IL MONTE SODOMA (11/9)

Il monte Sodoma,
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di cui già avevo parlato qui (e raccomando caldamente agli amici che frequentano da poco il mio blog e lo vedono per la prima volta, di non perdersi i commenti), più collina che montagna, sorge di fianco al mar Morto, ed è fatta interamente di sale. La lunghezza è variabile, non nel senso che si allunghi e si accorci, ma nel senso che in rete si trovano misure variabili da 8 a 13 chilometri, e le cifre date dalla guida non le ho sentite perché ero occupata a fare foto per voi. L’altezza invece è pacifica: circa 250 metri. Il monte si è formato quando la pressione di terra e detriti sul sale del mare è diventata così forte che il sale, appena ha trovato una fessura, è schizzato tutto su. Per farci vedere esattamente come ciò è avvenuto, durante la notte la nostra guida Moti ha preparato in una ciotola un impasto di farina, acqua e uova, che ha poi schiacciato con un piatto di diametro inferiore a quello della ciotola, così
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La montagna presenta grotte
grotta
e formazioni saline,
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fra qui quella che viene chiamata la moglie di Lot.
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E grossi frammenti di sale che di quando in quando si staccano.
sassi
barbara

IO (11/8)

Concedetemi una botta di protagonismo

E per cominciare in modo logico la botta di protagonismo, parto con la sala delle botti alla cantina del Golan,
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naturalmente sempre col foulard sulle spalle per via del freddo polare che tocca patire in qualunque spazio interno da queste parti.
Poi c’è questa ai piedi del monte Sodoma,
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di cui ancora non vi ho parlato, ma ve ne parlerò, perché c’è un bel po’ di cose da dire e di immagini da vedere (in realtà ne ho già parlato in altra occasione, ma su tutt’altro aspetto).
E come quelli ballavano sul Titanic che affondava, qui vedete l’incosciente che sorride sull’orlo dell’abisso, sopra Maktesh Gadol,
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mentre sul fondo, precedentemente, si era comodamente adagiata all’ombra.
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Qui sono su uno dei sentieri che collegano le varie cave a campana
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– e anche la gonna giustamente a campana – vicino a quello che avevo indicato come un cappero e invece poi sono stata severamente bacchettata sulle dita perché col cappero che era un cappero.
E qui a Wadi Kelt,
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nello spazio in cui i turisti si fermano per ricevere spiegazioni dalle guide, scattare foto, e resistere eroicamente ai tampinamenti dei venditori arabi che ad ogni auto o autobus che si ferma si precipitano fulmineamente sui malcapitati assediandoli con ogni sorta di cianfrusaglie da vendere e seguendoli poi accanitamente in ogni spostamento.
Per le foto di Gerusalemme occorre qualche spiegazione preliminare. La città vecchia – chi la conosce lo sa bene – è sostanzialmente fatta di scale. Per spostarsi lì dentro bisogna fare scale, tante scale, centinaia e centinaia di gradini, credi di avere finito e c’è un’altra rampa, pensi che sia l’ultima e invece no, non finisce mai. A parte il fatto che fare scale mi era stato severamente vietato dal fisiatra, c’era l’immane fatica del muoversi in quel modo per ore da parte di una persona reduce da tre mesi di quasi immobilità più tre settimane di mobilità estremamente ridotta. Questa è la ragione della mia faccia sfinita, pressoché catatonica, qui presso uno degli infiniti banchi della città vecchia,
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e qui coi due poliziotti che impediscono il passaggio a uno degli ingressi al Monte del Tempio
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– ah no, scusate, alla spianata delle moschee, quella che è islamica fin dalla creazione del mondo e sulla quale il profeta musulmano Issa a dodici anni disputava con gli imam nella moschea, stupendoli con la propria sapienza, mentre più avanti ne avrebbe cacciato cambiavalute e venditori di colombe che avevano la deplorevole abitudine di condurre i propri affari dentro la moschea. Quella. Poi poco dopo è intervenuto il cuore a informarmi che ero arrivata al limite e dovevo fermarmi immediatamente. Per fortuna i segnali di allarme li so riconoscere, e a quelli obbedisco – a prescrizioni e divieti dei medici non sempre, soprattutto se titolari di un culo brutto, ma a quelli del mio corpo sì – e mi sono fermata all’istante. Ho avuto la fortuna che proprio nel punto in cui mi sono fermata c’era un muretto basso, e mi ci sono stesa. Ho avuto l’altra fortuna che nel gruppo c’era un medico, che ha provveduto a mettermi uno zaino sotto la testa e due sotto le gambe, e dopo un po’ mi sono ripresa.
Poi c’è questa al ristorante armeno, la sera dell’arrivo a Gerusalemme,
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che a qualcuno sicuramente piacerà.
E infine, per concludere, i soliti due (attenti a quei),
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in cui lei come al solito ha dimenticato di tirare dentro la pancia, a differenza di lui che non se ne dimentica mai.

barbara

ISRAELE NOVE (8)

Laassùùù nellee montaagneeee (1)

Ci siamo innalzati ed elevati (no, non sono sinonimi) molto, in questo viaggio.
Del monte Sodoma, con relativi annessi e connessi su cui per il momento non intendo ritornare, ho già parlato.

Poi siamo stati sul Monte delle Tentazioni, sopra Gerico. Dopo la salita in funivia fino alla base – che uno magari, come a Masada, dice ah che bello che c’è la funivia e ci si risparmia la faticata, e invece no, sceso dall’ovetto ti aspetta, perfida come una cognata, maligna come una suocera, implacabile come una zitella affamata, la più micidiale salita che mente umana possa immaginare e quando sei finalmente arrivato ti arriva, come una schioppettata in mezzo agli occhi, il pensiero che poi devi tornare indietro, e tornando indietro, dopo un numero infinito di rampe, a ogni rampa che finisci dici finalmente ci siamo e poi invece no, ce n’è ancora una e poi ancora una e poi ancora una e poi… Quando è finalmente davvero finita avevo il cuore che mi scoppiava, ma proprio scoppiava davvero, riuscivo a stento a respirare e non riuscivo a recuperare il ritmo, senza contare il famigerato crampo al polpaccio di cui ho già parlato. Vabbè, insomma si arriva, e il posto è quello in cui Gesù si è ritirato quaranta giorni a digiunare e Satana è andato a tentarlo offrendogli tutto quello che stava intorno in cambio dell’adorazione. E vi si possono acquistare – cioè no, non acquistare: si prendono e si lascia un’offerta – frammenti della roccia su cui Gesù si è seduto durante la sua permanenza lassù, vale a dire che è stata toccata dal santo deretano e quindi a sua volta resa sacra (un po’ come il Santo Sepolcro in cui un’infinità di persone, ma soprattutto donne – donne di ogni età, vecchiette col fazzoletto nero stretto sotto il mento e quasi accasciate sulla pietra tombale, floride matrone ripiegate sulla propria pancia, giovani fanciulle in microgonna a pecorina con le chiappe al vento – versano dell’olio sulla pietra in modo da renderlo sacro e poi strofinano degli oggetti sull’olio in modo da rendere sacri anche quelli); reliquie rigorosamente autentiche, che quindi valgono senz’altro la micidiale salita. Poi, volendo, ci sarebbe anche la vista.
sopra Gerico 1
sopra Gerico 2

Del monte Meron non c’è praticamente niente da raccontare: c’è solo da dire che è la montagna più alta della Galilea, e da qui si gode una splendida vista su tutta la Galilea centrale
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Meron 2
Meron 3-c2
Meron 4-c3
Meron 5
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con tanto di tavola che indica i luoghi che si stanno vedendo.
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Sul monte Carmelo, sopra Haifa, non siamo saliti, ma anche dai suoi piedi si può ammirare lo splendido panorama della città di Haifa, del suo porto e del Tempio Bahai.
Haifa 1
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Haifa 3
Oltre che dell’immancabile Titti, naturalmente.
Haifa 4
NOTA: per questo post, così come per quello che seguirà con la seconda parte, mi sono avvalsa dell’aiuto di Carla – che ha fornito anche alcune foto – per riordinare alcuni ricordi che avevo un po’ confusi.

barbara

ISRAELE NOVE (3)

L’alba

Una delle cose speciali che abbiamo fatto è stata quella di andare a vedere il sorgere del sole sul monte Sodoma (nella parte sud-est del mar Morto, nel deserto di Giudea).
Monte Sodoma
Sveglia alle quattro e tre quarti, partenza alle cinque e un quarto, una parte del percorso in autobus e poi l’ultimo tratto di salita a piedi.
(NOTA: poiché quasi subito, quando siamo arrivati in cima, mi sono ritrovata con le pile della macchina fotografica scariche, ho preso in prestito foto da alcuni compagni di viaggio, per la precisione Carla, Tiziana Marengo* ed Eyal Mizrahi. Quindi le foto che vedrete qui di seguito sono in parte mie e in parte di queste altre tre persone. Chi volesse conoscere in dettaglio l’autore di ogni foto, potrà ottenerlo passando il mouse sulle immagini; quelle senza iniziale del nome sono le mie)
Si sale, dunque, sulla roccia nuda
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e una volta arrivati in cima, in attesa che il sole faccia la sua apparizione, si contempla e si riprende ciò che ci circonda, mentre il cielo prende progressivamente colore
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e, naturalmente, ci fotografiamo noi (per quella di gruppo clic per ingrandire)
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e finalmente arriva lui, IL SOLE!
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Infine, ricchi dell’emozione che questa straordinaria esperienza ci ha regalato, ridiscendiamo per tornare all’albergo e fare colazione,
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non senza un’ultima occhiata alle rocce che ci circondano.
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Ma non posso chiudere questo resoconto senza accennare all’ultimo atto della nostra esperienza in cima al monte Sodoma. Una compagna di viaggio, insegnante di non ricordo quale cineseria, ha proposto di fare dieci minuti di “ginnastica” (le virgolette non ve le spiego: le capirete da soli) per la quale riteneva quell’ambiente assolutamente ideale. Sono pienamente convinta che qualche attimo di raccoglimento e meditazione, in un ambiente così particolare, in un momento così speciale, in uno stato d’animo così eccezionale, è assolutamente la cosa giusta da fare… L’avrei tuttavia apprezzato molto di più senza la buffonata del raccattare su con le due mani l’energia dalla terra, e poi, sempre tendendola tra le due mani come un pallone da calcio portarla a destra e poi portarla a sinistra e poi portarla in alto e rovesciarmela sulla testa roba che se mi entra per sbaglio in un occhio sai che male bestia e infine restituirla alla terra rimettendola al suo posto. Praticamente, per dirla col Poeta, un’esperienza sublime conclusa con una cagata pazzesca.

barbara

* AGGIORNAMENTO: le foto di Tiziana Marengo sono state eliminate su richiesta dell’autrice in seguito alla polemica che l’ha vista protagonista, come si può leggere nei commenti.