VI RICORDATE LA GUERRA DEI SEI GIORNI?

Per la precisione, vi ricordate come è cominciata? Tralascio tutte le premesse, gli anni di feroci attentati terroristici a cui Israele aveva accuratamente evitato di rispondere in maniera troppo forte per non rischiare di scatenare una guerra (eh sì, non sempre le narrative corrispondono alla realtà) e vengo unicamente agli ultimi eventi. È dunque successo che ad un certo momento l’Egitto, che aveva come consiglieri e consulenti una miriade di criminali nazisti rifugiatisi lì come in altri Paesi arabi per sfuggire alla giustizia come responsabili di crimini di guerra e crimini contro l’umanità (in aggiunta ai circa 70.000 fatti arrivare in Sudamerica da Vaticano e Croce Rossa), ha avuto la brillante idea di chiudere alle navi israeliane gli stretti di Tiran. Ora, la chiusura di un passaggio internazionalmente riconosciuto è, a tutti gli effetti, un atto di guerra, e Israele sarebbe stato pienamente legittimato a dichiarare immediatamente guerra all’Egitto, ma ha preferito non farlo, perché non sempre le narrative corrispondono alla realtà, e non sempre gli stati raccontati come guerrafondai lo sono realmente e, soprattutto, non sempre gli stati realmente guerrafondai sono quelli raccontati come tali. La guerra, però, aveva tutta l’intenzione di farla – non necessariamente dichiararla – l’Egitto, che aveva però un ostacolo: i Caschi Blu dell’Onu schierati nel Sinai allo scopo, appunto, di evitare un contatto diretto fra Egitto e Israele. Ma gli ostacoli sono fatti apposta per essere rimossi, quando si è persone di carattere: detto fatto, Nasser intima all’Onu di levarglieli di mezzo perché deve andare a distruggere Israele e ributtare a mare i sionisti e l’Onu, nella persona del segretario generale U Thant, obbedisce istantaneamente, e 48 ore dopo dei Caschi Blu nel Sinai non rimane più neanche l’ombra. Il resto è storia nota, e le conseguenze di quella sciagurata decisione (di quellE sciaguratE decisionI, dell’Egitto e dell’Onu), in termini di morte e distruzione e molto altro ancora, le stiamo vedendo purtroppo ancora oggi, cinquantacinque anni dopo.
E veniamo all’attualità, in cui vediamo un bel giorno la Lituania, patria dei più spietati, insieme agli ucraini, collaborazionisti dei nazisti negli stermini di massa degli ebrei, chiudere alla Russia il passaggio dal territorio metropolitano a quello di un’enclave separata, ossia a compiere un vero e proprio atto di guerra, oltre a una trappola micidiale. La Russia avrebbe potuto, legittimamente, dichiarare guerra alla Lituania, e qui sta la trappola perché, essendo la Lituania un Paese NATO, la NATO sarebbe intervenuta in sua difesa, e trovandosi contro la NATO tutta intera, Putin non avrebbe avuto alternative, per uscirne, di ricorrere al nucleare, scatenando analoga risposta dalla controparte. Stavolta per fortuna le cose sono andate diversamente dal 1967, e come la catastrofe del blocco egiziano di Tiran ha avuto per padrini due demoni, Nasser e l’Onu, così la salvezza dal blocco lituano di Kaliningrad, ha avuto due angeli custodi, Putin, che la guerra non l’ha fatta ma si è limitato a mettere in guardia da quello che sarebbe stato costretto a fare se la situazione non si fosse sbloccata (più o meno come a suo tempo Golda Meir,
qui alla fine del discorso di Begin, ma se avete tre minuti leggete anche quello, che ne vale la pena) e la ragionevole, per una volta almeno nel corso della sua storia, Unione Europea, bastarda sì ma non quanto l’Onu, che ha intimato ai lituani di smetterla di fare i coglioni. Confronti e parallelismi fateli voi.
E ora, dopo le considerazioni mie, vediamone qualcuna d’autore.

Il fallito blocco di Kaliningrad da parte della Lituania è una sconfitta per gli USA

Il chiarimento della Commissione Europea, secondo cui le sue sanzioni antirusse non dovrebbero essere interpretate dalla Lituania come un via libera al blocco di Kaliningrad, suggerisce fortemente che il blocco non è a suo agio con l’influenza destabilizzante che gli Stati Uniti sono sospettati di esercitare sul Paese baltico. L’interpretazione unilaterale di Vilnius di queste restrizioni preventive come pretesto per tagliare i collegamenti stradali e ferroviari con l’exclave russa è stata più una provocazione politica orchestrata da Washington e finalizzata a manipolare le menti degli occidentali che un tentativo di peggiorare gli standard di vita della popolazione della regione, come l’autore ha spiegato a suo tempo qui. La decisione di assecondare Bruxelles in questo senso è quindi una sconfitta per l’egemone unipolare in declino, per di più inaspettata.
Gli Stati Uniti sono riusciti a riaffermare con successo la loro egemonia sull’UE con un pretesto antirusso all’inizio dell’operazione militare speciale di Mosca in Ucraina, inducendo persino i suoi vassalli europei a sanzionare in modo controproducente il loro principale fornitore di risorse grezze e innescando così una crisi economica assolutamente evitabile che ha portato l’euro alla parità con il dollaro per la prima volta in due decenni. Se alcune aziende europee finiranno per fallire nel prossimo futuro, i loro concorrenti nordamericani e britannici ne beneficeranno. Tutto sommato, gli Stati Uniti hanno un controllo quasi totale sull’UE al momento, ma alla fine hanno oltrepassato il limite convincendo la Lituania a bloccare Kaliningrad, provocando così una grave crisi tra la Russia e il blocco.
Questo è stato troppo per i “Tre Grandi” (Francia, Germania e Italia), che sono prontamente intervenuti attraverso le istituzioni europee per riaffermare la loro egemonia molto più diretta sul Paese baltico, chiarendo che le sue sanzioni non possono essere sfruttate per tagliare il transito ferroviario di prodotti civili verso l’exclave russa. Anche se la Lituania è uno Stato vassallo degli USA, è molto più europeo quando si trova a dover fare i conti, come è successo di recente. Vilnius non poteva sfidare la Commissione Europea, quindi si è conformata ai suoi chiarimenti politici, andando contro la volontà di Washington. L’unica ragione per cui ciò è accaduto è che i “Tre Grandi” hanno ritenuto inaccettabile provocare la Russia in modo così sfacciato, il che a sua volta dimostra la loro posizione relativamente più pragmatica nei confronti del conflitto ucraino.
Tuttavia, nessuno deve cadere nella falsa ipotesi che questo sviluppo implichi una spaccatura transatlantica tra l’UE e gli USA, poiché non si sta verificando nulla di simile. Piuttosto, è successo che l’UE ha inaspettatamente reagito contro gli Stati Uniti dopo che questi ultimi hanno oltrepassato il limite provocando una grave crisi tra la Russia e il blocco attraverso lo sfruttamento della Lituania a tal fine. Questo dimostra che i più grandi vassalli europei degli Stati Uniti accetteranno praticamente tutto ciò che il loro padrone chiederà loro, tranne se questo rischia di scatenare un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, come alcuni temevano che il blocco di Kaliningrad orchestrato dagli Stati Uniti minacciasse di fare la Lituania. In questi casi, i “Tre Grandi” hanno dimostrato di avere la volontà politica di intervenire con decisione contro la volontà di Washington.
Sono cinque gli elementi che si possono trarre da questo incidente. In primo luogo, gli Stati Uniti sfrutteranno i loro vassalli più piccoli e russofobi dell’UE per provocare una crisi tra la Russia e il blocco. In secondo luogo, se i responsabili politici dei “Tre Grandi” ritengono che la crisi rischi un conflitto diretto con la Russia nel peggiore dei casi, allora interverranno con decisione per evitarlo. In terzo luogo, questo intervento assume la forma di riaffermare la propria egemonia su qualunque vassallo statunitense sia stato sfruttato per provocare la crisi. In quarto luogo, non ci si aspetta che gli Stati Uniti litighino con l’UE ogni volta che ciò accade, perché così facendo rischiano di spaccare l’unità del blocco e quindi di indebolire la piattaforma più ampia che è stata sfruttata per “contenere” la Russia. Infine, queste inaspettate differenze tra UE e USA non devono essere interpretate come una frattura tra loro.
(Articolo pubblicato in inglese su One World)
Andrew Korybko, 17 Luglio 2022, qui.

Poi ci sono le centrali nucleari, prima quelle bombardate dai russi che non era vero niente ma lo raccontavano tutti lo stesso, adesso quelle bombardate dagli ucraini per davvero, che metà non lo dicono e l’altra metà lo dice però “ma lì dentro ci stanno i russi!”, ecchecc. E – a parte che non è vero – non è un bijou questa cosa che se i russi bombardano un quartier generale installato in un edificio civile sono criminali di guerra ma se gli ucraini bombardano addirittura una centrale nucleare una scusa si trova sempre, un po’ come quello che citava sempre Enzo Biagi, che aveva sì messo incinta la fidanzata, ma appena appena. Comunque leggiamo.

L’Ucraina ha bombardato la centrale nucleare di Zaporozhyze

L‘Ucraina ha preso di mira le centrali nucleari situate sui territori non più sotto il proprio controllo. Il 18 luglio le forze ucraine (APU) hanno effettuato 4 attacchi con droni sulla centrale nucleare di Zaporozhyze a Energodar.

A seguito incidente 11 tecnici sono rimasti feriti, di cui 4 gravemente.
La notizia è stata ripresa da parecchie pubblicazioni russe, tra cui Izvestia (uno dei quotidiani di più antica fondazione in Russia, nonché uno dei più diffusi e famosi):
Il 20 luglio, gli UAV delle forze armate ucraine (AFU) hanno attaccato quattro volte la centrale nucleare di Zaporozhye (NPP). Lo ha annunciato il 20 luglio il servizio stampa dell’amministrazione della città di Energodar, dove ha sede questa impresa.
“Quattro volte UAV ucraini hanno attaccato oggi la centrale nucleare di Zaporozhye. L’ultimo attacco è stato registrato alle 16:01 ora di Mosca “, RIA Novosti cita il comunicato stampa delle autorità locali. (fonte)

Altre fonti confermano l’attacco:

… scoppiato dopo un attacco di droni ucraini alla centrale nucleare di Zaporozhye. Questo è stato affermato nell’amministrazione militare-civile. Ricordiamo che l’incendio è scoppiato mercoledì sera, subito dopo l’attacco delle Forze armate ucraine.
A seguito dell’impatto, 11 dipendenti della centrale nucleare sono rimasti feriti. Quattro operai sono in condizioni critiche. È noto che sono stati utilizzati droni kamikaze. L’ultimo attacco è avvenuto alle 16:01 ora di Mosca. In totale, le forze di sicurezza ucraine hanno effettuato quattro attacchi. La parte del reattore della stazione non è stata danneggiata. – https://www.osnmedia.ru/proisshestviya/pozhar-na-zaporozhskoj-aes-potushen/

Il governo ucraino ha intenzione di provocare un disastro nucleare?
No, anche se lo volesse non potrebbe riuscirci. Vediamo perché dalla fonte Cont.ws:
La centrale nucleare di Energodar, situata sulle rive del bacino idrico di Kakhovka, è la più grande centrale elettrica d’Europa. Oggi, il territorio della centrale nucleare è stato attaccato da droni kamikaze ucraini. Secondo le prime informazioni, 11 persone sono rimaste ferite. Naturalmente, la centrale nucleare è un’infrastruttura molto gustosa che è passata sotto il controllo della Russia; gli ex specialisti ucraini ci lavorano ancora. La disabilitazione della stazione è sicuramente uno degli obiettivi principali di Kiev. Ma è noto da tempo che qualsiasi centrale nucleare sovietica è stata progettata per resistere al colpo diretto di una bomba atomica. Pertanto, oggi l’Ucraina non dispone di armi in grado di renderla inabile.
 La domanda allora sorge spontanea: perché allora è stato sferrato questo attacco?
Tutto è molto semplice: le autorità ucraine stanno cercando di intimidire, instillare panico e persino uccidere i loro cittadini rimasti nei territori liberati per destabilizzare la situazione e quindi interrompere il funzionamento di infrastrutture civili critiche. Probabilmente la stessa cosa sarà ripetuta in futuro. L’obiettivo è disseminare panico in masse sempre più grandi di persone. 
Zaporozhye NPP alimenta ancora un quinto dei territori dell’ex Ucraina. E, secondo i dati disponibili, già quest’anno hanno in programma di trasferire la stazione alla rete elettrica russa, quindi creare un anello energetico attorno ai territori liberati del Mar d’Azov e della Crimea.
fine citazione
Secondo il ​​servizio stampa del municipio di Energodar, non è la prima volta che l’esercito ucraino attacca una centrale nucleare. Il 12 luglio, sono stati sparati dalle forze ucraine  diversi proiettili da 120 mm contro un edificio vicino alla centrale elettrica, danneggiando il tetto e le finestre.
Sembra molto chiaro che queste pratiche andrebbero censurate da parte occidentale, perché sono vere e proprie azioni di terrorismo contro installazioni civili sensibili. Gli attacchi sulle centrali nucleari sono vietati dagli organismi internazionali.
Sebbene il reattore è blindato e messo in sicurezza da sistemi passivi di protezione, è pur vero che le condutture e tutta la linea di produzione potrebbe tramutarsi in una bomba sporca con fuoriuscita di radioattività. Ci sono molte variabili impreviste in una centrale nucleare anche senza il bisogno di bombardamenti, specialmente quando trattasi di centrali con decine di anni di servizio.
by Patrizio Ricci, WPNews,  21 Luglio 2022, qui, con video e foto.

Poi volendo ci sarebbe anche quella cosa buffa dell’oro, che a febbraio il deposito della Banca Centrale ammontava a 27 tonnellate e da allora ne hanno vendute 138 tonnellate – roba tipo pani e pesci insomma. E infine c’è la Lettonia.

Lettera da Mosca

RUSSI DI LETTONIA, ATTENTI ! – I russi con doppia cittadinanza che vivono in Lettonia e che sostengono le azioni della Russia in Ucraina potrebbero essere privati ​​del passaporto lettone. Lo ha detto il presidente Egils Levits in un’intervista Tv. Secondo Levits, nella situazione attuale, una posizione neutrale è impossibile. “Tra i russi lettoni c’è una parte chiaramente filoucraina, e c’è ancora chi non ha ancora capito cosa sta succedendo, e si sta progressivamente muovendo nella giusta direzione. Poi c’è una parte – una minoranza – che sostiene la posizione russa. E questo significa che sono al di fuori della democrazia”.
Il Presidente ha aggiunto che questi russi lettoni potrebbero essere privati del passaporto lettone. I dati sul supporto dell’operazione speciale da parte di una persona saranno raccolti dalle agenzie di sicurezza dello Stato. Il Parlamento lettone ha approvato emendamenti alla legge sulla cittadinanza, che prevedono la privazione della cittadinanza delle persone che sostengono l’aggressione militare di alcuni Stati contro altri, nonché il genocidio e i crimini di guerra. Per “supporto” la legge intende contributi finanziari o materiali, di propaganda, tecnologici o di altro tipo fornito a individui e Paesi che hanno “commesso crimini contro la pace”.

Cioè, chi non la pensa come vuole il governo è fuori dalla democrazia, ossia fuori legge. Diventerà apolide. Persone nate lì da genitori nati lì da nonni nati lì, sempre vissute lì, che non hanno un altro posto in cui andare perché la loro casa è quella e nessun’altra, diventeranno stranieri in patria (tipo quelli che si chiamavano Levi o Coen? Anche se fino al giorno prima Trenta secoli di storia ci permett[eva]no di guardare con sovrana pietà talune dottrine di oltr’Alpe, sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura, con la quale tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva Cesare, Virgilio e Augusto. (Acclamazioni altissime) Figuriamoci quest’altri che di secoli di storia non ne hanno né trenta né venti né dieci e si mettono a scimmiottare l’Inquisizione per sapere che cosa pensa la gente). Cosa che potrebbe anche, se non essere legittima, avere almeno qualche attenuante SE la Lettonia fosse in guerra con la Russia, ma non lo è, quindi è proprio solo odio etnico – vogliamo chiamarlo razzismo? – allo stato puro, accompagnato da pesante ritardo mentale. E il dittatore erede di Hitler e Stalin sarebbe Putin, rendiamoci conto. Di questa gente ho paura io, altro che di Putin.
E dopo tanta pesantezza, proviamo a risollevarci per un momento con questi due corpi letteralmente senza peso.

barbara

MEMORIA CORTA

Memoria corta 1
Germania 1918. La prima guerra mondiale è finita, e chi si è trovato dalla parte sbagliata devo pagare un prezzo molto alto: l’impero asburgico viene smembrato e cessa di esistere, l’impero ottomano viene smembrato e cessa di esistere, ma il prezzo più alto lo paga la Germania: la Germania, oltre che per la guerra voluta e persa, deve pagare anche per un’altra “colpa”: quella di essere lo stato contro cui nel 1870 la Francia era partita al grido di “A Berlino! A Berlino!” e una settimana dopo i tedeschi erano a Parigi. E alla Francia non bastava la punizione per i danni provocati dalla prima guerra mondiale, e non bastava neppure la vendetta: la Francia ha preteso, e ottenuto, l’umiliazione totale, la perdita totale della faccia, la perdita di ogni dignità. Il nazismo è figlio di quell’umiliazione. Hitler è figlio di quell’umiliazione. La Germania pressoché compatta intorno a lui è figlia di quell’umiliazione perché nessuno stato, e nessun cittadino di uno stato, può convivere con una simile umiliazione. Farebbe bene a ricordarlo chi non si accontenta di fermare Putin (anzi, a fermarlo non ci pensa neppure: al contrario, non fa altro che buttare benzina sul fuoco, a secchiate, per far divampare la guerra nel modo più virulento, e farla durare il più a lungo possibile, e renderla il più cruenta e sanguinosa possibile), non si accontenta di punirlo, non si accontenta di vendicarsene, ma cerca ogni modo possibile per umiliarlo. Con la riscossa della Germania non è andata a finire troppo bene.

Memoria corta 2
Unione Sovietica 1941. I lager disseminati in tutta la Siberia e le prigioni sparse in tutta l’Unione Sovietica traboccano di prigionieri. Molti sono innocenti arrestati e condannati con un pretesto, a volte senza neppure quello, ma non pochi sono dissidenti veri, odiano il comunismo, odiano Stalin, odiano tutta la baracca. Ma nel momento in cui Hitler sferra l’attacco, l’intero stato si compatta, non ci sono pacifisti a oltranza, non ci sono renitenti, molti prigionieri del Gulag chiedono di essere mandati al fronte a combattere per la Santa Madre Russia aggredita. Farebbe bene a ricordarsene chi si augura caldamente e insistentemente che qualcuno faccia fuori Putin in modo da risolvere il problema una volta per tutte: tolto di mezzo Putin, resta il popolo russo, quello di Stalingrado e Leningrado, quello che va a teatro vestito da lavoro, appena uscito dalla fabbrica, anche se provvisto unicamente di studi elementari, quello che nella metropolitana legge. Chi ha sfidato la Russia, sotto lo zar o sotto il Soviet Supremo, si è sempre trovato di fronte, oltre all’esercito, tutto il popolo russo compatto, dissidenti compresi.

Memoria corta 3
Israele 1967. Israele è accerchiato, tutto intorno ha nemici che lo odiano e vogliono distruggerlo. Nel Sinai ci sono i caschi blu dell’Onu per impedire scontri fra Egitto e Israele, ma Gamal Abdel Nasser, quando – dopo anni di guerriglia e scaramucce e attacchi terroristici e incursioni di ogni genere – si sente pronto per attaccare il vicino e dargli la botta finale, ordina all’Onu di rimuoverli e l’Onu, nella persona del Segretario Generale U’Thant, obbedisce immediatamente. Quando tutto è pronto per attaccare Israele, allo scopo dichiarato di distruggerlo e “ributtare i sionisti a mare”, quest’ultimo anticipa di qualche ora le mosse del nemico e attacca per primo, salvando così l’esistenza dello stato e la sopravvivenza degli ebrei che ci vivono. Da allora, da 55 anni, continuiamo a sentire il mantra che “Israele è l’unico colpevole della guerra perché ha sparato per primo”. La situazione non è identica, la Russia non stava correndo pericoli immediati (sono però identici i precedenti, di attacchi sistematici con molte migliaia di morti), ma credo che chi da una vita segue le vicende di Israele e combatte contro la sistematica disinformazione su di esso, dovrebbe almeno usare qualche cautela nei confronti di chi argomenta l’assoluta ed esclusiva colpevolezza della Russia col fatto che “ha sparato per prima”.

Memoria corta 4
Onu 1967-giorni nostri. La pioggia, la raffica, la grandine di risoluzioni di condanna da parte dell’Onu, compatta come un sol uomo, contro Israele, è iniziata più o meno con la guerra dei Sei giorni, e a ogni nuova risoluzione di condanna noi, amici e amanti di Israele, mostriamo indignati e inorriditi i tabelloni delle votazioni con quei numeri scandalosi, la quasi totalità a favore della condanna, le decine di astenuti e le unità di contrari, inveendo contro l’osceno baraccone. È passata qualche manciata di mesi dall’ultima di queste vergognose risoluzioni, e vediamo ostentare, trionfalmente, il tabellone che riporta che “141 Paesi a favore, 5 contrari e 35 astenuti: L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato per condannare la Russia”: e dunque l’Onu non è più un osceno baraccone? Le stesse, identiche, percentuali bulgare, sono diventate motivo di vanto? Il voto dell’Onu pilastro portante della giustezza della propria posizione come prima lo era per Paesi islamici e comunisti odiatori di Israele? Occhio ragazzi, che l’amnesia è una malattia pericolosa.

Aggiungo – e poi per oggi mi fermo (quasi) – il discorso del ministro degli esteri della Federazione Russa, Sergej Viktorovič Lavrov pubblicato sul sito dell’Ambasciata russa in Italia

“Per molti anni l’Unione europea, mascheratasi da “pacificatore”, ha generosamente finanziato il regime di Kiev, che è salito al potere come risultato di un colpo di stato anticostituzionale. Ha osservato in silenzio lo sterminio della popolazione nel Donbass e lo strangolamento dei russofoni in Ucraina. L’UE ha ignorato i nostri continui appelli per attirare l’attenzione sul dominio nazista sui vertici dell’Ucraina, sul blocco socio-economico e sull’uccisione di civili nel sud-est del paese. Avendo legato tutte le prospettive delle relazioni con la Russia all’attuazione del pacchetto di misure di Minsk, non ha fatto nulla per incoraggiare Kiev a iniziare ad attuarne i suoi elementi chiave. Allo stesso tempo, ha concesso denari ai vertici di Kiev e l’eliminazione del regime dei visti. Hanno esteso le sanzioni anti-russe con pretesti dubbi. Ha partecipato alle rappresentazioni organizzate da Kiev mettendo in discussione l’integrità territoriale della Federazione Russa.
Ora, però la maschera è caduta. La decisione dell’UE del 27 febbraio di iniziare a fornire armi letali all’esercito ucraino è un’autodenuncia. Segna la fine dell’integrazione europea come progetto “pacifista” per riconciliare i popoli europei dopo la Seconda guerra mondiale. L’UE si è definitivamente schierata con il regime di Kiev, che ha scatenato una politica di genocidio contro parte della sua stessa popolazione.
Nelle sue azioni antirusse Bruxelles è arrivata, senza nemmeno accorgersene, a usare la “neolingua” orwelliana. Ha annunciato che “investiranno” nella guerra scatenata in Ucraina nel 2014 attraverso un meccanismo chiamato Fondo Europeo per la Pace”. La leadership dell’UE non ha esitato a includere missili e armi leggere, munizioni e persino aerei da combattimento tra i mezzi “difensivi”.
L’UE ha mostrato quanto vale veramente la supremazia del diritto in Europa ignorando tutti gli otto criteri della propria “Posizione comune” del Consiglio UE 2008/944/CFSP dell’8 dicembre 2008 “Sulla definizione di regole comuni per controllare l’esportazione di tecnologia e attrezzature militari”, che vieta espressamente l’esportazione di armi e attrezzature militari dall’UE nelle seguenti situazioni:
1. inosservanza degli obblighi internazionali da parte del paese di destinazione (Kiev ha ignorato i suoi obblighi derivanti dal pacchetto di misure di Minsk, approvato dalla risoluzione 2202 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite);
2. mancato rispetto dei diritti umani, compreso il rischio che le armi siano usate per la repressione interna (nel Donbass, Kiev stava commettendo un genocidio);
3. conflitto armato nel paese di destinazione e rischi di sua escalation a seguito del trasferimento di armi;
4. minaccia alla pace, alla sicurezza e alla stabilità regionali, compresa la possibilità di un conflitto armato con un paese terzo;
5. rischio per la sicurezza nazionale dei paesi dell’UE (le armi fornite possono essere utilizzate contro gli interessi dei paesi dell’UE);
6. la politica del paese ricevente, compreso il rispetto del principio di non impiego della forza, del diritto internazionale umanitario, così come del regime di non proliferazione nell’ambito del controllo delle armi (non crediamo che Kiev sia stata esemplare nell’adempimento di questi obblighi, anche in considerazione dei noti casi di commercio in nero di armi dall’Ucraina);
7. Il rischio che le armi cadano nelle mani sbagliate, comprese le organizzazioni terroristiche (data la distribuzione incontrollata di armi in Ucraina alla popolazione, è quasi certo che alcune di esse finiranno sul mercato illegale);
8. equilibrio tra militarizzazione e sviluppo economico del paese acquirente (crediamo che Kiev dovrebbe preoccuparsi più dell’economia ucraina che della repressione dei dissidenti con la forza).
I cittadini e le strutture della UE coinvolti nella fornitura di armi letali e di carburante e lubrificanti alle Forze Armate Ucraine saranno ritenuti responsabili di qualsiasi conseguenza di tali azioni nel contesto dell’operazione militare speciale in corso. Non possono non capire il grado di pericolo delle conseguenze.
È stato finalmente sfatato un altro mito che era stato propagato dall’UE in passato e cioè che le restrizioni unilaterali della UE, illegittime secondo il diritto internazionale, non fossero dirette contro il popolo russo. I funzionari di Bruxelles, che fino a poco tempo fa si dipingevano come “partner strategico” del nostro paese, ora non si fanno più scrupoli a dire che intendono infliggere “il massimo danno” alla Russia, “colpire i suoi punti deboli”, “distruggere la sua economia sul serio” e “impedire la sua crescita economica”.
Vogliamo assicurarvi che non sarà così. Le azioni dell’Unione Europea non resteranno senza risposta. La Russia continuerà a perseguire i suoi interessi nazionali vitali a prescindere dalle sanzioni e dalle loro minacce. È ora che i paesi occidentali capiscano che il loro dominio indiviso nell’economia globale è da tempo cosa del passato. (Qui)

Chi dovesse trovare eccessivo l’utilizzo del termine “genocidio”, ascolti queste parole del giornalista Bogdan Butkevich, a una televisione nazionale Ucraina, il 31 luglio 2014

Per chi, oltre che con l’ucraino, avesse problemi anche con lo spagnolo, traduco qui il testo in sovraimpressione:
“Lei mi ha chiesto come è possibile. È possibile perché il Donbass, in generale, non è solo una regione depressiva. Ha un insieme di problemi molto grandi, e il più grande di questi problemi è la brutale quantità di gente inutile. Mi creda, so di che cosa sto parlando. Parlando della regione del Donetsk, la sua popolazione conta approssimativamente 4 milioni di abitanti. Almeno un milione e mezzo di essi sono persone assolutamente inutili. Quello che voglio dire è che non dobbiamo cercare di capire il Donbass. Dobbiamo occuparci degli interessi nazionali dell’Ucraina,e il Donbass dobbiamo utilizzarlo come una risorsa… Quanto alla comprensione del Donbass, io non ho una ricetta di ciò che si può fare lì a breve termine, ma la cosa principale che bisogna fare, per quanto possa suonare crudele, è che esiste una certa categoria di persone che, semplicemente, devono essere assassinate”.

Buon divertimento, amici dell’Ucraina.
E ora, visto che non li fanno più gareggiare (sì, lo so, è solo per una questione di principio, non fatevi la strana idea che sia anche – almeno anche – perché tre quarti delle medaglie le vincono loro), li ospito io.

barbara

GERUSALEMME, CITTÀ DI PACE

Questo pezzo, scritto da Julij Boríssovič Margólin all’indomani della guerra dei Sei Giorni e gentilmente inviatomi dal suo traduttore Augusto Fonseca, doveva essere pubblicato in occasione di Yom Yerushalaim. Altre urgenze incombevano in quel momento, e quindi rimedio ora.

Il 7 giugno 1967 le forze armate israeliane hanno occupato la Città Vecchia di Gerusalemme. Si potrebbe parlare di liberazione della Vecchìa Gerusalemme “intra muros”, cioè entro le mura fatte costruire 450 anni prima [da Solimano il Magnifico, ndt], e del ricongiungimento delle due parti della città (separate da un odio diabolico) come di un evento foriero di pace, a meno che di nuovo non prenda il sopravvento  la potenza delle tenebre.
La Città Vecchia è piena di luoghi sacri, essa costituisce il centro spirituale di tre religioni di importanza mondiale, anche se non tutte nella stessa misura. Capitale del cattolicesimo, infatti, è il Vaticano, residenza del papa di Roma; inoltre, per tutti i musulmani è la Mecca il luogo di attrazione. Solo gli Ebrei non hanno avuto alcun altro centro, per millenni, all’infuori di Gerusalemme. Questo vincolo si è alimentato unicamente nella pratica quotidiana della preghiera e del salmo “Se io ti dimentico, o Gerusalemme…”*. Ma ciò non ha mai particolarmente interessato nessuno né mai alcuno al mondo l’ha preso in considerazione. Il legame profondamente religioso degli Ebrei con Gerusalemme è ulteriormente rafforzato dal fatto che si tratta di un legame ancestrale con quella terra. In realtà, se Gerusalemme per i cristiani rappresenta una meta di pellegrinaggio e non la patria fisica (dopo aver visitato i luoghi sacri, i pellegrini se ne tornano a casa); e se per i maomettani  “El’-Kuds” [arabo: Gerusalemme, ndt] è una cittadina di provincia al confronto con le popolose capitali dei loro Paesi; soltanto per gli Ebrei, invece, Gerusalemme è anche la capitale della loro patria, il simbolo politico del loro Stato.
L’esigenza di internazionalizzazione di Gerusalemme si spiega e, in una certa misura, si giustifica con il suo significato religioso per il mondo cattolico. “In una certa misura”. Bisogna, infatti, distinguere tra una Gerusalemme  “ internazionale ” e una Gerusalemme “sovranazionale”. Status internazionale e sacralità sovranazionale sono due cose distinte. La sovranazionalità di Gerusalemme deve e può essere assicurata, mentre per la sua internazionalità non c’è alcun fondamento né alcuna possibilità. Prima di tutto non esiste un soggetto dotato di poteri internazionali. Le “Nazioni Unite” sono un contenitore senza contenuto. Ovunque se ne sia sentito il bisogno d’intervento, hanno sempre finito per compromettersi e si sono rivelate impotenti tutte le volte che la loro attività veniva bloccata dal veto dei sovietici, cioè piú di cento volte. L’ultima tragicommedia si è avuta con il ritiro dei propri reparti  (che avrebbero dovuto proteggere il confine israelo-egiziano), in seguito alla richiesta di una delle forze in campo, la quale aveva dichiarato che “avrebbe distrutto e cancellato dalla faccia della terra” uno Stato che non era di suo gradimento! E questa è una prova sufficiente per dimostrare che questa organizzazione nella sua attuale composizione non è in grado di garantire la sicurezza e il diritto ad esistere allo Stato d’Israele.

Si parla di una “Gerusalemme araba”. Il quotidiano parigino “Le monde” si è affrettato ad esprimere la propria posizione in merito, dichiarando che “non è pensabile  che grandi Stati si siano detti favorevoli all’annessione della Gerusalemme araba” da parte d’Israele.
Negli anni della seconda guerra mondiale mezzo milione di Ebrei hanno combattuto con coraggio e lealtà nelle file dell’Armata Rossa. Migliaia di Ebrei hanno combattuto nelle file partigiane in Polonia, in Jugoslavia, in Bulgaria e in Cecoslovacchia. Migliaia sono stati decorati con delle onorificenze. Ebbene, tutti quelli che hanno ricevuto decorazioni e risiedono in Israele, le restituiscono oggi ai governi dei rispettivi Paesi, in segno di protesta per la loro politica ostile ad Israele.
Nelle file dei combattenti contro Hitler, invece, come anche nelle file partigiane, non c’è stato neanche un Arabo. Al contrario; la guida spirituale del mondo arabo, il Gran Muftí di Gerusalemme, Amín al-Hussèini, per radio ogni giorno a gran voce esortava ad appoggiare la politica di Adolph Hitler. Ed anche la sommossa in Siria aveva motivazioni filonaziste. Ha qualche senso, allora, commentare questi fatti?
Coloro che ora parlano di “inaccettabile annessione israeliana” sono quegli stessi che non hanno mai usato simile linguaggio riguardo all’annessione di Königsberg [oggi Kaliningràd] da parte dell’Unione Sovietica, o di Stettino da parte della Polonia, dopo la seconda guerra mondiale.
Il termine “annessione” non si può applicare a Gerusalemme con la sua predominante popolazione ebraica: duecentomila a fronte di alcune decine di migliaia di Arabi nella zona occupata dalla Giordania nel 1948. Non è pensabile che Gerusalemme, adesso ricongiunta, venga messa sotto la protezione di un corpo nuovo di Indiani e Jugoslavi comandati da un altro U Thant (all’epoca segretario generale delle Nazioni Unite, ndt), oppure sotto la protezione di una grande potenza. Questo possono proporlo soltanto i nemici dichiarati di Israele.
È ora che a Gerusalemme si restituisca la sacralità, la si ripulisca dall’onta della profanazione nella quale è stata costretta per secoli. Gerusalemme è un luogo sacro per i fedeli di tutte le religioni e per molti popoli. Ma nell’ultimo mezzo secolo la Gerusalemme “araba” è divenuta il centro di un odio diabolico, un covo di banditi e di assassini. Lí  si è iniziato a predicare “la guerra per la distruzione”; lí svolgeva la sua attività di agente di Hitler il Gran Muftí di Gerusalemme, inizialmente sotto copertura e poi in modo del tutto scoperto; lí nei giorni del processo ad Adolf Eichmann (aprile 1961 – maggio 1962, ndt), a due passi dalla Via crucis, venivano organizzate clamorose manifestazioni in suo sostegno, era lui il loro eroe e il loro campione. È impensabile che Israele accetti di far rientrare proprio nella capitale del suo Stato dei criminali che si sono appena macchiati di devastazioni barbare e della distruzione di centinaia di case, le quali  nella parte israeliana della città hanno subíto incendi e spargimento di sangue. Chi oserebbe chiedere una cosa del genere, se non dei complici di criminali?
Per ben due volte, nel 1948 e nei giorni di giugno 1967, la Città Vecchia ha aperto il fuoco sulla Nuova Gerusalemme. Nel 1948, quando nelle piazze e per la strade esplodevano le bombe, la città, bloccata dalla parte della valle marittima, tagliata fuori dai rifornimenti e dall’acqua, si difese eroicamente senza il benché minimo intervento del mondo civile e cristiano. Nessuno dei Paesi, che in seguito pretesero l’internazionalizzazione della città, mosse un dito in soccorso. La stessa cosa si ripeté nei giorni di giugno 1967. Alla notizia che nelle due parti della città incombeva un grande pericolo, nessuno si fece sentire. Gli Stati erano “neutrali” e a difendere la città, di nuovo, restarono solo gli Ebrei. L’artiglieria giordana martellava sodo l’Università, il Museo, la residenza del Presidente e all’impazzata sparava sulle case di civili e sui templi, sulla Basilica  dell’Assunzione…
Insomma, la città appartiene a coloro che l’hanno difesa con la propria vita e l’hanno riscattata con il proprio sangue e non a chi le ha rivolto le spalle nel momento della minaccia di distruzione.
Gerusalemme è città non “internazionale”, ma sovrannazionale, e a mantenere, rispettare e proteggere questa sua sovranazionalità deve essere Israele e non l’ONU, terrorizzata dalla combriccola che siede a Mosca, e neanche gli Stati ex coloniali che ormai si sono fatti ben conoscere nel Medio Oriente!
Io sono certo che lo status di sovranazionalità dei luoghi sacri di Gerusalemme possa essere assicurato piú o meno sulla stessa base di quello del Vaticano all’interno della città di Roma. Credo che i templi cristiani, musulmani ed ebraici debbano godere di extraterritorialità sotto la direzione di un Consiglio delle tre religioni, con precise funzioni amministrative e senz’alcuna ambizione politica. La Gerusalemme dei templi può diventare Città di Pace con autonomia religiosa, senza l’intervento di organi governativi arabi o israeliani. La comune responsabilità per la “Città di Dio” sarebbe la migliore dimostrazione da parte della Chiesa, della Sinagoga e dell’Islam. E sono anche abbastanza convinto che questo sarebbe senz’altro accettato da quei gruppi di ebraismo ortodosso, che fino ad oggi non “riconoscono” alcuna laicità allo Stato d’Israele. A proposito, anche il loro quartiere, Mea Šearím, è stato oggetto dei bombardamenti arabi.
La situazione creatasi in seguito alla sconfitta del re Hussèin di Giordania, che governava sulla Città Vecchia, non consente di tornare allo stato precedente, come pretendono coloro che non hanno mosso un dito quando Israele aveva chiesto garanzie internazionali per i suoi confini, ma addirittura fornivano di buon grado armamenti a chi intendeva distruggerla. Occorre preparare delle basi per un solida pace e buon vicinato nel Medio Oriente. E se anche in questa circostanza Israele sarà lasciata sola di fronte all’odio diabolico di tipo nazista, infausta miscela di fanatismo arabo e di comunismo degli epigoni di Stalin, allora sprofonderanno le fondamenta della Democrazia Occidentale, prima che le fondamenta di Sion e degli antichi templi di Gerusalemme.

_________

*  “Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia destra le sue funzioni; resti la mia lingua attaccata al palato, se io non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra d’ogni mia allegrezza” (Salmi: 137,5-6).

IN GIRO PER GERUSALEMMME

È una città di pietra bianca,
non è Mosca e non è Parigi.
Giovane è questo “patriarca”
Lì non cammini, vai per aria!
Del Mondo è lei la capitale,
non vista (ancora!) come tale!

Solo luce è nelle persone,
splende la mano del Signore
per tutti i pellegrini suoi
e i fedeli in loro dimore!
………………………………………………….
In giro per  Gerusalemme!
Da lei non fuggo, e non la venderò!
……………..mai e poi mai a tradirla io sarò!

 IVÀN NAVI  2015

L’articolo di JULIJ BORÍSSOVIČ MARGÓLIN (1900 – 1971), che qui propongo nella mia traduzione dall’originale in lingua russa, scritto a caldo dopo la guerra dei sei giorni  (5-10 giugno 1967), vinta da Israele contro Egitto, Siria e Giordania, mi è parso di grande importanza, perché in grado di far luce su alcuni aspetti cruciali del conflitto arabo-israeliano, ma anche per l’originale proposta di promuovere Gerusalemme a CITTÀ DELLA PACE MONDIALE. All’articolo faccio seguire, quasi naturale corollario, una visione poetica della città santa, città di luce e di pace, dal titolo ”In giro per Gerusalemme”, composta nel 2015 dal mio amico israeliano, russofono, blogger, poeta e scultore, Ivàn Navi.

E per concludere penso di poter riproporre questa bellissima canzone, scritta anch’essa nel 1967.

barbara

PEDUEL (13/9)

Peduel
Peduel 1
si trova qui,
Peduel 2
oltre la “mitica” linea verde, quella che gli ignoranti della storia di Israele chiamano “i confini del ‘67” – quelli oltre i quali Israele dovrebbe ritirarsi, chiamando in causa una risoluzione Onu, la 242, che nessuno di loro ha mai letto – mentre chi la storia la conosce e ci tiene a ricordarla, li chiama “i confini di Auschwitz”. Due parole dunque per chi, traviato dalla propaganda, ignorasse e volesse smettere di ignorare, la questione della “linea verde”. Quando, nel corso della guerra di liberazione scatenata contro il neonato stato di Israele da sette eserciti arabi, Israele stava rischiando di vincere, l’intera diplomazia mondiale si è mobilitata per fermare la guerra, così come avrebbe fatto da quel momento in poi in tutte le guerre combattute da Israele, comprese le operazioni – non vere e proprie guerre – in Libano e a Gaza, in modo da impedire a Israele di giungere a una vittoria veramente schiacciante, che potesse mettere definitivamente fine alle illusioni dei suoi nemici di poterla distruggere. Accadde dunque nel 1949 che Israele fu costretta a fermarsi, e furono tracciate sulla mappa della regione le linee armistiziali, ossia quelle lungo le quali i vari eserciti si erano fermati al momento del cessate il fuoco. Quelle linee furono tracciate con una matita verde. Qualcuno potrà restare deluso dalla banalità della cosa, ma il significato di “linea verde” è tutto qui: una linea tracciata con una matita verde. Quindi questa linea è del 1949, e non del 1967, e non ha alcuna valenza politica. Avrebbe potuto averla, per iniziare da lì, dalle linee armistiziali, un negoziato per definire i confini entro cui vivere in pace, se gli arabi avessero accettato la risoluzione Onu 242, ma l’intera Lega Araba l’ha rifiutata con i famosi – per chi conosce la storia – Tre no di Khartoum (1 settembre 1967): no al riconoscimento, no al negoziato, no alla pace. Eh già: anche quella di Israele che ignora le risoluzioni Onu è una pura leggenda: Israele è stata costretta a rifiutare la risoluzione a causa del rifiuto arabo. E il motivo per cui Abba Eban, nel 1969, definì quelle linee “i confini di Auschwitz” è reso chiarissimo dagli eventi del 1967, quelli in cui Israele poté sopravvivere al nuovo attacco congiunto unicamente grazie alla decisione di prevenire i nemici, attaccando con qualche ora di anticipo: quei confini racchiudono un ghetto che rende possibile l’annientamento totale.

E torniamo ora a Peduel. A Peduel si trova quella che viene chiamata la terrazza (o il balcone) di Sharon, che è questa,
terrazza di Sharon
preceduta da questo cippo che riporta alcuni versi della Bibbia.
terrazza cippo
Qui Sharon era solito portare i politici stranieri, quelli che si riempiono la bocca con la parola “restituzione” (termine peraltro del tutto improprio, dato che fino al 1967 quel territorio era occupato – ILLEGALMENTE! – dalla Giordania, e prima della Giordania faceva parte del protettorato britannico, e prima del protettorato britannico faceva parte dell’impero ottomano. Quindi ai palestinesi potrebbe essere al massimo regalato, non certo restituito, dato che mai lo hanno posseduto). Li portava qui perché potessero toccare con mano che cosa significherebbe dare questo territorio in mano a chi non desidera altro che la distruzione di Israele: da qui si domina (leggi: si può raggiungere anche con armi relativamente poco potenti) l’intera valle
terrazza valle
Quel giorno c’era foschia, e la visibilità era molto ridotta, tuttavia si può chiaramente distinguere, di fronte a noi, Tel Aviv,
terrazza Tel Aviv
e più a sinistra Lod, con l’aeroporto Ben Gurion.
terrazza Lod
Con la foschia, e con la foto ridotta a poco più del 10% dell’originale, se non si sa dove cercare è difficile individuarla, ma in quest’altra immagine, ritagliata e lasciata alle dimensioni originarie, si può vederla chiaramente:
torre
la torre di controllo dell’aeroporto. Tutto, per così dire, a un tiro di schioppo. E qui si può avere un’idea delle posizioni e delle distanze:
distanze
una decina di miglia nel punto più stretto come si vede, da un’altra prospettiva, in quest’altra carta,
distanze 2
e in quest’altra ancora con le distanze espresse in chilometri.
topografia distanze
Regalare queste alture (esattamente come quelle del Golan) a chi non ha mai nascosto il progetto di annientamento di Israele e di tutti i suoi abitanti ebrei, sarebbe peggio che un suicidio: sarebbe un immane crimine contro l’umanità.

barbara

HEBRON PARTE SECONDA (13/5)

Il massacro del 1929, si diceva. Avente come promotore, tramite la diffusione di notizie false fabbricate allo scopo di surriscaldare gli animi (l’uccisione di due arabi ad opera di ebrei) il Gran Mufti di Gerusalemme Haji Amin al Husseini, così come quello di Nabi Musa del 1920, il pogrom Farhud di Baghdad del 1941 e numerosi altri, senza dimenticare che non fu estraneo neppure alla Shoah.
Nel corso della visita siamo stati anche al museo.
museo Hebron
Originariamente era stato un ospedale, aperto dall’organizzazione Hadassah, come riportato dalla targa che si trova sulla facciata (Beit Hadassah: Casa Hadassah).
targa Beit Hadassah
Qui la guida, la signora Tzipi Raanana Schissel, oltre a spiegare le immagini che illustrano momenti del massacro, ha narrato anche due vicende che la toccano personalmente. La sorella di sua nonna, nell’agosto del 1929, aveva appena partorito, e non era in condizione di muoversi per nascondersi, e il nonno era rimasto accanto a lei. Davanti alla loro casa si mise un arabo, per proteggerli (molti di coloro che si sono salvati, sono sopravvissuti grazie ad alcuni Giusti arabi che a rischio della propria vita si sono opposti alla barbarie). Essendosi rifiutato di lasciare la sua postazione per permettere agli assassini di entrare, è stato decapitato davanti alla porta che aveva continuato fino all’ultimo a difendere.
Passano gli anni, giunge il 1948, proclamazione dello stato di Israele, guerra scatenata dagli arabi per distruggerlo, occupazione (ILLEGALE!) di Giudea e Samaria da parte della Giordania, che provvede immediatamente a rendere le due regioni judenrein, così come era istantaneamente diventato judenrein l’emirato di Transgiordania dopo la sua installazione sul territorio rubato agli ebrei (il 78% del totale, per la precisione). Nel 1967 gli arabi preparano una nuova guerra per “ributtare a mare gli ebrei”, Israele li previene attaccando con qualche ora di anticipo e incredibilmente, nonostante le forze enormemente inferiori, vince (come hanno fatto? Semplice: non avevano alternative) e libera le terre occupate (ILLEGALMENTE!) dalla Giordania e dall’Egitto (striscia di Gaza). Alcuni ebrei ritornano a vivere a Hebron, arrivando a formare una piccola comunità. E arriviamo al febbraio del 1994. Baruch Goldstein, medico, che regolarmente curava, oltre ai malati, anche le vittime dei continui attacchi terroristici palestinesi, e non di rado anche i terroristi palestinesi rimasti feriti nelle reazioni israeliane ai loro attacchi, un giorno sente che non ne può più (spero che sia chiaro: non sto giustificando, sto SPIEGANDO), si arma, piomba alla tomba dei Patriarchi e mette in atto una strage (in seguito alla quale Israele non gli ha dedicato vie e piazze e scuole e impianti sportivi, bensì ha messo fuori legge il movimento estremista a cui Goldstein apparteneva, NOTA PER CHI AVESSE VOGLIA DI STABILIRE PARALLELISMI). Per porre fine alle crescenti tensioni fra le due comunità, il governo israeliano decide di dividere la città, e nel 1997 Netanyahu mette in atto la divisione. Il giorno stesso in cui la decisione viene comunicata, ossia all’ultimo momento prima che le due comunità vengano separate, un arabo accoltella a morte il padre di Tzipi. Così, senza una sola ragione al mondo, unicamente per non perdere l’ultima occasione comoda che gli si offre per far fuori un ebreo.
Immagino che racconti queste due storie a tutti i visitatori; ciononostante, evidentemente, non ci ha “fatto il callo”, non è diventato puro mestiere, e  arriva il momento in cui la voce trema e la gola si strozza.
(continua)

barbara

QUESTA NON LA SAPEVO

E probabilmente neanche voi.
In occasione della morte di rav Achille Shimon Viterbo, per oltre 44 anni rabbino capo di Padova, Moked ha ospitato un ricordo di Davide Romanin Jacur, del quale voglio riportare qui una frase:

«Ricordo ancora che, dopo la Guerra dei Sei Giorni, Achille organizzò con l’aiuto del prof Baldo Viterbo, una raccolta di sangue che fu inviata rocambolescamente, malgrado il divieto del Governo Fanfani

Il divieto del Governo Fanfani. Divieto di offrire il sangue a una nazione sopravvissuta a una guerra scatenatale contro a scopo di annientamento. Si può scendere più in basso?

SI Exif
In questa foto è ripreso davanti alla libreria della Comunità, che più di una volta ha aperto per rispondere alle mie domande. Lo ricordo come persona dolcissima e sempre molto disponibile. Riposa in pace, caro Achille, e le mie più sentite condoglianze ai figli, in particolare ad Alessandro, fondatore di Tsad Kadima, che ho avuto il piacere di conoscere di persona in occasione della visita all’ospedale.

barbara

IO VI DICO BUONA FORTUNA

(Il Nino Ferrer che non conoscevate, quello del famoso “lato B” dei 45 giri, che nessuno ascoltava. Questa è stata scritta nel 1967, alla vigilia di quella guerra che gli arabi avevano voluto, organizzato, preparato per cancellare Israele e “ributtare gli ebrei a mare”)

Je vous dis bonne chance !

Ça fait bientôt vingt siècles
Qu’ils cherchent la Terre Promise
Ça fait bientôt vingt siècles
Et ça fait trop longtemps.
Dans le désert ils ont planté des oliviers
Et les autres, pour les arracher,
Se mettront bien trente contre un
Moi je vous dis bonne chance
Moi je vous dis bonne chance
Moi je vous dis bonne chance
Et j’ai des larmes dans les yeux
Car je ne peux pas oublier que…

Ça fait bientôt vingt siècles
Et tant de mort pour rien
Et toute cette souffrance
On s’en est lavé les mains.
Jusqu’à quand faudra-t-il laisser couler le sang
De ces Justes et de leurs enfants
Les bras croisés le cœur indifférent
Je vous en demande pardon
Je vous en demande pardon
Je vous en demande pardon
Et j’ai des larmes dans les yeux
Car je ne peux pas oublier tout ça
Et je vous crie bonne chance
Et je vous crie bonne chance…

Sono quasi venti secoli
che cercano la terra promessa.
Sono quasi venti secoli:
e questo è  troppo.
Nel deserto hanno piantato degli ulivi
e gli altri, per strapparli,
si metteranno trenta contro uno.
Io vi dico buona fortuna
io vi dico buona fortuna
io vi dico buona fortuna
e ho le lacrime agli occhi
perché non posso dimenticare che…

Sono quasi venti secoli
e tanta morte per niente
e di tutta questa sofferenza
ci si è lavati le mani.
Fino a quando bisognerà lasciar scorrere il sangue
di questi giusti e dei loro figli
con le braccia incrociate e il cuore indifferente
io vi chiedo perdono
io vi chiedo perdono
io vi chiedo perdono
e ho le lacrime agli occhi
perché non posso dimenticare tutto questo.
E vi grido buona fortuna
E vi grido buona fortuna…

(trovata qui)

barbara