcosa, qualunque cosa fosse, ho fatto qualcosa che non era accettabile per loro, l’ho fatto per scherzo, il terrorista non ha capito, quindi è uscito dalla stanza, tutti hanno smesso di ridere. È tornato con una pistola e me l’ha puntata alla testa. Ha detto che se lo avessi fatto di nuovo, mi avrebbe sparato alla testa”. Sei mesi dopo il suo rilascio, Moran ha condiviso la sua esperienza di prigionia di Hamas con il Washington Post, raccontando il terrore del rapimento, la crudeltà dei rapitori e il prezzo di questo calvario sulla sua mente e sul suo corpo. “Benvenuta a Gaza”, le ha detto il leader del gruppo che l’aveva rapitaa. Le sue guardie hanno detto che la sua famiglia si era dimenticata di lei, che non c’era nessun paese in cui potesse tornare e che i vicini l’avrebbero uccisa se avesse fatto troppo rumore. Quando è stata rilasciata aveva perso 17 chili.
Il padre di Emily Hand, che ha il doppio passaporto irlandese e israeliano, ha raccontato che sua figlia parla solo a bassa voce dopo che le è stato ordinato di rimanere in silenzio durante la prigionia. Emily ha solo nove anni. Era stata rapita mentre dormiva nel kibbutz Be’eri insieme alla sua amica Hila. Erano chiuse in una stanza con altri ostaggi. A terra c’erano dei materassi. Potevano andare solo in bagno. Mancava l’acqua, per cui tutti i bisogni fisici rimanevano lì. Ogni quattro, cinque giorni portavano un secchio colmo e lo versavano nel water e, a turno, a uno degli ostaggi toccava pulire. Per lavarsi usavano asciugamani bagnati in un pentolino riscaldato con una stufetta a gas. “La maggior parte degli ostaggi israeliani che sono stati rilasciati a novembre ha subito abusi fisici e mentali molto gravi”, ha denunciato la responsabile del reparto di psichiatria del centro medico Ichilov di Tel Aviv, Renana Eitan. I più piccoli sono stati drogati dai loro rapitori, ketamina e benzodiazepine. Una donna è stata tenuta sottoterra, durante il periodo nelle mani di Hamas, nella più completa oscurità. “È diventata psicotica, ha iniziato ad avere allucinazioni, che di solito si verificano quando si privano le persone di tutti i sensi normali. Altre due donne sono state tenute in una gabbia di un metro per un metro e mezzo”.
Aviva Siegel, la madre di Shir, che è stata tenuta prigioniera a Gaza dal 7 ottobre alla fine di novembre e il cui marito Keith è ancora in ostaggio, ha raccontato: “I terroristi hanno portato loro abiti per bambole e le hanno trasformate nelle loro bambole.  Fantocci con i quali si poteva fare quanto si voleva, quando si voleva”.
Quante di loro torneranno incinte? La raccapricciante testimonianza è stata confermata da Chen Goldstein Almog: “Ci sono molte ragazze che non hanno avuto il ciclo. Forse per questo dovremmo pregare, perché il corpo in qualche modo le protegga in modo che, Dio non voglia, non rimangano incinte”. Hamas di tanto in tanto ha diffuso video degli ostaggi, compreso uno del 23enne israelo-americano Hersh Goldberg-Polin, mutilato della mano sinistra.
Un veterinario di Gaza ha eseguito un intervento chirurgico su un ostaggio francese-israeliana mentre era tenuta prigioniera da Hamas, ha rivelato la zia. Vivian Hadar dopo il rilascio della nipote Mia Shem ha raccontato: “Un veterinario le ha operato il braccio”. Mia era apparsa in un video di propaganda di Hamas in cui diceva: “Si prendono cura di me, mi danno medicine, va tutto bene”.
Il primo rapimento di Hamas risale al 1994. All’epoca il movimento riuscì a rapire un soldato israeliano, Nachson Wachsman, in un villaggio nel centro di Israele. Venne ucciso dai suoi rapitori pochi giorni dopo, durante il raid effettuato dall’esercito per cercare di liberarlo. All’epoca Israele applicava la cosiddetta “dottrina di Annibale”, dal nome del generale cartaginese che preferì prendere il veleno piuttosto che arrendersi ai romani. Si intendeva evitare “a tutti i costi” che un soldato cadesse nelle mani del nemico, anche se ciò significa compiere operazioni che potrebbero ferirlo o metterlo in pericolo. La morte di Nachson Wachsman sconvolse l’opinione pubblica israeliana. Esattamente l’effetto ricercato da Hamas.
Dodici anni dopo, nel 2006, il movimento terroristico regnava sulla Striscia di Gaza, evacuata dagli israeliani, quando riuscì a sequestrare il caporale Gilad Shalit. Seguirono cinque anni di negoziati durante i quali Hamas alzò la posta. Essendo tutte fallite le operazioni militari per liberare il soldato, Israele fu costretto a negoziare attraverso Egitto e Turchia. E si ricorda un film di animazione di Hamas in cui Noam Shalit – il padre del soldato per cinque anni nelle mani di Hamas – invecchia nella vana speranza di rivedere il figlio. Nel filmato si succedono i primi ministri in Israele, ma la posizione di Hamas resta invariata e il vecchio padre, ormai ricurvo e canuto, perde ormai ogni speranza. Hamas fece anche sapere che Shalit “ora osserva il digiuno del Ramadan”. Come i due giornalisti americani della Fox News rapiti da Hamas a Gaza, Steve Centanni e Olaf Wii, rilasciati dopo che i terroristi hanno diffuso un video in cui Centanni e Wiig si sono mostrati abbigliati secondo la tradizione islamica e hanno rivelato di aver abbracciato la fede di Allah. Centanni ha detto: “Adesso mi chiamo Khaled. Ora credo nell’Islam e dico la parola: Allah”. Wiig ha attaccato quei dirigenti occidentali che vedono nei musulmani radicali dei “terroristi”. Quei dirigenti occidentali “dovrebbero ricredersi, per il bene della pace”. Un portavoce di Hamas ha detto alla stampa che la loro conversione è stata spontanea. “E’ stata un vero dono di Dio”, ha esclamato con una punta di commozione.
In diversi casi, le famiglie palestinesi hanno tenuto degli ostaggi nelle loro case. Mia Schem ha detto di essere trattenuta da una famiglia a Gaza. “Intere famiglie sono al servizio di Hamas”, ha detto a Canale 13. Anche Avigail Idan, la bambina israeliana americana di quattro anni i cui genitori sono stati assassinati, è stata trattenuta nelle case di diverse famiglie palestinesi. Quando il russo-israeliano Roni Krivoi è riuscito a sfuggire ai suoi rapitori durante un raid aereo israeliano, si nascose da solo per diversi giorni prima di essere scoperto dai civili di Gaza, che lo restituirono a Hamas.
“Grazie alla Repubblica federale tedesca…”. Il cadavere di Shani Louk – la ragazza simbolo del 7 ottobre – è stato trovato in un tunnel, all’apparenza normale, uno dei tanti di Hamas. Se non fosse che è all’interno di un palazzo dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu. E costruito con i soldi dei contribuenti tedeschi ed europei. La nostra dhimmitudine l’hanno pagata (cara) 1.200 ebrei israeliani.
Un ex funzionario dell’esercito americano ha avanzato l’ipotesi che il leader di Hamas Yahya Sinwar sia circondato da un gruppo di ostaggi, usandoli come scudi umani per salvaguardare se stesso e la sua famiglia. Il generale Jack Keane, ex vice capo di stato maggiore dell’esercito americano, ha citato fonti interne secondo cui Sinwar ha 15-20 ostaggi che circondano lui e la sua famiglia nei tunnel di Gaza.
A Londra e ad Amsterdam intanto società pubblicitarie hanno rimosso i cartelloni pubblicitari che mostravano gli ostaggi israeliani presi dai terroristi di Hamas il 7 ottobre, dopo proteste e minacce. La società inglese London Lites aveva firmato un accordo per far sì che i cartelloni pubblicitari fossero esposti in tutta la capitale inglese. Ma i cartelloni sono stati rimossi dopo sei giorni a causa di “un volume insolito di denunce da parte del pubblico”, nonché di minacce personali rivolte al personale dell’azienda.
E i volti degli ostaggi sono stati strappati dalle città occidentali, dai campus, dalle metropolitane. Dal 7 ottobre sono stati pubblicati migliaia di video di studenti, semplici passanti, attivisti, che rimuovevano i manifesti coi volti degli ostaggi. Nessun attore si è fatto carico della loro prigionia. Soltanto a Londra, metà dei poster strappati in 48 ore.
“Ho detto a Sinwar: ‘Dimmi, vale la pena che diecimila persone innocenti muoiano per liberare cento prigionieri?’. La risposta è stata: ‘Ne vale la pena anche se fossero centomila’”. Questa conversazione fra il capo di Hamas a Gaza Yahya Sinwar e Yuval Bitton, a lungo capo dell’intelligence israeliana nelle carceri, risale al 2011. Ora il Wall Street Journal rivela i messaggi che Sinwar ha mandato ai capi di Hamas all’estero durante la guerra a Gaza. Ed emerge una diabolica strategia del sacrificio umano. Per mesi, Sinwar ha resistito alle pressioni per un accordo di cessate il fuoco e di rilascio degli ostaggi. Dietro la sua decisione, come mostrano i messaggi che Sinwar ha inviato ai mediatori, c’è il calcolo che più morti civili palestinesi ci sono, più la causa ha da guadagnarci. “Abbiamo gli israeliani proprio dove li vogliamo”, ha detto Sinwar in un messaggio ai funzionari di Hamas. Sinwar ha citato le perdite civili in Algeria, dove centinaia di migliaia di persone sono morte combattendo per l’indipendenza dalla Francia, dicendo: “Questi sono sacrifici necessari”. In una lettera dell’11 aprile al leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, dopo che tre figli di Haniyeh erano stati uccisi in un attacco israeliano, Sinwar ha scritto che la loro morte e quella di altri palestinesi avrebbero “infuso la vita nelle vene di questa nazione, spingendola a risorgere”. “Abbiamo bisogno del sangue di donne, bambini e anziani palestinesi, per la nostra lotta” disse già subito dopo il 7 ottobre il leader di Hamas a Doha, Ismail Haniyeh. Hamas potrebbe anche perdere la guerra con Israele, ma al costo di un’occupazione israeliana di oltre due milioni di palestinesi. “Per Netanyahu, una vittoria sarebbe anche peggio di una sconfitta”, ha detto Sinwar. “Facciamo notizia solo con il sangue. Niente sangue, nessuna notizia”.
Mercanti di sangue. E così il popolo che scavava tunnel per sfuggire agli squadroni della morte nazisti oggi si ritrova con oltre cento dei suoi nei tunnel islamisti.
“I terroristi palestinesi di Hamas hanno commesso un massacro inimmaginabile. Si sono filmati come eroi e celebrato il loro bagno di sangue. I festeggiamenti per la vittoria sono proseguiti a Gaza, dove i terroristi hanno trascinato ostaggi gravemente maltrattati e li hanno presentati come bottino di guerra alla popolazione palestinese esultante. Questa macabra esultanza si è estesa fino a Berlino, dove si ballava per le strade e distribuivano dolci. Internet era pieno di commenti felici”.
Il premio Nobel per la letteratura Herta Müller ha scritto il più sensazionale atto d’accusa contro il 7 ottobre sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. Scrittrice, poetessa e saggista nota per la descrizione della vita sotto il regime comunista di Ceausescu, da cui nel 1987 fuggì insieme al marito dopo essere stata licenziata perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, Müller parla del massacro di Hamas come di “un totale deragliamento dalla civiltà”. “C’è un orrore arcaico in questa sete di sangue che non credevo più possibile ai giorni nostri” avverte Müller. “Questo massacro ha lo schema dello sterminio attraverso i pogrom, schema che gli ebrei conoscono da secoli. Lo sterminio degli ebrei e la distruzione di Israele continuano a essere l’obiettivo e il desiderio di Hamas. Anche nella Repubblica islamica dell’Iran, lo sterminio degli ebrei è una dottrina di stato sin dalla sua fondazione nel 1979”. Non infinge, Müller. “Islam politico significa disprezzo per l’umanità, fustigazione pubblica, condanne a morte ed esecuzioni in nome di Dio. L’Iran è ossessionato dalla guerra, ma allo stesso tempo finge di non costruire armi nucleari. Il fondatore della teocrazia, l’ayatollah Khomeini, ha emesso un decreto religioso, una fatwa, secondo cui le armi nucleari non sono islamiche”. La scrittrice attacca i capi di Hamas. “La popolazione di Gaza è deliberatamente tenuta in povertà, mentre le ricchezze dei dirigenti di Hamas aumentano a dismisura (in Qatar, Ismail Haniye si dice abbia miliardi). E il disprezzo per l’umanità è senza limiti. Alla popolazione non resta nulla se non il martirio. A Gaza non c’è letteralmente un centimetro di spazio per le opinioni dissenzienti all’interno della politica palestinese”. Hamas ha costruito una rete di tunnel sotto i palestinesi. “Anche tra gli ospedali, le scuole, gli asili finanziati dalla comunità internazionale. Gaza è una caserma militare, uno deep state di odio ebraico. Senza soluzione di continuità, eppure invisibile. C’è un detto in Iran: Israele ha bisogno delle sue armi per proteggere il suo popolo. E Hamas ha bisogno del suo popolo per proteggere le sue armi”. Dal 7 ottobre, Müller ha pensato a un libro sull’era nazista, “Uomini comuni” di Christopher Browning [letto: impressionante e istruttivo. Lo consiglio a tutti]. Descrive lo sterminio dei villaggi ebraici in Polonia da parte del Battaglione 110, quando ancora non esistevano le grandi camere a gas e i crematori di Auschwitz. “Era come la sete di sangue dei terroristi di Hamas al festival della musica e nei kibbutzim” spiega Müller. “In un solo giorno del luglio 1942, i 1.500 residenti ebrei del villaggio di Józefów furono massacrati. I bambini e i neonati furono fucilati davanti alle case, gli anziani e i malati uccisi nei loro letti. Tutti gli altri furono condotti nella foresta, dovettero spogliarsi e strisciare nudi per terra. Furono derisi e torturati, fucilati e lasciati a terra in una foresta insanguinato”. “Uomini comuni” si intitola così perché il battaglione non era composto da uomini delle SS o da soldati della Wehrmacht, ma da civili che non erano più considerati soldati perché troppo vecchi [e parecchi di loro non erano neppure iscritti al partito]. “Quindi provenivano da lavori normali e si trasformarono in mostri. Solo nel 1962 iniziò un processo su questo crimine di guerra. Il sadismo si spinse a tal punto che un capitano appena sposato portò la moglie ai massacri per festeggiare la loro luna di miele. Perché la sete di sangue continuava in altri villaggi. E la donna, indossando l’abito da sposa bianco che aveva portato con sé, passeggiava tra gli ebrei che venivano radunati nella piazza del mercato. Non era l’unica moglie autorizzata a far loro visita. Possiamo pensare ai massacri del 7 ottobre? Io credo di sì. Perché Hamas ha voluto evocare la memoria della Shoah. E voleva dimostrare che lo stato di Israele non è più una garanzia per la sopravvivenza degli ebrei. Che il loro stato è un miraggio che non li salverà”. Un pudore vieta di abusare della parola Shoah. “Ma perché non dovremmo usarla quando si ritiene che sia impossibile evitare il parallelismo? E quello che mi viene in mente e mi ricorda di nuovo i nazisti: il triangolo rosso della bandiera palestinese. Nei campi di concentramento era il simbolo dei prigionieri comunisti. E oggi? Lo si può vedere nei video di Hamas e sulle facciate delle case a Berlino. Nei video è usato come un invito a uccidere. E segna gli obiettivi sulle facciate delle case che devono essere attaccate”. Müller attacca gli studenti che occupano le università per Gaza. “Sono inorridita dal fatto che giovani e studenti in occidente siano così confusi da non essere più consapevoli della loro libertà. Sembrano aver perso la capacità di distinguere tra democrazia e dittatura. È assurdo che omosessuali e queer manifestino per Hamas, come hanno fatto a Berlino. Non è un segreto che non solo Hamas, ma l’intera cultura palestinese disprezzi e punisca le persone Lgbt. Anche solo una bandiera arcobaleno a Gaza è inimmaginabile. L’elenco delle sanzioni previste da Hamas per i gay va da almeno cento frustate alla condanna a morte. Mi chiedo anche se gli studenti di molte università americane sappiano cosa stanno facendo quando manifestano al grido di: ‘Noi siamo Hamas’, o anche ‘L’amato Hamas bombarda Tel Aviv’, o ‘Torniamo al 1948’. Ed è infame quando il 7 ottobre viene addirittura interpretato come una messa in scena di Israele. O se non si chiede una parola per la liberazione degli ostaggi. Se invece la guerra di Israele a Gaza viene dipinta come una guerra arbitraria di conquista e annientamento da parte di una potenza coloniale. E mi chiedo perché non si preoccupino del fatto che Hamas non avrebbe permesso nemmeno la più piccola manifestazione per i diritti delle donne. E che il 7 ottobre le donne stuprate sono state fatte sfilare come bottino di guerra. Celebrano la propria stupidità senza limiti come un collettivo con la coscienza pulita”. Ci si chiede cosa si insegnasse nelle università. “Mi sembra che dal 7 ottobre l’antisemitismo si sia diffuso come un grande schiocco di dita collettivo, come se Hamas fosse l’influencer e gli studenti i seguaci”. Hamas è sordo e cieco alle sofferenze del suo popolo. “Perché altrimenti bombarda il valico di frontiera di Kerem Shalom, da cui arriva la maggior parte degli aiuti? Non una sola parola di compassione per la popolazione di Gaza è stata udita dai signori Sinwar e Haniyeh. E invece di un desiderio di pace, solo richieste massime che sanno che Israele non può soddisfare. Hamas scommette sulla guerra permanente con Israele. Sarebbe la migliore garanzia per la loro esistenza. Hamas spera di isolare Israele a livello internazionale, a qualunque costo”. Nel romanzo “Doctor Faustus” di Thomas Mann si dice che il nazionalsocialismo “ha reso intollerabile tutto ciò che è tedesco nel mondo”. Ho l’impressione, scrive Müller, che la strategia di Hamas e dei suoi sostenitori sia quella di rendere tutto ciò che è israeliano, e quindi tutto ciò che è ebraico, intollerabile al mondo. “Hamas vuole mantenere l’antisemitismo come umore globale. Per questo vuole reinterpretare la Shoah. Anche la persecuzione nazista e la fuga salvifica in Palestina dovrebbero essere messe in discussione. E infine il diritto all’esistenza di Israele. Questa manipolazione si spinge fino a sostenere che la commemorazione tedesca dell’Olocausto serve solo come arma culturale per legittimare il ‘progetto di insediamento’ bianco-occidentale di Israele. Con tutti questi costrutti sovrapposti, Israele non dovrebbe più essere visto come l’unica democrazia del medio oriente, ma come uno stato modello colonialista. E come un eterno aggressore contro il quale è giustificato un odio cieco. E persino il desiderio della sua distruzione”. Quando il poeta (rumeno come Herta Müller) Paul Celan visitò Israele nel 1969, Yehuda Amichai tradusse le poesie di Celan e le lesse in ebraico. “Due sopravvissuti si sono incontrati in Israele dopo la Shoah” conclude Müller. “Amichai si chiamava Ludwig Pfeuffer quando i suoi genitori fuggirono da Würzburg. La visita in Israele scosse Celan. Incontrò i compagni di scuola di Czernowitz, in Romania, che, a differenza dei suoi genitori assassinati, erano riusciti a fuggire in Palestina. Dopo la visita e poco prima di morire nella Senna, Celan scrisse ad Amichai: ‘Caro Yehuda, permettimi di ripetere la parola che mi è venuta spontaneamente alle labbra conversando con te: non posso immaginare il mondo senza Israele; non voglio immaginare il mondo senza Israele’”.
Se solo la malattia impedì (o permise) al grandissimo scrittore praghese di non finire in una camera a gas, altrettanto non accadde alle sorelle di Franz Kafka: Ottla, la sorella più cara, fu gassata ad Auschwitz; Gabriela e Valerie furono deportate dai nazisti nel ghetto di Lodz e uccise nei camion a gas del campo di sterminio di Chelmno. Anche la scrittrice Milena, una delle donne amate da Kafka alla quale dedicò Le Lettere, è morta nel campo di concentramento di Ravensbrück. E Julie Wohryzek, l’altra sua fidanzata, è stata uccisa ad Auschwitz.
E pochi sanno che alla fine della sua vita, Kafka e Dora Diamant, una giovane insegnante polacca, ebrea chassidica, sognavano di trasferirsi in Israele e di aprire un ristorante a Tel Aviv, dove si era già trasferito il suo amico, Max Brod.
Oggi in uno di quei tunnel islamici avrebbe potuto esserci uno dei nipoti di Kafka se fosse riuscito a realizzare il suo sogno con Dora e una delle sorelle dello scrittore avrebbe potuto trovarsi tra i sopravvissuti alla Shoah sfollati a nord sotto i missili di Hezbollah.
La storia non finisce (davvero) mai. Spesso finisce in fondo a un tunnel che sbuca in una di quelle piazze dell’Occidente a cui tireranno il collo.

Poi nel blog di Porro leggi un’infinità di commenti che spiegano che Noa l’abbiamo vista in perfetta salute, florida, ingrassata di 5 chili – sì, l’hanno pesata prima e dopo, quindi hanno i dati precisi. Possano affogare tutti nel vomito che scaricano sugli ebrei – sì, gli israeliani sono troppo pochi per potersene accontentare, ora gli servono tutti gli ebrei.

barbara

E MENTRE IN QUEL DI BORGO EGNAZIA SI GOZZOVIGLIA

150.000 cristiani assassinati, le donne incinte sventrate e il silenzio nella masseria pugliese

Rapporto choc sul genocidio. Dopo crumble di taralli, trofie al pesto, Sassicaia e crostatine al limone, uno dei nove del G7 poteva dire almeno una parola sui martiri assassinati “come polli”. Niente!

GIULIO MEOTTI, GIU 14, 2024

“8.400 cristiani rapiti nel 2023 e 840 che non sono mai tornati vivi. 500 chiese attaccate nel 2023 e 18.500 dal 2009. 70 chierici cristiani rapiti nel 2023 e almeno 25 uccisi. 300 comunità cristiane distrutte nel 2023 e più di 1.100 dal 2009. 15 milioni di sfollati cristiani e centinaia di migliaia che hanno attraversato i confini internazionali. 150.000 cristiani assassinati dal 2009”.
Sono soltanto alcuni dei numeri da capogiro del nuovo rapporto dell’International Society for Civil Liberties and Rule of Law sulla Nigeria e i suoi cristiani che l’arcivescovo Matthew Ndagoso dice che sono uccisi “come polli”.
Come se gli islamisti avessero cancellato dalla faccia della terra una città come Taranto e tutti i suoi abitanti.
L’ultimo rapporto parlava di 100.000 morti. Ma i numeri corrono veloce sulle gambe dello choc di civiltà.
I due burocrati europei e i capi di governo di Germania, Canada, Francia, Italia, America, Giappone e Inghilterra. Quale occasione migliore per un gesto importante sui cristiani perseguitati, anziché parlare di aborto e chiedere a Israele di arrendersi ad Hamas, dopo il crumble di taralli, le trofie al pesto, lo scorfano con pomodorini secchi, un bicchiere di Sassicaia e una crostatina al limone servite dallo chef Massimo Bottura?
Ma trofia è una parola che deriva dal greco atrofia. E noi siamo affetti da atrofia spirituale.
Nella bolla di Washington, Berlino, Parigi, Roma, Ottawa, Tokyo, Bruxelles e Londra, discutere di “islamofobia” è un modo ideologicamente conveniente per escludere ciò che sta realmente accadendo nel mondo e per evitare l’introduzione di una “Giornata internazionale contro la persecuzione dei cristiani”.
“Alla ‘fine della storia’ arrivano il genocidio, la pulizia etnica e un’esplosione sismica di tribalismo” scrive questa settimana l’israeliano Shlomo Ben Ami in un magnifico saggio sulla distruzione dei cristiani d’Oriente. “La violenza è scoppiata sul Monte Libano il 23 maggio 1860 e in meno di due mesi sono stati uccisi tra i 7.000 e gli 11.000 cristiani e centinaia di villaggi e istituti religiosi sono stati rasi al suolo. La violenza in Libano era destinata a estendersi ad altre parti della Siria, in particolare a Damasco, dove migliaia di cristiani cercarono rifugio. E, infatti, il 9 luglio, anche Damasco è stata colpita da un massacro. Nel giro di soli tre giorni i quartieri cristiani della città furono saccheggiati e dati alle fiamme. Circa 5.000 persone – circa il 15 per cento della popolazione cristiana – furono massacrate dai loro vicini musulmani. Se le potenze europee non fossero intervenute per porre fine alla carneficina – resa possibile in parte dall’alleanza ottomano-drusa – il bilancio delle vittime sarebbe stato ancora più alto”.
Ma i partecipanti al G7 ora vivono, più che nella fine della storia, nel migliore dei mondi possibili.
L’Amministrazione Biden ha deciso di togliere la Nigeria dalla lista nera dei paesi accusati di persecuzione religiosa. Il Segretario di Stato di Donald Trump, Mike Pompeo, l’aveva inserita. Poi la decisione di Joe Biden di tornare indietro e inserire la Russia al suo posto nella lista. Uno dei primi gesti di Biden è stato cancellare un modesto aiuto economico per aiutare i cristiani nigeriani a documentare le atrocità. L’ex segretario di Stato Pompeo ha spiegato perché i cristiani sono figli di un dio minore: “Nei mesi che hanno preceduto la decisione di rimuovere la Nigeria dalla lista nera, il Dipartimento di Stato di Biden stava prendendo in considerazione il finanziamento di progetti woke, come i ‘ruoli di genere’ in Nigeria. L’ideologia progressista richiede ai suoi fedeli di ignorare la verità e il valore della fede religiosa e, invece, di vedere ogni conflitto attraverso i prismi di razza, etnia e genere”.
Il Canada di Trudeau ha nominato delegati governativi contro l’islamofobia, ma è sorda sui cristiani uccisi in odium fidei.
La Germania di Scholz si è rifiutata di dichiarare una Giornata sulla persecuzione dei cristiani.
La Francia ha dimenticato completamente il suo ruolo di protettrice dei cristiani.
L’Inghilterra da anni applica ai cristiani perseguitati un vergognoso doppio standard.
E a fronte di tante promesse di fare qualcosa sui cristiani perseguitati, il governo italiano a oggi risulta “non pervenuto”. Giorgia Meloni avrebbe potuto dimostrare di essere diversa dagli altri chiedendo di inserire nel testo finale una parola a favore della libertà religiosa, che è la grande dimenticata della diplomazia internazionale. Troppo impegnata a riprendere Biden che si allontanava dal gruppo, perso nei suoi pensieri senili?
Charles Michel e Ursula von der Leyen sono rappresentanti di una Unione Europea che, quando a Bruxelles ha votato sui cristiani, ha scelto sempre di censurare la loro persecuzioneJean-Paul Garraud, europarlamentare, racconta: “Ho contattato più volte la Commissione Europea per chiederle di agire contro la persecuzione dei cristiani. Anche se ha nominato un coordinatore europeo incaricato di combattere l’islamofobia, continua a rifiutarsi di farlo per odio anticristiano. La Commissione preferisce utilizzare i fondi europei per campagne di comunicazione che promuovono l’uso del velo, per sovvenzionare organi di propaganda islamica con fondi di ricerca, per finanziare associazioni vicine ai Fratelli Musulmani”.
“Lo sventramento delle donne incinte e la macellazione dei feti sono una loro specialità”, ha denunciato il rettore di un seminario nigeriano. Anziché ammansire i media sull’aborto, al G7 avrebbero potuto parlare dei feti cristiani fatti a pezzi dai fondamentalisti islamici.
Fra i 12 cristiani uccisi nello stato di Nasarawa, Nigeria, attaccati al grido di “Allahu akbar”, c’erano bambini e donne incinte. Così nei villaggi di Ndobashi ed Ekpufu: “I militanti hanno ucciso uomini, donne e bambini senza pietà. Alcune famiglie, genitori e figli, sono state completamente spazzate via. Le donne incinte non sono state risparmiate”.
Ma la giornalista britannica Melanie Phillips ha definito questa persecuzione dei cristiani come “il nostro segreto colpevole”: “La libertà religiosa, il valore centrale della civiltà occidentale, viene distrutta in gran parte del mondo. Ma l’Occidente, negando miopicamente questa guerra religiosa, distoglie lo sguardo dalla distruzione del suo credo fondativo. Pertanto, non sorprende che, di fronte alle barbarie jihadiste all’estero e alle invasioni culturali in patria, il mondo libero si stia dimostrando così inefficace”.
Eppure, almeno il governo italiano avrebbe potuto usare il magnifico sfondo pugliese del G7, così carico di storia tremenda, per ricordare al mondo che quella terra non è soltanto finte masserie di lusso a 2.500 euro a notte, ma anche terra di persecuzione ante litteram.
I turchi si avvicinarono a Otranto, sulla stessa costa di Borgo Egnazia, con 150 navi e 15.000 uomini. La città contava 6.000 abitanti. Appena dopo l’assedio fu avanzata la richiesta di resa come abiura alla fede in Gesù e la conversione all’Islam. Di fronte al rifiuto, la città fu bombardata, e il 12 agosto 1480 cadde nelle mani degli invasori, che la saccheggiarono e uccisero arcivescovo, canonici, religiosi e fedeli nella cattedrale. Il giorno dopo, il comandante Gedik Ahmet Pascià ordinò che tutti gli uomini superstiti, 800 cristiani dai quindici anni in su, fossero condotti presso l’accampamento turco e obbligati a fare apostasia. Rifiutarono e accettarono di farsi macellare. Borgo Egnazia, dove si svolge il G7, è vicino a Fasano, dove i turchi furono sconfitti nel 1678 in una battaglia ricordata oggi nella popolare “scamiciata”.
E decidere di canonizzare i cristiani di Otranto fu l’ultima decisione di Joseph Ratzinger, che l’annunciò al mondo pochi istanti prima di comunicare l’abdicazione. Gli 800 – insieme con coloro che hanno combattuto e sono caduti sulle mura di Otranto per resistere agli Ottomani – avrebbero potuto vivere di più: sarebbe bastato arrendersi e abiurare. Ma hanno scelto di entrare nella storia. Come oggi i cristiani perseguitati ignorati dai nove.
E la storia, quando non pensiamo sia finita, è davvero maestra di vita. Perché anche allora la leadership occidentale del tempo si perdeva in disquisizioni e beghe tra vicini, mentre i turchi cingevano d’assedio le isole del Mediterraneo e puntavano le prue della flotta verso l’Adriatico. Maometto II sognava di fare della basilica di San Pietro una stalla per cavalli.
Speriamo nel prossimo G7, quando i 150.000 assassinati saranno diventati 200.000. E speriamo bevano meno Sassicaia e trovino più lucidità sui pericoli che corre la nostra civiltà.

È che purtroppo non è un problema di Sassicaia, bensì di precisa volontà di distruggere la nostra civilità. E se non ci sbrighiamo a fare fuori questa banda di briganti, non ne usciremo vivi, e questo sarà il nostro prossimo inno nazionale

barbara

IERI, 13 GIUGNO 2024

Per chi crede che il 7 ottobre sia finito alla mezzanotte del 7 ottobre e tutto il resto sia a carico di Israele. NOTA: ieri era una festa religiosa ebraica (Shavuot, per la precisione), esattamente come lo era il 7 ottobre: i nazisti hanno sempre prediletto le più solenni ricorrenze religiose ebraiche per sferrare i colpi più duri.

Aggiungo almeno una  buona notizia.

barbara

DUE RISPOSTE

al signor Antonio Guterres. La prima è quella di Hillel Neuer, direttore esecutivo di UN Watch

La seconda è la mia.

Però una cosa vera c’è: il 7 ottobre non nasce dal nulla. Nasce da un millennio e mezzo di obbligo religioso di uccidere gli ebrei. Nasce da un’educazione all’odio antiebraico che inizia col latte materno. Nasce da una condiscendenza generale nei confronti di chi coltiva questa convinzione. Nasce dai miliardi – sottratti alle nostre tasche – che hanno finanziato gli strumenti con cui il 7 ottobre è stato perpetrato. Nasce dall’ormai quasi secolare rifiuto (la prima proposta, se ricordo bene, è del 1936 o 37) di accettare la nascita di uno stato arabo-palestinese in cui vivere in pace e prosperità. Da questo nasce il 7 ottobre.

E direi che le due risposte si sposano bene.
E notare il famigerato “ma” che provvede spietatamente i coperchi per le pentole fabbricate dal diavolo.

Questi invece sono i delicati pensierini arrivati questa mattina dal Libano. Nella fascia rossa è indicato l’orario.

barbara

UN PO’ DI COSE DA VEDERE

Comincio col wishful thinking che sale dalle fogne

e proseguo con i fatti di cronaca

E qui altri quattro video; nel primo è ripreso un bagnino sulla spiaggia di Tel viv che comunica la notizia, appena ricevuta, della liberazione. E ora vi faccio ammirare due belle statuine:

Emanuel Segre Amar

Abdallah, qui ripreso col padre Ahmed, erano due rispettabili civili che custodivano ostaggi israeliani nella loro bella casa di Gaza.
Bella casa, mi chiedete? Certo, Abdallah aveva un “rispettabile” lavoro: giornalista di Palestine Choronicle e, saltuariamente per al-Jazeera, e suo padre era un bravo medico. Insomma due bravi civili che hanno difeso i loro ostaggi con le armi a loro disposizione uccidendo Arnon Zamora che per primo aveva tentato di entrare nel loro appartamento.

Mi raccomando, feccia immonda, stracciatevi le vesti per i poveri civili innocenti assassinati dai nazisionisti di tzahal, che così vi sentite ancora più buoni, ancora più dalla parte giusta, ancora più la parte sana della società. E quando i vostri amichetti verranno a massacrare anche voi, come hanno fatto con Arrigoni, come hanno fatto con Regeni, come hanno fatto con tutti gli utili idioti infedeli innamorati dei tagliagole, verrò a pisciare sulla vostra tomba.

barbara

4 OSTAGGI LIBERATI

Erano prigionieri in due diversi edifici in un campo profughi: quelli che il mondo intero vorrebbe impedire a Israele di toccare perché lì, narra la leggenda, ci sarebbero i “civili innocenti”.
Questa è Noa Argamani

La stanno portando all’ospedale, dove sua madre sta morendo di cancro, ma morirà felice, vedendo realizzato il suo unico desiderio: rivedere la figlia viva.

Ieri si è celebrato il giorno di Gerusalemme, che ricorda le liberazione della parte orientale della città dopo 19 anni di illegale occupazione giordana. In molti hanno voluto dedicarla al ritorno a casa degli ostaggi

(Aspettatemi, che fra un po’ arrivo!)

Purtroppo nei duri combattimenti che hanno portato alla liberazione degli ostaggi e all’uccisione di oltre 100 terroristi, è rimasto ucciso il comandante Arnon Zamora.

E secondo una notizia dell’ultima ora

Emanuel Segre Amar

Mentre adesso Israele fa sapere che gli arabi-palestinesi uccisi nell’operazione sono almeno 210 (ai quali vanno aggiunti 400 feriti), Abu Mazen chiede una sessione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per condannare Israele (e intanto l’Egitto, da parte sua, ha già condannato l’operazione senza aspettare che si riunisca il Consiglio di Sicurezza).

Dal che si deduce che Israele non solo non deve difendersi da hamas, ma non ha neppure il diritto di cercare e liberare i propri concittadini rapiti torturati violentati prima che vengano uccisi come tutti gli altri.

barbara

E TORNIAMO IN MEDIO ORIENTE

per parlare della geniale soluzione in tre fasi che l’amico let’s go Brandon ha escogitato per risolvere la guerra hamas-Israele.

La prima di queste, che dovrebbe durare sei settimane [interessante, tra le altre cose, l’avere idee precise su quanto debba durare una fase di qualcosa di cui si conosce meno di zero], prevederà un cessate il fuoco pieno e completo [che naturalmente sarà rispettato da entrambe le parti], il ritiro delle forze israeliane da tutte le aree popolate di Gaza [cioè quelle in cui si trovano i tunnel, in cui si nascondono la maggior parte dei terroristi, in cui sono stivate la maggior parte di armi munizioni ed esplosivi, in cui sono stati nascosti gli ostaggi rapiti], il rilascio di un certo numero di ostaggi [prego???] tra cui donne, anziani e feriti in cambio del rilascio di centinaia di prigionieri palestinesi [che non sono stati arrestati per guida senza patente o per furto di caramelle alla menta, e che appena liberati riprenderanno a compiere attentati, esattamente come dopo la criminale liberazione di oltre 1000 terroristi assassini in cambio di Gilad Shalit, fra cui Yahya Sinwar, pianificatore della strage del 7 ottobre]. Inoltre, verranno restituiti ai familiari i corpi delle vittime massacrate nel raid del 7 ottobre [esiste la possibilità – e la volontà – di controllare che siano tutti?] e nel contempo gli aiuti umanitari a Gaza aumenteranno [in modo da arricchire ulteriormente hamas che se li accaparra e li vende a prezzi esorbitanti] grazie all’invio di 600 camion che ogni giorno faranno la spola per scaricare medicinali e generi di prima necessità.
In questo periodo continueranno le trattative tra Israele e Hamas “per arrivare – secondo Biden – alla fase due, che rappresenta la fine permanente delle ostilità.” [perché la conclusione di una guerra non dipende dalla situazione sul campo, no: la fine della guerra si stabilisce a tavolino quando lo decreta l’autoproclamato burattinaio] Questo passaggio, che rappresenta il punto nodale dei negoziati, vedrà anche la partecipazione di Stati Uniti, Egitto e Qatar [cioè uno dei principali sponsor mondiali del terrorismo] nel ruolo di mediatori. Qualora si giunga ad una accordo, inizierà la seconda fase durante la quale saranno rilasciati tutti gli ostaggi israeliani (anche i soldati catturati in questi mesi di guerra) [interessante iniziativa, resa ancora più interessante dal fatto che hanno ripetutamente dichiarato che li detengono i cosiddetti civili e non hanno idea di dove si trovino], e l’esercito di Tel Aviv si ritirerà dalla Striscia [obiettivo primario di hamas e di Biden].
Dopodiché, ci dovrebbe essere la terza fase in cui, con la restituzione di tutti gli ostaggi israeliani uccisi da Hamas [? Non li avevano già restituiti nella prima fase? A che gioco stiamo giocando, ragazzi? (Domanda puramente retorica, ovviamente: è da quel dì che sappiamo perfettamente a che gioco stanno giocando)] si getteranno le basi per la ricostruzione della Striscia. Ne faranno parte i paesi arabi con il probabile contributo dell’Occidente, dato che al momento i danni stimati ammonterebbero a oltre 40miliardi di dollari.* «Questa è l’offerta che è ora sul tavolo», ha concluso Biden che nel suo discorso ha assicurato che Hamas non è più in grado di compiere un attacco come quello del 7 ottobre scorso, viste le ingenti perdite subite. [E il centinaio abbondante di missili lanciati OGNI GIORNO dal 7 ottobre (non diraderebbero un po’ se si stessero avvicinando alla fine delle scorte?) ossia da 240 giorni ossia almeno 25.000, in aggiunta ai 5000 in poche ore del 7 ottobre. Per non parlare di tutte le armi che potranno comprare con la vendita degli aiuti umanitari rubati alla popolazione] (Qui)

* Non si capisce davvero perché dovremmo contribuire noi, dal momento che:

Centinaia di milioni di shekel rubati da Hamas dalle filiali bancarie di Gaza

Lo rivela l’IDF

di Michelle Zarfati

Il portavoce in lingua araba delle Forze di difesa israeliane, il tenente colonnello Avichay Adraee, ha diffuso mercoledì un documento di Hamas, che mostra come l’organizzazione avesse pianificato di rapinare le casseforti delle banche di Gaza. Un mese dopo dal massacro del 7 ottobre, centinaia di milioni di shekel sarebbero stati rubati da Hamas dalle filiali bancarie della Striscia di Gaza. “Stiamo rivelando un documento scritto da un alto funzionario di Hamas, che mostra che in seguito alle difficoltà finanziarie di Hamas durante la guerra, i terroristi dell’organizzazione hanno fatto irruzione nelle filiali della Banca di Palestina a Gaza rubando oltre 400 milioni di shekel”, ha detto Adraee in un video pubblicato sul suo account X.
“All’inizio di febbraio, i terroristi di Hamas hanno minacciato il personale della Banca di Palestina nel quartiere Rimal di Gaza City, intimando loro di non prelevare i contanti dalle casseforti della banca. Il 16 aprile hanno rubato centinaia di milioni di shekel dalla filiale. Due giorni dopo , hanno fatto irruzione in un’altra filiale a Gaza City e hanno rubato decine di milioni di shekel. Il 19 aprile, i terroristi hanno commesso un’altra rapina presso la filiale principale della banca a Gaza City, rubando centinaia di milioni di shekel”, ha continuato Adraee. “Cosa diranno gli abitanti di Gaza, che diventano ogni giorno più poveri a causa delle sanguinose battaglie di questi tiranni assassini di bambini? Hamas deruba senza vergogna i cittadini della Striscia di Gaza per sopravvivere e finanzia i suoi terroristi attivi sulle spalle e sulle tasche degli abitanti della Striscia di Gaza”, ha concluso il portavoce.
Circa un mese e mezzo fa, il Ministero della Difesa e l’IDF hanno trasferito 12 milioni di shekel alla Banca di Israele, che sono stati successivamente sequestrati nelle roccaforti terroristiche nella Striscia di Gaza. Questa somma si aggiunge ai circa 17 milioni di shekel sequestrati nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra e depositati con una procedura simile presso la Banca d’Israele. L’organismo responsabile della localizzazione del denaro è la Direzione tecnologica e logistica dell’IDF (TLD), che ha confiscato e localizzato i fondi terroristici nella Striscia di Gaza.
Il processo di conteggio del denaro ha avuto luogo nella base di Tzrifin ed è durato circa cinque ore. Sul posto erano presenti il capo del dipartimento delle Finanze del Ministero della Difesa, i comandanti del Dipartimento delle Pubbliche Relazioni, il vice contabile generale del Ministero delle Finanze e altri rappresentanti che hanno supervisionato il processo. Alla fine, il denaro è stato messo in apposite buste e un camion della “Brinks” è arrivato sul posto e ha trasferito il denaro per essere depositato presso la Banca d’Israele.

(Shalom, 31 maggio 2024)

100 milioni di shekel sono circa 25 milioni di euro, e le centinaia di milioni rubati sono molte: che comincino con quelli, poi prendano i miliardi dei capi nababbi che vivono all’estero, poi quelli di tutti i conti bancari esteri dei suddetti capi nababbi, poi vendano le loro ville hollywoodiane, poi vendano tutte le armi in loro possesso e se rimane ancora da fare, si arrangino. O provveda zio Joe che li ama tanto, magari con tutti i soldi dei giochi sporchi fatti con Ucraina, Cina e tutto il resto.

Ad altri, più competenti di me, affido il compito di commentare la delirante proposta di Biden.

Il piano poco geniale di Biden per Gaza

Descrivendo il piano come un percorso verso “una fine duratura” al conflitto attuale, Biden ha detto che Hamas “non è più in grado di portare avanti un altro 7 ottobre”. Ne siamo proprio sicuri?

di Maurizia De Groot Vos

Sono tre i motivi principali per cui Israele ha scatenato l’offensiva contro Hamas a Gaza: riportare a casa gli ostaggi, fare giustizia sull’eccidio del 7 ottobre e fare in modo che Hamas non possa mai più in alcun modo nuocere né a Israele né ai cittadini israeliani.
Il mancato raggiungimento anche di uno solo di questi obiettivi inficia qualsiasi ipotesi di cessate il fuoco e questo a prescindere da chi ci sia al governo a Gerusalemme [e fa sì che tutti i soldati morti in questa guerra siano morti per niente].
Ora, ieri sera il Presidente americano, Joe Biden, ha presentato il piano (definito “israeliano”) per un cessate il fuoco temporaneo da trasformare in un cessate il fuoco permanente dopo che gli ostaggi rimasti in vita e i corpi dei defunti saranno restituiti alle famiglie. Biden considera gli altri due punti raggiunti e quindi, secondo lui, giustizia è fatta per il massacro del 7 ottobre e, soprattutto, Hamas non è nelle condizioni di poter di nuovo nuocere a Israele.
Hamas è sia un esercito terrorista che l’organo di governo di Gaza dal 2007. L’accordo presuppone che il gruppo terrorista sia stato così danneggiato dall’esercito israeliano da non poter più svolgere efficacemente nessuna delle due funzioni. Delinea inoltre rapidi passi per sostituirlo, prima inondando Gaza con gli aiuti umanitari, poi ricostruendo Gaza e installando un nuovo governo sotto l’Autorità Palestinese che ora governa la Cisgiordania [e che ha nel proprio statuto ben 8 articoli che prevedono la distruzione di Israele come obiettivo primario e irrinunciabile].
Ecco dove fa acqua piano di Biden. Prima di tutto, per quanto possa essere stato danneggiato, ancora Hamas non solo è in grado di nuocere ma siccome l’intera struttura gerarchica della Striscia di Gaza dopo tanti anni di governo di Hamas è basata totalmente sul gruppo terrorista, è semplicemente impensabile che Hamas non riesca a infiltrare suoi uomini nei punti di comando della “nuova Gaza”.
In secondo luogo Biden continua a insistere di voler mettere la corrotta Autorità Palestinese al governo della Striscia di Gaza, una soluzione invisa sia a Israele che agli abitanti della Striscia e quindi impraticabile se non si vuole fare la fine del 2007 quando i dirigenti di Fatah volavano giù dai tetti dei palazzi di Gaza. Si era pensato a un “governatorato arabo” gestito da quei paesi arabi che hanno relazioni con Israele. Che fine ha fatto quella proposta? [Che comunque mi sembra ugualmente folle] E solo il pensare di mettere nelle mani di Abu Mazen i miliardi della ricostruzione va venire i brividi.
In terzo luogo c’è la questione non da poco della UNRWA alla quale verrebbe affidata la gestione degli aiuti umanitari. Dire UNRWA nella Striscia di Gaza significa dire Hamas. Non esiste un solo palestinese dipendente della UNRWA che non sia stato messo lì dal gruppo terrorista. Lasciare aperta l’agenzia ONU per i palestinesi significa quindi lasciare che Hamas gestisca tutto l’apparato umanitario. Che fine ha fatto l’obiettivo di distruggere completamente il gruppo terrorista palestinese?
Io capisco la necessità elettorale per Biden di chiudere velocemente la faccenda, ma questo accordo salva la vita di Hamas e di tutta la sua struttura, non rende affatto più sicuro Israele e non è detto che restituisca gli ostaggi o quello che rimane di loro. Non credo che si siano fatti quasi otto mesi di guerra per questo.

(Rights Reporter, 1 giugno 2024)

La capitolazione di Israele che chiede Biden

Il piano in tre fasi articolato ieri da Joe Biden nelle sue modalità essenziali, sei settimane di tregua congiunte a un cessate il fuoco completo e il ritiro di tutte le forze israeliane da Gaza e il rilascio di un numero limitato di ostaggi da pareggiare in ampio esubero con quello di terroristi palestinesi, a cui seguirebbe un negoziato preludente la fase due, ovvero la cessazione permanente delle ostilità con la liberazione di altri ostaggi e quindi l’avviarsi della terza fase la ricostruzione delle zone distrutte di Gaza, non è nulla di nuovo. Si tratta dello stesso canovaccio già presentato al Cairo e il cui esito sarebbe la sconfitta di Israele e la vittoria di Hamas. Nulla in questa bozza, infatti, fa accenno allo scopo fondamentale della guerra, che non è la liberazione degli ostaggi, ma la demilitarizzazione di Hamas a Gaza e il ripristino della sicurezza ai confini di Israele.
Come ha lucidamente evidenziato Jonathan Spyer su The Spectator, “È possibile che la pressione interna delle famiglie degli ostaggi e dei loro sostenitori che giungono fino al gabinetto di guerra, unita alla pressione esterna delle potenze occidentali derivante dall’indignazione per come si presenta la guerra, portino alla fine della campagna militare, lasciando intatto il potere di Hamas. Se così sarà, questo esito conterrà una lezione molto incoraggiante per tutti coloro che desiderano danneggiare le democrazie occidentali”.
Vincere la guerra, per Hamas, come qui non ci siamo mai stancati di ripetere, non significa sconfiggere l’esercito israeliano sotto il profilo militare, compito impossibile per l’esorbitante sproporzione di mezzi a disposizione a favore di Israele, ma restare a Gaza, potere continuare ad avere un ruolo politico nel suo futuro e dunque affermare di avere “resistito” contro “l’entità sionista”.
Per giungere a questo esito, Hamas necessita della garanzia incontrovertibile che Israele lasci Gaza, e che quindi termini la guerra. È la garanzia che la Casa Bianca, appoggiata in maggioranza dalle Cancellerie europee, desidera concedergli.

(L’informale, 1 giugno 2024)

Una cosa che  non andrebbe mai dimenticata ma che fa molto comodo dimenticare: noi parliamo di tregua, loro parlano di hudna, che con la tregua non ha assolutamente niente a che fare. Soprattutto fa comodo a Biden, che ha dimostrato in tutti i modi possibili di volere la salvezza di hamas.
In realtà un modo per risolvere davvero tutta la situazione ci sarebbe, perché abbiamo la fortuna di avere una signora, esperta politica, che ha capito quale è stata esattamente la causa del 7 ottobre, chi e che cosa lo ha provocato, e quindi basta semplicemente rimediare quell’errore e possiamo essere sicuri che non succederà mai più.

Nel frattempo, tuttavia, hezbollah sta martellando il nord di Israele: qui per esempio siamo a Kiriat Shmona

Gaetano Evangelista

Il nord di Israele brucia.
Nel solo mese di maggio Hezbollah ha lanciato dal Libano 325 attacchi. Più di dieci al giorno, in media. Con missili e droni.
Oltre centomila persone sono state costrette a lasciare le loro case. Da settimane vivono chi in albergo nel centro dello stato ebraico, chi in casa da parenti o conoscenti in luoghi più sicuri.
Su una popolazione di 9 milioni di abitanti, è più dell’un percento.
È come se in Italia oltre 600 mila persone fossero state costrette ad evacuazione. Che so, tutta la provincia di Bolzano e Belluno sgomberata con la forza perché dall’Austria arrivano attacchi incendiari devastanti e potenzialmente letali.
Il Libano è alla prostrazione economica e sociale, ma il governo è ostaggio del fondamentalismo sciita, ben finanziato dall’Iran.
È un esercito irregolare, che da anni occupa militarmente il sud del Libano, ignorando le risoluzioni delle Nazioni Unite e sfidando apertamente i caschi blu che, per non correre pericoli, si voltano dall’altro lato quando partono attacchi al di qua del fiume Litani (Leonte).
325 attacchi in un mese, e nemmeno un passaggio sui TG. Una noticina sui giornali. Un post svagato sulla pagine social dei media.
Per quanto tempo è tollerabile questa quotidiana aggressione?
Sappiamo già come andrà a finire: ad un certo punto gli israeliani risponderanno, e passeranno per i soliti cattivi. Un film visto e rivisto.

E mentre gli alunni vanno a scuola

E a proposito di All yes on Rafah, non sarebbe una cattiva idea provare anche

Quanto alla famosa strage di Rafah, di cui già si è parlato:

Chiudo con una brevissima riflessione sui risultati raggiunti per mezzo del terrorismo

e con un branco di pro-pal che fanno irruzione in un evento ebraico

Perché c’è una sola cosa da fare: non lasciarsi sopraffare.

Anzi no, ci ho ripensato. Concludo con questo promemoria, questa cosa che non dobbiamo mai dimenticare

barbara