Questo lavoro, come potete vedere, al pari del prossimo che pubblicherò, è molto vecchio. Ma, purtroppo, drammaticamente attuale, e per questo ritengo utile ripresentarlo.
La battaglia di Jenin secondo i media italiani
Lorenzo Cremonesi, 12.4.2002, Corriere della Sera
JENIN (Cisgiordania) – Città fantasma anche nelle due ore in cui gli israeliani sospendono il coprifuoco. I cingolati sembrano essersi divertiti a salire sui marciapiedi e a sventrare le tettoie in ferro all’ingresso di numerosi negozi.
Gran parte dei lampioni all’entrata di Jenin, sulla provinciale per Nablus, sono stati divelti. Il palazzo della municipalità è circondato dai crateri delle bombe.
Ecco com’è ridotta Jenin, quella che Sharon definisce «la capitale storica del terrorismo arabo».
Una città da punire. E le distruzioni aumentano via via che ci si avvicina al campo profughi. Nelle sue vicinanze, un gruppo di persone fa ressa attorno a un fornaio, l’unico assembramento nella via altrimenti deserta.
«Ho paura, vorrei poter scappare. Ma non so dove», dice Mohammad Alí, un cinquantenne venuto di corsa come tanti altri a prendere un po’ di pane. «Qui è la follia. Gli israeliani sparano su tutto ciò che si muove. Abbiamo notizie di massacri. C’è chi dice 500 morti, chi 1.000. Si parla di fosse comuni con i bulldozer dell’esercito che cercano di nascondere le prove come a Srebrenica, come a Sabra e Chatila», aggiunge un ragazzo con gli occhi pesti per le notti insonni.
Le bombe cadono a poche centinaia di metri, proprio dove sta il campo profughi, lo stesso da dove negli ultimi mesi sono partiti decine di kamikaze pronti a farsi saltare in aria nelle piazze israeliane.
Si dice che la stragrande maggioranza dei suoi 15.000 abitanti siano fuggiti, che gli israeliani stiano distruggendo progressivamente gran parte delle sue abitazioni. I portavoce militari negano con decisione. «Al massimo 100 morti, e la maggioranza terroristi ricercati», dicono al ministero della Difesa. Il dottor Hussein Sherkawi, direttore dei servizi medici d’emergenza in Cisgiordania, parla di «almeno 140, ma ci sono anche moltissimi civili sotto le macerie. Gli israeliani bloccano le ambulanze». Gli uomini di Arafat chiedono un’inchiesta dell’Onu.
Ma per i giornalisti la verifica diretta resterà solo un’aspirazione incompiuta. Anche qui Israele ci vuole tenere lontani. A Jenin si arriva a piedi per le colline, lungo viottoli di campagna nascosti da oliveti centenari. Il campo profughi resta tabù. Questa mattina alle sue porte alcuni colleghi della Bbc e della Associated Press sono stati fermati dai soldati, che con durezza hanno sequestrato loro filmati, registrazioni e block notes. Per noi il momento più difficile è quando un tank Merkavà si frappone tra la nostra vettura e quella di un abitante di Jenin, e apre il fuoco con la mitragliatrice pesante sulle case di fronte. Un avvertimento efficace.
Poi carri armati e cingolati sono tornati a sferragliare nelle strade con gli altoparlanti che a tutto volume gridavano: «Manuah Hajawal», che in arabo significa coprifuoco. Dopo una parentesi tra mezzogiorno e le quattordici, le strade tornano completamente vuote. Bloccata anche la strada per lo Hillal, l’ospedale principale. E allora indietro verso i villaggi sulle colline.
Alle quattro del pomeriggio gli elicotteri volano alti. Fa caldo, il cielo è terso. Appena lasciata la città si torna a vedere gente: contadini nei campi, donne nelle serre, qualche trattore. Questo è il cuore della Cisgiordania rurale, fatta di terra scura, terra fertile, ricca di sorgenti. In lontananza si scorge la Valle di Yzreel, dove un secolo fa iniziò il sogno del sionismo agricolo, si posero le basi dei primi kibbutz. Al villaggio arabo di Rumane, termina la Cisgiordania, Jenin è a una decina di chilometri indietro. Qui passa il confine precedente la guerra del 1967. Ora si deve proseguire tra la vegetazione bassa. E dopo venti minuti comincia Israele.
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La battaglia di Jenin secondo i media arabi, 24 aprile 2002
Combattere l’IDF (Israel Defence Force)
Lo Sceicco Jamal Abu Al-Hija, comandante delle Brigate Hamas Izz Al-Din Al-Qassam nel campo profughi di Jenin, ha detto in un’intervista al sito web di Hamas che i membri di varie fazioni, “assieme a volontari delle forze di sicurezza palestinesi”, si preparavano in anticipo per l’ incursione israeliana. [1] Lo Sceicco Abu Al-Hija ha fornito maggiori dettagli sullo scontro, per telefono, al canale televisivo del Qatar Al-Jazeera, affermando: “[Abbiamo piazzato] congegni esplosivi sulle strade e nelle case; sorprese [attendono] le forze di occupazione. In molti posti, ci sono scontri tra i Mujahideen [2] e le forze di occupazione… Le forze di occupazione scappano, nel panico, dal campo di Jenin, ma intensificano l’uso di trattori, aerei e carri armati contro il campo. La verità è che si sta conducendo la lotta quartiere per quartiere, come una guerriglia. I Mujahideen stanno usando pistole automatiche, congegni esplosivi e granate a mano…”.[3]
Il quotidiano londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat ha citato quel che ha detto lo Sceicco Abu Al-Hija: “Le forze combattenti, da tutte le fazioni nel campo, sono state equipaggiate con cinture esplosive e granate”. [4] Lo stesso Sceicco ha dichiarato al settimanale giordano Al-Sabil: “I Mujahideen sono riusciti ad assediare nove soldati sionisti dentro una casa, e li hanno attaccati utilizzando granate a mano e bombe finché la casa non è andata in fiamme con dentro i soldati di occupazione. I testimoni hanno riferito che le forze di occupazione hanno estratto i soldati bruciati e carbonizzati”[5]
Bambini palestinesi e zainetti di scuola riempiti di esplosivi
Il comandante della Jihad islamica nel campo profughi di Jenin, Abu Jandal,[6] è stato intervistato più volte da Al-Jazeera durante il combattimento. In una conversazione, Abu Jandal ha detto: “Questo è il secondo giorno consecutivo che le forze di occupazione israeliane stanno cercando [di entrare nel campo] con l’aiuto di elicotteri Apache e di carri armati. Ma la fermezza dei combattenti che, all’inizio della battaglia, hanno giurato di non consentire [all’IDF] di avanzare verso questo campo, difende l’onore della nazione araba dai vicoli del campo profughi di Jenin. Ci sono stati vari tentativi da diverse strade, ma sono stati bloccati. La verità è che i nostri combattenti sono passati all’offensiva; oggi abbiamo continuato l’offensiva. Il comandante dell’unità israeliana è stato ucciso questa mattina, a 50 metri dal palazzo dal quale vi sto parlando. Io, comandante della battaglia del campo di Jenin, ho scelto per me stesso il nome di ‘Il martire Abu Jandal’, perché tutti i combattenti attorno a me sono dei martiri. Credetemi, ci sono bambini collocati nelle case con cinture esplosive ai fianchi… Oggi, uno dei bambini è venuto da me con il suo zainetto. Gli ho chiesto cosa volesse, e lui ha risposto: ‘Invece dei libri, voglio un congegno esplosivo, per attaccare…'”
Alla richiesta di quanto a lungo i suoi uomini sarebbero stati in grado di resistere contro le forze armate israeliane, visto che tutto quel che avevano erano armi leggere, Abu Jandal ha risposto: “No. Non è esatto. Noi abbiamo l’arma della sorpresa. Abbiamo l’arma dell’onore. Abbiamo l’arma divina, l’arma di Allah che resta al nostro fianco. Abbiamo armi migliori delle loro. Io sono quello con la verità, e ripongo la mia fiducia in Allah, mentre loro la ripongono in un carro armato”.[7]
Lo Sceicco Abu Al-Hija ha anche dichiarato: “Alcuni dei giovani restano saldi, e riempiono i loro zainetti di congegni esplosivi”.[8] In un’altra occasione, lo stesso Sceicco ha avuto difficoltà a valutare il numero di vittime israeliane: “E’ difficile fornire dati precisi, e non possiamo valutare la battaglia contando le perdite del nemico. Ma il riconoscimento del nemico di 24 uccisi e 130 feriti testimonia che ha subìto molte perdite. L’elenco dichiarato dall’esercito di occupazione comprende solo i nomi degli ebrei [uccisi] e trascura quelli dei soldati drusi e lahad [cioè dell’esercito sud-libanese] che hanno preso parte a tutte le passate incursioni e che [vi parteciperanno] anche in futuro. La nostra stima è che il nemico abbia subìto perdite molto più grandi”.[9]
Al-Sharq Al-Awsat ha riferito che a Jenin una donna palestinese chiamata Ilham ‘Ali Dasouqi si era fatta esplodere in mezzo ai soldati israeliani, uccidendone due e ferendone sei. Il giornale ha citato una fonte tra le Brigate Martiri di Al-Aqsa, che ha detto che lei ‘aveva seguito il percorso di Nasser ‘Uweis’, che si era fatto esplodere vicino ai soldati a Nablus. [10] Ma ‘Uweis, comandante delle Fatah’s Al-Aqsa Martyrs Brigades in Samaria, è stato arrestato alcuni giorni dopo. Sembra che le notizie sulla sua morte in un attentato suicida siano state un tentativo di agevolarne la fuga.
Il settimanale Al-Ahram sponsorizzato dal governo egiziano ha fatto un’intervista ad “Omar”, un giovane costruttore di bombe della Jihad Islamica, noto come ‘ingegnere’, che ha discusso di come i palestinesi abbiano disseminato di trappole Jenin, includendo la partecipazione di donne e bambini nelle battaglie.[11] “Lui è un membro della Jihad Islamica, ma dice che a Jenin tutte le fazioni sono fedeli a una sola causa: liberazione o morte…’. ‘Tra tutti i combattenti nella West Bank noi eravamo i più preparati’, dice. ‘Abbiamo cominciato a lavorare al nostro piano, intrappolare i soldati invasori e farli esplodere, dal momento in cui i carri armati israeliani erano usciti da Jenin il mese scorso'”.
Il giornale ha spiegato: “Omar ed altri ‘ingegneri’ hanno fabbricato centinaia di congegni esplosivi ed hanno scelto attentamente le loro posizioni. ‘Avevamo più di 50 case-trappola intorno al campo. Abbiamo scelto edifici vecchi e vuoti e le case di uomini ricercati da Israele, perché sapevamo che i soldati li avrebbero cercati’, ha detto [Omar]. ‘Abbiamo tagliato tratti delle principali tubazioni d’acqua* e li abbiamo impacchettati con esplosivi e chiodi. Quindi, li abbiamo piazzati a circa quattro metri di distanza dappertutto nelle case, nelle credenze, sotto i lavandini, nei divani’. I combattenti speravano di disarticolare i carri armati dell’esercito israeliano con bombe molto più potenti, piazzate nei bidoni della spazzatura, per le strade. Altri esplosivi erano stati nascosti nelle auto degli uomini più ricercati di Jenin. Collegate da fili, le bombe sono state attivate a distanza, innescate dalla corrente di una batteria d’auto”.
“Secondo Omar, tutti nel campo, compresi i bambini, sapevano dove erano collocati gli esplosivi, in modo che non ci fosse stato per i civili alcun pericolo di rimanere feriti. Quello era il solo punto debole nel piano. ‘Siamo stati traditi da spie tra noi’, dice. I fili di più di un terzo delle bombe sono stati tagliati da soldati accompagnati da collaboratori. ‘Se non fosse stato per le spie, i soldati non sarebbero mai riusciti ad entrare nel campo. Una volta penetrati, è stato molto più difficile difenderlo'”.
“E l’esplosione e l’imboscata di martedì scorso, che hanno ucciso 13 soldati? ‘Sono stati attirati là’, dice. ‘Abbiamo tutti smesso di sparare e le donne sono uscite per dire ai soldati che noi avevamo finito le pallottole e ce ne stavamo andando’. Le donne hanno avvertito i combattenti che i soldati avevano raggiunto l’area-trappola. ‘Quando gli ufficiali maggiori hanno capito quel che era successo, hanno gridato con i megafoni che volevano un immediato cessate il fuoco. Gli abbiamo permesso di avvicinarsi per recuperare gli uomini e quindi abbiamo aperto il fuoco. Alcuni dei soldati erano così scioccati e impauriti che, per errore, sono corsi verso di noi'”.
Jamal Huweil, un comandante delle Al-Aqsa Martyrs Brigades nel campo di Jenin, ha detto al quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat che “quattro soldati israeliani sono stati uccisi e [i palestinesi] hanno preso le loro armi automatiche. I giovani con i congegni esplosivi hanno anche messo fuori uso quattro carri armati israeliani”. [12]
Raed ‘Abbas, un combattente del Fronte democratico per la liberazione della Palestina (FDLP) nel campo di Jenin, ha detto ad Al-Hayat : “Tutti i combattenti avevano giurato di lottare fino alla fine… Non abbiamo altra scelta che combattere, e questa è la decisione di tutti. La voce di combattenti che si arrendono è completamente falsa. Se fosse vera, come mai due soldati israeliani sono stati uccisi lunedì mattina? Noi stimiamo che le loro perdite siano molto più gravi di quel che viene riferito. Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve. Loro hanno fallito in tutti i tentativi di avanzata; i nostri combattenti si stanno facendo esplodere davanti a loro e stanno piantando congegni esplosivi nelle strade. La situazione è estremamente terribile. Le forze aeree [israeliane] continuano il bombardamento. Alcuni attimi fa hanno lanciato parecchi missili, che hanno incendiato molte case”.[13]
Tutti i palestinesi intervistati hanno sottolineato la loro intenzione di combattere fino alla morte, anche negli ultimi giorni della battaglia. Lo Sceicco Abu Al-Hija è stato citato dal quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, Al-Bayan, per aver detto: “Dopo questi giorni di fermezza e di resistenza unica, i combattenti di Jenin ripetono il loro motto ‘Nessuna resa: o vittoria o martirio’. La nostra forza è nel nostro essere veri Mujahideen di fronte al nuovo nazismo” [14]. Fonti palestinesi non identificate hanno aggiunto: “Le munizioni dei combattenti nel campo sono finite, ed essi hanno scelto il martirio. Stanno combattendo con coltelli e pietre, e si fanno esplodere davanti ai soldati di occupazione”.[15] Haj ‘Ali, un comandante delle Islamic Jihad’s Al-Quds Brigades, ha detto che la resistenza palestinese continua la sua lotta intensa, e non permetterà ai soldati di occupazione di impossessarsi del campo”. [16]
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[1] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [2] Cioè guerrieri Jihad. [3] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002. [4] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [5] Citato in Al-Shaab (Egitto), 19 aprile 2002. [6] Centro palestinese per i diritti umani: rapporto settimanale sulle violazioni israeliane dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, 11-17 aprile 2002. Dopo la comunicazione della sua morte in battaglia, è stato annunciato che il suo vero nome era Hazem Ahmad Rayhan Qabha. [7] Al-Jazeera (Qatar), 4 aprile 2002. [8] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [9] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [10] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [11] http://www.ahram.org.eg/weekly/2002/582/6inv2.htm. [12] Al-Hayat (Londra), 5 aprile 2002. [13] Al-Hayat (Londra), 9 aprile 2002. [14] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 10 aprile 2002. [15] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 11 aprile 2002. [16] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002.
*Ricordate le rabbiose accuse all’esercito israeliano di tagliare le tubature dell’acqua per farli morire di sete? [ndb]
Ricordiamo anche come all’epoca in televisione, sui giornali, in internet, venissero presentate unicamente immagini come questa

per far credere che l’intera Jenin fosse ridotta a un cumulo di macerie. E magari venivano mostrate le riprese aeree

La verità la dice invece Raed ‘Abbas: “Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve”. Esattamente così:

Perché la questione è tutta lì: quale parte scegli di inquadrare

barbara