FRANZ THALER

Non credo siano in molti a conoscere questo nome, fuori dall’Alto Adige, ma almeno i miei lettori, almeno adesso che se n’è andato, lo dovranno conoscere, perché è stato un Grande, Franz Thaler, di quella grandezza che solo possono raggiungere le persone semplici dalla coscienza cristallina e dalla indomita determinazione a non piegarsi al Male. Franz Thaler, in nome della propria coscienza, ha avuto il coraggio di dire no a Hitler; ne ha pagato un prezzo molto alto, ma è riuscito a sopravvivere per raccontarlo. Quello che segue è l’articolo uscito in occasione della sua morte, il 29 ottobre, sull’«Alto Adige».

BOLZANO – Lutto in Alto Adige. È morto Franz Thaler, figura notissima in Alto Adige della lotta al nazismo. Aveva da poco compiuto 90 anni, si è spento serenamente nella casa di riposo di Sarentino. Decoratore e artigiano, giovanissimo era stato internato nel lager di Dachau per essersi rifiutato di optare per la Germania. Faceva parte dei cosiddetti “Dableiber”*, ovvero i sudtirolesi che si rifiutarono di giurare ad Hitler. Raccontò la sua esperienza nel libro “Dimenticare mai”, considerato un classico della “letteratura concentrazionaria”. Di recente il presidente della Repubblica Mattarella gli ha reso ufficialmente omaggio, sottolineando, come “Dimenticare mai riaffermi i valori di civiltà e umanità, che insegnano il ripudio dell’indifferenza e di ogni forma di estremismo”. A Thaler, Luis Sepulveda ha dedicato un capitolo di un suo libro, e di lui ha detto: “Conosciamo la violenza della dittatura, condividiamo il medesimo sogno di pace e di fratellanza”.
Lo scorso agosto aveva compiuto 90 anni. Ogni volta che veniva chiamato a raccontare la sua storia di resistente silenzioso e inflessibile, condannato minorenne a 10 anni di lager per aver rifiutato la chiamata alle armi nell’esercito di Hitler, abbassava i suoi occhi azzurri e sembra scusarsi di essere ancora lui il protagonista.
Franz Thaler è un esempio che andrebbe ricordato anche a Bolzano con la stessa ufficialità della nota quirinalizia. Ma non è stato così. Non che lo si dimentichi, quello no. Gli storici di “Politika” il giorno del suo compleanno lo hanno nominato cittadino dell’anno. Bolzano gli ha offerto la cittadinanza onoraria. A lui e a Mayr Nusser, l’altro sudtirolese che “disse no a Hitler”.
Thaler tornò vivo, Mayr Nusser no. Ma adesso sembra che se ne ricordino solo i Verdi e in generale i sudtirolesi critici. È molto importante che lo facciano. Che tengano accesa la fiaccola. Ma sarebbe altrettanto importante che non restassero soli. E invece spesso lo sono. È stato Florian Kronbichler a rendere pubblica per primo la lettera di Mattarella dedicata a Franz. È stato Poldi Steurer a ricordarlo nei suoi 90 anni. È il centro bolzanino per la pace a far rileggere ogni tanto il suo libro “Dimenticare mai”. E invece lo si dimentica ogni tanto. Eppure è un esempio e non solo perché “fece la cosa giusta al momento giusto e poi tornò a casa sua a fare ricami” come scrisse Sepulveda.
Thaler è l’esempio di come il quotidiano, la semplicità dei valori e l’autenticità dei sentimenti umani possano essere anch’essi il luogo dove si compiono scelte decisive tra il male e il bene. La sua resistenza silenziosa è alla radice di ogni valore umano. Come quella di Mayr Nusser dei valori cristiani. Thaler si colloca sul bivio allora (nel 1944) come ora, tra il Sudtirolo delle bandiere e delle ideologie, degli inflessibili confini mentali e fisici e quello del lavoro, della tolleranza e dell’accoglienza montanara, legato ad un cristianesimo profondo che privilegia il legame con la terra, il “suolo”, rispetto a quello col sangue. Ha scelto il secondo Sudtirolo, Franz Thaler.
(Alto Adige, 29 ottobre 2015)
Thaler
* Nel 1939 furono varate le cosiddette “opzioni”, un accordo tra Hitler e Mussolini che stabiliva che chi intendeva rimanere tedesco doveva lasciare la propria casa e altre eventuali proprietà e trasferirsi in Austria o Germania, e chi rimaneva doveva accettare di italianizzarsi. La questione però agli abitanti dell’Alto Adige fu posta in termini meno articolati, ossia: vuoi restare tedesco o italianizzarti? La maggior parte non ebbe del tutto chiare le implicazioni della prima scelta, e optarono per quella – ossia per la conservazione della propria identità, della propria lingua e della propria cultura – anche se poi solo una parte fu effettivamente trasferita, e là dove furono portati non trovarono affatto, come era stato promesso, case e fattorie analoghe a quelle che avevano lasciato, tant’è che alla fine della guerra molti di loro tornarono a casa. Solo una minoranza capì da subito che cosa avrebbe comportato quella scelta e che, soprattutto, ciò avrebbe significato giurare fedeltà a Hitler e combattere per lui nella guerra ormai iniziata, e rifiutò, affrontando il disprezzo e l’ostracismo dei “veri tedeschi” (va detto che fra coloro che restarono ci fu anche un discreto numero di persone molto meno idealiste, semplicemente opportunisti desiderosi di godere dei vantaggi che il fascismo garantiva ai collaborazionisti attivi).

barbara