HE HAD A DREAM

he had a dream
Ci illudevamo che i sogni non potessero invecchiare? Che non potessero passare di moda? Ci sbagliavamo, purtroppo. Tanto è vero che qualcuno sembra convinto che le vite di bianchi, gialli, rossi (e chissà dove si collocheranno i negri albini) non contino,
blacklivesmatter
lebensunwerte Leben le chiamava qualcuno, qualche decennio fa: vite indegne di essere vissute, e noi lo chiamiamo, quel qualcuno, razzista.
E non mi si venga a raccontare che è per via della mano più pesante che certi poliziotti sembrano avere nei confronti dei negri (non so se si sia notato: ho deciso di abbandonare i ridicoli sostituti inventati per evitare la parola negro, come se negro fosse un insulto o una parolaccia, come quando si dice signorine allegre ma lo sanno tutti che si intende puttane) rispetto ai bianchi: se di questo si trattasse, troverei logico rivendicare che “all lives matter” o, meglio ancora, “every life matters”. Invece no: rivendicano che valgono le vite dei negri; non anche quelle, no: quelle e basta. E questa cosa si chiama razzismo. Se esiste un aldilà in cui le anime sopravvivono al corpo e “conoscono”, il povero Martin Luther King deve sembrare un’elettroturbina.

barbara

GERUSALEMME, CITTÀ DI PACE

Questo pezzo, scritto da Julij Boríssovič Margólin all’indomani della guerra dei Sei Giorni e gentilmente inviatomi dal suo traduttore Augusto Fonseca, doveva essere pubblicato in occasione di Yom Yerushalaim. Altre urgenze incombevano in quel momento, e quindi rimedio ora.

Il 7 giugno 1967 le forze armate israeliane hanno occupato la Città Vecchia di Gerusalemme. Si potrebbe parlare di liberazione della Vecchìa Gerusalemme “intra muros”, cioè entro le mura fatte costruire 450 anni prima [da Solimano il Magnifico, ndt], e del ricongiungimento delle due parti della città (separate da un odio diabolico) come di un evento foriero di pace, a meno che di nuovo non prenda il sopravvento  la potenza delle tenebre.
La Città Vecchia è piena di luoghi sacri, essa costituisce il centro spirituale di tre religioni di importanza mondiale, anche se non tutte nella stessa misura. Capitale del cattolicesimo, infatti, è il Vaticano, residenza del papa di Roma; inoltre, per tutti i musulmani è la Mecca il luogo di attrazione. Solo gli Ebrei non hanno avuto alcun altro centro, per millenni, all’infuori di Gerusalemme. Questo vincolo si è alimentato unicamente nella pratica quotidiana della preghiera e del salmo “Se io ti dimentico, o Gerusalemme…”*. Ma ciò non ha mai particolarmente interessato nessuno né mai alcuno al mondo l’ha preso in considerazione. Il legame profondamente religioso degli Ebrei con Gerusalemme è ulteriormente rafforzato dal fatto che si tratta di un legame ancestrale con quella terra. In realtà, se Gerusalemme per i cristiani rappresenta una meta di pellegrinaggio e non la patria fisica (dopo aver visitato i luoghi sacri, i pellegrini se ne tornano a casa); e se per i maomettani  “El’-Kuds” [arabo: Gerusalemme, ndt] è una cittadina di provincia al confronto con le popolose capitali dei loro Paesi; soltanto per gli Ebrei, invece, Gerusalemme è anche la capitale della loro patria, il simbolo politico del loro Stato.
L’esigenza di internazionalizzazione di Gerusalemme si spiega e, in una certa misura, si giustifica con il suo significato religioso per il mondo cattolico. “In una certa misura”. Bisogna, infatti, distinguere tra una Gerusalemme  “ internazionale ” e una Gerusalemme “sovranazionale”. Status internazionale e sacralità sovranazionale sono due cose distinte. La sovranazionalità di Gerusalemme deve e può essere assicurata, mentre per la sua internazionalità non c’è alcun fondamento né alcuna possibilità. Prima di tutto non esiste un soggetto dotato di poteri internazionali. Le “Nazioni Unite” sono un contenitore senza contenuto. Ovunque se ne sia sentito il bisogno d’intervento, hanno sempre finito per compromettersi e si sono rivelate impotenti tutte le volte che la loro attività veniva bloccata dal veto dei sovietici, cioè piú di cento volte. L’ultima tragicommedia si è avuta con il ritiro dei propri reparti  (che avrebbero dovuto proteggere il confine israelo-egiziano), in seguito alla richiesta di una delle forze in campo, la quale aveva dichiarato che “avrebbe distrutto e cancellato dalla faccia della terra” uno Stato che non era di suo gradimento! E questa è una prova sufficiente per dimostrare che questa organizzazione nella sua attuale composizione non è in grado di garantire la sicurezza e il diritto ad esistere allo Stato d’Israele.

Si parla di una “Gerusalemme araba”. Il quotidiano parigino “Le monde” si è affrettato ad esprimere la propria posizione in merito, dichiarando che “non è pensabile  che grandi Stati si siano detti favorevoli all’annessione della Gerusalemme araba” da parte d’Israele.
Negli anni della seconda guerra mondiale mezzo milione di Ebrei hanno combattuto con coraggio e lealtà nelle file dell’Armata Rossa. Migliaia di Ebrei hanno combattuto nelle file partigiane in Polonia, in Jugoslavia, in Bulgaria e in Cecoslovacchia. Migliaia sono stati decorati con delle onorificenze. Ebbene, tutti quelli che hanno ricevuto decorazioni e risiedono in Israele, le restituiscono oggi ai governi dei rispettivi Paesi, in segno di protesta per la loro politica ostile ad Israele.
Nelle file dei combattenti contro Hitler, invece, come anche nelle file partigiane, non c’è stato neanche un Arabo. Al contrario; la guida spirituale del mondo arabo, il Gran Muftí di Gerusalemme, Amín al-Hussèini, per radio ogni giorno a gran voce esortava ad appoggiare la politica di Adolph Hitler. Ed anche la sommossa in Siria aveva motivazioni filonaziste. Ha qualche senso, allora, commentare questi fatti?
Coloro che ora parlano di “inaccettabile annessione israeliana” sono quegli stessi che non hanno mai usato simile linguaggio riguardo all’annessione di Königsberg [oggi Kaliningràd] da parte dell’Unione Sovietica, o di Stettino da parte della Polonia, dopo la seconda guerra mondiale.
Il termine “annessione” non si può applicare a Gerusalemme con la sua predominante popolazione ebraica: duecentomila a fronte di alcune decine di migliaia di Arabi nella zona occupata dalla Giordania nel 1948. Non è pensabile che Gerusalemme, adesso ricongiunta, venga messa sotto la protezione di un corpo nuovo di Indiani e Jugoslavi comandati da un altro U Thant (all’epoca segretario generale delle Nazioni Unite, ndt), oppure sotto la protezione di una grande potenza. Questo possono proporlo soltanto i nemici dichiarati di Israele.
È ora che a Gerusalemme si restituisca la sacralità, la si ripulisca dall’onta della profanazione nella quale è stata costretta per secoli. Gerusalemme è un luogo sacro per i fedeli di tutte le religioni e per molti popoli. Ma nell’ultimo mezzo secolo la Gerusalemme “araba” è divenuta il centro di un odio diabolico, un covo di banditi e di assassini. Lí  si è iniziato a predicare “la guerra per la distruzione”; lí svolgeva la sua attività di agente di Hitler il Gran Muftí di Gerusalemme, inizialmente sotto copertura e poi in modo del tutto scoperto; lí nei giorni del processo ad Adolf Eichmann (aprile 1961 – maggio 1962, ndt), a due passi dalla Via crucis, venivano organizzate clamorose manifestazioni in suo sostegno, era lui il loro eroe e il loro campione. È impensabile che Israele accetti di far rientrare proprio nella capitale del suo Stato dei criminali che si sono appena macchiati di devastazioni barbare e della distruzione di centinaia di case, le quali  nella parte israeliana della città hanno subíto incendi e spargimento di sangue. Chi oserebbe chiedere una cosa del genere, se non dei complici di criminali?
Per ben due volte, nel 1948 e nei giorni di giugno 1967, la Città Vecchia ha aperto il fuoco sulla Nuova Gerusalemme. Nel 1948, quando nelle piazze e per la strade esplodevano le bombe, la città, bloccata dalla parte della valle marittima, tagliata fuori dai rifornimenti e dall’acqua, si difese eroicamente senza il benché minimo intervento del mondo civile e cristiano. Nessuno dei Paesi, che in seguito pretesero l’internazionalizzazione della città, mosse un dito in soccorso. La stessa cosa si ripeté nei giorni di giugno 1967. Alla notizia che nelle due parti della città incombeva un grande pericolo, nessuno si fece sentire. Gli Stati erano “neutrali” e a difendere la città, di nuovo, restarono solo gli Ebrei. L’artiglieria giordana martellava sodo l’Università, il Museo, la residenza del Presidente e all’impazzata sparava sulle case di civili e sui templi, sulla Basilica  dell’Assunzione…
Insomma, la città appartiene a coloro che l’hanno difesa con la propria vita e l’hanno riscattata con il proprio sangue e non a chi le ha rivolto le spalle nel momento della minaccia di distruzione.
Gerusalemme è città non “internazionale”, ma sovrannazionale, e a mantenere, rispettare e proteggere questa sua sovranazionalità deve essere Israele e non l’ONU, terrorizzata dalla combriccola che siede a Mosca, e neanche gli Stati ex coloniali che ormai si sono fatti ben conoscere nel Medio Oriente!
Io sono certo che lo status di sovranazionalità dei luoghi sacri di Gerusalemme possa essere assicurato piú o meno sulla stessa base di quello del Vaticano all’interno della città di Roma. Credo che i templi cristiani, musulmani ed ebraici debbano godere di extraterritorialità sotto la direzione di un Consiglio delle tre religioni, con precise funzioni amministrative e senz’alcuna ambizione politica. La Gerusalemme dei templi può diventare Città di Pace con autonomia religiosa, senza l’intervento di organi governativi arabi o israeliani. La comune responsabilità per la “Città di Dio” sarebbe la migliore dimostrazione da parte della Chiesa, della Sinagoga e dell’Islam. E sono anche abbastanza convinto che questo sarebbe senz’altro accettato da quei gruppi di ebraismo ortodosso, che fino ad oggi non “riconoscono” alcuna laicità allo Stato d’Israele. A proposito, anche il loro quartiere, Mea Šearím, è stato oggetto dei bombardamenti arabi.
La situazione creatasi in seguito alla sconfitta del re Hussèin di Giordania, che governava sulla Città Vecchia, non consente di tornare allo stato precedente, come pretendono coloro che non hanno mosso un dito quando Israele aveva chiesto garanzie internazionali per i suoi confini, ma addirittura fornivano di buon grado armamenti a chi intendeva distruggerla. Occorre preparare delle basi per un solida pace e buon vicinato nel Medio Oriente. E se anche in questa circostanza Israele sarà lasciata sola di fronte all’odio diabolico di tipo nazista, infausta miscela di fanatismo arabo e di comunismo degli epigoni di Stalin, allora sprofonderanno le fondamenta della Democrazia Occidentale, prima che le fondamenta di Sion e degli antichi templi di Gerusalemme.

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*  “Se io ti dimentico, o Gerusalemme, dimentichi la mia destra le sue funzioni; resti la mia lingua attaccata al palato, se io non mi ricordo di te, se non metto Gerusalemme al di sopra d’ogni mia allegrezza” (Salmi: 137,5-6).

IN GIRO PER GERUSALEMMME

È una città di pietra bianca,
non è Mosca e non è Parigi.
Giovane è questo “patriarca”
Lì non cammini, vai per aria!
Del Mondo è lei la capitale,
non vista (ancora!) come tale!

Solo luce è nelle persone,
splende la mano del Signore
per tutti i pellegrini suoi
e i fedeli in loro dimore!
………………………………………………….
In giro per  Gerusalemme!
Da lei non fuggo, e non la venderò!
……………..mai e poi mai a tradirla io sarò!

 IVÀN NAVI  2015

L’articolo di JULIJ BORÍSSOVIČ MARGÓLIN (1900 – 1971), che qui propongo nella mia traduzione dall’originale in lingua russa, scritto a caldo dopo la guerra dei sei giorni  (5-10 giugno 1967), vinta da Israele contro Egitto, Siria e Giordania, mi è parso di grande importanza, perché in grado di far luce su alcuni aspetti cruciali del conflitto arabo-israeliano, ma anche per l’originale proposta di promuovere Gerusalemme a CITTÀ DELLA PACE MONDIALE. All’articolo faccio seguire, quasi naturale corollario, una visione poetica della città santa, città di luce e di pace, dal titolo ”In giro per Gerusalemme”, composta nel 2015 dal mio amico israeliano, russofono, blogger, poeta e scultore, Ivàn Navi.

E per concludere penso di poter riproporre questa bellissima canzone, scritta anch’essa nel 1967.

barbara

IL NOSTRO FONDO

Karnenu festeggia 70 anni: la storia ripercorsa attraverso le memorie del fondatore

Martina Mieli

“Spero che, in futuro, qualcuno, consultando gli archivi del KKL, vorrà raccontare quanto io ho scritto”. È andata proprio così, è toccata a me! Sono io quel qualcuno a cui il Sig. Fausto Sabatello auspicava. Quando abbiamo deciso il tema di questo numero di Karnenu ho iniziato a rovistare tra i vecchi numeri, storie e personaggi da dove prendere spunto. Con molto dispiacere ho scoperto che i personaggi storici oramai non ci sono più. Ma, quando tra le vecchie carte impolverate, ho trovato le memorie dell’ideatore numero uno della nostra Rivista, quella tristezza si è trasformata in fantasia. È vero, potevo trovare qualcuno che lo aveva conosciuto, qualcuno che ne aveva forse sentito parlare, qualcuno che aveva ricordi confusi delle origini. E invece, proprio l’uomo che ha vissuto “mezzo secolo con il KKL” aspettava me, con un dono prezioso. “Soltanto noi, superstiti tra coloro che avevano visto i primi passi, potevamo scrivere questa storia… Ho deciso all’improvviso di redigere quella parte del passato che ho vissuto, così se uno storico volesse raccontarla, avrà a disposizione la narrazione degli avvenimenti”.
Affascinante, emozionante e commovente è stato sfogliare e leggere una ad una, le pagine che Fausto ha scritto con una vecchia macchina da scrivere. I suoi racconti iniziano esattamente nel lontano 1914, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anni difficili per lui e la sua famiglia, quando in Italia vi erano ancora scarse notizie sul Sionismo, l’allora Palestina e sul mondo ebraico del Medio Oriente. Degli anni ‘20 parla dell’avvento del fascismo e, in particolare, ricorda quando si formò a Roma un gruppo sionistico non ufficiale. Nel 1926 venne in Italia Enzo Sereni per tenere una conferenza a Roma, cercando consensi ed esprimendo la necessità di contribuire allo sviluppo della Palestina Ebraica. Fu proprio in quella occasione che Fausto ebbe il primo approccio con il mondo del Keren Kayemeth LeIsrael.
“Fui l’unico a rispondere di si, così Enzo e il cugino Attilio Milano mi chiesero un appuntamento per il giorno seguente. Attilio mi affidò un Libro di Famiglia del Fondo Nazionale Ebraico, per la raccolta di offerte in occasioni liete degli ebrei romani. Dovetti cominciare da solo, in occasione del primo matrimonio. Mi ero organizzato il lavoro in modo da portare il Libro, accompagnato da una lettera di spiegazione e auguri, il venerdì per ritirarlo poi il martedì. Il Libro era nuovo, con tutte le pagine bianche; quando andai a ritirarlo con molto batticuore e dubbi sul risultato, accolto dal padre della sposa mi disse di non aver voluto esporre il Libro in casa. Mentre mi avvilivo pensando all’insuccesso del mio primo tentativo, mi diede un biglietto da 500 lire quale offerta della famiglia, con il primo successo tornai a casa. Constatata la possibilità di raccogliere denaro per la Terra di Israele ne fui incoraggiato ed il Libro di Famiglia divenne lo scopo dei miei ideali sionistici”.
Il lavoro che a Fausto sembrava facile, si rivelò invece difficile. L’ambiente non era preparato, pochissimi avevano conoscenza della Palestina, si era già in piena dittatura fascista, erano impauriti e temevano, di essere considerati antinazionali se partecipavano ad una qualsiasi iniziativa sionista. Fausto, si era proposto un principio assoluto: ad ogni cerimonia doveva esserci un Libro di Famiglia.
Il KKL era già presente in quegli anni a Firenze con a capo Giuseppe Viterbo; a Roma invece, a parte la fallita distribuzione del Bossolo Blu non vi era ne una sede ne una commissione. Così Fausto decise di occuparsi anche di questa attività. Insieme a Lello Piattelli e altri – ricorda Bruno Zevi, Augusto Segre, la famiglia Pajalic e alcuni studenti del Collegio Rabbinico – intrapresero la ricerca dei bossoli abbandonati e ne distribuirono dei nuovi. “Compilai elenchi per ogni zona di Roma – racconta Fausto – e stabilii un’apertura trimestrale. Lo slogan di allora era: un Bossolo in ogni famiglia e in ogni negozio ebraico”.
In quel periodo conobbe Haim Weizmann e Menachem Ussishkin “l’uomo di ferro” dell’amministrazione e Presidente dal 1923 del KKL che contribuì ai grandi acquisti di terre. Durante le leggi razziali e la Seconda Guerra Mondiale la situazione in Italia era tragica ma, Fausto non voleva arrendersi alle difficoltà, per un periodo nell’oscurità ha continuato il suo lavoro, che riprese poi con fermento subito dopo la guerra. “Nel 1946 – racconta Fausto – la Brigata Ebraica rientrò in Palestina e lasciò liberi alcuni locali in via Principe Amedeo: presi possesso di una stanza che ammobiliata con due tavoli ed un armadio divenne la prima sede ufficiale del KKL a Roma”. Fausto organizzò una Commissione, composta da lui, Lello Piattelli, Guido Schlesinger, Elisa Alatri; ottenne uno spazio sul bollettino mensile della allora Comunità Israelitica e fece mettere in ogni Sinagoga di Roma una “cassetta per le offerte” destinate al Fondo Nazionale Ebraico. “Negli anni che seguirono la fine della Guerra, quando l’Italia era ancora occupata dalle truppe alleate, cercai – scrive Fausto – ogni modo per aumentare l’attività del KKL. Un mezzo efficace per avvicinare il pubblico ebraico, furono alcune pellicole che ci erano state inviate da Gerusalemme”. Gli eventi organizzati con le proiezioni in varie Comunità italiane erano molto apprezzate e lui cercava sempre nuove attività per coinvolgere e avvicinare più persone possibili. Nel 1947 Fausto fece stampare il primo Lunario del KKL Italia, affiancato poi dal calendario murale (prima uscita nel 1965) ancora oggi presenti come da tradizione in tutte le case.
Dopo la nascita dello Stato di Israele nel 1948, Fausto voleva ampliare il lavoro per adeguarlo alle nuove necessità: “Progettai allora la pubblicazione di un periodico, portavoce del Keren Kayemeth LeIsrael dall’Italia, da far giungere in ogni famiglia ebraica. Mi orientai verso una rivista popolare molto illustrata da fotografie, di facile lettura, priva di ogni aspetto di bollettino parrocchiale, caratteristica della maggior parte delle altre pubblicazioni ebraiche in Italia. La mia proposta fu ascoltata e la Commissione di Milano si assunse il compito della pubblicazione”. La rivista fu chiamata “KARNENU”, ovvero “il nostro Fondo” e il primo numero uscì nel 1948. Fausto riuscì ad ottenere il trasferimento della gestione della Rivista a Roma, dove fu poi, iscritta al Tribunale con lui Direttore Responsabile; la redazione e impaginazione invece fu affidata al Dott. Fabio Della Seta che se ne occupò fino al 1955.
“Il numero seguente doveva uscire a luglio – racconta Fausto – ma non avevamo nessuno in grado di assumerne la redazione. Non volevo che per questo, Karnenu cessasse le pubblicazioni e dichiarai che avrei assunto io l’impegno di continuare la rivista. In breve tempo cercai di studiare i segreti dell’impaginazione, della riduzione delle fotografie e di altri dettagli tecnici di cui non avevo la minima nozione. Raccolsi gli articoli e le notizie necessarie e fui fortunato nella ricerca delle fotografie”. Fausto per circa due mesi lavorò intensamente nelle ore serali e notturne, unici momenti disponibili dopo il suo vero lavoro: a luglio, con un numero più ricco e animato dei precedenti, Karnenu andò in stampa regolarmente.
Dopo l’entusiasmo del suo primo numero, Fausto si rese conto della responsabilità di cui si era fatto carico e ne fece uno degli scopi principali della sua attività futura al KKL. Apprendeva continuamente nuove nozioni, imparava a migliorare l’uso dei caratteri tipografici e dei colori, iniziò a scrivere articoli, ideò disegni e vignette. Valutava come non avere sprechi e risparmiare per le spese postali, iniziò a fotografare lui stesso durante le varie cerimonie, avvenimenti ebraici o viaggi in Israele; voleva rendere il Karnenu ancora migliore. “Pubblicavo le fotografie degli iscritti nel Libro di Famiglia e nei Libri d’Onore del KKL che suscitavano in molti il desiderio di veder pubblicati le vicende della propria famiglia. Questo diede nuovo incremento al Libro di Famiglia e alle offerte di alberi in Israele. Dovetti ben presto – scrive Fausto – dedicare una intera pagina a questi avvenimenti. Fu così che Karnenu divenne un po’ la storia degli ebrei d’Italia. Sfogliando la raccolta infatti vi si trovano nascite, maggiorità, matrimoni. Il Libro di Famiglia che nei primi anni di lavoro avevo introdotto così faticosamente, oggi è divenuto una tradizione”.
Una tradizione ancora oggi, anche a distanza di così tanti anni. I suoi desideri e auspici così hanno preso forma, la rivista Karnenu nel corso del tempo ha raggiunto lo scopo che Fausto Sabatello si era prefissato: “la diffusione della conoscenza dell’opera del Fondo Nazionale Ebraico e di Israele”.
Nelle ultime righe delle sue memorie racconta che nel 1975, quando lasciò il KKL Italia per trasferirsi in Israele, le raccolte erano al terzo posto, subito dopo Stati Uniti e Gran Bretagna nella graduatoria, di tutte le nazioni del mondo dove il Keren Kayemeth LeIsrael era attivo. Incredibile! E pensare che tutto iniziò con quelle famose 500 lire di quel primo Libro di Famiglia!
“Un giorno mi recai a Iodfat, una delle prime zone di piantagione assegnate al KKL Italia. Dalla strada che dovevo percorrere, vidi l’orizzonte chiuso da una catena di colline di cui una parte grigia e brulla come tutte le zone della Galilea ancora non rimboschite. Vicino a queste, altre coperte da alberi, formavano una estesa macchia verde. Erano le Foreste degli Ebrei d’Italia: le gioie e i dolori degli ebrei italiani che attraverso il Keren Kayemeth LeIsrael si erano trasformati in alberi, fonte di vita e prosperità. Avevo avuto il privilegio di partecipare e con la loro visione nella mia mente, posso concludere che il mio lavoro è stato ben ricompensato”. Si concludono così le memorie, scritte nel maggio del 1983, dall’uomo che ha creato la nostra adorata Rivista, dopo un lavoro lungo più di cinquant’anni. Grazie a Fausto e ai suoi emozionanti racconti, ho potuto ripercorrere la vera storia, le vicende. Una testimonianza unica, che è stata raccontata esattamente come desiderava lui. Rimarrà così, viva nei cuori e negli archivi del KKL e, con Karnenu invece, continueremo ad essere presenti nelle case italiane, raccontando la storia di Israele e il lavoro del Keren Kayemeth LeIsrael.

Ecco: questo è il KKL, questa è una parte della sua storia, e questo è ciò che, ancora una volta, andrò a vedere. Parto tranquilla perché l’Iran, col culo che gli ha fatto Israele, ci penserà un po’ prima di rialzare la testa, e Hamas, col culo che gli ha fatto Israele militarmente, e l’Egitto, spalleggiato dalla Russia, diplomaticamente, di attacchi seri non ne farà. Precisando peraltro che partirei comunque, e sarei tranquilla comunque.

Come noto, quando esco di casa stacco completamente, non mi trascino dietro cordoni ombelicali, quindi fino al ritorno non sarò in rete, non vedrò i vostri eventuali commenti e non potrò approvare eventuali commenti in moderazione, e voi avrete pazienza. Continuate però a venire qui, perché vi ho programmato un po’ di cose per non farvi soffrire troppo. E ora su, cantiamo tutti insieme per celebrare la nostra amata Israele

A presto

barbara

GLI IRANIANI E DONALD TRUMP

Sorpresa: l’Iran è pieno di sostenitori di Trump

Scrive Menashe Amir: I siti delle emittenti che trasmettono in farsi riceverono quotidianamente migliaia di reazioni dall’Iran. Negli ultimi giorni la maggior parte dei messaggi è costituita da espressioni di gratitudine e apprezzamento per il ritiro del presidente americano Donald Trump dall’accordo nucleare del 2015, e danno voce all’aspettativa che gli Stati Uniti aiutino la popolazione iraniana a rovesciare il regime oppressivo. Si tratta di messaggi anonimi o sotto pseudonimo, a causa del timore generale che incute il regime. “Il nome di Trump andrebbe scritto a lettere d’oro sulle stelle nel cielo” scrive un cittadino iraniano. Un altro dice: “Siamo pronti a sopportare qualsiasi sofferenza purché vi sia una speranza di rovesciare il regime di oppressione”. Sono centinaia i messaggi di questo tipo pubblicati su siti web e mass-media in lingua farsi al di fuori dall’Iran. Un iraniano ha fatto la sua analisi della situazione al telefono con un amico in Germania: “Tutto è pronto per la ripresa della rivolta popolare, il cui obiettivo questa volta sarà di rovesciare il regime”. Ha parlato delle difficoltà economiche nel paese ipotizzando che rinnovate sanzioni potrebbero distruggere definitivamente la maggior parte dei meccanismi economici della repubblica islamica. In effetti la valuta locale si è dimezzata nel giro di pochi giorni. Oggi un dollaro viene scambiato con oltre 40.000 rial, e anche a questo prezzo è praticamente impossibile trovarlo. Un altro iraniano ha raccontato ai parenti all’estero che dovrà chiudere il suo negozio d’importazione a Teheran perché il picco dei tassi di cambio delle valute estere è stato talmente drastico da non poter più importare prodotti né ottenere alcun guadagno. Si ritiene che la stragrande maggioranza degli iraniani sia a favore di un cambio di regime, pur sapendo che il prezzo potrebbe essere elevato, anche in vite umane. Vedono quello che accade in Siria e sono scoraggiati dallo spaventoso numero di vittime dovute a una rivolta fallita. Lamentano l’assenza di un leader degno, che unisca e diriga il movimento di resistenza. Si aspettano assistenza vera e concreta dagli Stati Uniti e accolgono con favore qualsiasi pressione che Trump possa esercitare sul regime. Solo alcuni, fra le migliaia di messaggi, sembrano sostenere il regime, ed è probabile che siano scritti da cyber-soldati iraniani incaricati di diffondere la propaganda pro-regime sui social network. Uno, ad esempio, afferma che “gli unici paesi che sostengono la politica di Trump sono l’Arabia Saudita, che sostiene il terrorismo, Israele, che commette continuamente crimini contro il popolo palestinese, e una manciata di emirati essenzialmente satelliti sauditi”: senza alcun riferimento personale e alla vita concerta nel paese, sembra un copia-incolla dai proclami del regime. (Da: Israel HaYom, 10.5.18, qui, dove è possibile leggere anche un altro interessante articolo)

Comunicato stampa

Il presidente Donald Trump ha strappato l’accordo nucleare con il regime terroristico degli ayatollah. A nome dell’associazione rifugiati politici Iraniani residenti in Italia esprimendo la nostra approvazione e la soddisfazione ringrazio il popolo iraniano che con la sua tenacia e resistenza quattro decennale ha dimostrato al mondo intero che questo regime è irriformabile e va abbattuto in ogni sua forma e bande che lo costituiscono. Ringrazio il presidente americano che ha accolto intelligentemente questo grido del popolo iraniano e ha stracciato “ il peggior accordo che l’America abbia mai sottoscritto”. Questa divisione è lungimirante e garantisce e protegge il mondo intero dall’espansione del fondamentalismo e il suo braccio: il terrorismo internazionale. Grazie America Grazie il presidente Donald Trump. È iniziata una nuova era che grazie alle piazze iraniane porterà pace, libertà e la democrazia in Iran.
Davood Karimi, presidente dell’associazione rifugiati politici iraniani residenti in Italia

Dedicato a quel tot di persone che si stracciano le vesti per questo “pagliaccio” di presidente guerrafondaio che rovinando tutto il bellissimo lavoro del suo predecessore mette a repentaglio la pace mondiale e fa piangere tutti i poveri iraniani.

barbara

E TORNIAMO AI TEMI CALDI DI ISRAELE E DINTORNI

Entrambi ripresi da Informazione Corretta. Il primo è di Ugo Volli, che ci invita a riflettere su alcune questioni da quasi tutti trascurate, quando non del tutto ignorate.

La stranezza più strana
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,
strane cose stanno accadendo nel mondo palestinista e dei loro sostenitori. Vale la pena di pensarci un po’, per non farsi sorprendere dagli eventi.
La prima stranezza è la malattia di Mohammed Abbas, il dittatore dell’Autorità Palestinese. E’ stato ricoverato tre volte in ospedale nell’ultima settimana, ufficialmente per “un’operazione all’orecchio” non si capisce dovuta a quale patologia (se vi interessano le possibilità più comuni, qui c’è un elenco: http://www.otorinolaringoiatria.org/ORL/Nuovo%20sito/AU%20otosclerosi,%20cofochirurgia%202.html). Il 22 febbraio si era fatto fare un “normale check up” all’ospedale di Baltimora. Ha 83 anni un fumatore compulsivo e sovrappeso, ha subito interventi al cuore e alla prostata, sembra che abbia una polmonite (ma non ci sono comunicati ufficiali, tutte le notizie vengono da voci, come nell’Unione Sovietica di Breznev). Comunque al momento in cui scrivo è ancora ricoverato in ospedale, benché “lucido” (https://www.timesofisrael.com/abbas-still-in-hospital-but-doing-well-palestinian-health-official-says/). E si è sempre rifiutato di nominare un successore, facendosi di recente rieleggere capo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, anche se il suo mandato quadriennale come presidente dell’Autorità Palestinese è scaduto da più di nove anni (gennaio 2009) e si è sempre rifiutato di tenere nuove elezioni. Non è detto che muoia questa volta, naturalmente, ma è difficile pensare che abbia vita lunga. Che cosa accadrà dopo non lo sa nessuno. E chiaro che Hamas si sta giocando tutte le carte per prenderne il posto, ed è altrettanto chiaro che Israele non è disposto ad accettare un colpo di stato a Ramallah. La cosa bizzarra è che nessuno parla di questo problema. Anche la notizia del ricovero è stata data quasi solo dalla Stampa (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=6&sez=120&id=70697).
Seconda stranezza e secondo silenzio dei media. Avete sentito parlare del campo profughi di Yarmouk? E un quartiere alla periferia di Damasco che fino a qualche mese fa conteneva oltre 100 mila palestinesi o dichiarati tali dall’AP e dall’UNRWA. Attualmente è sotto bombardamento da parte delle forze governative che cercano di riprenderne il controllo, ci restano alcune migliaia di persone, i morti palestinesi sono stati almeno 10 mila: una catastrofe umanitaria enorme (https://www.jpost.com/Middle-East/Catastrophic-destruction-as-Syrian-regime-pounds-Palestinian-refugee-camp-557901). Ma nessuno ne parla, come nessuno parla in generale delle vittime degli attacchi russo-iraniani e di Assad. Chissà perché.
La terza stranezza è il ruolo della Turchia. Occupante di metà del territorio di un paese dell’Unione Europea (Cipro), negazionista del genocidio armeno, autrice di provocazioni militari contro la Grecia, la Turchia di Erdogan sta conducendo una guerra imperialistica contro i Curdi in Siria e Iraq, di proporzioni minori di quella iraniana, ma pur sempre un’invasione. E appoggia rumorosamente Hamas, minacciando una forza di spedizione a Gerusalemme. Anche qui, non siamo ai livelli dell’Iran, ma la strada è quella. Di recente la marina turca ha fermato con la minaccia delle armi navi italiani dell’Eni incaricate di esplorazioni petrolifere da Cipro: un vero e proprio atto di pirateria, di cui nessuno ha parlato. E’ una generica impunità islamista o più specificamente il privilegio che spetta ai filo-palestinisti? Non lo so, ma vale la pena di chiederselo.
Infine la stranezza di cui si è parlato troppo, Gaza. A tutte le persone intellettualmente oneste è chiaro che si è trattato di un tentativo di invasione e attacco terroristico mascherato da manifestazioni “popolari” i cui partecipanti erano un po’ pagati, un po’ obbligati a fare gli scudi umani. Lo ha ammesso anche Hamas che si trattava di operazioni “militari” (cioè terroristiche) coperte dalle sue armi e che la grande maggioranza dei morti erano suoi “militanti” (cioè terroristi). Sono usciti i film, la foto, le dichiarazioni che non vi riproduco qui per evitare la saturazione. E allora perché la stampa, i politici e anche i papi non hanno voluto dire questa evidente verità? Anche qui io la mia idea ce l’ho, si chiama antisemitismo. Ma non ditelo ai giornalisti italiani, ai politici della sinistra, al Vaticano, al presidente francese e a tanti altri. Perché l’antisemitismo contemporaneo vuole sì comportarsi da antisemita, ma ne rifiuta con sdegno l’etichetta. E se mi permettete, questa è la stranezza più strana di tutte.

Il secondo pezzo che propongo è di Deborah Fait.

Siamo circondati: le parole di Gramellini e la ‘Terra Santa’ di papa Bergoglio
Commento di Deborah Fait

“Le parole della settimana”, conduttore Massimo Gramellini.
Domenica 20 maggio.
Ultimi 5 minuti della trasmissione.

Come dicevo, siamo circondati, non c’è giornalista, non esiste intellettuale che non condanni e denunci la perfidia di Israele che spara a raffica sui poveri angioletti palestinesi, quei giocherelloni che in fin dei conti lanciano solo qualche bombetta, distruggono la terra bruciando decine di migliaia di copertoni e fanno svolazzare degli aquiloni. Si è vero, gli aquiloni, che oltre ad essere disegnati con delle svastiche (simbolo di quello che è Hamas), sono adornati di bombe incendiarie, particolare insignificante di cui nessuno parla. Meno male che ogni tanto gli italiani sono, come dire, un po’ distratti dalle elezioni e dal totopremier. Se non avessimo questi pochi minuti di tregua, il linciaggio di Israele da parte di questi adoratori della religione della sinistra, il propalestinismo, ci bombarderebbe h24. Ho letto da qualche parte sul web che Enrico Mentana ha definito “imbecilli” tutti quelli che hanno protestato per le sue esternazioni alla radio, tipo definire i soldati di Israele “uomini armati con la stella di Davide” oppure che Israele è nata come premio di consolazione per la Shoah. Io ne ho scritto addirittura un articolo quindi faccio, orgogliosamente, parte degli imbecilli.
Quello che lascia interdetti di questi “grandi” della disinformazione è la boria che hanno, è il non saper chiedere scusa per gli errori, voluti o non voluti, che fanno. Quello di Mentana sulla Shoah e la conseguente nascita di Israele è una menzogna talmente madornale, smentita dalla storia, che il giornalista avrebbe dovuto sentirsi obbligato a chiedere umilmente scusa. Invece, per lui, siamo degli imbecilli! Grazie, altrettanto! Bene, continuando la lunga lista dei conduttori televisivi incapaci di vedere al di là dei loro nasi e di uscire dalla prigione mentale del filopalestinismo a tutti i costi, arriviamo a domenica 20 maggio con la trasmissione settimanale “Le parole della settimana” condotto da Massimo Gramellini. Programma noioso che personalmente non guardo mai ma che mi è stato segnalato da una gentile lettrice di informazionecorretta. Gramellini ha aspettato gli ultimi 5 minuti della trasmissione per tirare la sua sciabolata al cuore di Israele. E cosa poteva coinvolgere di più il pubblico se non la storia di una bambina palestinese morta, secondo lui e tanti altri, a causa dei lacrimogeni del cattivo Israele? Ma sentite come l’ha raccontata questo campione di tiralacrime targato RAI Radio Televisione Italiana. “La bambina era a casa, poi la mamma l’ha lasciata a uno zio per correre al confine dove si svolgevano gli scontri (è normale, vero, che una madre lasci a casa una neonata malata per andare a tirar bombe molotov contro Israele! Boh!). Siccome la bambina piangeva -continua il Gramellini con espressione funerea- lo zio l’ha presa ed è corso anche lui al confine dove la bambina ha respirato il gas dei lacrimogeni israeliani”
Dunque, come pare sia normale che una mamma lasci una figlia neonata e malata di cuore…. (secondo la versione israeliana…dice..quindi non credibile?) a casa con un parente per correre a fare la guerra, è altrettanto normale che questo zio prenda la bimba e corra anche lui sul luogo degli scontri? A questo punto mi chiedo come sia possibile che un giornalista, se dotato di senso critico, non si renda conto delle cazzate che dice. E poi, perché la bambina dovrebbe essere morta a causa dei lacrimogeni e non a causa del muro di fumo nero provocato da migliaia di copertoni bruciati che tutti hanno visto in Tv, Gramellini escluso? I medici palestinesi hanno parlato di gravi problemi al cuore, infine è uscita la verità, la morte è stata indotta per avere i soldi promessi da Hamas per ogni martire. Quale miglior martire di una bambina di otto mesi che tanto sarebbe comunque morta di suo? Insomma, un giornalista, anziché indignarsi per il cinismo e la barbarie di certi genitori, cosa fa? Espone alla vista di un pubblico pronto a bere ogni panzana purché contro Israele, una gigantografia stile caravaggesco, evidentemente manipolata con photoshop, nelle luci e negli abiti rosso fuoco della “supposta” mamma, definita “come una madonna” dal giornalista. “Passa differenza tra un numero e un essere umano” conclude Gramellini. Verissimo. La cosa strana è che quando vengono ammazzati bambini ebrei, sia in Israele che in Europa (ricordiamo i tre bambini della scuola ebraica di Tolosa ammazzati da Mohammad Merah con un colpo di pistola in testa), non ricevono nemmeno l’onore di essere nominati nei telegiornali.


Papa Bergoglio

Lasciamo Gramellini per finire con Papa Bergoglio che nell’omelia della messa di Pentecoste si è messo a citare gli Atti degli Apostoli in cui si parla di “una strada deserta, da Gerusalemme a Gaza” e ha aggiunto “Come suona doloroso questo nome. Lo Spirito Santo cambi i cuori e porti pace in Terra Santa”. Vorrei dire al Papa che pronunciare la parola Israele non gli dovrebbe procurare una sincope. Possibile che non ci riesca? Non vuole dirla a causa della sua evidente avversione per lo stato ebraico o per paura di offendere i suoi amici e fratelli musulmani? Israele, Bergoglio, si chiama Israele, non mi stancherò mai di dirglielo. Da più di un mese i terroristi di Gaza hanno attaccato Israele, non un’ immaginaria e inesistente terra santa. Non è una parolaccia, Bergoglio, è il nome di una nazione democratica che i suoi amici e fratelli musulmani vogliono eliminare dalla carta geografica. Si chiama Israele e io mi permetto di pretendere che lei rispetti quel nome.

Ogni tanto trovo in qualche blog citazioni di Gramellini presentate come profondissime perle di saggezza: a me sembrano regolarmente banalità al cubo, cazzatine degne di un bambino un po’ tonto di seconda elementare,  scemenze meno saporite di un martello da maniscalco, prodotte da un emerito coglione. Non mi ero sbagliata nel giudicare il soggetto. Quanto al signor Bergoglio, ormai non c’è più da sorprendersi di niente.
A Gerusalemme, comunque, alla faccia dei nemici che vivono di odio e sputano fiele a tempo pieno, dopo quella americana è stata inaugurata l’ambasciata del Paraguay.

barbara

TELECOM ULTIMO (?) ATTO

Questa è la lettera che oggi porterò alla posta.

OGGETTO: disdetta del contratto relativo all’utenza XXX

Carissimi gentilissimi stimatissimi onorevolissimi bellissimi signori della Telecom,
in realtà non avrei bisogno di scrivervi questa lettera, dato che alla disdetta formale ha già provveduto Vodafone, con la quale ho sottoscritto un nuovo contratto; tuttavia, alla conclusione del quasi quarantennale matrimonio con questa Onorata Società, non posso fare a meno di due parole di spiegazione. A fine gennaio sono stata contattata con la proposta “ventinove e nove per sempre”, chiamate incluse e modem fibra. Ho accettato, chiedendomi però dove stesse l’imbroglio, dato che mai, in quasi quarant’anni, mi è capitato di avere con voi un rapporto privo di imbrogli. I primi li ho scoperti quando è venuto l’incaricato: la tariffa non è al mese bensì per quattro settimane, pertanto con tredici rate all’anno e non dodici. E chiamate e fibra non sono in accoppiata, bensì in alternativa. Ho scelto le chiamate, l’incaricato ha suggerito la fibra, ho insistito per le chiamate, lui ha insistito per la fibra, e ha continuato a insistere fino a prendermi per sfinimento. Solo dopo che avevo firmato il contratto è arrivata la rivelazione che il modem lo dovevo pagare: 240 euro. Avrei dovuto strappare il contratto; stupidamente non l’ho fatto. Quasi subito il modem ha cominciato a dare segni di malfunzionamento; ho telefonato, mi è stato detto che sarei stata richiamata entro 48 ore; non sono stata richiamata. Nel frattempo mi arriva la fattura cartacea (con due euro di tassa a carico mio), quando avevo chiesto comunicazioni online, e bollettino per pagamento in posta, quando avevo chiesto la domiciliazione, fornendo all’incaricato il mio IBAN. Chiamo per la seconda volta, mi viene assicurato che sarò richiamata entro 48 ore. Chiamo per la terza volta. Chiamo per la quarta volta. Chiamo per la quinta volta e informo che se entro 24 ore non vengo chiamata e entro 48 ore non mi vengono qui un tecnico per i problemi tecnici e un incaricato per quelli burocratici, cambio operatore. Naturalmente non sono stata richiamata. In compenso le ultime due volte mi è arrivato un grazioso SMS in cui mi si invitava a visitare un sito con un indirizzo di circa 200 caratteri (DUECENTO CARATTERI). Ora, se vi immaginate che qualcuno possa mettersi a digitare 200 caratteri copiandoli da un display che rimane acceso per dieci secondi che non bastano neppure a trovare dove si era arrivati, siete completamente pazzi. Se invece date per scontato che chiunque debba avere uno smartphone, oltre a tutto il resto siete anche deficienti.  Come se non bastasse, mi è arrivata una fattura di quasi 170 euro comprendente il pagamento fino a metà marzo per il vecchio contratto, quando dal 2 febbraio sto pagando per il nuovo, e una cifra che non ricordo per la disattivazione: ecco, mi era stato detto “nessun costo di attivazione”. Se mi fosse stato detto prima che per avere l’onore di essere servita da voi dovevo subire un’ulteriore estorsione, non avrei accettato il nuovo contratto e mi sarei rivolta subito a un nuovo operatore. Se mi fosse stato detto dopo avere firmato, avrei strappato il contratto e mi sarei rivolta subito a un nuovo operatore. Ma non mi è stato detto. Quindi sono andata in banca e ho dato ordine di non pagare: se volete estorcermi ancora altri, soldi venite a prenderveli a casa mia, e saprò come accogliervi con tutti gli onori che meritate.

Il contratto l’avevo accettato per sottrarmi al precedente contratto truffa: ventinove euro al mese tutto compreso, mi era stato detto. Non mi era stato detto che ventinove euro era al netto dell’IVA, e soprattutto non mi è stato detto che si trattava di un’offerta promozionale della durata di tre mesi: in breve tempo mi sono trovata a pagare il doppio di quanto prospettatomi.

Il contratto truffa ero stata costretta a farlo a causa di una incredibile serie di errori vostri, costatimi un’infinità di disagi e di spese: due mesi dopo avere traslocato, mi sono improvvisamente ritrovata senza internet e subito dopo anche senza telefono. Dopo un’intera settimana di frenetiche telefonate, sono arrivata finalmente ad appurare che per il numero che mi era stato assegnato era stata decisa la sospensione a causa della morosità del precedente intestatario, ma invece di cancellarlo, lo avete lasciato in circolazione e assegnato a me; due mesi dopo qualcuno si era accorto che era ancora attivo e lo ha disattivato. A me. Quindi sono stata costretta a sottoscrivere un nuovo contratto, cancellando il precedente processo di trasferimento. Nonostante le vostre gravissime responsabilità, non mi è stata accordata alcuna procedura di favore, e ho dovuto sottostare ai normali tempi di attivazione, rimanendo così per tre settimane senza telefono e senza internet, vale a dire che per tre settimane sono rimasta isolata dal mondo e che al posto delle chiamate gratis con skype sono stata costretta a chiamare unicamente dal cellulare, per il quale avevo un vecchio contratto con cui pagavo per ogni singola telefonata. Ciliegina sulla torta: per quasi un anno avete continuato a prelevarmi dal conto il pagamento del telefono della città in cui vivevo prima, che avreste dovuto disattivare il giorno stesso dell’attivazione dell’altro, dal momento che si trattava di un TRASFERIMENTO, non dell’attivazione di una linea aggiuntiva.

Cilieginina sulla ciliegina sulla torta: oggi, al momento del cambio di gestione, mi avete disattivato la linea 13 ore prima dell’attivazione da parte di Vodafone, così, giusto per gradire, per lasciare, come dire, la vostra impronta digitale.

In conseguenza di quanto detto sopra, carissimi gentilissimi stimatissimi onorevolissimi bellissimi signori della Telecom, prima di congedarmi definitivamente da voi, desidero esprimervi tutta la mia ammirazione e tutta la mia infinita e profondissima gratitudine per essere quella meravigliosa, stupenda, inestimabile, ineguagliabile incommensurabile associazione benefica che tutti conosciamo, tale da eclissare San Francesco e Madre Teresa messi insieme (questa cosa qui per la verità l’avevo inizialmente scritta in modo un po’ diverso ma poi il mio avvocato, preoccupato che toni un po’ troppo bruschi potessero turbare la vostra delicata e fragile sensibilità, mi ha suggerito di apportare qualche modifica). In segno di riconoscenza ho deciso di rinunciare a farvi causa per farmi restituire le molte centinaia di euro di cui vi siete abusivamente appropriati, e risarcire di tutti i disagi che mi avete provocato: avere ancora a che fare con voi mi farebbe immenso piacere, ma non desidero procurarvi delle noie. Pagherò ancora la fattura del mese di maggio, anche se non vi spetterebbe del tutto; dopodiché, come detto, se avete intenzione di pretendere altri soldi, veniteli a prendere a casa mia, dove vi accoglierò con la stessa incommensurabile benevolenza, sollecitudine e soprattutto generosità che voi sempre avete prodigato a me.

POST SCRIPTUM: resto sempre in attesa che qualcuno si venga a prendere il vostro stramaledettissimo modem mal funzionante.

barbara

IL NEONATO ABBANDONATO A BRESCIA

Lascio per un momento – solo un momento – le pur incalzanti notizie provenienti da Israele e dintorni, per occuparmi di un fatto di cronaca.

I fatti
Un neonato tra i sette e i dieci giorni viene abbandonato di sera in un vicolo nel centro di Brescia; un residente vede la carrozzina dalla finestra, va a controllare, vede il neonato e avverte le forze dell’ordine, che vengono a prendere il bambino e lo portano all’ospedale.

Le considerazioni
Il bambino è stato trovato “in ottime condizioni”, vale a dire che fino al momento dell’abbandono era stato nutrito, pulito, curato. Possiamo azzardare un’ipotesi? Possiamo immaginare che quel bambino fosse AMATO?
Il bambino è stato lasciato nella sua carrozzina, non gettato in un cassonetto: si voleva che vivesse.
È stato lasciato in pieno centro, non in qualche deserta periferia: si voleva che fosse trovato il più presto possibile.
Nella carrozzina c’erano una coperta, dei cambi, un biberon: si voleva che chi lo avesse trovato potesse far fronte immediatamente a qualunque necessità del bambino.

Le mie conclusioni
Una donna porta a termine una gravidanza, pur avendo la possibilità di fare altrimenti. Questa donna, una volta partorito, tiene con sé il bambino per una decina di giorni, lo cura, lo nutre, lo pulisce con un’attenzione che forse non è azzardato chiamare amore. La mia conclusione è: che razza di società di merda abbiamo se una donna si trova costretta ad abbandonare un figlio amato? (Ulteriore considerazione “razzista”: avrebbe potuto tenerlo con quei 35 euro al giorno che lo stato spende per gli invasori clandestini?).

(E per non farci mancare niente: lo sciacallaggio

Viene da Bresciatoday:

“Poteva andare male, malissimo: per fortuna i residenti se ne sono accorti.“ [non potevano non accorgersene, visto che è stato lasciato in un posto abitato in prima serata]

“sotto la pioggia di maggio“ [sembrerebbe che “di maggio” sia un’aggravante: sarebbe stata meglio la pioggia di gennaio?]

“Di chi è figlio non si sa ancora, si sa soltanto che è stato abbandonato.“ [abbandonato è ripetuto cinque volte nel corso del breve articolo, e sempre solo per fare scena, senza aggiungere alcunché alle informazioni]

“I primi due sono corsi a vedere: il piccolo singhiozzava, spaventato, forse aveva freddo.“ [nessun altro articolo riporta questo genere di dettagli; a parte questo, ammesso che sia vero che singhiozzava, che cosa ne sa l’insigne articolista del motivo? E davvero un bambino di una settimana può essere spaventato? Per non parlare dell’ultima aggiunta, messa lì per fare ancora più scena]

“qualcun altro che l’avrebbe sentito piangere, [bello questo tocco di pathos]

perfino qualcuno che è passato in zona in automobile“ [eh, ce lo immaginiamo il traffico che deve esserci su questa poderosa arteria della metropoli tentacolare:
Vicolo delle Nottole 1
Vicolo delle Nottole 2
Da fare concorrenza alla Cristoforo Colombo]

Sono troppo cattiva se dico che certi giornalisti, a cui le tragedie che accadono, comprese quelle che coinvolgono bambini, non sembrano sufficienti e hanno bisogno di decorarle, andrebbero presi come minimo – ma proprio minimo – a randellate sulle gengive?)

barbara