Ossia memoriale dei bambini. Si trova nel kibbuz Lohamei HaGetaot (combattenti dei ghetti), fondato da un gruppo di sopravvissuti alla Shoah, fra cui vari combattenti dei ghetti e partigiani, fra Acco e Naharia. In un secondo momento sono stati costruiti anche due memoriali, uno generale e uno dedicato ai bambini, Yad LaYeled, appunto. Ci ero già stata, sei anni fa; il memoriale dei bambini non lo avevo neppure sfiorato, ero entrata nell’altro e dopo averne percorso un terzo ho chiesto di uscire, perché ero arrivata emotivamente al limite. Questa volta mi sono fatta coraggio, e sono entrata.
È una struttura a spirale, come si può vedere già dall’esterno
ed è una spirale in discesa. E dunque tu la imbocchi e cominci a scendere
e scendi,
scendi
seguendo tutte le tappe della discesa all’inferno, il trasferimento nel ghetto,
portandoti dietro i tuoi pochi stracci, che poi comunque finirai per perdere per strada, anfratti in cui tentare di nasconderti,
case in cui sopravvivere trattenendo il respiro,
e poi ancora sagome di alberi, a indicare i bambini che tentavano di nascondersi nei boschi, e ancora avanti,
sempre più giù, e la tua strada si fa sempre più stretta,
da farti mancare il respiro, e poi l’approdo finale, quello da cui non si ritorna.
Per tutto il percorso sei accompagnato da dei rumori di fondo, a tratti un brusio lieve, a tratti più insistenti: perché i bambini parlano, giocano, corrono, litigano, ridono, piangono: dove ci sono bambini non c’è mai silenzio – è solo alla fine che arriva il silenzio, quando i bambini non ci sono più.
Sono contenta di essere riuscita ad entrare, questa volta. Ma avevo avuto ragione, l’altra volta, a non osare affrontarlo.
barbara
😥
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Ti toglie il respiro, guarda.
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Bastano le foto, a toglierlo: ho riprovato la sensazione mal descrivibile provocata in me dagli spazi angusti e soffocanti del museo della fabbrica di Schindler a Cracovia, dov’è stato ricreato il ghetto..
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E se proviamo queste sensazioni noi, che sappiamo che fra otto minuti usciamo e torniamo a casa nostra…
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Non credo riuscirei ad affrontare quel percorso.
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E’ un’esperienza emotivamente molto impegnativa.
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Dal tuo racconto si coglie la grande capacità di questo allestimento museale, in un memoriale che in questo luogo porta ad una comunicazione capace di coinvolgere pienamente facendo leva su numerosi stimoli. Veramente di grande interesse.
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Sì, non ti fa vedere delle cose in una bacheca: ti fa proprio vivere un’esperienza che ti aiuta almeno a immaginare che cosa possa essere stato per loro.
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mi ha un po’ ricordato il museo dei minatori a Carbonia (anch’esso utilizza molto i suoni, ed é distribuito su diversi piani). Anche la vita dei minatori valeva poco o nulla, ed i turni erano massacranti.
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Qui invece c’è una miniera in disuso che si può visitare, e anche senza suoni è abbastanza impressionante lo stesso. In effetti non è da moltissimo che la vita umana in alcune parti del mondo – non tutte – ha acquisito un qualche valore (i minatori, comunque, potevano morire, non dovevano.
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