A MARGINE DELLA GUERRA

“La guerra ci mostra il folle opportunismo commerciale dell’utero in affitto”

“Make babies not war”. L’industria della surrogata in Ucraina (a maggio sarà a Milano) seduce il nichilismo occidentale. “La selezione del sesso è offerta dalla casa”. Intervista a Céline Revel-Dumas

Come non commuoversi, non puntare riflettori e non raccontare la storia di una donna ucraina che, al nono mese di gravidanza, fugge dalla guerra e partorisce in Italia? Nessuna commozione, riflettore o storia invece sugli altri figli della guerra in Ucraina. Quelli commissionati dall’Occidente.
“La guerra è così mostruosa da gettare in faccia agli uomini ciò che meno sostengono al mondo: la verità. Contro ogni previsione, la maternità surrogata ha rivelato il suo vero volto. Quella di un folle opportunismo commerciale soddisfatto da un cieco egoismo”. Così scrive su Le Figaro Céline Revel-Dumas, la saggista francese autrice del bel libro GPA. Le Grand Bluff.
Mentre Kiev è assediata dai carri armati, i civili fuggono o si nascondono in rifugi improvvisati, le cliniche della fertilità sono determinate a continuare la loro attività. “Make babies, not war”, annuncia il colosso della surrogata BioTexCom, che assicura di continuare la sua attività nonostante il conflitto. “Siamo immensamente grati ai pazienti che rimangono con noi e vengono a Kiev per le loro consultazioni, quelli che confermano il trasferimento di embrioni e quelli che incoraggiano i nostri manager”. Un’altra clinica, Feskov, offre “madri surrogate” in paesi limitrofi e assicura ai clienti la continuità dei “programmi”, uno dei quali prevede: “La scelta del sesso è offerta dalla casa”. Monica Ricci Sargentini sul Corriere della Sera racconta di tante coppie italiane in attesa che da Kiev gli consegnino il loro bebé scelto da catalogo. Il Guardian dei genitori occidentali “disperati nel cercare di portare fuori dall’Ucraina i loro embrioni”.
La maternità surrogata schiavizza donne indigenti, ridotte alle loro capacità riproduttive, trattate come subumane, rimaste bloccate a Kiev in attesa di partorire i figli dei loro impazienti “sponsor” occidentali.
Al settimanale francese Marianne Inna Yefimovych, dell’ufficio marketing della Biotexcom, dice: “A febbraio, la clinica ha inseminato venti donne a settimana. Nei prossimi tre mesi nasceranno 200 bambini”. La cifra è confermata dall’Atlantic. Molte di queste madri surrogate proverrebbero dalla regione del Donbass, al centro del conflitto in Ucraina dal 2014, secondo il Collettivo per il rispetto della persona che si batte per l’abolizione della maternità surrogata.
La scorsa settimana, la stessa Biotexcom ha pubblicato il video di un attacco. Sotto l’ululato delle sirene, i bambini giuridicamente figli di nessuno, senza madre, vengono coccolati dalle infermiere. Un dipendente mostra le maschere antigas e i sacchi a pelo. “Siamo sopraffatti dalle domande. I nostri pazienti sono entusiasti. Volevamo mostrare loro cosa faremo in caso di attacco. Il bunker è suddiviso in diverse aree: aree per neonati, adulti, deposito per alimenti, aborti ecc. Terremo gli embrioni nel rifugio antiatomico e vi nasconderemo anche le madri”.
Secondo la rivista online Quartz, ci sono 33 cliniche private della surrogata e 5 cliniche governative in Ucraina. Si tratta dell’unico paese europeo che lo consente. Ogni anno possono nascere tra 2.000 e 2.500 bambini da madri surrogate in Ucraina. Cosa succederà ora agli embrioni congelati se la corrente elettrica dovesse interrompersi?
In Ucraina, la maternità surrogata appare nella sua oscurità più sporca. “Ci sono due tipi di barbarie”, scrive Revel-Dumas. “Quella che strappa l’individuo a un’identità collettiva e disfa la sua appartenenza a una comunità scolpita da uno spirito, da una storia, da ricordi e da questa ‘voglia di continuare insieme’ cara a Ernest Renan. L’Ucraina sta lottando per questo. L’altra barbarie è privare l’essere umano della sua integrità. E questo fa la maternità surrogata”.
Eppure, l’opinione pubblica europea fa orecchie da mercante. Perché la meccanica di fondo della surrogata, di un cinismo implacabile, appare ora in piena luce: un mercato spietato, senza fede né legge, su cui l’Occidente dei diritti e dei desideri si è compromesso.
Ne parlo in esclusiva per la newsletter con l’autrice del libro GPA. Le Grand Bluff, Céline Revel-Dumas.

Perché l’Occidente non vede l’orrore di questo supermercato per bambini sotto le bombe?

Le coppie occidentali non vogliono considerare i lati più oscuri della maternità surrogata perché ciò metterebbe a repentaglio il progetto del bambino a cui non vogliono rinunciare. L’Ucraina è una destinazione che offre alcuni delle surrogate più economiche sul mercato mondiale. L’opportunità economica che rappresenta incoraggia queste coppie a informarsi e a contattare le cliniche locali che privilegiano un discorso confortante e meraviglioso. Vengono accolte in appartamenti confortevoli, ascoltate, accompagnate in tutte le fasi della maternità surrogata e presentate alle donne – che vendono i loro ovuli o il loro grembo – che si dice siano molto felici di essere madri surrogate. È essenziale rendersi conto che le cliniche in tutto il mondo, e ancor di più in Ucraina, sono pienamente consapevoli dell’indignazione che la pratica sta provocando a livello internazionale. Raddoppiano quindi il loro ingegno per nascondere ciò che potrebbe risuonare con i discorsi indignati. Per questo, mettono puramente e semplicemente la museruola alla parola delle donne. Nessuna “madre surrogata” può esprimere le sue vere motivazioni, che sono sempre finanziarie in un paese come l’Ucraina dove il tenore di vita è drammaticamente basso. Indagini giornalistiche o sociologiche rivelano che queste donne sono molto spesso maltrattate dalle cliniche, che limitano i costi del monitoraggio delle gravidanze, e non chiedono il loro parere prima di procedere alla riduzione dell’embrione, operazione mediante la quale uno degli embrioni viene rimosso dall’utero. Eppure queste giovani donne devono tacere, altrimenti ricevono una multa che verrà detratta dal salario. Questo stratagemma del tutto machiavellico incoraggia i genitori a pensare che queste donne abbiano un approccio “altruistico”. Sono mantenuti nell’illusione in cui vogliono credere. Alcuni, più cinici di altri, ritengono di partecipare a uno scambio di cortesie. Ottengono il figlio che vogliono e in cambio partecipano al “miglioramento” delle condizioni di vita di queste donne in condizioni di povertà. La maternità surrogata assume così i contorni del “lavoro sociale”. È così che cercano di preservare la loro coscienza morale. Ma questo “win-win” consumistico esclude una parte essenziale della maternità surrogata: i rischi medici e psicologici sostenuti da queste “madri surrogate”. Quanto alla questione dei bisogni del bambino, in particolare quello, fondamentale, per non essere separato da chi lo ha portato, viene completamente evacuato. Questo rivela fino a che punto i valori consumistici hanno invaso il campo della procreazione. Le rivoluzioni morali degli anni Sessanta e Settanta hanno lasciato il campo aperto a un liberalismo economico che si è insinuato nel regno del corpo. Con la copertura della rivoluzione sessuale, che vuole che si abbia il proprio corpo, il capitalismo ha investito il processo procreativo. Uova e “grembi” rispondono ora alla logica della domanda e dell’offerta. È questa mentalità che agisce – consapevolmente o meno – quando gli occidentali acquistano i servizi di “madri surrogate”.

L’Ucraina e altri paesi sfruttano il nichilismo occidentale a scopo di lucro?

Il profitto è l’unica ragione d’essere della maternità surrogata. Pensare che il dramma dell’infertilità possa suscitare una preoccupazione importante e disinteressata che porterebbe Stati e industrie a mobilitarsi per rendere più felice l’umanità è un’illusione. Molte altre situazioni o altre patologie meritano un’attenzione simile. Ma l’infertilità è una miniera d’oro. Il mercato è stimato a 6 miliardi all’anno e molto probabilmente sottovalutato. Le coppie benestanti sono disposte a spendere generosamente per ottenere il figlio che desiderano. Perché questo mercato sia l’incontro tra un desiderio insormontabile e illimitato di bambini con il desiderio di benefici miracolosi, e questo in un contesto in cui i difensori del “progresso” hanno cristallizzato le loro ambizioni politiche sull’uguaglianza per tutti, e in particolare sul “uguaglianza di procreazione”. Inoltre, il contesto di molteplici crisi – ecologica, economica, politica e ora internazionale – provoca il ritiro in se stessi, un bisogno immediato di vivere. La famiglia, resa possibile dall’arrivo di un figlio, diventa più che mai essenziale per sfuggire a una realtà sempre meno sopportabile. Con la maternità surrogata, l’eliminazione immediata della sofferenza è accessibile. Non è una fatalità contro la quale non potremmo combattere. Di fronte a un Occidente in piena decadenza, la maternità surrogata offre l’idea della possibilità di una vita migliore, immediatamente. In un mondo sconvolto, la ritirata nelle battaglie sociali è un salvacondotto per i progressisti e una notevole opportunità per una crescita sempre più bulimica.
Giulio Meotti

POST SCRIPTUM: è stato bandito anche lui, infame criminale putiniano. Ascoltiamolo, prima che venga bannato anche da youtube.

barbara

QUALCHE DOMANDA

Domanda N° 1

Quando, esattamente, ha cominciato a circolare il virus a Wuhan? E quando, esattamente, è arrivato in Italia?

Perché, come è arrivato con questi ragazzi alla fine di ottobre, che cosa ci impedisce di pensare che possa essere arrivato anche prima della metà del mese con qualche imprenditore, o con qualcuno delle centinaia di migliaia di cinesi residenti in Italia, che periodicamente vanno a visitare le famiglie?

Domanda N° 2

Quando ci decideremo a dichiarare l’utero in affitto, ossia la compravendita di bambini al mercato degli schiavi, crimine contro l’umanità? Crimine che è sempre tale, anche in tempi “normali”, ma che in tempo di pandemia assume tinte ancora più orripilanti: succede infatti che in un albergo di Kiev si trovano parcheggiati decine di neonati
neonati
commissionati da ricchi negrieri pratici in compravendite di carne umana, che ora a causa del blocco determinato dalla pandemia non possono andare a ritirare i loro pacchetti di carne. Che cosa ne sarà di questi bambini? Nessuno lo sa. (qui maggiori dettagli)

Domanda N° 3

Davvero per evitare di morire di covid a decine di migliaia (e se non fosse una tragedia, qui ci sarebbe da fare una grassa risata) era necessaria la riduzione in schiavitù di sessanta milioni di cittadini e l’instaurazione di uno stato di polizia con sospensione della Costituzione ed esautoramento del Parlamento?

La leggenda metropolitana del lockdown

Una mia regola aurea è che tutto è possibile eccetto ciò che è logicamente impossibile. Una legge della logica è quella della contro-inversa: se A implica B, allora non-B implica non-A. Mancanza di lockdown implica che si hanno più morti? Allora, a parità di condizioni iniziali, avere meno morti implica che s’è fatto il lockdown. Il caso vuole che al giorno 8 marzo le condizioni iniziali di Italia e di Sud Corea fossero le stesse: entrambi i Paesi registravano 7300 infetti. Orbene, al 4 di maggio l’Italia ne registra 212 mila e piange 29 mila morti, la Sud Corea registra 11 mila infetti e piange 250 morti. Ma in Sud Corea non c’è stato il lockdown che abbiamo fatto noi. Per la regola della contro-inversa, non avessimo fatto il lockdown, non avremmo avuto né più casi né più morti.
Massimamente grazie a mezzi di comunicazione che ricordano quelli cinesi, serpeggia una leggenda metropolitana: è vero che le misure del governo hanno dato un colpo mortale all’economia, ma almeno ci hanno salvato la vita e protetto la salute. Se fosse così, dovremmo essere felici, che quando c’è la salute c’è tutto. Ma non è così. È, quella, appunto, una leggenda metropolitana. Di questo è necessario esserne consapevoli, noi e il governo: noi perché si impari a non dare la fiducia agli incompetenti incapaci, e il governo – qualunque governo ­– perché non commetta gli stessi errori. Alcuni dei quali sono imperdonabili.
Condizione necessaria affinché, in assenza di vaccini, siano efficaci misure di contenimento di un virus pandemico, è la velocità e determinazione nell’implementare le misure stesse. Qualunque fosse stata la strategia scelta, il fattore cruciale era la velocità d’azione. Il primo caso diagnosticato d’infezione avvenne l’8 di dicembre in Cina. Il 4 febbraio, quando avevano 15 casi e zero decessi, i sudcoreani chiudevano il Paese agli arrivi dalla Cina. Lo stesso 4 febbraio il sindaco di Firenze, con velleitario pidiota antirazzismo, lanciava l’hashtag #abbracciauncinese (nessun magistrato l’ha toccato, naturalmente, ma questa è un’altra storia).
In perfetta sintonia col pidiota, Conte attendeva il 9 marzo, quando gli infetti registrati erano già 10 mila e 600 i decessi, per attuare il lockdown. Brillante per incapacità, s’è adagiato sul parere dei cosiddetti esperti. I quali – lo sa anche un boy-scout – sono il modo più sicuro per rovinarsi (i cavalli il più veloce e le donne il più piacevole). Una qualunque Giulia Grillo avrebbe saputo discernere i contraddittori pareri di teste d’uovo rivelatesi incapaci di riconoscere la natura pandemica del virus. Cosa non impossibile, visto che i loro colleghi cinesi, sudcoreani, giapponesi, vietnamiti, l’avevano subito capito.
Conte regna su di noi, ma la confusione regna nella testa di Conte. Ci sarebbe da chiedergli perché, se ha chiuso quando c’erano 10 mila infetti attivi, sta aprendo ora che gli infetti attivi sono 100 mila. C’è una logica in questa pazzia? Direi di sì: anche lui sa che chiuderci come ci siamo chiusi non è servito, e men che meno serve oggi.
Né servirà in futuro, ove mai questo virus dovesse rinvigorirsi, come gli esperti paventano. Naturalmente non gli sarebbe salutare ammetterlo, ma si spera che per allora sappia almeno predisporre tutto quanto serve per prendersi cura di chi si ammala. Ma la vedo difficile: altra mia regola aurea è dare a tutti una seconda possibilità, mai una terza.
Franco Battaglia, 5 maggio 2020, qui.

Domanda N° 4

Ma veramente la Russia, quella che, in linea con le graziose abitudini putiniane di far sparire i giornalisti scomodi, si esibisce in intimidazioni in perfetto stile mafioso contro i nostri giornalisti non asserviti, veramente ci è stata d’aiuto?

Finisce lo show di Putin

Roma. Sono cominciate ieri le operazioni di rimpatrio dei militari russi arrivati in Italia il 22 marzo per l’operazione “Dalla Russia con amore”. Dalla base logistica dentro all’aeroporto di Orio al Serio in Lombardia questa volta si sono diretti verso l’aeroporto di Verona-Villafranca, dove un primo gruppo si è già imbarcato su due grandi aerei da trasporto Ilyushin-76, e non più verso l’aeroporto di Pratica di Mare, nel Lazio, dove erano atterrati quarantasette giorni fa. Orio al Serio dista centodieci chilometri dall’aeroporto di Verona e seicentoquaranta chilometri da Pratica di Mare, e questo suggerisce che ci sia stata la volontà di spettacolarizzare il loro arrivo. L’atterraggio dei primi Ilyushin-76 avvenne alla presenza del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, con una diretta cominciata prima a “Domenica In” in collegamento con Mara Venier e poi proseguita su facebook. Pratica di Mare è una base militare simbolica, è il luogo dove nel maggio 2002 l’allora premier Silvio Berlusconi ricevette il presidente americano George W. Bush e il presidente russo Vladimir Putin per la firma di un trattato di collaborazione tra Nato e Russia che allora fece parlare di “fine della Guerra fredda”. Inoltre da Roma è senz’altro più comoda da raggiungere di Verona o di qualsiasi altro aeroporto del nord, per chi ha partecipato alla coreografia dell’arrivo. La parte più pesante del carico arrivato a marzo su quindici aerei cargo è rappresentata dai mezzi militari dei russi e il costo dello spostamento tra la Russia e l’Italia, andata e ritorno, sarebbe tra il mezzo milione e i due milioni di euro secondo le stime di esperti sentiti dal Foglio. Questo costo sarebbe stato sostenuto dall’Italia e c’è da usare il condizionale perché il governo non ha mai chiarito la questione. I mezzi fatti arrivare dai russi sugli aerei cargo non erano speciali e sono in dotazione anche all’esercito italiano, che infatti nello stesso periodo si è occupato di sanificazione un po’ in tutto il paese, da Verona al Piemonte e da Bergamo alla Sicilia. La Difesa russa ha dichiarato due giorni fa di avere sanificato 114 edifici per un totale di un milione e centomila metri quadri. Un’operazione meritoria ma anche a scadenza molto breve, perché la sanificazione per essere efficace dev’essere ripetuta nel tempo soprattutto in una regione come la Lombardia che ancora produce centinaia di nuovi contagiati al giorno e quindi non si capisce molto il senso strategico di tutta la manovra militare. Inoltre se si vanno a vedere i prezzi fatti dalle imprese private di sanificazione in questo periodo si realizza che è possibile sanificare quello stesso numero di metri quadri per circa trecentomila euro – e volendo anche a prezzi inferiori. E quindi – a meno che non siano chiariti alcuni punti della vicenda – l’impressione che si sia trattato di una costosa (per noi) operazione di propaganda da parte della Russia per sfruttare un periodo di crisi del paese è forte. La televisione russa ha trasmesso con gusto le immagini di chi in Italia toglieva la bandiera dell’Unione europea (dalla quale in questi giorni attendiamo miliardi di prestiti a condizioni incredibilmente favorevoli) per sostituirla con quella russa. I partiti di opposizione spesso chiedono chiarimenti al governo per molto meno, ma in questo caso non lo faranno perché sono ancora più filorussi. Se Mosca ha lanciato un’iniziativa metà di soccorso e metà di propaganda politica sul nostro territorio è perché in politica estera siamo un paese con idee molto confuse. Questo filo diretto del governo italiano con Putin non si sa chi dovesse impressionare alla fine, ma di sicuro non i paesi con cui vorremmo un rapporto più funzionale in Europa e di sicuro non gli Stati Uniti. Nel frattempo i Cinque stelle, partito di maggioranza dentro al governo, un giorno si vantano di avere una relazione speciale con la Cina “da giocare contro l’Unione europea” e un giorno assicurano di essere fedeli all’atlantismo.

Daniele Raineri, 9 maggio 2020, Il Foglio

Domanda N° 5

Ho trovato in rete questa immagine,
probabilità
e mi chiedo:

a) Da quando in qua abbiamo l’abitudine di starnutire direttamente sulla faccia di chi ci sta di fronte, a cinquanta centimetri di distanza?

b) Come sono state stabilite quelle percentuali? Hanno preso 400 positivi e 400 negativi, li hanno messi uno di fronte all’altro a gruppi di cento a mezzo metro di distanza, hanno fatto starnutire i positivi direttamente sulla faccia dei dirimpettai e alla fine hanno contato quanti negativi erano diventati positivi? (Ah no, devono essere il doppio, se no con quel “,5” mi sa che ce la vediamo brutta, anzi, se la vede brutta lui). Ma davvero pretendono di convincerci a usare le mascherine con simili cagate? E oltretutto senza una parola sul tipo di mascherina.

Per ora mi fermo, ma di domande da fare ce ne sarebbero fino a domani.

barbara