YAD VASHEM

Dato che ci ero già stata, non ho ritenuto il caso di entrare una seconda volta, e il tempo in cui il gruppo ha effettuato la visita al museo, l’ho usato per andarmene un po’ in giro a vedere altre cose. Così ho gironzolato per i viali, ho fatto un po’ di foto,
Yad Vashem 1
Yad Vashem 2
Yad Vashem 3
Yad Vashem 4
Yad Vashem 5
ho tentato – inutilmente, come ho raccontato qui – di andare a vedere la valle delle comunità. Ho visitato la sinagoga,
Yad Vashem 6
e poi mi sono fermata al padiglione dei Giusti. È una grande sala con alcuni schermi sui quali scorrono, senza soluzione di continuità, testimonianze sui Giusti.
Sullo schermo più vicino all’ingresso, proprio nel momento in cui sono entrata, stava andando la testimonianza di Emanuele Pacifici, sopravvissuto bambino alla Shoah grazie alle suore e rimasto poi gravemente ferito nell’attentato alla Sinagoga del 9 ottobre 1982. Ha raccontato la storia, che conoscevo, della suora che ogni sera, al momento di andare a letto, porgeva a ogni bambino il crocefisso da baciare; anche il piccolo Emanuele, per non farsi scoprire, doveva fare come gli altri, ma quando era il suo turno la suora sollevava due dita a coprire il crocefisso, in modo che le labbra del bambino si posassero sulle sue dita, e non sul Cristo. E ha raccontato un’altra cosa, che non sapevo, e cioè che la suora aveva anche imparato a memoria la berakhah sui figli in ebraico, in modo da potergli impartire quella benedizione che sua madre non poteva più dargli.
In un altro schermo c’erano testimonianze sui Giusti non sopravvissuti, quelli che per il proprio aiuto dato agli ebrei avevano pagato con la vita. Uno, in particolare, mi ha colpito: un lituano che non è stato ucciso dai nazisti; da loro non era stato scoperto, e sia lui che i suoi protetti erano arrivati sani e salvi alla fine della guerra. A ucciderlo sono stati i compatrioti lituani quando, finita la guerra e l’occupazione tedesca, hanno scoperto che aveva aiutato degli ebrei. Perché l’odio per gli ebrei è più forte di ogni cosa, anche dell’odio contro un comune nemico sterminatore.

E per restare in tema di odio antiebraico e sterminio, visto che oggi è Purim, ossia una ricorrenza che ricorda come agli ebrei, per sopravvivere, non servano aiuti speciali dall’esterno, ma unicamente la possibilità di difendersi (quella possibilità che ancora oggi, sotto il ridicolo pretesto delle cosiddette “risposte sproporzionate” si vorrebbe loro negare), vi invito a leggere il solito, imprescindibile Ugo Volli.
E ricordiamo sempre che la vittoria, prima o poi, arriva.
vittoria

barbara

Una risposta

  1. Una volta ho viaggiato in aereo con Emanuele Pacifici. Al momento di passare sotto al metal detector mi ha sussurrato “Guarda ora che succede”. Lui è passato e sono scattati tutti gli allarmi possibili. Così ho scoperto che Emanuele porta ancora dentro di se le schegge di quell’attentato.
    P.s. Chi è la donna con in braccio il bambino?

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    • La donna non so, e non ricordo neanche dove l’ho trovata, ma ricordo che l’ho conservata proprio per il potente messaggio che manda, come quella della tua famiglia che hai messo qualche tempo fa, con il bellissimo commento che ha aggiunto Erasmo, e come la vignetta che avevo postato io, con il trofeo dei sopravvissuti.
      Ricordo che avevo letto che era stato uno dei feriti più gravi, se non il più grave in assoluto, deve avere subito anche la tracheotomia, se non ricordo male. E anche Gadiel, il fratello di Stefano, ha riportato danni gravi permanenti.

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  2. Pensa che Emanuele Pacifici, creduto morto, venne disteso accanto al piccolo Tachè sotto ad un lenzuolo bianco. Rav Toaff gli andò a dare l’ultimo saluto e si è accorse che ancora respirava. L’allora rabbino capo ha così richiamato l’attenzione dei soccorritori salvandogli la vita.

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