Ossia memoriale dei bambini. Si trova nel kibbuz Lohamei HaGetaot (combattenti dei ghetti), fondato da un gruppo di sopravvissuti alla Shoah, fra cui vari combattenti dei ghetti e partigiani, fra Acco e Naharia. In un secondo momento sono stati costruiti anche due memoriali, uno generale e uno dedicato ai bambini, Yad LaYeled, appunto. Ci ero già stata, sei anni fa; il memoriale dei bambini non lo avevo neppure sfiorato, ero entrata nell’altro e dopo averne percorso un terzo ho chiesto di uscire, perché ero arrivata emotivamente al limite. Questa volta mi sono fatta coraggio, e sono entrata.
È una struttura a spirale, come si può vedere già dall’esterno
ed è una spirale in discesa. E dunque tu la imbocchi e cominci a scendere
e scendi,
scendi
seguendo tutte le tappe della discesa all’inferno, il trasferimento nel ghetto,
portandoti dietro i tuoi pochi stracci, che poi comunque finirai per perdere per strada, anfratti in cui tentare di nasconderti,
case in cui sopravvivere trattenendo il respiro,
e poi ancora sagome di alberi, a indicare i bambini che tentavano di nascondersi nei boschi, e ancora avanti,
sempre più giù, e la tua strada si fa sempre più stretta,
da farti mancare il respiro, e poi l’approdo finale, quello da cui non si ritorna.
Per tutto il percorso sei accompagnato da dei rumori di fondo, a tratti un brusio lieve, a tratti più insistenti: perché i bambini parlano, giocano, corrono, litigano, ridono, piangono: dove ci sono bambini non c’è mai silenzio – è solo alla fine che arriva il silenzio, quando i bambini non ci sono più.
Sono contenta di essere riuscita ad entrare, questa volta. Ma avevo avuto ragione, l’altra volta, a non osare affrontarlo.
barbara