OGGI AVRESTI COMPIUTO 70 ANNI

 e invece è più di un quarto di secolo che te ne sei andato.

(se la vuoi leggere, vai qui)

Poi bisogna assolutamente leggere questa

NEW YORK 1987

Lettera aperta al Colonnello Gheddafi letta a New York in occasione del 10′ Convegno Internazionale degli Ebrei di Libia

Ci sono paesi disamati dalla storia. Incapaci di offrire ai loro popoli, contro un misero presente, la consolazione di un glorioso passato. Incapaci perfino di trarre profitto dalle loro disgrazie, di trasformare gli oltraggi subiti in leggende esportabili. Paesi che, privi di un fiume per benedire le loro terre, di un eroe per difenderle, di un poeta per cantarle, sono affetti da anonimato cronico.
Il paese in cui son nato è fra questi. Prima che il suo nome fosse propulso nel cielo dei media, dai capricci congiunti del petrolio e di un tiranno, quest’immenso territorio non è stato, per 2.000 anni, che una fabbrica di dune. Uno zero, un’amnesia, un sacco di sabbia sventrato e disperso su 1.759.000 chilometri quadrati di mancanza d’ispirazione del Creatore, una sala d’aspetto immemorabile dove non ha mai degnato fermarsi il treno di un’epopea, un vuoto, soffocante e torrido che separava, come una punizione, l’Egitto della Tunisia. Oggi ancora, benché l’afflusso di petrodollari gli abbia permesso di passare dall’oscurità all’oscurantismo, questo paese resta, agli occhi del mondo, l’anticamera delle Piramidi, il retrobottega dei gelsomini. Culturalmente parlando: il parente povero dell’Islam.
Il Colonnello lo sa. Anzi ne è così conscio che dopo aver importato i migliori architetti d’Occidente per tracciare audaci prospettive in questo gigantesco piatto di couscous spazzato dai venti e centinaia di artigiani dall’Oriente per ornarne i volumi ancora freschi di bassorilievi, rosoni, mosaici e vetrate – ha tentato di appropriarsi della storia dei suoi vicini, con proposte di matrimonio di un’insistenza patetica, generalmente rifiutate, o seguite da immediati divorzi.
Arrenditi all’evidenza, Colonnello. Né la tua bella faccia da antagonista, né il pennacchio dei tuoi pozzi, né le scie dei tuoi “mirage” in cieli non tuoi, né il tuo vivaio di terroristi riescono a trattenere a lungo l’attenzione del nostro mondo distratto. Una forza centrifuga maledetta fa svaporare il beneficio dei tuoi misfatti, come l’acqua dei tuoi “wadi”, impedendo alla tua periferia di trasformarsi in centro. Malgrado i tuoi sforzi, questo paese resta senza viso, come i tuoi sicari, e senza voce, come in passato.
A volte, quando il tuo sorriso gallonato mi sorprende, appeso ad un’edicola, mi congratulo con te, da lontano, per aver saputo una volta ancora risorgere dal sabbioso oblio al quale ti condanna il destino. E, forse per smussare il tuo perforante sguardo, o l’interminabile diga dei tuoi denti, mentre mi compro con 2.000 lire la tua testa da adulto, ti immagino bambino, sì, m’invento nostalgie da fratello maggiore e ti vedo, lupacchiotto di quattordici anni, disteso, la sera nella tua stanzetta, con l’orecchio al transistor, che ascolti esaltato la voce di Nasser, il cui carisma saturato ti arrivava dal Cairo, e ti sento esclamare, fra due incitazioni del Rais alla guerra santa “anch’io, un giorno, come lui!”
Il tuo sogno: aggiungere un nuovo capitolo, a tuo nome, nel Grande Libro dell’Islam. Ma Allah è grande, caro cugino, e nella sua immensa saggezza, deve aver deciso che era meglio riservare al tuo paese, che fu un tempo il mio, il ruolo esaltante di “antiporta”, cioè la pagina bianca che precede il testo, e che tale resta, se una dedica non viene ad abitarla
L’unico inconveniente è che tutte le popolazioni che vi hanno vissuto, nei secoli, hanno subito lo stesso destino di “cancellazione”. Cominciando dalle minoranze etniche o religiose, berbere, cristiane ed ebraiche, che chiamaste “dhimmi”, cioè cittadini “protetti”. Delicato eufemismo per dire ostaggi in attesa di conversione. Essere l’oppresso di un potente offre a volte vantaggi culturali: catene d’oro, tempo per piangere, ecc. Essere l’oppresso di un oppresso, nessuno. Ebrei di un paese senza luce, fummo gli ebrei più spenti del Mediterraneo.
Privi di quel prestigio di riflesso di cui godono, di solito, i domestici dei grandi Principi, e di cui godettero, almeno una volta durante il loro esilio, tutte le altre comunità. La nostra storia fu così negata, sepolta, per tanti secoli, che senza il libro dello storico Renzo De Felice, Ebrei in un paese arabo, un libro splendido, voluto con tenacia quasi mistica da un fratello della nostra comunità, di questa non resterebbe più, oggi, traccia, né, domani, ricordo. Infatti, dopo aver assaggiato come tutte le consorelle un menù di umiliazioni di una varietà squisita: massacro alla romana, alla mussulmana, alla spagnola, segregazione alla maltese, all’ottomana, leggi razziali nazi-fasciste, e per finire, pogrom post-bellici, compiuti dai nostri fratelli arabi sotto l’occhio dei nostri tanto attesi liberatori britannici, la mia comunità fu pregata di lasciare il paese l’indomani della Guerra dei sei giorni, meno i suoi morti, trattenuti per portare il loro contributo alla Rivoluzione, mediante ossa e lapidi le quali, debitamente frantumate dai bulldozer, sono servite da base a un’importantissima autostrada costruita d’urgenza per collegare il nulla al nulla, e a due giganteschi alberghi per un turismo tuttora inesistente. Così, io, Ebreo senza più radici né memoria, ho aperto il libro ed ho scoperto

  • che la nostra presenza in Libia risaliva a più di 2.170 anni;
  • che precedeva quindi non solo l’invasione araba, ma anche quella romana;
  • che, bellicosi e fedeli al nostro Dio, contro l’esercito romano ci eravamo sollevati, appena avuta notizia della caduta del tempio di Gerusalemme;
  • che quella sommossa ci era valsa decine di migliaia di vittime, ma anche una lapide in latino che riferisce il fatto, e senza la quale non sapremmo che fummo una così antica e coraggiosa comunità

Ma questa è storia, dicevo girando le pagine, storia che fonda la mia legittimità, ma non basta, io voglio di più, io… io non sapevo cosa volessi, ma lo trovai. A pagina 41.
Un censimento della popolazione ebraica di Tripoli.
Il primo della nostra storia. Effettuato da Giuseppe Toledano, capo della comunità, nel 1861, e miracolosamente scampato ai falò del Colonnello. E cominciarono a sfilare sotto i miei occhi, debitamente numerati:

  • 1 Rabbino capo
  • 17 Rabbini
  • 11 Studenti, e poi tornitori, droghieri, tavernieri, sterratori, sarti, macellai, scrivani, chiromanti, levatrici, facchini, donne e bambine, malati e mendicanti, in tutto: 4.500 abitanti.

Che il professar De Felice sia ringraziato per questo documento. Avevo finalmente sotto gli occhi la prova, inconfutabile che gente del mio sangue era effettivamente vissuta, lì, fra le dune e il mare, colmando, di generazione in generazione, la mitica voragine che separava nostro padre Abramo da mio nonno, Abramo anche lui. Certo non erano i poeti matematici filosofi e medici che fiorivano i giardini della Spagna mussulmana, e curavano i mal di testa dei califfi illuminati, ma era pur sempre la mia famiglia, o perlomeno il perimetro sociale entro il quale senza dubbio alcuno, si era mossa. Mi misi dunque a trascrivere questa lista a mano, sicuro che uno dei miei sarebbe passato, presto o tardi, sotto la mia penna. E questo modesto rito bastò a far sì che il vapore dei ricordi si condensasse dietro ai miei occhiali, che si mettesse a piovere, a distanza, su quella striscia di asfalto dove i miei morti giacevano prigionieri, che questa scoppiasse, che un albero ne uscisse, coronato di foglie, popolato di uccelli.
Il mio albero genealogico, per approssimazione.
Chi potrà più dire l’odore delle pelli e la loro lucentezza, ai tempi in cui il sapone si chiamava olio di mandorle? La magrezza indiana dei bambini, il carbone dei loro sguardi, quel modo così arabo di essere ebrei che avevano gli ebrei di Trablous. Donne prosperose o gracili, vestite di sete rigate, cangianti, la vita cinta in quadroni d’argento, le teste avvolte nei foulards i quali, scivolando cento volte al giorno sulle loro spalle, scoprivano capigliature corvine o rosso hanna, e ondulate come il mare visto dai terrazzi Odore di cammun, di felfel, di atar e gelsomino, fiori e febbri, spezie e sudori, correnti d’aria fritta o di orina nei cortiletti di quel dedalo scalcinato che era la Hara, il nostro ghetto [Hara, in arabo, significa merda, ndb]. E i turbini di mosche intorno agli occhi degli asini fatalisti, la polvere di loukhoum sul naso dei bambini buoni, e i capretti appesi nei giorni di mercato, le montagne di cipolle viola, di datteri lucenti, di peperoni dai colori fluorescenti; e i polli che venivano comprati vivi, e portati via tenuti dalle zampe, come mazzi di fiori, per essere uccisi in casa, secondo le regole, in fondo ai giardinetti miseri, – due gerani, un ramoscello di menta, un oleandro, la cui acida linfa, ad ogni fiore colto, vi si attaccava alle dita
Chi potrà più raccontare la severità, la misericordia, dei nostri vecchi barbuti, in turbante, Fez, Bertila o Arrakyia, secondo l’epoca, dottori della legge dalle mani nodose, dalle unghie di corno, dalla pelle scavata dal tempo, ceppi della fede giudaica ancorati, loro malgrado, in questa terra tanto più amata e tanto più esiliante che somigliava troppo alla patria perduta: come una lacrima a una goccia di pioggia.
Divina monotonia del cielo azzurro; stesse palme trionfali cariche di munizioni d’oro, stessi tramonti rapidi, che insanguinavano di sole morente i talleth dei nostri padri, riuniti a dieci per la preghiera della sera, sui balconi; stesse notti crivellate di stelle, stelle così vicine che il canto dei grilli sembrava la loro voce; notti di rugiada, che facevano gonfiare i cocomeri a scatti, imitando il gracidare dei ranocchi; albe di madreperla che li vedevano già in piedi, i nostri vecchi, con gli occhi di uva passa, a volte di uva verde, volti a Gerusalemme, per rendere grazie al Signore di questo nuovo giorno, che autorizzava loro a sperarne un altro e un altro ancora fino al giorno tanto atteso del ritorno alla Terra promessa; sposando, giudicando, benedicendo e morendo in quell’attesa, – mai completamente però, perché i loro figli, messi al mondo in quantità prodigiose (se non sono io, saranno loro, se sono tanti, uno vivrà, se sopravvive avrà dei figli e dagli occhi di uno di loro, finalmente, vedrò il muro. Paradossalmente, questa razza di individualisti non si considera come alberi di una foresta, ma come foglie di un medesimo albero, e, precisamente, la palma: ogni foglia è figlia e madre del tronco, ed è grazie a quelle che muoiono che l’albero cresce) perché i loro figli, dicevo, messi al mondo in quantità prodigiose, davano loro il cambio, prendevano cioè lo scialle e il Libro e si mettevano a vivere, pregare, procreare e morire a loro volta in attesa della partenza. Ma di cosa si lamenta? Dirà il Colonnello sotto la sua tenda. Voleva partire, l’abbiamo lasciato partire. Certo, ci hai perfino incoraggiati a farlo, spogliando i pochi pazzi, ancora attaccati alla loro terra, dei loro beni e dei loro diritti. Ma stai tranquillo, non è per nostalgia che ti scrivo. Non faccio parte di quei poveri infelici che per rivivere la loro infanzia tripolina vanno a passare le vacanze a Tunisi. Perché se c’è qualcosa che rifiuto di assumere, è proprio la catastrofica illusione della somiglianza, cioè, quella distanza, infima eppur vertiginosa, che separa la lacrima dalla goccia di pioggia, esattamente come quando, perduto in un souk, cerchi tua madre, la vedi, urli il suo nome, si gira e non è lei. lo, quando la chiamo, si gira ed è sempre lei: Gerusalemme, e quando voglio, ci vado.
Se ti scrivo, è per dirti che la nostra comunità è viva, che cresce e prospera, che si è rifatta, hamdullah. Perché avendo perso tutto non aveva altra scelta se non avanzare. Noi siamo come le api, Colonnello, se il padrone del campo ci ruba il miele a Settembre, lo rifacciamo in fretta, prima dell’inverno, e se continuiamo a punzecchiarti con le nostre richieste di risarcimenti è meno per interesse che per dignità, per ricordarti il tuo debito ma soprattutto la tua perdita. Siamo produttori di beni, materiali e morali, lo siamo sempre stati e tu lo sai, perché il lavoro non ci fa paura, perché il lavoro per noi non è mai stato punizione, bensì espressione, anzi, benedizione. La prova, dopo un mese nei campi-profughi di Latina e Capua, i nostri hanno abbandonato le baracche e sono partiti in cerca di lavoro, e l’Italia, che dandoci rifugio e cittadinanza ha creduto di farci la carità, si è ben presto accorta di aver fatto un investimento. Tu invece, come tutti i governanti del nuovo mondo arabo, hai voluto lavar via gli ebrei dal tuo tessuto sociale. Ne hai corroso le fibre: commercio, artigianato, agricoltura, professioni liberali, tutto si è dissolto, è volato via come sabbia nel Ghibli e tutta l’esperienza che comprate all’Occidente non potrà sostituire l’esperienza antica che avevamo noi di voi, noi, la cui vocazione è stata, da sempre, la comunicazione: fra gli esseri, i gruppi, le etnie, le discipline, i principi, gli stati, le civiltà. Vocazione che fu indispensabile alla grandezza dell’islam, dell’impero russo, di quello ottomano, della Germania prenazista, e che avrebbe potuto fare la tua, se tu l’avessi voluto. Pensa, cugino, era nato perfino un trovatore su questo pezzo d’inferno che governi. Con l’amore inspiegabile, quasi perverso degli ebrei per le terre matrigne che li hanno adottati, avrebbe potuto fabbricare ali ai tuoi re, ai tuoi eroi, ai tuoi santi e martiri per mandarli a dire al mondo che il tuo paese esiste. Avrebbe potuto cantarlo, il tuo deserto, con parole che avrebbero fatto cadere in petali questa rosa delle sabbie che hai al posto del cuore.
Ma Allah, che è grande e vede lontano, ha voluto, per tua mano, farci partire, affinché io andassi a cantare i miei canti sotto altri cieli, e che la tua nazione potesse proseguire, come in passato, il suo esaltante compito: essere la pagina vuota del Grande Libro dell’Islam.

Shalom ve Salam

Herbert Avraham Haggiag Pagani

E infine la Lettera ai fratelli, ultimo suo atto pubblico prima della morte.

barbara

Una risposta

  1. Credo che non ci sia niente da aggiungere a questa lettera ..perfetta nell’ esposizione
    dei fatti con una prosa che sà di poetico nel fare arrivare a noi ora suoi lettori tutto quello che ha sentito,visto…e forse previsto.All’ inizio dell’ articolo, la foto…a me sembra
    Herbert Pagani. La sua precoce scomparsa ha lasciato un vuoto che avrebbe potuto essere stato colmato di tante sue cose..che solo leggendo questo documento…sarebbero state certamente ricche e piene di sostanza..

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      • L’ ho riletta.Arriva con chiarezza senza usare parole ricercate. Attuale! Non è cambiato niente nella sostanza in tutto quello che ha menzionato.
        E’ per me un documento che per il suo ruolo a livello culturale..piu’ vasto da quello conosciuto. E nessuno..credo fino ad ora ha reso pubbliche…
        Le risposte vengono da sole…Ogni tanto un giornalista ‘ di una certa tempra che
        amo e mi piace e mi riporta a ricredere in questa professione…’. Il piacere che si avverte quando ci fanno ricordare…o conoscere delle personalità di grande spessore sia umano che professionale e che hanno avuto un’ importante ruolo
        epocale..Unico neo…’ la loro correttezza…pulizia..uomini rari…hanno proseguito con i loro ideali senza compromessi a livello politico.Anche poi per una certa dignità a rinunciare ad incarichi di prestigio influendo sul lato monetario..e poi
        pensionistico…’ Questo giornalista…rimarcava che queste persone non godono
        dei meriti come dovrebbe essere lasciandoli fra i dimenticati da molti.
        E qui….queste due lettere di Herbert….come mai non sono mai state rese pubbliche….come la sua pagina del PC. Forse…non rientra in certi modi di sentire di persone piu’ o meno di rilievo o istituzioni. A me sembrano…sono molto validi. A volte ci propinano delle vere e propie…cacate.

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  2. 25 Aprile…Roma. I filo-palestinesi….come i palestinesi ..anche nella manifestazione per l’ anniversario della liberazione…non hanno potuto fare a meno di aggredire i manifestanti ebraici…Nella piu’ totale ignoranza nell’ apporto che hanno avuto nella resistenza..poi nella liberazione. Chissà se sono stati schedati per atti agressivi e razzismo. Marco.

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      • E anche questo…non si puo’ definire razzismo!
        @ Mi dispiace…non ricordo il nome del giornalista….mi ero ripromesso di conservare l’ articolo…per me rappresentava …buon giornalismo.G. collaboratore?
        La testata…La Nazione di Firenze….L’ articolo parlava di 3 persone che hanno
        avuto un ruolo importante nel governo..cadute nel dimenticatoio.’ Partito d’ Azione? Arco di tempo..max 15aa
        Una dei 3 era Carlo Lodovico Ragghianti…lodevole storico d’ arte … è stato
        tutor…..nonchè grande maestro nello specifico e come persona del mio coinquilino. …I suoi ricordi intatti nel lodarlo a 360.°

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  3. Barbara…chi si commuove per qualsiasi cosa che possa arrivare nel suo lato profondo stimolando certe reazioni umane….non è un debole, è solo piu’ ricco. A certi sguardi attenti questi esseri non passano inosservati, anzi spesso gli scelgono, eleggono come compagni di viaggio in questa vita.

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  4. Barbara…sarebbe interessante…portare a conoscenza… A quanto ammontano gli aiuti monetari ‘ ufficiali..’ in dollari..inviati in Palestina ogni anno dai vari stati..

    ‘Gli ebrei..’ che abitavano in paesi arabi da secoli…forse millenni…e che furono espulsi velocemente…quasi sui due piedi. Solo la veligia…come un’ emigrate o vacanza…forzatamente.E poi accolti in Israele….Un numero molto consistente …rilevato in una mia ricerca .Quanti erano….numericamente. Il ‘ non arabo’…prima Persia…e poi Iran…non ha fatto questo. Preferisce tenerli nel loro paese…’ non si sa’ mai,,,a quale uso potrebbero servire…

    I coloni…israeliani…mi sembra di ricordare che in discreto numero abbiano …aquistrtato dai palestinesi territori ‘ desetici…sassi ..sabbia..’ pagandoli cifre elevate…come se fossero terreni dotati di grande fertilità…da raccolti multiplici. Da strozzinaggio..

    Leggendo le lettere di H. Pagani…quello che ha scritto è sempre attuale! Lapidi…usate per piastrellare ..latrine. Costruzione…si una grande strada…che poteva essere spostata un pò piu’ in oltre….tanto lo spazio c’ era. …sul desertico. No! E’ stato preferito demolire dei monumenti che erano legati alla storia, popolo ebraico…’ Giordania…?!’ Si potrebbe continuare…tanto ci sarebbe da dire. Libia…turismo..Ma se hanno distrutto,demolito monumenti del passato edificati da altre…culture. Cosi…per recuperare del materiale…Un pò come avveniva da noi…diversi secoli fà.

    A volte…penso alla mentalità…modo di pensare con idee sul tagliente…frizzante …sarcastiche di un contadino toscano…che nonostante…’ piu’ nel passato…’ erano legati alla sudditanza…’ del padrone…’ , ma il loro cervello rimaneva da essere libero sfuggendo nelle idee a certi obblighi di pensiero. Religione compresa!Basta rapportarli ad una certà ottusità nel credo in un dio …che a quello che ci trasmettono …non parla d’ amore…ma come un dittatore con regole e tempi da rispettare.Impossibile…deviare…le pene sono troppo grosse. Il gregge…è cosi piu’ facile da contenere, lontano da ogni spiraglio di democrazia…diritti umani.

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    • Sugli aiuti e sul milione di ebrei espulsi o fuggiti dai Paesi arabi (e dall’Iran, dove sono rimasti in quattro gatti che vivono nel terrore di accuse inventate seguite da processi farsa che si concludono con la condanna a morte, come periodicamente avviene), i dati ci sono, basta cercarli.

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