VISTO CHE È STATO RIEVOCATO PASOLINI

Per la precisione: visto che è stato malamente rievocato Pasolini, ho pensato di ripescare questo suo pezzo del 1967. Con qualche premessa. Di film ho visto Uccellacci e uccellini, e l’ho trovato una boiata, non mi ricordo se ne ho visti altri. Di poesie ho intravisto qualcosa, e quel qualcosa non mi ha fatto venire la voglia di approfondire. Ho letto Ragazzi di vita e Una vita violenta: non mi sono dispiaciuti, ma non mi hanno fatto gridare al capolavoro. Per quanto riguarda il pezzo in questione, c’è da dubitare seriamente che conosca il significato della parola “sionismo”. Non mi sembra tuttavia che, nel panorama marxista, si siano levate molte voci a sostenere che forse non era una buona idea sposare acriticamente la causa degli arabi e dare ciecamente addosso a Israele; lui lo ha fatto. Qualunque sia il giudizio che si vuole dare sul regista, sullo scrittore, sul poeta, sul pensatore, sull’uomo, questa indipendenza di giudizio e questo coraggio non gli possono essere negati.

Le polemiche che seguirono la “guerra dei sei giorni” nei ricordi di un eretico marxista:
“Che aiuto si dà al mondo arabo fingendo di ignorare la sua volontà di distruggere Israele?”

Perché pubblico questi versi esclusi dalla sezione Israele, in Poesia informa di rosa (1964)? Li pubblico perché non si dica che, adesso, ho facilmente ragione di pensarla in un certo modo.  E inoltre, poiché il lettore è giustamente pigro, alla pubblicazione di questi inediti rifiutati per ragioni puramente letterarie, aggiungo la citazione di altri versi di quel capitolo, che non pretendo che il lettore vada a rileggersi da solo. Giuro sul Corano che io amo gli arabi quasi come mia madre. Sono in trattative per comprare una casa in Marocco e andarmene là. Nessuno dei miei amici comunisti lo farebbe, per un vecchio, ormai tradizionale e mai ammesso odio contro i sottoproletariati e le popolazioni povere. Inoltre forse tutti i letterati italiani possono essere accusati di scarso interesse intellettuale per il Terzo Mondo: non io. Infine, in questi versi, scritti nel ‘63, come è fin troppo facile vedere, sono concentrati tutti i motivi di critica a Israele di cui è ora piena la stampa comunista. Ho vissuto dunque, nel ‘63, la situazione ebraica e quella giordana di qua e di là del confine. Nel Lago di Tiberiade e sulle rive del Mar Morto ho passato ore simili soltanto a quelle del ‘43, ‘44: ho capito, per mimesi, cos’è il terrore dell’essere massacrati in massa. Così da dover ricacciare le lacrime in fondo al mio cuore troppo tenero, alla vista di tanta gioventù, il cui destino appariva essere appunto solo il genocidio. Ma ho capito anche, dopo qualche giorno ch’ero là, che gli israeliani non si erano affatto arresi a tale destino. (E così, oltre ai miei vecchi versi, chiamo ora a testimone anche Carlo Levi, a cui la notte seguente l’inizio delle ostilità, ho detto che non c’era da temere per Israele, e che gli israeliani entro quindici venti giorni sarebbero stati al Cairo.) È dunque da un misto di pietà e di disapprovazione, di identificazione, e di dubbio, che sono nati quei versi del mio diario israeliano. Ora, in questi giorni, leggendo l’”Unità” ho provato lo stesso dolore che si prova leggendo il più bugiardo giornale borghese. Possibile che i comunisti abbiano potuto fare una scelta così netta? Non era questa finalmente, l’occasione giusta per loro di “scegliere con dubbio” che è la sola umana di tutte le scelte? Il lettore dell’“Unità” non ne sarebbe cresciuto? Non avrebbe finalmente pensato – ed è il minimo che potesse fare – che nulla al mondo si può dividere in due? E che egli stesso è chiamato a decidere sulla propria opinione? E perché invece l’”Unità” ha condotto una vera e propria campagna per “creare” un’opinione? Forse perché Israele è uno Stato nato male? Ma quale Stato, ora libero e sovrano, non è nato male? E chi di noi, inoltre, potrebbe garantire agli Ebrei che in Occidente non ci sarà più alcun Hitler o che in America non ci saranno nuovi campi di concentramento per drogati, omosessuali e… ebrei? O che gli ebrei potranno continuare a vivere in pace nei paesi arabi? Forse possono garantire questo il direttore dell’“Unità”, o Antonello Trombadori o qualsiasi altro intellettuale comunista? E non è logico che, chi non può garantire questo, accetti, almeno in cuor suo, l’esperimento dello Stato d’Israele, riconoscendone la sovranità e la libertà? E che aiuto si dà al mondo arabo fingendo di ignorare la sua volontà di distruggere Israele? Cioè fingendo di ignorare la sua realtà? Non sanno tutti che la realtà del mondo arabo, come la realtà della gran parte dei paesi in via di sviluppo – compresa in parte l’Italia – ha classi dirigenti, polizie, magistrature, indegne? E non sanno tutti che, come bisogna distinguere la nazione israeliana dalla stupidità del sionismo, così bisogna distinguere i popoli arabi dall’irresponsabilità del loro fanatico nazionalismo? L’unico modo per essere veramente amici dei popoli arabi in questo momento, non è forse aiutarli a capire la politica folle di Nasser, che non dico la storia, ma il più elementare senso comune ha già giudicato e condannato? O quella dei comunisti è una sete insaziabile di autolesionismo? Un bisogno invincibile di perdersi, imboccando sempre la strada più ovvia e più disperata? Così che il vuoto che divide gli intellettuali marxisti dal partito comunista debba farsi sempre più incolmabile?
da “Nuovi Argomenti”, aprile-giugno 1967
Pasolini
barbara

HAKOTEL B’YADEINU – IL KOTEL È IN MANO NOSTRA

7 giugno 1967: dopo 19 anni di illegale (e devastante) occupazione giordana, finalmente Gerusalemme è liberata, e torna ad essere una sola città, come era stata per tremila anni. E bisogna, paradossalmente, ringraziare re Hussein: perché Israele non avrebbe mai ingaggiato una battaglia per liberarla, e solo per il fatto che re Hussein ha attaccato per primo è stata costretta a rispondere (a dire la verità, anche allora l’ordine era stato, fino all’ultimo, di non entrare in città, e sono stati i militari a prendere l’iniziativa; ma su queste piccole intemperanze Moshe Dayan, all’epoca ministro della difesa, sceglieva, come si diceva allora, di chiudere un occhio).

Non importa se non capite l’ebraico: lasciatevi trasportare dalle emozioni che vengono dalla voce e dalle immagini.

barbara

AVEVO SEI ANNI E MEZZO

Il pogrom di Tunisi, 5 giugno 1967

di Alain Madar

Avevo 6 anni e mezzo, eppure il ricordo è ancora nella mia memoria perché ha segnato la mia infanzia. Quel pomeriggio, come tutti i pomeriggi, la mamma è venuta a prendermi davanti alla scuola Glatigny per andare a mangiare a casa. Come al solito, ho lasciato la mia cartella a scuola, al piano terra della Grande Sinagoga di Tunisi. Abitavamo vicino alla Piazza Verdun, al 6 di rue d’Alexandrie, una piccola strada perpendicolare alla rue de Paris, a 100 metri dal cinema Le Mariveau. Mio padre è tornato a casa prima, quel pomeriggio. Aveva dovuto lasciare il souk, perché i manifestanti avevano dato fuoco all’ambasciata inglese. Mia sorella voleva tornare a scuola. Mio padre non ci ha permesso di lasciare la casa, e aveva ragione. Infatti, pochi istanti dopo, una folla eccitata proveniente dai quartieri arabi ha invaso il nostro quartiere. I manifestanti gridavano il loro odio, saccheggiando i negozi ebraici prima di incendiarli. Le urla erano sempre più vicine, fin dentro l’edificio. Eravamo terrorizzati. Mio padre ha spinto un armadio contro la porta d’ingresso del nostro appartamento. E ha chiuso anche le persiane di legno. Ho sentito rumore di vetri infranti, e i manifestanti correre sotto le nostre finestre al 1° piano. C’era un odore di fumo nell’appartamento. Questi manifestanti teppisti, venuti dai quartieri arabi e manipolati da agitatori antisemiti volevano far pagare agli ebrei la sconfitta dei paesi arabi durante la guerra dei Sei giorni che era iniziata. Le notizie trasmesse dalla televisione tunisina annunciavano la vittoria dei paesi arabi, ma Radio Montecarlo, che si prendeva in Tunisia, dava la versione corretta e informava della sconfitta egiziana. La polizia è stata sopraffatta ed è dovuto intervenire l’esercito per riportare la calma. In serata, il presidente Bourguiba ha fatto un discorso alla televisione per condannare questi atti, e ha vietato a chiunque di toccare un solo capello agli ebrei (da qui la barzelletta dell’epoca sui parrucchieri arabi che non potevano più pettinare gli ebrei). Per diversi giorni, non abbiamo lasciato la casa e non sono andato a scuola. Tornata la calma, sono tornato giù, sotto casa mia, in Piazza Verdun. L’odore di bruciato era ancora presente. L’atmosfera era triste e insolita. Poche persone per le strade. C’erano soldati armati per la strada e la loro presenza mi rassicurava. Mentre camminavo un po’ più in là, ho scoperto i negozi bruciati e distrutti dalle fiamme. Il commerciante di “frigidaires”, come si diceva lì, la pasticceria Nathan di mio cognato, tutti i negozi di proprietà ebraica erano devastati. Rivedo i miei vicini di salire su un taxi; non li rivedrò mai più, né loro né il venditore di elettrodomestici. Hanno lasciato la Tunisia per sempre, come moltissimi ebrei tunisini. Quando sono tornato a scuola, parecchi giorni dopo, ho cercato la mia cartella perché la classe è stata incendiata. Che gioia quando ho trovato la mia borsa in pelle marrone “sana e salva”, solo con un odore di bruciato. Ho appreso molto più tardi che non avevamo lasciato la Tunisia a quell’epoca perché i nostri passaporti erano scaduti. Mio padre aveva fatto domanda per il rinnovo, ma le autorità hanno rifiutato di restituirceli fino a quando è tornata la calma. (qui, traduzione mia)

In concomitanza con la guerra dei Sei giorni (di cui si è parlato qui e qui) in tutto il mondo arabo si sono scatenate violente sollevazioni contro gli ebrei. Nel corso del pogrom di Tunisi, di cui si parla in questa pagina, la sinagoga è stata incendiata (e non è certo un caso che l’assalto alla sinagoga di Tunisi sia stato uno dei primissimi atti della “primavera”), quaranta rotoli della Torah sono stati profanati urinandovi sopra e poi bruciati. Le autorità hanno poi fermato la rivolta, ma non hanno impedito che si continuasse a bruciare auto di proprietà di ebrei e distruggere targhe commemorative. Sono stati inoltre distrutti il centro per la distribuzione di farina, il magazzino dei libri e gli uffici del Joint. La sommossa è iniziata alle due del pomeriggio, l’esercito è intervenuto non prima delle 4. Il giorno successivo quattro ministri hanno visitato la sinagoga; i responsabili sono stati arrestati e i danni riparati, ma i risarcimenti promessi non sono mai stati pagati. In seguito al pogrom, 7000 ebrei si sono trasferiti in Francia. Non è stato possibile appurare se vi siano stati morti, né trovare dati sul numero dei feriti. (Grazie a http://jewishrefugees.blogspot.it/ per avermi cortesemente aiutata a completare gli scarsissimi dati reperibili in rete).

barbara

GERUSALEMME LIBERATA

Jerusalem capital

Cari amici,

il 7 giugno di quarantasei anni fa, alle dieci di mattina la cinquantacinquesima brigata di paracadutisti dell’esercito israeliano, comandata dal generale Motta Gur, irruppe oltre le linee nemiche attraverso la Porta dei Leoni, a nord del monte del Tempio, e liberò Gerusalemme da diciannove anni di occupazione giordana. La frase  con cui Gur annunciò alla radio che “Har haBait beyedeinu”, abbiamo conquistato il monte del Tempio, è rimasta nel cuore di tutti gli israeliani. Nel calendario ebraico quella data è il 28 del mese di Yiar che quest’anno cade oggi. Per questa ragione oggi in Israele è “Yom Jerushalaim”, la festa di Gerusalemme. Vale pena di rivedere il filmato di quella conquista storica anche se tremolante e in bianco e nero – lo trovate qui

e di rivederne le fotografie (http://www.templeinstitute.org/temple_mount_liberation.htm). Con la bandiera israeliana sopra il Monte del Tempio si realizzava un sogno millenario.
Motta Gur
Noi italiani dovremmo essere molto sensibili a questa circostanza: la conquista della Porta dei Leoni è in qualche modo equivalente alla breccia di Porta Pia; ma con alcune differenze. Prima del 1871 Roma non era mai stata la capitale dell’Italia, anche perché non c’era mai stata un’Italia per questo, ma l’aspirazione alla “città eterna” era diffusa nella cultura italiane e sparsa per tutta la sua letteratura. Roma per un millennio e mezzo era stata capitale di un altro Stato di importanza internazionale, quello della Chiesa, che l’aveva messa al centro della politica internazionale, dei pellegrinaggi e dei pensieri di milioni di cristiani e l’aveva magnificamente arricchita di opere d’arte. La legittimità della conquista, dovuta in ultima istanza all’affermazione degli stati nazionali, era stata perciò messa in discussione da molti Stati e accettata dal Vaticano solo col concordato del ’29, cinquantotto anni dopo i fatti.
6 gg 40
Gerusalemme era stata invece, per circa un millennio, fra i tempi di Re Davide e la definitiva conquista romana, con la sola interruzione di alcune occupazioni straniere abbastanza brevi, la capitale di uno stato ebraico autonomo e a lungo del tutto indipendente. Dopo la conquista romana del 70, non era più stata capitale di nulla, prima dipendendo da Roma, poi da Costantinopoli, poi ancora da Damasco, dal Cairo, da Istanbul. Vi fu solo un regno cristiano che la elesse capitale fra il 1099 e il 1187. Era un luogo desolato e abbandonato dal potere islamico che la occupava: le descrizioni dei viaggiatori sono assolutamente eloquenti e del resto è facile vedere che i monumenti storici della città sono dell’ebraismo antico e della cristianità, solo in piccola parte islamici – anche l’impianto delle moschee sul Monte del Tempio risente dei fondamenti ebraici, romani e cristiani. Non vi è niente di simile alla bellezza delle grandi moschee turche, siriane, spagnole. A parte i periodi di violenta persecuzione, la presenza ebraica non smise mai di essere dominante nella città e già verso il 1845 erano 7000 sui 15000 abitanti della città (mentre i musulmani, come i cristiani contavano per un quarto della popolazione).
Temple_Mount_67
L’occupazione giordana fra il ’49 e il ’67 fu tremenda, le case del quartiere ebraico e le sue sinagoghe furono abbattute con la dinamite, le lapidi delle tombe sul Monte degli ulivi usate per lastricare le strade, fu fatta una completa pulizia etnica di Gerusalemme e di Hebron [qui c’è una piccola svista dell’autore: la totale pulizia etnica di Hebron era stata cruentemente attuata già vent’anni prima, come potete leggere qui, ndb], dove gli ebrei vivevano da millenni, oltre che di tutto il territorio circostante, a nessuno fu consentito di pregare nei luoghi santi ebraici e neppure a quelli cristiani se proveniva dal territorio israeliano. Bisogna pensarci perché questo è lo statuto dei luoghi che vorrebbero “restaurare” i dirigenti dell’Anp e questo ciò che implicitamente appoggia chi li aiuta nelle loro rivendicazioni. [della pulizia etnica della Gerusalemme ebraica potete leggere una toccante testimonianza qui, ndb]
ISRAELI SOLDIERS TEMPLE MOUNT
La liberazione ebraica di Gerusalemme diede finalmente alla città l’importanza storica che aveva, ne fece di nuovo la capitale di Israele (e chi si rifiuta di riconoscerla, anche con la stupida guerricciuola onomastica sui giornali, nega la storia, come se citasse ancora Firenze o Torino come capitali d’Italia); la ripulì, le restituì l’antica bellezza, l’arricchì di musei e opere d’arte, la restituì al ruolo di una delle città più importanti e più amate del mondo. Conservò appieno la sua libertà religiosa. Chi è stato a Gerusalemme sa benissimo che il culto al Santo Sepolcro e in tutte le altre chiese è libero, com’è libero quello delle moschee del Monte del Tempio (con un sacrificio enorme, perché quello è il luogo più santo per l’ebraismo) e in tutte le altre moschee che punteggiano la città, come moltissimi altri luoghi nel territorio di Israele. I pellegrini arrivano da tutto il mondo, e semmai sono gli islamisti a proibire per odio a Israele ma con scarso successo che i musulmani visitino la città e le sue moschee.
Yom-Yerushalaim-2013
Oggi è dunque un giorno di festa per tutti coloro che amano Gerusalemme, non solo per gli ebrei. Chi pensasse di tornare a una divisione della città come nei diciannove terribili anni dell’occupazione giordana, commetterebbe non solo un errore storico, ma un crimine culturale e umanitario, come chi volesse di nuovo dividere Berlino in due parti con un muro in mezzo. Dove un tempo si sparava e crescevano le erbacce, oggi sono giardini, centri culturali, meravigliosi scavi archeologici. Dove c’erano divieti e intolleranze oggi c’è libertà e apertura, dove si negava la storia, oggi la si studia e la si esplora. Gerusalemme è un tesoro dell’umanità intera, da un certo punto di vista, come pensavano gli antichi, il centro del mondo. Perché continui ad esserlo, deve stare nelle mani di chi l’ha costruita, fondata e rifondata, di chi l’ha messa al centro della propria tradizione religiosa, il popolo ebraico. Il Monte del tempio nelle nostre mani, come diceva il generale Gur, è Gerusalemme per tutta l’umanità.
Ugo Volli, su Informazione Corretta

A questo splendido pezzo del grande Ugo Volli, non ho molto da aggiungere, se non questa bella foto storica del Kotel, il cosiddetto “Muro del Pianto” nel 1880
Kotel 1880
(ebbene sì, come ha ricordato anche Ugo Volli nell’articolo, gli ebrei non sono piovuti lì da Marte nel 1948 “per risarcirli dell’Olocausto a spese degli arabi”: gli ebrei c’erano anche prima, c’erano sempre stati); la precisazione che gli ebrei erano stati espulsi da Gerusalemme, dalle loro case, anche nel 1936 (come mai di queste cose nessuno parla, come se le uniche vittime del pianeta fossero i palestinesi che hanno dovuto soffrire per le proprie scelte e per quelle dei loro dirigenti?) come documentato in queste foto;
espulsione ebrei 1
esplusione ebrei 2
questo importante documento al quale mi onoro di avere collaborato
Gerusalemme, 3000 anni di storia
e naturalmente, assolutamente immancabile e imperdibile, questo

E vi lascio con le parole che ho pensato quando mi sono trovata di fronte al Kotel (con entrambe le zampe rotte!) alla fine del 2007: Per diciotto anni ce lo avete tenuto sequestrato, bastardi, ora basta, fuori dai piedi, non ce lo prenderete mai più!

barbara