UN ALTRO PAIO DI DOZZINE COME QUESTA

E la guerra finisce.

Alcuni dei leader arabi stanno mantenendo un orribile e assordante silenzio. Non cercano di calmare la situazione, non provano a fare qualcosa per la comprensione reciproca e l’accettazione dell’altro. Stanno invece gettando benzina sul fuoco, senza capire che quando si calmeranno le acque saremo proprio noi [arabi israeliani n.d.t.] a pagare un prezzo molto alto. La seconda intifada ha avuto un prezzo altissimo per gli arabi israeliani e per i palestinesi. Non stiamo imparando dagli errori. Non capisco… Anche lo status quo è stato rotto, cosa che in realtà è falsa, e al momento i gruppi estremistici incitano l’atmosfera. Anche se lo status quo sul Monte del Tempio fosse stato rotto, questo permetterebbe a qualcuno di andare e uccidere chiunque perché lì è un posto sacro? o a causa della religione o perché un ebreo è andato lì a pregare nella casa di Dio? Non posso capirlo e non posso accettarlo. Perché a causa di Dio? Di quale dio stanno parlando? Un dio che permette che dei bambini escano di casa a uccidere persone innocenti? Che una donna indossa ‘hijab e prega Dio, tira fuori un coltello e prova ad accoltellare gente innocente? Non posso capirlo e non posso giustificarlo per nessuna ragione. Non posso accettarlo. Nemmeno spiegarlo con la frustrazione. La leadership araba in Israele è debole. Sanno solo marciare sul Monte del Tempio per urlare sebbene non credano in Dio, non hanno una religione [nella maggioranza fanno parte del partito comunista e nazionalista arabo, coalizzati nelle ultieme elezioni con i jihadisti n.d.t.], ma urlano che quel luogo gli appartiene. Di che stanno parlando? Di che posto “nostro” state parlando? E’ la casa di Dio. Del “vostro” Dio? Ne siete proprietari? Ma che state dicendo? voi incitate migliaia di ragazzi ad uscire per strada. State distruggendo il loro futuro con le vostre mani.

Poi vai anche a leggere qui e qui.

 

barbara

INFORMAZIONI A CONFRONTO 1

Questo lavoro, come potete vedere, al pari del prossimo che pubblicherò, è molto vecchio. Ma, purtroppo, drammaticamente attuale, e per questo ritengo utile ripresentarlo.

La battaglia di Jenin secondo i media italiani

Lorenzo Cremonesi, 12.4.2002, Corriere della Sera

JENIN (Cisgiordania) – Città fantasma anche nelle due ore in cui gli israeliani sospendono il coprifuoco. I cingolati sembrano essersi divertiti a salire sui marciapiedi e a sventrare le tettoie in ferro all’ingresso di numerosi negozi.
Gran parte dei lampioni all’entrata di Jenin, sulla provinciale per Nablus, sono stati divelti. Il palazzo della municipalità è circondato dai crateri delle bombe.
Ecco com’è ridotta Jenin, quella che Sharon definisce «la capitale storica del terrorismo arabo».
Una città da punire. E le distruzioni aumentano via via che ci si avvicina al campo profughi. Nelle sue vicinanze, un gruppo di persone fa ressa attorno a un fornaio, l’unico assembramento nella via altrimenti deserta.
«Ho paura, vorrei poter scappare. Ma non so dove», dice Mohammad Alí, un cinquantenne venuto di corsa come tanti altri a prendere un po’ di pane. «Qui è la follia. Gli israeliani sparano su tutto ciò che si muove. Abbiamo notizie di massacri. C’è chi dice 500 morti, chi 1.000. Si parla di fosse comuni con i bulldozer dell’esercito che cercano di nascondere le prove come a Srebrenica, come a Sabra e Chatila», aggiunge un ragazzo con gli occhi pesti per le notti insonni.
Le bombe cadono a poche centinaia di metri, proprio dove sta il campo profughi, lo stesso da dove negli ultimi mesi sono partiti decine di kamikaze pronti a farsi saltare in aria nelle piazze israeliane.
Si dice che la stragrande maggioranza dei suoi 15.000 abitanti siano fuggiti, che gli israeliani stiano distruggendo progressivamente gran parte delle sue abitazioni. I portavoce militari negano con decisione. «Al massimo 100 morti, e la maggioranza terroristi ricercati», dicono al ministero della Difesa. Il dottor Hussein Sherkawi, direttore dei servizi medici d’emergenza in Cisgiordania, parla di «almeno 140, ma ci sono anche moltissimi civili sotto le macerie. Gli israeliani bloccano le ambulanze». Gli uomini di Arafat chiedono un’inchiesta dell’Onu.
Ma per i giornalisti la verifica diretta resterà solo un’aspirazione incompiuta. Anche qui Israele ci vuole tenere lontani. A Jenin si arriva a piedi per le colline, lungo viottoli di campagna nascosti da oliveti centenari. Il campo profughi resta tabù. Questa mattina alle sue porte alcuni colleghi della Bbc e della Associated Press sono stati fermati dai soldati, che con durezza hanno sequestrato loro filmati, registrazioni e block notes. Per noi il momento più difficile è quando un tank Merkavà si frappone tra la nostra vettura e quella di un abitante di Jenin, e apre il fuoco con la mitragliatrice pesante sulle case di fronte. Un avvertimento efficace.
Poi carri armati e cingolati sono tornati a sferragliare nelle strade con gli altoparlanti che a tutto volume gridavano: «Manuah Hajawal», che in arabo significa coprifuoco. Dopo una parentesi tra mezzogiorno e le quattordici, le strade tornano completamente vuote. Bloccata anche la strada per lo Hillal, l’ospedale principale. E allora indietro verso i villaggi sulle colline.
Alle quattro del pomeriggio gli elicotteri volano alti. Fa caldo, il cielo è terso. Appena lasciata la città si torna a vedere gente: contadini nei campi, donne nelle serre, qualche trattore. Questo è il cuore della Cisgiordania rurale, fatta di terra scura, terra fertile, ricca di sorgenti. In lontananza si scorge la Valle di Yzreel, dove un secolo fa iniziò il sogno del sionismo agricolo, si posero le basi dei primi kibbutz. Al villaggio arabo di Rumane, termina la Cisgiordania, Jenin è a una decina di chilometri indietro. Qui passa il confine precedente la guerra del 1967. Ora si deve proseguire tra la vegetazione bassa. E dopo venti minuti comincia Israele.

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La battaglia di Jenin secondo i media arabi, 24 aprile 2002

Combattere l’IDF (Israel Defence Force)
Lo Sceicco Jamal Abu Al-Hija, comandante delle Brigate Hamas Izz Al-Din Al-Qassam nel campo profughi di Jenin, ha detto in un’intervista al sito web di Hamas che i membri di varie fazioni, “assieme a volontari delle forze di sicurezza palestinesi”, si preparavano in anticipo per l’ incursione israeliana. [1] Lo Sceicco Abu Al-Hija ha fornito maggiori dettagli sullo scontro, per telefono, al canale televisivo del Qatar Al-Jazeera, affermando: “[Abbiamo piazzato] congegni esplosivi sulle strade e nelle case; sorprese [attendono] le forze di occupazione. In molti posti, ci sono scontri tra i Mujahideen [2] e le forze di occupazione… Le forze di occupazione scappano, nel panico, dal campo di Jenin, ma intensificano l’uso di trattori, aerei e carri armati contro il campo. La verità è che si sta conducendo la lotta quartiere per quartiere, come una guerriglia. I Mujahideen stanno usando pistole automatiche, congegni esplosivi e granate a mano…”.[3]
Il quotidiano londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat ha citato quel che ha detto lo Sceicco Abu Al-Hija: “Le forze combattenti, da tutte le fazioni nel campo, sono state equipaggiate con cinture esplosive e granate”. [4] Lo stesso Sceicco ha dichiarato al settimanale giordano Al-Sabil: “I Mujahideen sono riusciti ad assediare nove soldati sionisti dentro una casa, e li hanno attaccati utilizzando granate a mano e bombe finché la casa non è andata in fiamme con dentro i soldati di occupazione. I testimoni hanno riferito che le forze di occupazione hanno estratto i soldati bruciati e carbonizzati”[5]
Bambini palestinesi e zainetti di scuola riempiti di esplosivi
Il comandante della Jihad islamica nel campo profughi di Jenin, Abu Jandal,[6] è stato intervistato più volte da Al-Jazeera durante il combattimento. In una conversazione, Abu Jandal ha detto: “Questo è il secondo giorno consecutivo che le forze di occupazione israeliane stanno cercando [di entrare nel campo] con l’aiuto di elicotteri Apache e di carri armati. Ma la fermezza dei combattenti che, all’inizio della battaglia, hanno giurato di non consentire [all’IDF] di avanzare verso questo campo, difende l’onore della nazione araba dai vicoli del campo profughi di Jenin. Ci sono stati vari tentativi da diverse strade, ma sono stati bloccati. La verità è che i nostri combattenti sono passati all’offensiva; oggi abbiamo continuato l’offensiva. Il comandante dell’unità israeliana è stato ucciso questa mattina, a 50 metri dal palazzo dal quale vi sto parlando. Io, comandante della battaglia del campo di Jenin, ho scelto per me stesso il nome di ‘Il martire Abu Jandal’, perché tutti i combattenti attorno a me sono dei martiri. Credetemi, ci sono bambini collocati nelle case con cinture esplosive ai fianchi… Oggi, uno dei bambini è venuto da me con il suo zainetto. Gli ho chiesto cosa volesse, e lui ha risposto: ‘Invece dei libri, voglio un congegno esplosivo, per attaccare…'”
Alla richiesta di quanto a lungo i suoi uomini sarebbero stati in grado di resistere contro le forze armate israeliane, visto che tutto quel che avevano erano armi leggere, Abu Jandal ha risposto: “No. Non è esatto. Noi abbiamo l’arma della sorpresa. Abbiamo l’arma dell’onore. Abbiamo l’arma divina, l’arma di Allah che resta al nostro fianco. Abbiamo armi migliori delle loro. Io sono quello con la verità, e ripongo la mia fiducia in Allah, mentre loro la ripongono in un carro armato”.[7]
Lo Sceicco Abu Al-Hija ha anche dichiarato: “Alcuni dei giovani restano saldi, e riempiono i loro zainetti di congegni esplosivi”.[8] In un’altra occasione, lo stesso Sceicco ha avuto difficoltà a valutare il numero di vittime israeliane: “E’ difficile fornire dati precisi, e non possiamo valutare la battaglia contando le perdite del nemico. Ma il riconoscimento del nemico di 24 uccisi e 130 feriti testimonia che ha subìto molte perdite. L’elenco dichiarato dall’esercito di occupazione comprende solo i nomi degli ebrei [uccisi] e trascura quelli dei soldati drusi e lahad [cioè dell’esercito sud-libanese] che hanno preso parte a tutte le passate incursioni e che [vi parteciperanno] anche in futuro. La nostra stima è che il nemico abbia subìto perdite molto più grandi”.[9]
Al-Sharq Al-Awsat ha riferito che a Jenin una donna palestinese chiamata Ilham ‘Ali Dasouqi si era fatta esplodere in mezzo ai soldati israeliani, uccidendone due e ferendone sei. Il giornale ha citato una fonte tra le Brigate Martiri di Al-Aqsa, che ha detto che lei ‘aveva seguito il percorso di Nasser ‘Uweis’, che si era fatto esplodere vicino ai soldati a Nablus. [10] Ma ‘Uweis, comandante delle Fatah’s Al-Aqsa Martyrs Brigades in Samaria, è stato arrestato alcuni giorni dopo. Sembra che le notizie sulla sua morte in un attentato suicida siano state un tentativo di agevolarne la fuga.
Il settimanale Al-Ahram sponsorizzato dal governo egiziano ha fatto un’intervista ad “Omar”, un giovane costruttore di bombe della Jihad Islamica, noto come ‘ingegnere’, che ha discusso di come i palestinesi abbiano disseminato di trappole Jenin, includendo la partecipazione di donne e bambini nelle battaglie.[11] “Lui è un membro della Jihad Islamica, ma dice che a Jenin tutte le fazioni sono fedeli a una sola causa: liberazione o morte…’. ‘Tra tutti i combattenti nella West Bank noi eravamo i più preparati’, dice. ‘Abbiamo cominciato a lavorare al nostro piano, intrappolare i soldati invasori e farli esplodere, dal momento in cui i carri armati israeliani erano usciti da Jenin il mese scorso'”.
Il giornale ha spiegato: “Omar ed altri ‘ingegneri’ hanno fabbricato centinaia di congegni esplosivi ed hanno scelto attentamente le loro posizioni. ‘Avevamo più di 50 case-trappola intorno al campo. Abbiamo scelto edifici vecchi e vuoti e le case di uomini ricercati da Israele, perché sapevamo che i soldati li avrebbero cercati’, ha detto [Omar]. ‘Abbiamo tagliato tratti delle principali tubazioni d’acqua* e li abbiamo impacchettati con esplosivi e chiodi. Quindi, li abbiamo piazzati a circa quattro metri di distanza dappertutto nelle case, nelle credenze, sotto i lavandini, nei divani’. I combattenti speravano di disarticolare i carri armati dell’esercito israeliano con bombe molto più potenti, piazzate nei bidoni della spazzatura, per le strade. Altri esplosivi erano stati nascosti nelle auto degli uomini più ricercati di Jenin. Collegate da fili, le bombe sono state attivate a distanza, innescate dalla corrente di una batteria d’auto”.
“Secondo Omar, tutti nel campo, compresi i bambini, sapevano dove erano collocati gli esplosivi, in modo che non ci fosse stato per i civili alcun pericolo di rimanere feriti. Quello era il solo punto debole nel piano. ‘Siamo stati traditi da spie tra noi’, dice. I fili di più di un terzo delle bombe sono stati tagliati da soldati accompagnati da collaboratori. ‘Se non fosse stato per le spie, i soldati non sarebbero mai riusciti ad entrare nel campo. Una volta penetrati, è stato molto più difficile difenderlo'”.
“E l’esplosione e l’imboscata di martedì scorso, che hanno ucciso 13 soldati? ‘Sono stati attirati là’, dice. ‘Abbiamo tutti smesso di sparare e le donne sono uscite per dire ai soldati che noi avevamo finito le pallottole e ce ne stavamo andando’. Le donne hanno avvertito i combattenti che i soldati avevano raggiunto l’area-trappola. ‘Quando gli ufficiali maggiori hanno capito quel che era successo, hanno gridato con i megafoni che volevano un immediato cessate il fuoco. Gli abbiamo permesso di avvicinarsi per recuperare gli uomini e quindi abbiamo aperto il fuoco. Alcuni dei soldati erano così scioccati e impauriti che, per errore, sono corsi verso di noi'”.
Jamal Huweil, un comandante delle Al-Aqsa Martyrs Brigades nel campo di Jenin, ha detto al quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat che “quattro soldati israeliani sono stati uccisi e [i palestinesi] hanno preso le loro armi automatiche. I giovani con i congegni esplosivi hanno anche messo fuori uso quattro carri armati israeliani”. [12]
Raed ‘Abbas, un combattente del Fronte democratico per la liberazione della Palestina (FDLP) nel campo di Jenin, ha detto ad Al-Hayat : “Tutti i combattenti avevano giurato di lottare fino alla fine… Non abbiamo altra scelta che combattere, e questa è la decisione di tutti. La voce di combattenti che si arrendono è completamente falsa. Se fosse vera, come mai due soldati israeliani sono stati uccisi lunedì mattina? Noi stimiamo che le loro perdite siano molto più gravi di quel che viene riferito. Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve. Loro hanno fallito in tutti i tentativi di avanzata; i nostri combattenti si stanno facendo esplodere davanti a loro e stanno piantando congegni esplosivi nelle strade. La situazione è estremamente terribile. Le forze aeree [israeliane] continuano il bombardamento. Alcuni attimi fa hanno lanciato parecchi missili, che hanno incendiato molte case”.[13]
Tutti i palestinesi intervistati hanno sottolineato la loro intenzione di combattere fino alla morte, anche negli ultimi giorni della battaglia. Lo Sceicco Abu Al-Hija è stato citato dal quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, Al-Bayan, per aver detto: “Dopo questi giorni di fermezza e di resistenza unica, i combattenti di Jenin ripetono il loro motto ‘Nessuna resa: o vittoria o martirio’. La nostra forza è nel nostro essere veri Mujahideen di fronte al nuovo nazismo” [14]. Fonti palestinesi non identificate hanno aggiunto: “Le munizioni dei combattenti nel campo sono finite, ed essi hanno scelto il martirio. Stanno combattendo con coltelli e pietre, e si fanno esplodere davanti ai soldati di occupazione”.[15] Haj ‘Ali, un comandante delle Islamic Jihad’s Al-Quds Brigades, ha detto che la resistenza palestinese continua la sua lotta intensa, e non permetterà ai soldati di occupazione di impossessarsi del campo”. [16]
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[1] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [2] Cioè guerrieri Jihad. [3] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002. [4] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [5] Citato in Al-Shaab (Egitto), 19 aprile 2002. [6] Centro palestinese per i diritti umani: rapporto settimanale sulle violazioni israeliane dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, 11-17 aprile 2002. Dopo la comunicazione della sua morte in battaglia, è stato annunciato che il suo vero nome era Hazem Ahmad Rayhan Qabha. [7] Al-Jazeera (Qatar), 4 aprile 2002. [8] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [9] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [10] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [11] http://www.ahram.org.eg/weekly/2002/582/6inv2.htm. [12] Al-Hayat (Londra), 5 aprile 2002. [13] Al-Hayat (Londra), 9 aprile 2002. [14] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 10 aprile 2002. [15] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 11 aprile 2002. [16] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002.

*Ricordate le rabbiose accuse all’esercito israeliano di tagliare le tubature dell’acqua per farli morire di sete? [ndb]

Ricordiamo anche come all’epoca in televisione, sui giornali, in internet, venissero presentate unicamente immagini come questa
Jenin
per far credere che l’intera Jenin fosse ridotta a un cumulo di macerie. E magari venivano mostrate le riprese aeree
Jenin 1
La verità la dice invece Raed ‘Abbas: “Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve”. Esattamente così:
jenin 2
Perché la questione è tutta lì: quale parte scegli di inquadrare
solounaparte
barbara

BASTA CON LA FROTTOLA DELL’ANTISEMITISMO

Gli eventi di questi ultimi giorni mi hanno indotta a ripescare dal mio archivio questo articolo di dodici anni e mezzo fa. Si era all’inizio della cosiddetta seconda intifada – in realtà violenta guerra terroristica accuratamente preparata da Arafat nel corso di lunghi anni – e l’evento, anziché solidarietà nei confronti di Israele che dopo aver tentato l’impossibile per accontentare ogni richiesta della controparte veniva brutalmente aggredita, aveva scatenato un’ondata senza precedenti dal secondo dopoguerra non solo di odio anti israeliano, ma anche di aperto antisemitismo. Che da allora non si è più fermato.
NB: i refusi sono tutti nei commenti originali.

Da  “Il Giornale” del 6 aprile 2001, articolo di Antonio Socci

Quei messaggi antisemiti del popolo di Repubblica

Il “caso” è questo. Una piccola bambina ebrea di 11 mesi, Shalhevet, viene uccisa a Hebron da un cecchino palestinese. Repubblica condanna (com’è naturale) il crimine, ma poi sorprendentemente usa questa tragedia per mettere sotto accusa “il governo israeliano” che sarebbe reo di usare una fotografia “come arma di guerra”. Quel governo avrebbe infatti “deciso, con il consenso dei genitori, la diffusione dell’immagine-choc della piccola Shalhevet”. Essendo una “foto forte”, terribile Repubblica spiega di aver “deciso di non pubblicare questa immagine”, come “atto di sensibilità verso i lettori” e “pietà per la bambina”. Però il giornale di Piazza Indipendenza nel suo sito Internet chiama i suoi lettori nel forum telematico a discutere sulla seguente domanda: “Cosa pensate della scelta israeliana? E’ giusto, in generale, mostrare gli orrori della guerra per utilizzarli come strumento nel conflitto?”
Qualche raro lettore ha protestato perché il governo israeliano non c’entra nulla con la foto la cui diffusione è stata voluta dai genitori della piccola. Eppoi altri hanno ricordato che nessuno si è fatto scrupoli nel mostrare le riprese della morte del bambino palestinese Mohamed Al Durra la cui uccisione fu attribuita all’esercito israeliano (a dire il vero poi si è scoperto che era stato colpito dai cecchini palestinesi). Ma quello che più sconcerta sono i messaggi dei lettori di Repubblica, che sono in gran parte “politically correct”, che fanno professione di pacifismo, di ostilità alla violenza, al razzismo e naturalmente all’imperialismo e alla famigerata globalizzazione. E’ quell’area di opinione che pretende di essere “l’Italia migliore”. Qualche esempio dai messaggi pubblicati nel Forum.
Un lettore si scatena contro “l’ottusità, il razzismo e il terrorismo dell’ideologia ufficiale del polipo eletto” (temo che quel “polipo” non sia un refuso) e minaccia di “scaricare sul forum sei milioni di tonnellate di documenti sulla superpatacca del XX secolo. E’ ora basta con la frottola dell’antisemitismo”.
Un altro si rivolge ai (pochi) filoisraeliani dicendo loro che “fascisti noti sono dalla vostra parte”. Una lettrice tuona: “Il Medio Oriente è troppo importante per loro. Inizio a pensare che l’Olocausto sia stata un messa in scena per giustificare un’ovvia strategia. La creazione di uno Stato fantoccio inteso come testa di ponte, nonché elemento destabilizzatore incuneato nel mondo arabo”, “esattamente come (le truppe americane) hanno occupato l’Europa per tenere a bada le bestie bolsceviche”.
Un altro lettore esprime “la più assoluta solidarietà al popolo palestinese per la brutale repressione posta in essere dai neofascisti mondiali di religione ebraica. Non è possibile che un popolo così brutalmente perseguitato in tutta la storia dell’umanità, ora si comporti alla stregua dei suoi nemici “nazifascismi”. Un altro si lancia in un curioso distinguo, riciclando i tipici stereotipi della storiografia di sinistra: “Non considero il popolo degli ebreo correo delle malefatte del governo israeliano più di quanto non considero il popolo italiano correo del terrorismo che la DC ha subdolamente creato negli anni Settanta. Detto ciò voglio dire senza mezzi termini che il governo israeliano è un governo razzista e ultraviolento, invasore e prepotente. Che il suo comportamento mi disgusta e scandalizza e che facendo leva sulla tragedia che ha commosso tutti noi è diventato il carnefice orrendo di un popolo che ha una sola colpa: non avere la potenza economica e bellica per opporsi a un invasore che gli è piombato in casa portando violenza, sopraffazione e sta perpretando un vero e proprio genocidio”.
In quasi tutti questi messaggi traspare una pressoché totale ignoranza dei fatti mediorientali. Un lettore scrive: “Caro Levy, voi sionisti siete nazisti”, “Israele è nata da una pulizia etnica ed è fondata sull’apartheid”. Un altro difende la scelta di Repubblica e attacca: “Quello che non mi stupisce è la scelta israeliana di pubblicare. L’Olocausto sembra un ombrello infinito per gli israeliani, una tragedia che garantisce un ampio margine di manovra”. Uno improvvisa una storia del secolo: “Sulle macerie dell’impero turco sono nate le colonie europee. Sulle macerie del nazismo nasce l’impero americano globale. Nasce anche lo Stato di Israele”. Un’altra voce: “Con una sorta di impunità morale, Israele, sostenuta dai potenti Stati Uniti che sanno che la lobby filoisraeliana negli USA fa eleggere o no i presidenti, continua imperterrita nel genocidio del popolo palestinese”. C’è chi aspetta il giorno in cui “bandiere rosse e bandiere verdi” sventoleranno insieme, mentre un altro attacca “il delirio di potenza sionista” denunciando i dollari che dagli Stati Uniti vanno Israele “per mantenere in vita un regime coloniale di terrore che nega i più elementari diritti umani, la cui negazione è tale da far impallidire la questione tibetana”. Parole stupefacenti se si considera che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, circondata da regimi tirannici, ma che i lettori di Repubblica sembrano non conoscere. Uno che si definisce “anarchico” lancia una invettiva contro “le amenità che i fascisti e sionisti vari continuano a ripetere”, sono solo dei “provocatori”, ma “la ferocia e il nazismo dello Stato d’Israele è sotto gli occhi di tutti”, “Israele si sta comportando come la Germania delle SS e l’Italia delle camicie nere”. Infine sarebbe “un atto di sciacallaggio pubblicare la foto (della bambina)”. Un lettore fa sapere che pur essendo “gli ebrei” una “forza giornalistica”, una “forza cinematografica” e una “forza televisiva”, cionondimeno la maggioranza delle persone civili pensa che “Israele abbia torto”.
Come si vede una raccolta strepitosa di vecchi stereotipi, pregiudizi, odio che hanno indotto un lettore a scrivere a Repubblica: “Sono desolato per l’ondata di antisemitismo che siete riusciti ad evocare”.
Deborah Fait –da Israele- è intervenuta segnalando questo Forum per “uno studio sull’antisemitismo in Italia”. Se consideriamo rappresentativi questi messaggi “la situazione della democrazia in Italia è disperata” dice la Fait. Infatti “quasi tutti gli interventi sono contro Israele e a favore dei gruppi terroristici palestinesi. Non ho letto, se non da parte di qualche rara persona, un intervento che criticasse la scelta inqualificabile di Arafat alla guerra mentre poteva firmare la pace e la nascita della nazione palestinese”. Infine, si sono lette una quantità di accuse “ridicole e pericolose”, mentre si nota “un assoluto silenzio sul terrorismo internazionale islamico. E questo in nome del falso pacifismo italiano. Forse la redazione di Repubblica sarà soddisfatta poiché il forum da essa creato segue la linea del giornale da sempre anti-israeliani”.
Di pietà per la piccola Shalhevet in questo forum, in effetti, quasi non se n’è vista. Di comprensione per i violenti tantissimi.

Già, la pietà per le vittime non è di moda, ed è diventata merce rara su tutti gli scaffali.

barbara

CORSI E RICORSI

Questo l’ho ricevuto stamattina dal mitico Livuso

GAZA: HAMAS, VICINI A NUOVA INTIFADA CONTRO ISRAELE
Il movimento islamico palestinese di Hamas ha annunciato di essere sull’orlo di una nuova Intifada contro Israele, la terza. In un messaggio postato su Facebook, infatti, il numero due dell’ufficio politico di Hamas Moussa Abu Marzouk ha scritto che ”siamo di fronte al fallimento politico dell’Autorità nazionale palestinese (l’Anp) e all’inizio di una nuova Intifada popolare* contro Israele”. In merito al piano di pace tra israeliani e palestinesi ripreso ad agosto dopo tre anni di stallo e con la mediazione degli Stati Uniti, il funzionario di Hamas afferma: ”Il piano economico da 4 milioni di dollari di John Kerry non ci toglierà dai guai”.
Vari gruppi palestinesi hanno inoltre convocato per venerdì una ”giornata della rabbia” in occasione del 13esimo anniversario dell’Intifada di Al-Aqsa.

* Dovendosi supporre che “popolare” significhi “fatta dal popolo”, “nata dal popolo”, e che quindi popolare sia da intendersi più o meno come sinonimo di spontanea, per chiarirti le idee in merito vai a leggere qui.

Quest’altro invece mi è stato inviato dodici anni nove mesi e quattordici giorni fa dall’altrettanto – anche se diversamente – mitico Toni in occasione della “giornata della rabbia e dell’odio” di turno.

Tu sei più forte di me ma io un pugno te lo do lo stesso perché ti odio.
Ma non ti faccio molto male. Tu magari alzi il braccio per non prendere il mio pugno e non sei cristiano e non porgi l’altra guancia.  Al decimo mio pugno ti stufi e mi rifili uno sganassone che mi fai un male bestia. Perdo qualche dente che mostro incazzato e un po’ piangente  alla telecamera politically correct a cui dico che sei cattivo cattivo. Se il mio dente è da latte fa ancora più impressione soprattutto al pubblico dello Zecchino d’Oro e delle telenovela.
Porto il dente in processione.
Dichiaro una giornata dell’odio.
Durante la giornata dell’odio ci riprovo e perdo un altro dente.
Ri-dichiaro un’altra giornata dell’odio.
Rimango così senza denti.
Smettiamo per un po’ fino a quando i miei amici e i telespettatori mi danno un po’ di soldi per comprare una dentiera nuova: alcuni lo fanno perché io possa mangiare, altri perché hanno bisogno di processioni.
Poi ricominciamo.
The circle of life direbbe il re leone.

Poi magari, visto che si sta parlando di quanto è cattiva cattiva cattiva Israele che, come tutti sanno, pratica l’apartheid (a proposito, lo sai che il giudice che ha presieduto il processo in cui è stato condannato alla galera l’allora presidente dello stato di Israele di cui ho parlato nel post precedente, è arabo?), potresti andare a guardare questo.

barbara

MITI DEL MEDIORIENTE

Questo articolo di Josef Farah, giornalista arabo americano, è di dieci anni fa.

Ho mantenuto il silenzio da quando in Israele è iniziata la battaglia sulla spianata del Tempio.
Finora mi sono trattenuto dal dire “Ve l’avevo detto”, ma non posso più resistere: devo citare l’articolo scritto 2 settimane prima dello scoppio.
Sì, l’ho previsto, ma non importano gli applausi. Magari mi fossi sbagliato.
Più di 80 persone sono state uccise nella battaglia intorno a Gerusalemme: per quale motivo?
Se credete alla maggior parte delle fonti di informazione, i palestinesi vogliono una patria e i musulmani vogliono avere il controllo di un posto che considerano sacro.
Semplice, vero?
Ebbene, come giornalista arabo americano, che ha passato un lungo periodo in medioriente, schivando pietre e schegge di mortai, vi devo dire che queste sono false scuse, falsi pretesti per una rivolta, per creare disordini e accaparrarsi della terra.
Come si spiega che prima della guerra del ‘67 non c’era nessun movimento serio per una patria palestinese?
Mi direte, “questo era prima che gli israeliani occupassero la Cisgiordania e Gerusalemme”.
Questo è vero. Nella guerra dei 6 giorni Israele ha conquistato la Giudea , la Samaria e Gerusalemme. Ma non le ha conquistate da Arafat. Le ha portate via al re Hussein di Giordania. Non rimane che chiedermi come mai tutti questi palestinesi hanno scoperto improvvisamente la loro identità nazionale dopo che Israele ha vinto la guerra. La verità è che la Palestina è vera come l’Isola che non c’è. La prima volta che il nome Palestina è stato usato era nel 70 AD, quando i romani hanno commesso un genocidio degli ebrei, distrutto il loro tempio e dichiarato che lo Stato di Israele non esisterà mai più. Da allora, hanno promesso i romani, sarà chiamata Palestina.
Questo nome derivava dai Filistei, il popolo di Golia sconfitto dagli ebrei secoli prima. Era il modo dei romani di aggiungere un insulto alla ferita inferta. Hanno provato anche a cambiare il nome di Gerusalemme in Aelia Capitolina, senza grande successo.
La Palestina non è mai esistita né prima né dopo come entità autonoma.
È stata governata dai romani, dagli islamici, dai crociati cristiani, dall’impero ottomano e, per un breve periodo, dagli inglesi dopo la prima guerra mondiale.
I britannici hanno stabilito di restituire una parte di questa terra al popolo ebraico perché potesse farne la propria patria.
Non esiste una lingua palestinese. Non esiste una cultura palestinese specifica. Non c’è mai stato uno stato palestinese governato dai palestinesi. I palestinesi sono arabi, indistinguibili dai Giordani (un’altra recente invenzione), dai siriani, dai libanesi, dagli iracheni ecc…
Dovete tenere a mente che gli arabi controllano il 99,9% della terra del Medioriente; Israele rappresenta lo 0,1% di questa terra.
Ma questo è troppo per gli arabi. loro vogliono tutto. Ed è per questo che si combatte oggi in Israele: avidità, orgoglio, invidia, cupidigia. Non importa quante concessioni territoriali farà Israele, non saranno mai sufficienti.
E i posti sacri all’Islam? Non ce ne sono a Gerusalemme!
Stupìti? Dovreste esserlo. Non penso che sentirete mai questa brutale verità da nessun altro dei media internazionali. Non è “politically correct“.
So quello che state per dirmi: “Farah, la moschea di Al Aqsa e il Tempio della Roccia rappresentano il terzo luogo sacro dell’Islam.”
Falso. In realtà il Corano non dice nulla su Gerusalemme. Menziona la Mecca centinaia di volte, Medina è nominata innumerevoli volte, ma non menziona mai Gerusalemme, e per buone ragioni. Non c’è nessuna evidenza storica che suggerisce che Maometto abbia mai visitato Gerusalemme.
Allora come è che Gerusalemme è diventato il terzo luogo sacro dell’Islam?
I musulmani oggi citano un vago passaggio del Corano, la 17 sura, intitolata “il viaggio notturno”. Questo si riferisce a un sogno o una visione in cui Maometto è stato portato di notte “dal tempio sacro al tempio più remoto, il cui recinto abbiamo benedetto, che possiamo mostrargli i nostri segni…”
Nel 7° secolo, alcuni musulmani identificavano i 2 templi menzionati in questo testo come quello della Mecca e quello di Gerusalemme. E questa è la relazione più stretta che si può trovare tra l’Islam e Gerusalemme. Miti, fantasie, credenze basate sui desideri, ma non sui fatti. Mentre le tracce delle radici degli ebrei a Gerusalemme risalgono ai giorni di Abramo.
L’ultimo giro di violenze è scoppiato quando il leader del Likud Ariel Sharon è andato a visitare la spianata dei templi, sopra al tempio costruito da Salomone. È il posto più sacro per gli ebrei. Sharon e il suo seguito sono stati affrontati con sassate e minacce.
Io so come è stato, io ero lì. Potete immaginarvi cosa significa per un ebreo essere preso a sassate, minacciato e fisicamente impedito di entrare nel posto più sacro al giudaismo? (*)
Allora quale è la soluzione per il medioriente? Francamente non penso che l’uomo abbia trovato la soluzione alla violenza, ma se c’è una soluzione deve partire dalla verità: fingere porterà solo a più caos. Mettere sullo stesso piano un diritto di nascita vecchio di 5000 anni, sostenuto da prove storiche ed archeologiche schiaccianti, contro pretese e desideri illegittimi dà alla diplomazia e a certi negoziatori una pessima fama.

Josef Farah
da World Net Daily

Questo invece è recentissimo.

(*) In realtà, come è stato documentato in seguito, fra la visita di Sharon al Monte del Tempio e l’inizio della cosiddetta seconda intifada, non c’è alcuna relazione (addirittura neppure temporale, dal momento che i primi disordini erano iniziati qualche giorno prima). Fra i commenti lasciati in quel post, ritengo utile riportare questa preziosa testimonianza:

Piccola testimonianza personale sulla lunga (e capillare) preparazione della II Intifada. Confesso che, nel 1999 (febbraio), ho incontrato Arafat a Ramallah (delegazione sindacale unitaria). Era periodo di Ramadam e, nel pomeriggio, girammo per le stradine piene di ragazzini. Erano organizzati per bande, ognuna con un capetto sui 12/13 anni che parlava inglese. Erano parecchie, queste bande. Il capetto ti interrogava: da dove vieni? sei amico della Palestina? sei contro l’occupazione? Noi rispondevamo, con la sensazione che si dovesse accettare questa mini-polizia locale e stare al gioco. Ad un certo punto, però, domandai ad uno di questi mini-boss “Ma a scuola non ci andate?” Si mise a ridere e la risposta testuale fu “Nooo, we are the boys of Intifada!”. Gli feci notare che l’intifada era finita e che si stava facendo la pace. Mi guardò con schifo e mi disse “The next one”. La sera commentai questo episodio con un amico palestinese e gli dissi che mi sembrava, anche dai colloqui che avevo avuto con diversi dirigenti sindacali, che tutti dormissero col coltello o con le pietre sotto il cuscino. E lui mi rispose lapidario: “No, col kalashnikov”. Mancavano molti molti mesi alla “passeggiata” di Sharon.
Misi tutto per iscritto per i miei capi. Mi dissero: sei la solita pessimista.

“Cassandre”, vengono spregiativamente chiamate le persone che segnalano il pericolo. Dimenticando un piccolo particolare: che Cassandra non ha mai sbagliato una profezia.

barbara