ISRAELE, LE ARMI, GLI APPELLI

Dario Calimani, come già ho avuto occasione di dire, è un signore di sinistra, molto di sinistra. E critico nei confronti di Israele, molto critico. Ma ci sono momenti in cui anche uno molto di sinistra, anche uno molto critico, se non è del tutto obnubilato dall’ideologia, è indotto a dire alt, qui il limite è stato superato.

A deporre – per chi lo richiedesse – a favore della mia non spiccata passione per la politica dell’attuale governo israeliano stanno i sette anni di note frammentarie che ho pubblicato su queste pagine. Come pedigree a me basta e avanza. Alla sinistra non devo rispondere di nulla. Alla destra non ho mai ‘strizzato l’occhio’, anche se a qualche buontempone piace affermarlo sui social network. In breve, il mio amore per Israele non ha conti aperti da pagare o da far pagare, né debiti né crediti.
Per questo, in un momento assai delicato e imbarazzante per lo Stato d’Israele e per la sua immagine agli occhi del mondo, non sono riuscito a firmare un appello di critica che chiedesse a Israele di far tacere le armi. E non perché la pace non sia necessaria, e non perché non pensi che si sarebbero potuti esperire altri mezzi per contrastare la strategia di Hamas, ma perché gli appelli, oltre a non servire a nulla se non a illudere chi li firma di essere a posto con se stessi, lasciano nel più profondo silenzio molto più di quanto essi non possano – ma dovrebbero – esprimere.
Ho preferito tenermi il disagio del silenzio piuttosto che firmare tacendo la crisi, perché nel chiedere a Israele di rinunciare all’uso sproporzionato della forza di fronte alla protesta/provocazione palestinese a Gaza non sarei riuscito a dar voce agli interrogativi che dovrebbero scuotere ogni coscienza onesta.
Perché l’onestà non può non chiedersi che cosa Hamas volesse ottenere ammassando venti-trentamila persone lungo il confine con Israele. Perché l’onestà non può disconoscere che fra la moltitudine spinta ‘pacificamente’ contro il filo spinato giravano armi e bottiglie molotov, oltre che fionde e sassi, mentre i pneumatici in fiamme avvelenavano l’aria. E perché l’onestà non può disconoscere che uno sfondamento della barriera di sicurezza non sarebbe sfociato in un festival dei fiori, come amano presumere politici e giornalisti faziosi. L’onestà non può firmare un appello come se non sapesse che Hamas manda il popolo palestinese allo sbaraglio promettendo un centinaio di dollari a ogni partecipante alla manifestazione, bambini inclusi; e che Hamas offre migliaia di dollari di compensazione alle famiglie delle eventuali vittime, ossia di coloro che vengono spinti avanti con la speranza che un cecchino li uccida; e che fra queste vittime c’è stata anche una bambina palestinese già gravemente malata di cui la madre è andata a esibire la morte sul confine per addossarne la colpa a un soldato israeliano e farsi così liquidare l’assicurazione sulla sua povera vita. L’onestà non può fingere di non sapere che dei sessanta morti di questa ‘strage’ almeno cinquanta, per ammissione stessa di Hamas, facevano parte dell’organizzazione terroristica. Pecorelle smarrite che pascolavano innocenti lungo il confine.
Tutto questo, che l’onestà vorrebbe come premessa in un appello che voglia denunciare l’uso spropositato della forza da parte di Israele, l’appello non lo può precisare, nella sua concisa e strategica retorica. Eppure, alla censura della politica di un governo israeliano a dir poco non lungimirante, la cui immagine internazionalmente screditata viene ulteriormente mostruosizzata dall’animosità concentrica dei media, non corrisponde una censura altrettanto dura, altrettanto oggettiva su quanto accade dall’altra parte del confine, su tutti i suoi come e tutti i suoi perché.
Ma ci sono altre considerazioni che trattengono dal firmare appelli contro Israele in un frangente come questo, perché anche da opinionisti moderati si sente parlare di ‘settecentomila palestinesi cacciati’ dagli ebrei nel 1948 per quella che chiamano la ‘Nakba’, il loro ‘disastro’, e non si dice che una parte consistente di arabi palestinesi fu invece convinta a scappare con la promessa che sarebbero tornati con l’aiuto dei paesi arabi per mandare a mare gli ebrei di Palestina. E perché la storia di Israele, questi opinionisti obiettivi, la presentano come fosse iniziata dopo la Shoah, perché Israele, a loro modo di vedere, non ha diritti e legami storici con la terra di Palestina. A popolare la terra di Canaan, a edificare il primo e il secondo Tempio, a scrivere i Rotoli del Mar Morto, a subire due esili, a coltivare per secoli il sogno del ritorno a Sion sono stati, evidentemente, non gli ebrei bensì gli arabi palestinesi. E quindi gli ebrei devono ringraziare i nazisti se ora hanno una terra in Israele.
Gli opinionisti moderati, che con un buon grado di prevenzione e parzialità criticano Israele, tirano troppo spesso in ballo la Shoah con collegamenti e analogie da far rivoltare lo stomaco. E ti spingono a chiederti quanto fiele antisemita aliti da certa critica, e perché, di fronte a sessanta morti palestinesi ci sia un’attenzione (giustissima) che i cinquecentomila morti in Siria non hanno meritato e non stanno meritando. E ti chiedi perché la stampa, sensibile e attenta e obiettiva, non dedichi allora pagine intere al massacro che Erdogan, dittatore e assassino seriale, sta commettendo ai danni dei curdi. E impari così che zoomare sul volto di un solo bambino fa più effetto che puntare la telecamera sui volti di diecimila bambini.
Se sessanta morti sono una ‘strage’, come si va ripetendo, delibando con soddisfazione il termine, centinaia di migliaia di morti che cosa sono? E con quale coraggio posso firmare un appello mettendo sotto accusa lo Stato di Israele se non ho mai firmato (e nessuno me l’ha mai chiesto) almeno uno analogo a favore dei curdi? e dei siriani?
Di fronte a tanti silenzi, di fronte a tanta demagogia e a tanta strumentalizzazione si finisce per diventare egoisti. E, alla pari degli altri, ti ritrovi a chiederti: se non sono io per me, chi è per me? Ossia: da che parte sto, alla fine? Perché, se sto al centro, dalla parte del giusto, non c’è nulla che io possa tacere, è vero; ma allora mi aspetto che anche gli altri stiano al centro, dalla parte del giusto, e mi aspetto che ciò che io riconosco ai palestinesi il resto del mondo lo riconosca a Israele. Io vedo la sofferenza dei palestinesi e invoco per loro uno stato e chiedo che possano vivere sicuri e in pace. Ma chi firmerà un appello analogo per invocare una pace giusta e sicura anche per Israele, che non implichi la sua distruzione?
“Oggi mi vergogno di essere un israeliano”, ha scritto Kobi Meidan, conduttore della Radio militare di Israele. Qualcuno dalla parte palestinese ha mai scritto lo stesso di fronte al massacro abominevole, strumentale e strategico cui Hamas ha mandato vecchi, donne e bambini? Come si misura allora la qualità delle coscienze?
C’è, infine, un altro aspetto che lascia perplessi di fronte ad appelli ebraici di critica a Israele. Non ho nulla da contestare a Grossman quando dice che Israele ormai ‘è una fortezza e non una casa’. Grossman è israeliano, ha consapevolezza piena e diretta della vita e della morte degli israeliani. Io non mi impedisco di pensare Israele e, se del caso, di criticarlo, ma ogni volta che lo faccio mi chiedo non tanto se io, in quanto non israeliano, abbia il diritto di parola, bensì se io sia inserito propriamente nel popolo ebraico e nella sua vita, nella sua esperienza storica ed esistenziale; se io sia parte integrante del corpo del popolo di Israele e della sua comunità, benché nella Diaspora. Insomma, se io ne sia dentro o ne sia fuori, se io veda Israele e il popolo di Israele dall’interno della sua coscienza o semplicemente dall’esterno, come uno spettatore distaccato, che si risveglia dal suo letargo ebraico e lo giudica come potrebbe fare un qualsiasi altro essere umano, dalla asettica posizione di una coscienza universale. Parteggiare mette a rischio la coscienza non meno della pretesa di equidistanza.
Se non firmo appelli è perché mi sento ancora, sempre, criticamente dentro. Come un figlio all’interno di una famiglia di cui riconosce colpe e difetti, ma da cui non gli va di dissociarsi. ‘Non separarti dalla comunità’, ci insegnano i Maestri. E ciò mentre continuo caparbiamente a ripetermi le parole del Libro ‘non opprimerai lo straniero, perché voi sapete cosa prova lo straniero, essendo stati stranieri in terra di Egitto’.
Unico conforto è leggere i post di un gruppo di ebrei italiani in Israele che si pongono ogni giorno laceranti interrogativi sulla situazione. Una minoranza, certamente, ma è la minoranza in crisi che salva la coscienza di tutto un popolo.

Dario Calimani, Università di Venezia (Moked, 22 maggio 2018)

L’articolo è di più di un mese fa, come si può vedere, ma dato che violenze e devastazioni stanno freneticamente continuando, credo che questo momento di riflessione ci stia più che bene.

barbara

  1. Ottimo: è quanto mi ci vuole per ribattere anche solo ai SE e ai Ma di qualcuno, a certe domande, non sempre provocatorie, o forse solo a me stessa, che non conto niente.
    Io, che non riesco a schierarmi mai, proprio perché estremizzo l’onestà..
    Il difficile sarà farlo leggere. Ma ci provo.

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      • Ah, no.. non mi sono spiegata bene, forse: tutti sanno che io sto con Israele, l’ho sempre detto chiaramente. Questo E’ schierarsi, no?
        Rifuggo da discussioni e diatribe che non sono capace di sostenere: ma, p.es., articoli come questo sopra lo diffondo quanto più posso.
        *G. l’ha apprezzato molto, e anche lui lo inoltrerà. Grazie!

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  2. Insomma…con amici così Israele non ha bisogno di nemici.
    A me sembra che Israele ne abbia provate di tutte…sempre con esito negativo.
    E dar retta a certe teste, pacifisti , politici Israele sarebbe già condannato e pronto ad essere assassinato..

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  3. Ciao, scusa se disturbo. Su un sito che frequento c’e’ un buontempone che scrive con un indirizzo IP israeliano, forse vero. Alle volte se ne esce con commenti interessanti sulla vita in Israele. Mi daresti il tuo parere? A me sembra di leggere un giornale italiano degli anni 80.

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    • Trump ha fatto una battuta becera sulle donne e ha quel ciuffo ridicolo, Salvini è rozzo, Netanyahu ha accettato delle bottiglie di champagne in regalo e sua moglie si abbuffa a sbafo… Non c’è che dire: le opposizioni degli uomini di maggiore successo del momento hanno argomenti d’oro! E i commenti sotto: lei è brutta, lui è frocio… Può benissimo essere israeliano, comunque, figurati che qualche anno fa quel coglione di giornalista di Gideon Levy è addirittura arrivato a inventarsi che dei rabbini ultraortodossi avrebbero impiccato un cane (non dico che se lo è inventato perché non ci credo: lo dico perché nessuno è riuscito a portare non dico una prova, ma neanche una briciola di indizio, e considerando che l’impiccagione sarebbe avvenuta in pubblico…)

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      • You missed the point.

        Provo a ripetere la domanda: a tuo dire, c’è veramente quel clima di corruzione sfacciata da quelle parti? A giudicare da quanto si legge su Internet sembra di si, ma le notizie di questo tipo vanno sempre verificate indipendentemente per non fare come il nostro amicone che riposta articoli da giornali online con la stessa credibilita’ di “nuova cronaca vera”.

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        • No no, sei tu che hai mixato il ponte!
          I corrotti ci sono, ovviamente, come dappertutto, e i ladri e i truffatori e le battone. E come dappertutto si usa spalare fango sull’avversario politico che non si riesce a contrastare politicamente perché la gente lo vota. E in questo gioco ci sono accuse vere, accuse gonfiate, accuse inventate. Clima di corruzione particolarmente intenso no, non mi risulta.

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        • La tassa d’ingresso c’è in molti paesi, non so se ci fosse lì – francamente ne dubito – ma se ci fosse stata non mi sembra poi così scandaloso, comunque mi informerò. Il resto sinceramente mi sembra un’ammucchiata di pettegolezzini da due soldi, sui quali non vedo l’utilità di perdere tempo.

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        • Tesorodolce, per avere risposte giuste bisogna essere capaci di formulare le domande giuste: ci voleva tanto a chiedere se mi risulta che in Israele ci sia corruzione diffusa invece di sbattermi lì una dozzina di pettegolezzi sulla finocchitudine di Netanyahu e la bruttezza di sua moglie e la figlia religiosa e il prezzo del pesce in Israele e chiedermi che cosa ne penso? Voi pretesi scientifici siete geneticamente incapaci di tradurre in domande chiare e univoche quello che volete sapere.

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    • Come detto nella premessa, Calimani è sempre molto critico nei confronti di israele, e anche qui tiene a precisare la sua convinzione che ci potessero essere altri modi per gestire la crisi. Precisato questo, non è la prima volta che prende apertamente posizione per Israele, anche se l’evento è effettivamente rarissimo.
      Il post lo avevo già visto, ma non i commenti, a partire da quello del demente. Fra le cose dette da Gianni Pardo, va però precisato che quella di Gaza uno dei posti più densamente popolati della terra è una balla colossale:
      https://ilblogdibarbara.wordpress.com/2014/07/20/adesso-vi-spiego-come-funziona/
      E non vale l’obiezione che quelle sono singole città mentre Gaza è un’intera regione: la città di New York per esempio ha una superficie più che doppia di quella della striscia di Gaza, quindi il confronto ci sta benissimo.

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  4. Da far leggere a camere riunite a quella banda di buontemponi italioto-onusiani che si affannano a diffamare, denigrare, segnalare – sempre a senso unico e a far tempo dal giorno successivo alla Guerra del Kippur – le “nefandezze israeliane”, sic!!! Ma, in un momentaneo sussulto di dignità, non si vergognano mai, QUESTI VERMI???

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