IL LIBRO NERO DELLA DONNA

Gli aborti selettivi (circa cento milioni di donne mancanti nel mondo solo a causa di quelli), gli infanticidi selettivi, le bambine non uccise direttamente ma morte perché intenzionalmente lasciate con meno cibo, meno cure quando si ammalano (ed essendo denutrite si ammalano molto di più dei loro fratelli maschi), meno attenzione riguardo a possibili incidenti. E poi le mutilazioni genitali, che provocano spesso infezioni, a volte mortali, e parti molto più a rischio, gli stupri etnici, le violenze familiari – regolarmente impunite – giustificate da tradizioni claniche e religiose, matrimoni imposti, non di rado in età prepubere, che si risolvono in una infinita serie di stupri e in pericolosissime – a volte mortali – gravidanze precoci. Femminicidio è un termine brutto, ma il fenomeno esiste. Qualcuno, guarda caso uomo, lo ritiene un termine assurdo, ritiene che l’uccisione di un essere umano debba essere qualificata sempre e comunque come omicidio. Ma se io uccido qualcuno che non mi ha fatto alcunché di male, che addirittura magari neanche conosco, unicamente perché negro, o ebreo, o zingaro, non concorderebbe chiunque sul fatto che questo assassinio debba esser classificato in una categoria a parte, e non assimilato a un omicidio commesso per vendetta o per interesse? E dunque perché mai l’assassinio di una donna dovuto unicamente al fatto che si tratta di una donna non dovrebbe essere considerato come una categoria a sé, separata dal “normale” omicidio?
E poi ancora i diritti politici negati, i diritti civili negati (donne, magari ministro, che non possono lasciare il Paese per gli impegni relativi al proprio mandato senza l’autorizzazione del marito), minore scolarizzazione, discriminazioni sul lavoro e in molti altri ambiti… L’analisi della condizione femminile in tutto il mondo contenuta in questo corposo volume è davvero esaustiva, e impressionante. Con qualche – non troppo sorprendente – bizzarria, come le violenze domestiche sopportate dalle donne palestinesi addebitate all’occupazione e soprattutto all’intifada, ripetutamente nominata senza mai dire che cosa sia, sicché chi non segua le vicende di quella parte del mondo potrebbe tranquillamente immaginare che si tratti di qualche diavoleria vessatoria inventata da Israele, e comunque la cosa funziona così: per colpa dell’intifada gli uomini sono senza lavoro; siccome sono senza lavoro devono stare tutto il giorno a casa; siccome devono stare tutto il giorno a casa si annoiano a morte; e siccome si annoiano a morte, per fare qualcosa e per scaricare il nervosismo pestano le mogli. E anche gli incesti sono da attribuire alla stessa causa:
La televisione via cavo e l’accesso a internet hanno introdotto nelle case programmi e siti pornografici fino a quel momento vietati o di difficile accesso in una società tradizionalista e pudibonda. «Confinati in casa dalla disoccupazione, gli uomini, giovani e meno giovani, passano molto tempo davanti alla tv. Quello che vedono gli riempie la testa di idee, e poi passano all’azione con quello che hanno “sottomano”, la loro figlia o la loro sorella» spiega Shaden Bustami, direttrice dell’Associazione per la difesa della famiglia (Adf).
C’è anche qualche clamorosa ingenuità, come quella di accreditare al pur restrittivo e misogino Iran l’assenza degli aborti selettivi, quando dovrebbe essere noto a chiunque che in Iran non vengono effettuati aborti né selettivi né ciechi, dal momento che l’aborto è vietato per legge; e c’è un astioso attacco a 360° contro George W. Bush Ma a parte queste e alcune altre cose su cui si può dissentire, è un libro che dovrebbe davvero essere letto, perché magari si segue la cronaca, si leggono i giornali e si crede di sapere tutto e invece no: ce ne sono di cose che non sappiamo, e quante ce ne sono.

Il libro nero della donna, A cura di Christine Ockrent, Cairo editore
Il libro nero della donna
barbara

VOI LO SAPETE CHE COS’È UNA NASCITA PARZIALE?

Io non lo sapevo. Adesso lo so.
nascitaparziale
La scorsa settimana la più famosa clinica per gli aborti d’America, la Women’s Health Care Services a Wichita, Kansas, ha riaperto i battenti dopo l’uccisione nel 2009 del suo fondatore, il dottor George Tiller, per mano di un attivista pro life. La riapertura della clinica è stata salutata dalla stampa liberal come un “gesto di coraggio” contro le intimidazioni dei “terroristi della vita” che per anni hanno insanguinato i selciati delle cliniche. Nelle stesse ore a est, in Pennsylvania, nella città dell’Amore Fraterno, a Philadelphia, in un’aula di tribunale iniziava il processo-choc a un’altra clinica degli aborti, la Women’s Medical Society del dottor Kermit Gosnell, da trent’anni sulla piazza con la sua ditta di “pianificazione familiare”.
Come Gosnell, Tiller era specializzato nel porre fine alla vita di bambini sani e in grado di sopravvivere fuori dal corpo della madre. “Così va il mondo”, ripeteva il dottor Gosnell alle sue assistenti che ponevano scrupoli morali. Ma a differenza della clinica in Kansas, di quella a Philadelphia, ribattezzata “l’ossario dei bambini”, la stampa per giorni non ha parlato, provando vergogna, quasi a esorcizzarne l’esistenza stessa tramite un silenzio surreale. Poi il caso è scoppiato sulle pagine di tutti i giornali del paese. Il Weekly Standard, giornale neoconservatore, ha sbattuto il caso Gosnell in copertina: “Barbarie a Philadelphia”, accostando il nome del dottor Gosnell addirittura a quello di Pol Pot. WorldNetDaily, un media conservatore fra i più noti d’America, lo ha chiamato “angelo della morte di Philadelphia”, paragonando Gosnell al medico nazista Josef Mengele. Che differenza c’è fra le due cliniche di Tiller e Gosnell, chiedono i conservatori dell’American Thinker? “L’igiene”. Tiller, ucciso da un militante antiabortista, aveva una clientela bianca della middle class e proveniente da ogni parte del mondo. Perché la sua a Wichita era una delle sole cinque cliniche d’America in cui si eseguivano “aborti a nascita parziale”, ovvero oltre la 24esima settimana di gravidanza. Prima dell’uccisione, Tiller si vantava nel sito web della clinica di avere “più esperienza nell’aborto tardivo di ogni altra persona nell’emisfero occidentale, con più di 60 mila aborti dal 1973”. Avendo la Corte suprema degli Stati Uniti deliberato che il termine “persona”, così come viene usato nel 14esimo emendamento della Costituzione, non si applica al bambino non nato, se n’è dedotta la possibilità di porre un termine alla vita senza incorrere in azioni giudiziarie, fino al momento del parto. E’ l’avvento dell’“aborto a nascita parziale”. E’ la tecnica dell’aspirazione del cervello del bambino partorito soltanto a metà, perché altrimenti sarebbe omicidio (per questo Gosnell è a processo). Il medico afferra con una pinza i piedi del feto e porta fuori dall’utero prima le gambe poi il corpo, tranne la testa. A quel punto esegue un’incisione alla base del cranio per aspirare il cervello, poi completa il parto. Almeno mille aborti all’anno in America avvengono così. Scriveva nei giorni scorsi Jonah Goldberg sul Los Angeles Times: “Gosnell è accusato di aver eseguito aborti illegali e di aver fatto nascere e poi ucciso numerosi neonati. Ma la domanda più profonda è quale sia la differenza morale fra uccidere un bambino fuori dal corpo della madre per pochi secondi e ucciderlo ancora al suo interno”. Per questo il caso Gosnell non è un caso di malasanità o di orrore (Gosnell è stato ribattezzato “uno dei serial killer più spietati della storia americana”), ma apre la ferita degli aborti tardivi legali e indiscriminati negli Stati Uniti. Per questo sulla rivista cattolica First Things il filosofo conservatore Robert George ha implorato i giudici di salvare la vita al dottore: il problema non è lui, ha scritto George, ma l’aborto di massa.

Perché il processo a Gosnell non ha attirato un centesimo dello spasimo che i media nutrono sempre per gli assassini seriali? Perché la grande stampa ha paura della storia. Perché Gosnell, come Tiller, aveva fama di paladino dell’aborto. Ma a differenza di Tiller, Gosnell attirava donne povere e spesso abbandonate. Di ritorno da New York, dove si era laureato in Medicina e aveva appreso i rudimenti della lotta abortista, Gosnell era tornato a Philadelphia, per aprire una clinica di aborti nel Mantua, una zona per poveri e minoranze, sostenuto dalla Planned Parenthood, la più grande, capillare e potente organizzazione abortista d’America. “Volevo essere una forza positiva per le minoranze”, ha detto Gosnell al Philadelphia Daily News. “Aspiravo alla perfezione per i miei pazienti, a dare loro quello che avrei dato a mia figlia”. Ma andiamo con ordine. La vicenda inizia il 18 febbraio 2010, quando l’Fbi fa irruzione nella clinica abortista di Philadelphia Women’s Medical Society, dove il medico progressista Gosnell opera da molti anni. Gli agenti scoprono che molti dei bambini abortiti avevano un’età di gestazione superiore al limite di 24 settimane fissato dalla legge dello stato (un bambino che viene fatto nascere dopo la 24esima settimana ha molte probabilità di sopravvivere se riceve cure mediche adeguate). Non solo, Gosnell avrebbe praticato l’infanticidio su centinaia di bambini nati. Nelle ultime due settimane in aula gli assistenti del medico raccontano come la clinica fosse frequentata, giorno e notte, da donne fuori tempo limite per ottenere un aborto legalmente, proprio perché il celebre medico “assicurava la morte fetale”.
Molti stanno raccontando di avere ancora vivi negli occhi le “contorsioni dei bimbi appena venuti alla luce” e nelle orecchie “il pianto dei bambini nati” e successivamente uccisi da Gosnell attraverso una metodica spietata e semplice: la recisione del midollo spinale, con una tecnica che lui stesso chiamava “snipping”.
I testimoni raccontano di decine, pare un centinaio, di “morti fetali” perpetuate così: bambini di trenta settimane lasciati piangere per venti minuti e poi messi a tacere con lo “snipping”. Di un bambino appena nato, il medico disse “è così grande che potrebbe accompagnarmi alla fermata dell’autobus”. Secondo James Taranto del Wall Street Journal, la vicenda è “un colpo mortale alla Roe vs. Wade”, la sentenza che ha reso assoluto il diritto all’aborto in America. L’argomento dei sostenitori della sentenza è che la proibizione dell’aborto, o anche solo di alcune sue pratiche come quello a “nascita parziale”, costringerebbe le donne al pericolo di interventi clandestini. Il caso Gosnell dimostrerebbe il contrario: anche in presenza di un quadro legalistico permissivo, l’aborto sfugge di mano ai suoi demiurghi, scrive Taranto. L’aborto non è mai “safe”. Sicuro. Gosnell avrebbe praticato centinaia di simili interventi di infanticidio e in tribunale deve rispondere di sette in particolare, compresa la morte di una donna. “Non riesco e descriverlo, sembrava un piccolo alieno”. Così Sherry West ha raccontato le urla di un bambino nato vivo a seguito di un aborto tardivo. Stephen Massof, un altro membro dello staff di Gosnell, racconta come il dottore con una sforbiciata secca alla colonna vertebrale separasse il cervello dal resto del corpo dei bambini. Una specie di “decapitazione”, l’ha definita il collaboratore del medico. “Queste uccisioni erano diventate talmente di routine, che nessuno ha potuto dare una cifra esatta”, dice il rapporto del Gran Giurì. “Erano considerate ‘procedure standard’”.
Contro l’aborto a nascita parziale, praticato per anni nella sua forma estrema da Gosnell, si schierò l’ex presidente George W. Bush, che nel 2003 firmò una legge approvata dal Congresso Usa per il bando della brutale pratica, che il senatore democratico liberal Moynihan definì “infanticidio”. Nel 2007 la Corte suprema confermò la costituzionalità della messa al bando di questo tipo di intervento, ma in tredici stati le corti statali hanno bloccato il divieto. Anche il presidente Barack Obama si è sempre opposto a misure che limitassero il ricorso all’aborto a nascita parziale. Il caso Gosnell porta dunque alla luce una pagina vergognosa della medicina occidentale. I pro life lamentano la scarsissima attenzione che tv, siti internet e giornali hanno dedicato alla storia della clinica di Philadelphia.

La deputata Marsha Blackburn parla del “più grande scandalo mediatico della storia americana”. “Se Gosnell fosse entrato in una clinica e avesse ucciso sette bambini con un AR-15 (un fucile semiautomatico, ndr), sarebbe stata una notizia nazionale”, ha detto il deputato repubblicano Chris Smith, che ha definito il processo Gosnell come quello “del secolo”, per via delle implicazioni che dovrebbe e potrà avere nel dibattito sull’aborto. Il caso Gosnell getta luce anche sulla volontà politica e generale di mettere un freno all’industria degli aborti. La clinica, infatti, venne del tutto lasciata senza controlli nel 1993, quando il democratico pro life Bob Casey perse le elezioni da governatore a favore di un candidato repubblicano pro choice, Tom Ridge. Da quella data – spiega il rapporto – il dipartimento della Salute della Pennsylvania ha optato per un blocco dei controlli per non “porre una barriera contro le donne” in cerca di un aborto. “Meglio lasciare fare le cliniche come volevano, anche se, come ha dimostrato Gosnell, questo significava che a pagare fossero sia donne che bambini”, continua il documento. Michelle Malkin ha scritto sulla National Review che l’intera vicenda della Women’s Medical Society è rivelatrice del dibattito sull’aborto. “L’indifferenza mortale per proteggere la vita non è marginale all’esistenza dell’industria dell’aborto: è la sua essenza”, sottolinea l’autrice. “L’orrore di Philadelphia non è una anomalia. E’ la logica, raccapricciante conseguenza di una malevola impresa con radici eugenetiche, sotto una veste femminista”, così conclude la Malkin. Al Wall Street Journal Leon Kass, bioeticista principe sotto i due mandati di George W. Bush e intellettuale straussiano di Chicago, ha detto che il caso Gosnell indica qualcosa di più rispetto ai sofismi legali che circondano l’aborto in America. Si tratta della mancanza di orrore che circonda ormai il maltrattamento della vita umana. Jeb Bush, ex governatore della Florida e probabile sfidante repubblicano nel 2016, ha scritto: “I media si sono dimenticati cosa va messo in prima pagina”. Anche fra i media mainstream si sono levate voci di scandalo per il silenzio giornalistico e culturale che circonda il caso Gosnell. Fra le tante quella di un editorialista dell’Atlantic di Boston, Conor Friedersdorf, che ha sottolineato come il caso metta in discussione tutti i punti che il pensiero abortista evita sempre di trattare: “Le regole interne alle cliniche, la legalizzazione dell’aborto a nascita parziale, le pene per chi non denuncia gli abusi, i termini di prescrizione per omicidi come quelli di cui è accusato Gosnell, la responsabilità del personale per il cattivo comportamento dei medici con cui lavorano”.
Durissima Kirsten Powers su Usa Today: “Decapitazione infantile. Feti buttati nei barattoli. Il pianto di un bambino ancora vivo dopo che è stato prelevato dalla pancia della madre durante un aborto. Avete mai sentito parlare di queste ripugnanti accuse? No e non è colpa vostra. Da quando il caso Gosnell è finito in tribunale la copertura mediatica è stata molto scarsa mentre invece la storia sarebbe dovuta essere su tutte le prime pagine dei giornali”. Per la giornalista “non era necessario essere contro l’aborto per trovarlo ripugnante, soprattutto se praticato oltre la scadenza dei termini o per considerare il caso Gosnell degno di attenzioni. L’assordante silenzio della stampa, prima una forza di giustizia in America, è una disgrazia”.
In fondo, quello che ha fatto Gosnell, con strumenti rozzi e sporchi, è teorizzato da un po’ di tempo da molti celebri bioeticisti. Un anno fa è apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due studiosi italiani che fanno ricerca in Australia, Alberto Giubilini e Francesca Minerva: “Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita”. Ovvero: al pari del feto, anche il bambino già nato non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto. Sembra che la Women’s Medical Society di Philadelphia mettesse in pratica queste idee.
Secondo il professor Jon A. Shields, docente al Claremont McKenna College che ha firmato un lungo saggio su Weekly Standard, “il dottor Gosnell si adatta al profilo di un killer sociopatico. Ma a differenza di molti deviati, Gosnell potrebbe sostenere di aver agito nell’esercizio dei suoi diritti costituzionali. Sotto le sentenze Roe e Doe, i medici hanno il diritto costituzionale a eseguire aborti durante il terzo trimestre di gravidanza”. Sarà questa la difesa di Gosnell al processo.
Secondo Shields, quello che ha commesso Gosnell è lecito in altri stati americani. “La Pennsylvania è uno dei nove stati che richiedono un secondo medico per concorrere con il ‘giudizio professionale’ di un dottore che vuole eseguire un aborto al terzo trimestre di gravidanza. Gosnell ha omesso di chiedere un secondo parere. Se Gosnell avesse eseguito le stesso aborto tardivo oltre il fiume a Cherry Hill, in New Jersey o in altri stati, non avrebbe commesso un reato procedurale”. Quanto a uccidere i bambini sopravvissuti agli aborti, Shields dice: “La protezione dei bambini che sopravvivono agli aborti rimane oggetto di controversie, non è una questione di diritto risolta. Mentre 27 stati tra cui la Pennsylvania hanno leggi che proteggono questi bambini, altri 23 stati e nel Distretto di Columbia non le hanno. Quindi, si potrebbe ragionevolmente chiedere se qualcuno merita la pena di morte per un atto che è legale in quasi la metà degli stati, un atto che non è visto di buon occhio da personaggi pubblici come il presidente degli Stati Uniti”.
L’accusa del professor Shields è a Obama, perché quando era senatore dell’Illinois votò per negare i diritti di base, protetti dalla Costituzione, ai bambini sopravvissuti all’aborto – non una sola, ma ben quattro volte. I pro life puntano già il dito contro il governatore democratico di New York, Andrew Cuomo, il cui disegno di legge parla infatti dell’aborto come di un “diritto fondamentale”, abolendo ogni limite temporale. Eccolo il lato più tragico del caso Gosnell: è la legge ad aver aperto le porte a questo orrore. Nel 1977 il giudice della Corte suprema Clement Haynsworth stabilì, nel caso di un bambino sopravvissuto all’aborto, che “il feto in questo caso non è una persona da proteggere”. Morì dopo venti giorni. Due anni dopo, in Colautti vs. Franklyn, la Corte attribuì ai medici la libertà di determinare la “vitalità fetale”, conferendo loro un potere che andava oltre la Roe. Il giudice William Rehnquist dissentì dall’opinione della maggioranza. Quattro anni dopo ci fu il caso Planned Parenthood vs. Ashcroft. Il magistrato Lewis Powell in quel caso stabilì che un aborto “effettivo” doveva comportare un nuovo nato privo di vita. Durante un caso di aborto tardivo il giudice della Corte suprema del New Jersey, Maryanne Barry, stabilì che quel bambino con la testa fuoriuscita dal corpo della madre non è “nato”, è diverso da un bambino “voluto”. Di queste e altre parole risuona l’aula di tribunale di Philadelphia dove si processa il dottor Gosnell. Nel paese in cui l’aborto è stato santificato come un diritto civile al pari della libertà di parola e che ha registrato 40 milioni di aborti in quarant’anni, nel ventre della nazione che giustamente si commuove per i bambini di Newtown, è passato sotto silenzio il caso di una “clinica della salute” in cui per anni si uccidevano bimbi appena nati recidendo loro la colonna vertebrale. Una macellazione civile giustificata per legge . Per dirla col dottor Gosnell, “così va il mondo”.
Giulio Meotti, Il Foglio, 27/04/13

barbara

QUALCHE RIFLESSIONE SUL TERRORISMO

Il nostro cervello funziona grazie all’integrazione dei due emisferi. L’ emisfero sinistro, quello razionale, funziona per via logica, e analitico, processa un solo pensiero alla volta, pensiero di cui siamo coscienti. L’emisfero destro funziona invece per via analogica, è sintetico, processa multipli elementi nello stesso istante. Addirittura in neurobiologia ci si riferisce ai due emisferi come a due cervelli, il cervello sinistro e quello destro, l’ingegnere e il poeta.
Nelle fiabe ci sono inconsce ma straordinarie intuizioni sul funzionamento della mente umana, intuizioni di cui gli anonimi  autori non erano probabilmente del tutto coscienti, ma che ci permettono di spiegare la storia.
Hänsel e Gretel e Pollicino ci raccontano la realtà del cannibalismo. Nelle grandi carestie prima di morire di fame si mangiano i cadaveri, e i bambini muoiono per primi o sono più facili da acchiappare. Poteva succedere che il corpo di un bambino diventasse cibo, come rischia di capitare ad Hänsel, Gretel, Pollicino e i suoi fratelli. La Guerra dei Trent’anni ridusse la Germania a un tale livello di barbarie e carestia che la sopravvivenza fu spesso possibile solo grazie al cannibalismo: il fantasma di questa immane tragedia è rimasto intrappolato nelle fiabe. I tedeschi sono sopravvissuti mangiando cadaveri durante la Guerra dei Trent’anni e gli ucraini hanno cercato di farlo durante la carestia imposta da Stalin. E oggi? Oggi il corpo dei bambini viene mangiato dalle associazioni criminali che li trasformano in organi da trapiantare. In Cina, cellule cerebrali di feti di cinque mesi sono trapiantate a pazienti occidentali affetti da sclerosi laterale, perché ritardi la progressione della malattia. Mia madre è morta di sclerosi laterale, so cosa vuol dire, ma trovo lo stesso agghiacciante l’idea di questi feti fecondati al solo scopo di un aborto al quinto mese, quando la madre è già in grado di percepirne i movimenti e loro sono in grado di riconoscerne la voce, e di provare il dolore della morte. Cannibalismo del corpo del bambino, suo sfruttamento totale, è il mito osceno del bambino terrorista suicida.
In entrambe le fiabe la violenza comincia nella casa del padre: questi, invece di usare la propria vita, il proprio corpo, il proprio sangue per sfamare i figli, invece di morire pur di portare a casa una moneta e una patata, li lascia in un pericolo mortale.
In Pollicino c’è un altro punto fondamentale:  volendo uccidere Pollicino e i suoi fratelli l’orco uccide le sue stesse figlie. Chi stermina i bambini odia la vita, quindi finirà per sopprimere i propri. Il nazismo dopo aver sterminato i bambini ebrei, ha sterminato i propri. Il mito del bambino guerriero è un mito proprio di tutti i totalitarismi.  Nei popoli per bene a combattere ci vanno gli uomini, dopo aver chiuso i bambini a doppia mandata da qualche parte perché vivano un po’ di più. Nel ghetto di Varsavia contro i carri armati ci sono andati uomini. Quando i carri armati sovietici entrano a Berlino i bambini di 11 anni vengono mandati a combatterli. Durante la rivolta d’Ungheria contro i carri armati sono stati mandati gli uomini. In Vietnam spesso combattevano giovanissimi se non bambini. Quando in una fotografia vediamo da un lato il bambino con il sasso in mano e dall’altro il carro armato, vuol dire che c’è un popolo talmente criminale da permettere che i padri restino al sicuro mandando a rischiare i propri figli. Vuol dire anche che chi guida il carro armato è una persona perbene, che farà di tutto per non fare male quei bambini.
Anche il mito del piccolo balilla palestinese è superato in orrore dal bambino terrorista. Chi vuole uccidere i bambini degli altri, non ha nessuna difficoltà a uccidere i propri. La fiaba di Pollicino è moderna come non mai.
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Il terrorismo non ha una valenza militare, solo una valenza emotiva e mediatica. Il terrorismo non esisterebbe se non fosse approvato in Occidente dalla follia degli intellettuali, parola dalla etimologia sempre più impenetrabile. Palestinesi ballavano per le strade mentre le torri gemelle bruciavano: c’erano anche bambini in quel luogo. I palestinesi, gli arabi israeliani, reagiscono spesso con gioia alla notizia di attentati dove sono molti bambini. Un bambino di 10 anni a Milano ha raccontato  al suo iman il suo sogno. Fare l’astronauta? Il poliziotto? Il pompiere? Diventare un grandissimo medico? Scoprire un nuovo antibiotico anzi tre? Questi sono sogni e vanno bene per i bambini cristiani e per quelli ebrei, anche per quelli shintoisti buddisti induisti e sick. Sono sogni che vanno bene per un bambino che non abbia complessi di inferiorità. Nell’islam, nella crisi dell’islam, c’è uno stramaledetto complesso di inferiorità. La mancanza di scoperte scientifiche negli ultimi 8 secoli ha creato  il timore che mai e poi mai ci sarà  capacità di fare l’astronauta o lo scienziato, allora viene fuori il mito del terrorista. Ovviamente approvato.
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Il terrorismo è il mito di una civiltà che ha un complesso di inferiorità terrificante, tutto qui. Lo spiega bene il filosofo  Hans Magnus Enzensberger nell’imperdibile saggio “Il perdente radicale”.  La perdita della scienza, dopo i tempi d’oro di Avicenna e Averroè, è conseguente alla lettura integralista del corano come parola diretta di Allah con la negazione del libero arbitrio e del concetto di causa ed effetto. La mela cade non perché ci sia la forza di gravità, ma per la volontà di Allah, che fino a questo istante l’ha fatta cadere verso il basso, domani potrebbe farla cadere verso l’alto o di lato. Studiare la legge di gravità è una scortesia verso Allah, che domani potrebbe far cadere le mele in altro modo, o far girare i pianeti in un altro senso. Senza la possibilità di pensiero filologico non si forma il pensiero filosofico. Dove non c’è pensiero filosofico non c’è pensiero scientifico, economico, finanziario. Da questa mancanza di pensiero scientifico economico finanziario, e anche artistico, letterario e musicale, nasce complesso di inferiorità. Qualsiasi sacerdote, rabbino, monaco buddista, e così via davanti a un ragazzino di 10 anni che ha come massima aspirazione morire uccidendo si sarebbe precipitato a cercare di dissuaderlo, la massima autorità islamica di Milano, Al-Bustanij ha entusiasticamente approvato il progetto: così racconta tutto fiero in un’intervista. Gli israeliani sono tutti cattivi. Chi muore uccidendoli fa un favore al Dio dei musulmani.
Lascio il giudizio etico alla coscienza di chi legge, anche perché chi un giudizio etico sulla vicenda l’ha espresso è stato minacciato da Piccardo di essere denunciato per istigazione all’odio razziale. Solo una nota di psicologia. Se qualcuno annuncia il suicidio, il terrorismo suicida è un suicidio, e ne ottiene entusiastica approvazione, ha anche un’informazione tragica sulla propria mancanza di valore. Se anche i propri genitori hanno approvato l’idea, il messaggio ultimo è che della sua vita non importa niente a nessuno perché è un irrilevante fastidio. Questo è il messaggio tremendo che i genitori palestinesi o semplicemente islamici, il loro iman, quelli che inneggiano al terrorismo suicida, danno i loro figli.
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Perché un uomo o un bambino diventano terroristi suicidi? Ricordate la seconda storia che si raccontano, quella di Caino e Abele? Alla base del terrorismo suicida c’è l’odio irrisolvibile dei figli non amati per i figli amati.

Silvana De Mari, qui.

Ha detto Golda Meir: “Avremo la pace quando i palestinesi ameranno i loro figli più di quanto odiano noi”. Quel giorno, purtroppo, non è ancora arrivato.

barbara