RITORNO A JENIN

Il famoso – il tristemente famoso – campo profughi di Jenin, avete presente? Sì, certo che lo avete presente,  tutti lo conosciamo. Ecco, quando sentite “campo profughi”, che cosa immaginate? Una cosa come questa?

Profughi somali in Kenya

O questa?

O ancora questa?

Siria

Ecco, Jenin è così:

Ok, Venezia è più bella, e anche Firenze, o Praga, o magari anche la mia modesta cittadina sul mare, ma possiamo immaginare un qualsiasi motivo che non sia politico per dare a questo agglomerato urbano, visibilmente non poverissimo, il titolo onorifico di Campo Profughi? A proposito, poi, questo è un campo profughi palestinesi in Siria,

e questo in Libano

Perché ho titolato “Ritorno a Jenin”? Perché ci eravamo già stati, esattamente 21 anni fa (3 settimane di anni, direbbe forse la Torah, e potrebbe essere un conteggio interessante): ricordate? L’immane strage, 3000 morti, no, forse solo 500, fosse comuni, cadaveri interrati nelle fogne (sic!), distruzioni ovunque, massacro di civili…
Ripropongo una serie di documenti dell’epoca, ripresi nel blog nel 2014, in occasione di un’altra operazione, stavolta a Gaza:

E ora ci risiamo: attentati contro civili israeliani, missili, droni, laboratori di armi ed esplosivi; poi finalmente Israele si decide a rispondere e i mass media di tutto il mondo, come sempre, si scatenano: strage di civili, criminali sionisti che provano gusto ad ammazzare i bambini, naturalmente l’immancabile risposta sproporzionata, che come i bluejeans non passa mai di moda, e chi più ne ha più ne metta. E allora proviamo a dare un’occhiata da vicino a queste povere vittime innocenti del furore israeliano. Guardiamo intanto questo

e poi anche questi altri

Che tenerezza, vero?

Guardiamo poi il video di  Tamer Alkilany, giornalista arabo israeliano che ci mostra un po’ di giocattolini catturati durante l’operazione (se non capite l’arabo non preoccupatevi: guardate le figure e vedrete che vi basterà)

Altre belle collezioni di giocattoli possiamo ammirarle qui e qui.

Qui un po’ di vecchie storie, che non fa mai male ripassarle, e non dimentichiamo i consueti festeggiamenti con distribuzione di dolci per celebrare ogni mattanza di ebrei (qui)

E potevano mancare i giornalisti che si prestano a trasportare armi per conto dei terroristi? Ma quando mai! Certo, niente in confronto a quello che è riuscito a fare quel sant’uomo di monsignor Capucci, ma insomma, ognuno porta la sua goccia, come può.

Comunque niente: i palestinesi sono buoni (e sempre civili innocenti), Israele è cattivo e la risposta è sempre sproporzionata. Se poi qualcuno volesse discettare di “territori occupati” e della necessità di “restituirli”, gli si potrebbe rispondere partendo da Peduel.

barbara

UN CUMULO DI MACERIE

Vi ricordate Jenin? Sì, quella di quella spaventosa strage con migliaia di morti. Ma oltre che quella della strage, era anche la città che i perfidi giud sionisti, quelli che come tutti sanno sono peggio dei nazisti, avevano ridotto a un cumulo di macerie, e giornali e televisioni ve l’hanno fatto sapere, ve l’hanno mostrato, affinché tutti foste testimoni degli orrendissimi crimini perpetrati dai nazisionisti nipotini di Hitler:

La realtà però era questa,

e chi vi faceva vedere il ritaglino mentiva sapendo di mentire; le pecore ci hanno creduto e hanno a loro volta diffuso la menzogna, i cervelli funzionanti si sono fatti qualche domanda, hanno cercato la verità, e l’hanno trovata, e poi diffusa, tra vagonate di insulti e minacce di morte (sì, ho ricevuto anche quelle) della controparte ma non preoccupatevi: ho le spalle robuste, e di esserini come voi posso reggerne centurie e legioni.

Cumuli di macerie, dicevo. Adesso ce ne raccontano altri, di cumuli di macerie, che potrebbero anche essere veri, intendiamoci, ma io, anche se “quelli dalla parte giusta” lo definiscono immorale e osceno, le domande continuo a porle, e le verità preconfezionate ad uso e consumo del padrone di turno, le rispedisco al mittente. Ai cumuli di macerie – soprattutto dopo le montagne di menzogne già smascherate – ci crederò quando ne avrò le prove, le quali NON consistono in un paio di inquadrature.

Musica molto diversa da altre parti del mondo

E che quella messa in atto dagli Stati Uniti sia stata una provocazione finalizzata e scatenare la reazione russa, gli Stati Uniti l’hanno sempre saputo. Ve l’ho già mostrato, ma ora ve lo rimostro da un’altra angolazione

Questo è per chi continua a negare che siano nazisti

E questo è uno che ci ha vissuto in mezzo

Questo invece è uno splendido articolo di Andrea Nicastro.

Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca

Tra i fondatori del battaglione «nazista» dell’Ucraina di cui Putin vuole disfarsi, ex capo degli ultras della Dinamo Kiev, ma ora le tracce del suo passato sono state cancellate da Internet. E 14 mila soldati e decine di missili sono pronti per lui

Sull’edizione russa di Wikipedia, il nome Denis Projipenko è messo in cima alla lista dei comandanti del battaglione Azov. Il più alto in grado. Il nemico numero uno di Mosca, l’uomo che personifica sul campo quell’Ucraina «nazista» da cui Putin vuole liberarla. Sui siti di Kiev, invece, nulla. Projipenko non c’è. Scomparso, la memoria digitale cancellata. Pulizia totale di tutto quanto lo riguardava. Fosse per Internet, l’ufficiale in capo della resistenza militare a Mariupol sarebbe un uomo senza passato, senza gloria, ma anche senza i sospetti di simpatie neonaziste che oggi nuocerebbero alla causa ucraina. Uno e novanta, biondo, naso sottile e occhi azzurri, il maggiore Denis Projipenko è uno dei fondatori del Battaglione Azov.

Addestrato come un incursore, bello come un attore, da anni è in prima linea contro i filorussi del Donbass e oggi, adesso, in questi minuti, è in trappola a Mariupol. Accerchiato senza possibilità di rinforzi. Bombardato dal cielo e dal mare. Braccato dai droni e dalle orecchie elettroniche. Basta una sua comunicazione, un avvistamento, una soffiata per potergli indirizzare contro un missile. Mosca sa come fare. Ci riuscì durante l’assedio di Grozny, in Cecenia, negli anni ’90 contro il presidente indipendentista Dudaev. E allora le tecnologie erano molto più arretrate.
A Mariupol 14-15mila militari russi stanno riversando una marea di esplosivi sulla città per eliminare lui e i suoi uomini. Decine di missili sono pronti a disintegrarlo, migliaia di soldati a reclamare la taglia che il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, intimo del leader del Cremlino Putin, ha messo sulla sua testa. Vivo o morto. Mezzo milione di dollari. Ciò che sta succedendo ai soldati che difendono Mariupol e al loro comandante Projipenko, ha lo spessore tragico delle grandi battaglie che cambiano il corso della storia e ispirano forti sentimenti. Anche se, nel frattempo, i protagonisti sono tutti morti. I 960 zeloti di Masada. I 300 spartani alle Termopili. Gli affamati di Stalingrado. Tutti sacrifici, vittoriosi o perdenti non è così importante per la storia, capaci però di segnare la consacrazione di un’identità non più negoziabile. Per il maggiore Projipenko, il riferimento più diretto è un altro, inciso persino in un bassorilievo dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. E’ la battaglia combattuta a metà del 1600 dai liberi cosacchi della steppa di Zaparozhzhie contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni II Casimiro. Ortodossi contro cattolici. Un impero dell’ovest contro le steppe dell’est. La battaglia di Berestenchko è, probabilmente, il più grande scontro terrestre di un secolo per nulla pacifico. I cosacchi di Crimea e del bacino del fiume Dnipro non volevano sottomettersi. Persero, ma 400 anni dopo, Denis Projipenko continua ad ispirarsi alla loro lotta per giustificare la sua.
È, probabilmente pronto a diventare il nuovo eroe nazionale ucraino. E le sue simpatie politiche, verranno strumentalizzate o meno a seconda di chi si impossesserà della sanguinosa leggenda. Ex capo degli ultrà della Dinamo Kiev, con la guerra del Donbass, Projipenko accorse volontario nel 2014 alla difesa del Paese. Da allora è diventato un soldato professionista, si è addestrato, ha imparato a combattere battaglie vere, non contro i lacrimogeni degli stadi. I russi dicono che abbia avuto istruttori stranieri, dai Delta Force alla Legione Straniera.
Il nucleo dei primi volontari del 2014 si struttura con il passare dei mesi. Riceve armi. Entra a far parte della Guardia Nazionale nell’autunno del 2014 ed è a quel punto che si libera di alcuni elementi di estrema destra. Da allora, in teoria, dovrebbe seguire le regole dell’esercito nazionale per cui l’apologia del nazismo è vietata. Il clima dentro il battaglione diventato brigata resta quello della sua iconografia, il simbolo così simile alla runa nazista, le t-shirt nere, le teste rasate, il saluto con il pugno al petto. Tutto molto militarista, machista e super nazionalista e forse oltre. (Corriere della Sera, grazie a Erasmo)

Non possono mancare, in onore ai nazisti ucraini, i nazisti di casa nostra, che si danno da fare, nel loro piccolo per non restare troppo indietro in fatto di infamia.

Aggiungo questa foto spettacolare di Bucha, che può dare la misura della “tragedia” in atto: sei fotografi intenti a fotografare un gatto (ma dico io!)

e due cose dedicate a chi ha un condizionatore: questa è una

e questa è l’altra

E già che ci siamo beccatevi anche questo

No, dico, ma ve lo immaginate Mattarella?

barbara

VI RICORDATE LA STRAGE DI JENIN?

«Si parla di fosse comuni con i bulldozer dell’esercito che cercano di nascondere le prove come a Srebrenica» (clic)

«A Jenin vi erano esecuzioni e fosse comuni, corpi anneriti e straziati, brandelli di carne umana … 1200 profughi sono ancora dispersi … sono almeno 150 i corpi delle vittime che sono già state identificati. Nessuno conosce il destino dei 500 partigiani che per otto giorni difesero Jenin dallo strapotere militare israeliano. Secondo la gente del campo molti corpi sono stati gettati dai bulldozers nella rete fognaria, altri sono stati bruciati o sepolti in fosse comuni in uno speciale cimitero dove l’Idf seppellisce i corpi di forze nemiche o terroristi». (clic)

Migliaia di morti seppelliti con le ruspe nelle fosse comuni, giornalisti testimoni oculari che hanno visto personalmente mucchi di centinaia di cadaveri, titoli urlati su tutti i giornali, maledizioni urlate contro gli infami nazisionisti, condanne dell’Onu, condanne di Amnesty International… Alla fine i morti erano 52, di cui 42 terroristi e la maggior parte dei rimanenti 10 erano civili di cui i terroristi si erano fatti scudo.

Adesso è il turno della strage di Bucha, dell’orrore di Bucha, titoli urlati su tutti i giornali, maledizioni urlate contro i russi infami (la cosa più spettacolare che ho trovato è che la cosa è credibilissima perché… i sovietici a suo tempo si sono resi responsabili della strage di Katyn! Che uno dice non ci credo, ditemi che è uno scherzo, ditemi che è una battuta, ditemi che l’ha detto un ubriaco, non può essere vero, non è possibile…) E chi sono i primi a buttarsi sulla “notizia” come cani famelici? Gli infami negazionisti delle stragi ucraine, quelli che negano che quei quattordicimila morti siano mai esistiti, quelli che pretendono che tutte le notizie, tutte le testimonianze, tutte le documentazioni delle distruzioni deliberate, dei bombardamenti di case scuole asili ospedali, tutti i massacri, tutti i morti siano propaganda russa. E in una spettacolare giravolta che neanche Yuri Chechi nei suoi momenti migliori, accusano di negazionismo chi si azzarda a far notare che in questa “strage” di Bucha c’è qualche conto che non torna.

Bene, fra un momento mi mostrerò un’altra bella paccata di documenti molto molto interessanti, ma siccome probabilmente i soliti noti si rifiuteranno di guardarli  dando per scontato che sia la “solita” propaganda russa, provvedo prima a informare che

LA RUSSIA HA CHIESTO DI CONVOCARE UNA RIUNIONE URGENTE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU PER ESAMINARE GLI EVENTI DI BUCHA, MA LA PRESIDENZA BRITANNICA HA RIFIUTATO: culo che trema? Paura di quello che emergerebbe da un’indagine VERA? Non dovrebbero essere ansiosi di inchiodare la Russia con prove schiaccianti, inoppugnabili, inattaccabili da qualunque tentativo di smontarle? O non sarà che in realtà sanno già benissimo che cosa emergerebbe da un’indagine che andasse al di là di un paio di immagini date in pasto alle scimmiette dello zoo?(clic)

E ora guardate questo video: è il sindaco di Bucha che parla dopo che i russi se ne sono andati. Non importa capire che cosa dica: il suo viso e il suo tono esprimono tutta la felicità, tutto il sollievo per il ritiro dei russi: vi sembra uno che ha trovato le strade piene di morti con le mani legate? Vi sembra uno che sta parlando di una strage?

https://m.facebook.com/watch/?v=451837926737228

E ora guardate quest’altro video: è del 2 aprile, tre giorni dopo il ritiro russo, e vi si vedono le forze speciali della Polizia Nazionale che passano dove sono passati i russi. Contate i morti che vedete sulla strada, ma contate bene, mi raccomando, magari prendete un pallottoliere e spostate una pallina alla volta continuando a guardare, così non rischiate di distrarvi o di imbrogliarvi coi conti

E ora vi metto la traduzione automatica del testo che accompagna il video. Facciamo bene attenzione a che cosa dice esattamente:

Forze speciali della Polizia Nazionale per ripulire l’area di Bucha
Polizia nazionale dell’Ucraina
In città lavorano i soldati del reggimento costituito del riconoscimento speciale della Polizia Nazionale “SAFARI”, al cui magazzino i rappresentanti degli agenti di polizia del riconoscimento speciale, i soldati del KORD e del Tor, nonché gli specialisti del servizio vibuhotecnico, sono andati al magazzino.
Oggi, 2 aprile, vicino alla città fortificata di Bucha, nella regione di Kiev, le forze speciali della Polizia nazionale ucraina hanno iniziato a ripulire il territorio dai sabotatori e complici dell’esercito russo. Gli specialisti del servizio vibuhotecnico conducono un’ispezione della milizia dei mali militari nella Federazione Russa ed esaminano oggetti e munizioni vibro-insicuri che non sono esplosi.
Pravokhorontsi rivede la pelle della porta e ukrittya, collaborando con le persone e dando aiuto ai residenti locali.
Mistani, che ha avuto la possibilità di sopravvivere all’occupazione dell’occupazione, per quanto possibile per proteggere le forze dell’ordine.
Gli agenti di polizia possono fare qualsiasi cosa per stabilire la legge e l’ordine nei territori selvaggi, ma gli scudieri potrebbero tornare nel posto giusto.

Quello che segue è un commento al video:

You “cleanse” the city that the Russian troops left, you show the streets. Where are the hundreds of corpses that the Russians supposedly left behind? You cleared Bucha of people with white armbands, which meant a neutral or positive attitude towards the Russians, you used precisely these killed people to shoot a provocation – people with armbands lay on the streets and in the basement, where they were allegedly tortured by Russians. The Russians help with humanitarian aid to civilians in other cities, but it was in Bucha that hundreds of people were killed. Who are you trying to fool with this?

Poi, completato il lavoro di “ripulitura”, il giorno dopo, 3 aprile, ecco le strade piene di morti, non irrigiditi come dovrebbero essere dei corpi uccisi almeno quattro giorni prima, con molto meno sangue di quanto ci si aspetterebbe su gente ammazzata da bestie selvagge, come su molti social vedo dipingere i russi, e il sangue che c’è non è ancora rappreso.

Parecchi altri documenti qui

Aggiungo questo compendio che fa un po’ il punto della situazione in italiano.

Lorenzo Capellini Mion

Bucha, Ucraina
Il corrispondente militare “KP” Alexander Kots ripristina la cronologia di ciò che è accaduto nella periferia di Kiev: i civili di Bucha sono stati fucilati dai nazisti “Boatswain”, come da video già rilasciato.
“Il 2 aprile (4 giorni dopo che il Ministero della Difesa della Federazione Russa aveva annunciato il raggruppamento e le nostre truppe hanno lasciato la città e la Polizia Nazionale dell’Ucraina è entrata a Bucha.
Sul web è stato rilasciato un lungo video del loro lavoro per “ripulire” la città. (vd link tra i commenti)
C’è tutto per capire l’atmosfera lì: macchine accartocciate, edifici distrutti, gente del posto gioiosa, uno dei quali dice che volevano sparargli per i simboli ucraini, ma per qualche motivo ha cambiato idea.
Non ci sono corpi sparsi per la città.
Lo stesso giorno, le unità della Terodefense di Kiev sono entrate a Bucha per ripulire.
Tra questi c’è un distaccamento di un certo comandante e proprio nel filmato della loro videocronaca, uno dei militanti gli pone la domanda: “Ci sono ragazzi senza bracciali blu, si possono sparare?” “Puoi!” – risponde felicemente l’altro.
E questo è il punto chiave.
Il capo è un noto neonazista Sergei Korotkikh. È stato lui a dare il via libera a sparare su persone prive di contrassegno (i bracciali blu sono il contrassegno che distingue un “amico o nemico” delle forze ucraine).
È evidente dal sangue non rappreso e dai corpi non ancora irrigiditi che non furono uccisi il 30 marzo.
I nazisti hanno ucciso persone per strada senza sapere se avevano armi o meno.
E qualcuno è stato catturato e torturato.
Tra i morti ci sono persone con bracciali bianchi molto probabilmente uccisi come “agenti delle truppe russe” o “collaboratori” che collaboravano con le “autorità di occupazione”.
Qui per altro abbiamo il video del sindaco ucraino di Bucha al suo rientro molto felice che la sua città abbia visto partire i russi.
Non parla di carneficina… E sembra sereno e orgoglioso.
Poi è iniziata la grande macabra messa in scena, anche secondo il giornalista americano Michael Tracy utilizzando il materiale propagandistico sugli omicidi di Bucha, Kiev vuole attirare Washington e i paesi della NATO a partecipare alle ostilità scatenando la terza guerra mondiale.
Andrà peggio.

Spiacente ragazzi, ma ho passato più di vent’anni a fare le pulci alle notizie su Israele: queste puttanate dovete andarle a raccontare a qualcun altro.
Aggiungo ancora una riflessione a mio avviso meritevole di attenzione.

Fabrizio Agnocchetti

Personalmente sono di gran lunga più preoccupato dalla potenziale implosione del millenario impero russo, che dell’integralità territoriale dello Stato ucraino. Sono mille volte più sensibile ai malumori della collettività russa, che allo spirito revanscista di polacchi e rumeni.
Sarò tacciato di cinismo dalle anime belle dei salotti pseudo-progressisti con la erre moscia, ma io non ci penserei un secondo a sacrificare le (legittime) aspirazioni del popolo ucraino per salvaguardare la stabilità del pianeta da un cataclisma dagli effetti totalmente imprevedibili nel loro grado di disastrosa gravità per l’intera umanità.
Non è cinismo, ma realismo. O cinico realismo, chiamatelo come vi pare.
E la mia preoccupazione non è cominciata all’improvviso, da un giorno all’altro, il 24 febbraio. E neanche con il golpe del 2014.
È cominciata con l’entrata nella NATO dei Paesi Baltici nel 2004. Cioè da quando gli apparati americani hanno cominciato a giocare al gatto col topo con gli apparati russi.
Da allora è stato un crescendo senza freni nella più totale irresponsabilità. Come fare esercizi ginnici con una torcia di fuoco su una distesa di benzina.
E la catastrofe cui ci ha portato non sembra affatto interrompere il pericolosissimo gioco. Il Pentagono sta trattando la più grande potenza nucleare mondiale come una Serbia, un Iraq o una Libia qualunque. Io faccio fatica a capire dove vogliano arrivare…a vedere la prima atomica russa sganciata su un villaggio ucraino? Così poi non saranno più solo gli americani a essere ricordati nella storia per averla usata?
Altrimenti a cosa punta il Pentagono?
Sono sincero, io non l’ho capito…
Mentre i Fubini con i loro appassionati accoliti fanno il tifo per Zelensky, io spero ogni giorno che la CIA abbia la meglio sul Pentagono, nel braccio di ferro tra i due più potenti apparati americani, da cui dipendono le sorti del mondo.

Alla fine della prima guerra mondiale si sono disintegrati l’impero asburgico e quello ottomano, ed è imploso quello zarista. I decenni successivi non sono stati proprio felicissimi.

E concludo con questi due russi meravigliosi

barbara

INFORMAZIONI A CONFRONTO 2

Silvio Cerulli, giornalista di Liberazione, ha raccontato ai suoi lettori tutto ciò che egli aveva “visto” coi propri occhi: «A Jenin vi erano esecuzioni e fosse comuni, corpi anneriti e straziati, brandelli di carne umana … 1200 profughi sono ancora dispersi … sono almeno 150 i corpi delle vittime che sono già state identificati. Nessuno conosce il destino dei 500 partigiani che per otto giorni difesero Jenin dallo strapotere militare israeliano. Secondo la gente del campo molti corpi sono stati gettati dai bulldozers nella rete fognaria, altri sono stati bruciati o sepolti in fosse comuni in uno speciale cimitero dove l’Idf seppellisce i corpi di forze nemiche o terroristi».

ANALISI E DOCUMENTAZIONE DELL’OSSERVATORIO ONU DI GINEVRA

Mercoledì 1 maggio 2002, Pubblicazione n 81

Notizie:

La commissione incaricata di indagare su Jenin dell’ex premier finlandese Martti Ahtisaari, dell’ex alto commissario per i rifugiati Sadako Ogata e dell’ex capo della CRI Cornelio Sommaruga è a Ginevra aspettando il raggiungimento di un accordo tra Onu e lo stato di Israele sui termini della missione.

Analisi:
Mentre si continua la discussione politica a New York e i 3 della commissione aspettano a Ginevra, l’ONU è già al lavoro per valutare la situazione a Jenin.
In data 29 aprile 2002 l’ufficio dell’Onu per il coordinamento delle relazioni umanitarie (OCHA) ha rilasciato un resoconto intitolato “Statistiche e informazioni dal campo di Jenin”.
Questo rapporto conferma che il numero delle vittime tra il 4 aprile, quando l’operazione israeliana è cominciata, e il 20 aprile ammonta a 53.
44 palestinesi sono stati uccisi nel campo profughi di Jenin e 9 nella città di Jenin.
260 sono stati feriti.
Quale è la fonte dell’ONU? L’ufficio del governatore di Jenin.
Se i governanti locali palestinesi non sostengono che è stato un massacro e l’Agenzia dell’Onu sul posto conferma questi dati, perché bisogna dare credito alle accuse di Yasser Arafat e dei suoi seguaci su un omicidio di massa?
E per quanto riguarda le accuse palestinesi su centinaia di persone che mancano all’appello e che sono state seppellite in fosse comuni segrete? L’ufficio per il coordinamento per i diritti umani dell’Onu (OCHA) ha riferito la mancanza di 8 persone dal campo profughi e 17 persone dalla città. Qual è la loro fonte? UNRWA, l’agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati palestinesi. Il comitato internazionale della Croce e l’UNRWA hanno intervistato 150 famiglie di Jenin. Oltre a questi numeri non risulta mancare nessuno.
L’ONU è attualmente in possesso delle prove che le leggi umanitarie sono state violate dai combattenti palestinesi in Jenin, in specifico con l’uso di mine e trappole esplosive in aree civili densamente popolate. L’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari ha documentato i seguenti fatti:
“Ci sono molti ordigni inesplosi e molti ordigni esplosivi improvvisati nel campo (esempio: in 4 giorni sono stati scoperte 285 trappole esplosive) che devono essere urgentemente rimossi”. Alcune squadre internazionali hanno compiuto accertamenti ma questi non potevano ancora essere rimossi. UNRWA ha richiesto all’ufficio del coordinamento per gli affari umanitari di fornire l’assistenza di esperti per sminare il campo profughi. L’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari ha creato i contatti con il servizio sminamento dell’ONU per ottenere l’impiego immediato di un esperto (già arrivato sul posto) per provvedere allo sminamento a Jenin.
In particolare è un esperto di trappole esplosive improvvisate.”
Immaginatevi quanto intensamente il campo era minato se l’ONU ha scoperto 285 trappole esplosive e ha richiesto un esperto di trappole improvvisate.
Anche l’agenzia dell’ONU per i bambini UNICEF si trova nel campo.
Loro avevano lo spiacevole compito di informare l’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari che un bambino è stato ucciso da una di queste bombe improvvisate. Altri 5 bambini e 8 adulti sono stati feriti da questi ordigni, secondo l’UNICEF.
Hanno inventariato anche le palazzine distrutte e pericolanti e i servizi di acqua, elettricità e le fogne distrutti.
In conclusione le agenzie dell’ONU sul terreno hanno confermato il numero dei morti, dei feriti e dei mancanti, confutando il mito dei palestinesi di un massacro e di fosse comuni.
Il campo di battaglia è stato esaminato e le accuse israeliane di minare massivamente una zona densamente popolata, da parte dei palestinesi è stato confermato.
Mentre si discute ancora sul mandato della commissione, i fatti sul campo sono ormai chiari.

Questo documento lo abbiamo mandato a tutti i giornali: nessuno lo ha pubblicato.

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Tornando ai giorni nostri, un’altra notizia che difficilmente i giornali pubblicheranno, è quella relativa all’ospedale che Israele ha costruito a ridosso della frontiera con Gaza per curare gli abitanti di Gaza feriti, i quali però hanno grosse difficoltà ad accedervi perché Hamas lo impedisce: i bambini morti fanno audience, quelli curati da Israele no.

barbara

INFORMAZIONI A CONFRONTO 1

Questo lavoro, come potete vedere, al pari del prossimo che pubblicherò, è molto vecchio. Ma, purtroppo, drammaticamente attuale, e per questo ritengo utile ripresentarlo.

La battaglia di Jenin secondo i media italiani

Lorenzo Cremonesi, 12.4.2002, Corriere della Sera

JENIN (Cisgiordania) – Città fantasma anche nelle due ore in cui gli israeliani sospendono il coprifuoco. I cingolati sembrano essersi divertiti a salire sui marciapiedi e a sventrare le tettoie in ferro all’ingresso di numerosi negozi.
Gran parte dei lampioni all’entrata di Jenin, sulla provinciale per Nablus, sono stati divelti. Il palazzo della municipalità è circondato dai crateri delle bombe.
Ecco com’è ridotta Jenin, quella che Sharon definisce «la capitale storica del terrorismo arabo».
Una città da punire. E le distruzioni aumentano via via che ci si avvicina al campo profughi. Nelle sue vicinanze, un gruppo di persone fa ressa attorno a un fornaio, l’unico assembramento nella via altrimenti deserta.
«Ho paura, vorrei poter scappare. Ma non so dove», dice Mohammad Alí, un cinquantenne venuto di corsa come tanti altri a prendere un po’ di pane. «Qui è la follia. Gli israeliani sparano su tutto ciò che si muove. Abbiamo notizie di massacri. C’è chi dice 500 morti, chi 1.000. Si parla di fosse comuni con i bulldozer dell’esercito che cercano di nascondere le prove come a Srebrenica, come a Sabra e Chatila», aggiunge un ragazzo con gli occhi pesti per le notti insonni.
Le bombe cadono a poche centinaia di metri, proprio dove sta il campo profughi, lo stesso da dove negli ultimi mesi sono partiti decine di kamikaze pronti a farsi saltare in aria nelle piazze israeliane.
Si dice che la stragrande maggioranza dei suoi 15.000 abitanti siano fuggiti, che gli israeliani stiano distruggendo progressivamente gran parte delle sue abitazioni. I portavoce militari negano con decisione. «Al massimo 100 morti, e la maggioranza terroristi ricercati», dicono al ministero della Difesa. Il dottor Hussein Sherkawi, direttore dei servizi medici d’emergenza in Cisgiordania, parla di «almeno 140, ma ci sono anche moltissimi civili sotto le macerie. Gli israeliani bloccano le ambulanze». Gli uomini di Arafat chiedono un’inchiesta dell’Onu.
Ma per i giornalisti la verifica diretta resterà solo un’aspirazione incompiuta. Anche qui Israele ci vuole tenere lontani. A Jenin si arriva a piedi per le colline, lungo viottoli di campagna nascosti da oliveti centenari. Il campo profughi resta tabù. Questa mattina alle sue porte alcuni colleghi della Bbc e della Associated Press sono stati fermati dai soldati, che con durezza hanno sequestrato loro filmati, registrazioni e block notes. Per noi il momento più difficile è quando un tank Merkavà si frappone tra la nostra vettura e quella di un abitante di Jenin, e apre il fuoco con la mitragliatrice pesante sulle case di fronte. Un avvertimento efficace.
Poi carri armati e cingolati sono tornati a sferragliare nelle strade con gli altoparlanti che a tutto volume gridavano: «Manuah Hajawal», che in arabo significa coprifuoco. Dopo una parentesi tra mezzogiorno e le quattordici, le strade tornano completamente vuote. Bloccata anche la strada per lo Hillal, l’ospedale principale. E allora indietro verso i villaggi sulle colline.
Alle quattro del pomeriggio gli elicotteri volano alti. Fa caldo, il cielo è terso. Appena lasciata la città si torna a vedere gente: contadini nei campi, donne nelle serre, qualche trattore. Questo è il cuore della Cisgiordania rurale, fatta di terra scura, terra fertile, ricca di sorgenti. In lontananza si scorge la Valle di Yzreel, dove un secolo fa iniziò il sogno del sionismo agricolo, si posero le basi dei primi kibbutz. Al villaggio arabo di Rumane, termina la Cisgiordania, Jenin è a una decina di chilometri indietro. Qui passa il confine precedente la guerra del 1967. Ora si deve proseguire tra la vegetazione bassa. E dopo venti minuti comincia Israele.

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La battaglia di Jenin secondo i media arabi, 24 aprile 2002

Combattere l’IDF (Israel Defence Force)
Lo Sceicco Jamal Abu Al-Hija, comandante delle Brigate Hamas Izz Al-Din Al-Qassam nel campo profughi di Jenin, ha detto in un’intervista al sito web di Hamas che i membri di varie fazioni, “assieme a volontari delle forze di sicurezza palestinesi”, si preparavano in anticipo per l’ incursione israeliana. [1] Lo Sceicco Abu Al-Hija ha fornito maggiori dettagli sullo scontro, per telefono, al canale televisivo del Qatar Al-Jazeera, affermando: “[Abbiamo piazzato] congegni esplosivi sulle strade e nelle case; sorprese [attendono] le forze di occupazione. In molti posti, ci sono scontri tra i Mujahideen [2] e le forze di occupazione… Le forze di occupazione scappano, nel panico, dal campo di Jenin, ma intensificano l’uso di trattori, aerei e carri armati contro il campo. La verità è che si sta conducendo la lotta quartiere per quartiere, come una guerriglia. I Mujahideen stanno usando pistole automatiche, congegni esplosivi e granate a mano…”.[3]
Il quotidiano londinese in lingua araba Al-Sharq Al-Awsat ha citato quel che ha detto lo Sceicco Abu Al-Hija: “Le forze combattenti, da tutte le fazioni nel campo, sono state equipaggiate con cinture esplosive e granate”. [4] Lo stesso Sceicco ha dichiarato al settimanale giordano Al-Sabil: “I Mujahideen sono riusciti ad assediare nove soldati sionisti dentro una casa, e li hanno attaccati utilizzando granate a mano e bombe finché la casa non è andata in fiamme con dentro i soldati di occupazione. I testimoni hanno riferito che le forze di occupazione hanno estratto i soldati bruciati e carbonizzati”[5]
Bambini palestinesi e zainetti di scuola riempiti di esplosivi
Il comandante della Jihad islamica nel campo profughi di Jenin, Abu Jandal,[6] è stato intervistato più volte da Al-Jazeera durante il combattimento. In una conversazione, Abu Jandal ha detto: “Questo è il secondo giorno consecutivo che le forze di occupazione israeliane stanno cercando [di entrare nel campo] con l’aiuto di elicotteri Apache e di carri armati. Ma la fermezza dei combattenti che, all’inizio della battaglia, hanno giurato di non consentire [all’IDF] di avanzare verso questo campo, difende l’onore della nazione araba dai vicoli del campo profughi di Jenin. Ci sono stati vari tentativi da diverse strade, ma sono stati bloccati. La verità è che i nostri combattenti sono passati all’offensiva; oggi abbiamo continuato l’offensiva. Il comandante dell’unità israeliana è stato ucciso questa mattina, a 50 metri dal palazzo dal quale vi sto parlando. Io, comandante della battaglia del campo di Jenin, ho scelto per me stesso il nome di ‘Il martire Abu Jandal’, perché tutti i combattenti attorno a me sono dei martiri. Credetemi, ci sono bambini collocati nelle case con cinture esplosive ai fianchi… Oggi, uno dei bambini è venuto da me con il suo zainetto. Gli ho chiesto cosa volesse, e lui ha risposto: ‘Invece dei libri, voglio un congegno esplosivo, per attaccare…'”
Alla richiesta di quanto a lungo i suoi uomini sarebbero stati in grado di resistere contro le forze armate israeliane, visto che tutto quel che avevano erano armi leggere, Abu Jandal ha risposto: “No. Non è esatto. Noi abbiamo l’arma della sorpresa. Abbiamo l’arma dell’onore. Abbiamo l’arma divina, l’arma di Allah che resta al nostro fianco. Abbiamo armi migliori delle loro. Io sono quello con la verità, e ripongo la mia fiducia in Allah, mentre loro la ripongono in un carro armato”.[7]
Lo Sceicco Abu Al-Hija ha anche dichiarato: “Alcuni dei giovani restano saldi, e riempiono i loro zainetti di congegni esplosivi”.[8] In un’altra occasione, lo stesso Sceicco ha avuto difficoltà a valutare il numero di vittime israeliane: “E’ difficile fornire dati precisi, e non possiamo valutare la battaglia contando le perdite del nemico. Ma il riconoscimento del nemico di 24 uccisi e 130 feriti testimonia che ha subìto molte perdite. L’elenco dichiarato dall’esercito di occupazione comprende solo i nomi degli ebrei [uccisi] e trascura quelli dei soldati drusi e lahad [cioè dell’esercito sud-libanese] che hanno preso parte a tutte le passate incursioni e che [vi parteciperanno] anche in futuro. La nostra stima è che il nemico abbia subìto perdite molto più grandi”.[9]
Al-Sharq Al-Awsat ha riferito che a Jenin una donna palestinese chiamata Ilham ‘Ali Dasouqi si era fatta esplodere in mezzo ai soldati israeliani, uccidendone due e ferendone sei. Il giornale ha citato una fonte tra le Brigate Martiri di Al-Aqsa, che ha detto che lei ‘aveva seguito il percorso di Nasser ‘Uweis’, che si era fatto esplodere vicino ai soldati a Nablus. [10] Ma ‘Uweis, comandante delle Fatah’s Al-Aqsa Martyrs Brigades in Samaria, è stato arrestato alcuni giorni dopo. Sembra che le notizie sulla sua morte in un attentato suicida siano state un tentativo di agevolarne la fuga.
Il settimanale Al-Ahram sponsorizzato dal governo egiziano ha fatto un’intervista ad “Omar”, un giovane costruttore di bombe della Jihad Islamica, noto come ‘ingegnere’, che ha discusso di come i palestinesi abbiano disseminato di trappole Jenin, includendo la partecipazione di donne e bambini nelle battaglie.[11] “Lui è un membro della Jihad Islamica, ma dice che a Jenin tutte le fazioni sono fedeli a una sola causa: liberazione o morte…’. ‘Tra tutti i combattenti nella West Bank noi eravamo i più preparati’, dice. ‘Abbiamo cominciato a lavorare al nostro piano, intrappolare i soldati invasori e farli esplodere, dal momento in cui i carri armati israeliani erano usciti da Jenin il mese scorso'”.
Il giornale ha spiegato: “Omar ed altri ‘ingegneri’ hanno fabbricato centinaia di congegni esplosivi ed hanno scelto attentamente le loro posizioni. ‘Avevamo più di 50 case-trappola intorno al campo. Abbiamo scelto edifici vecchi e vuoti e le case di uomini ricercati da Israele, perché sapevamo che i soldati li avrebbero cercati’, ha detto [Omar]. ‘Abbiamo tagliato tratti delle principali tubazioni d’acqua* e li abbiamo impacchettati con esplosivi e chiodi. Quindi, li abbiamo piazzati a circa quattro metri di distanza dappertutto nelle case, nelle credenze, sotto i lavandini, nei divani’. I combattenti speravano di disarticolare i carri armati dell’esercito israeliano con bombe molto più potenti, piazzate nei bidoni della spazzatura, per le strade. Altri esplosivi erano stati nascosti nelle auto degli uomini più ricercati di Jenin. Collegate da fili, le bombe sono state attivate a distanza, innescate dalla corrente di una batteria d’auto”.
“Secondo Omar, tutti nel campo, compresi i bambini, sapevano dove erano collocati gli esplosivi, in modo che non ci fosse stato per i civili alcun pericolo di rimanere feriti. Quello era il solo punto debole nel piano. ‘Siamo stati traditi da spie tra noi’, dice. I fili di più di un terzo delle bombe sono stati tagliati da soldati accompagnati da collaboratori. ‘Se non fosse stato per le spie, i soldati non sarebbero mai riusciti ad entrare nel campo. Una volta penetrati, è stato molto più difficile difenderlo'”.
“E l’esplosione e l’imboscata di martedì scorso, che hanno ucciso 13 soldati? ‘Sono stati attirati là’, dice. ‘Abbiamo tutti smesso di sparare e le donne sono uscite per dire ai soldati che noi avevamo finito le pallottole e ce ne stavamo andando’. Le donne hanno avvertito i combattenti che i soldati avevano raggiunto l’area-trappola. ‘Quando gli ufficiali maggiori hanno capito quel che era successo, hanno gridato con i megafoni che volevano un immediato cessate il fuoco. Gli abbiamo permesso di avvicinarsi per recuperare gli uomini e quindi abbiamo aperto il fuoco. Alcuni dei soldati erano così scioccati e impauriti che, per errore, sono corsi verso di noi'”.
Jamal Huweil, un comandante delle Al-Aqsa Martyrs Brigades nel campo di Jenin, ha detto al quotidiano londinese in lingua araba Al-Hayat che “quattro soldati israeliani sono stati uccisi e [i palestinesi] hanno preso le loro armi automatiche. I giovani con i congegni esplosivi hanno anche messo fuori uso quattro carri armati israeliani”. [12]
Raed ‘Abbas, un combattente del Fronte democratico per la liberazione della Palestina (FDLP) nel campo di Jenin, ha detto ad Al-Hayat : “Tutti i combattenti avevano giurato di lottare fino alla fine… Non abbiamo altra scelta che combattere, e questa è la decisione di tutti. La voce di combattenti che si arrendono è completamente falsa. Se fosse vera, come mai due soldati israeliani sono stati uccisi lunedì mattina? Noi stimiamo che le loro perdite siano molto più gravi di quel che viene riferito. Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve. Loro hanno fallito in tutti i tentativi di avanzata; i nostri combattenti si stanno facendo esplodere davanti a loro e stanno piantando congegni esplosivi nelle strade. La situazione è estremamente terribile. Le forze aeree [israeliane] continuano il bombardamento. Alcuni attimi fa hanno lanciato parecchi missili, che hanno incendiato molte case”.[13]
Tutti i palestinesi intervistati hanno sottolineato la loro intenzione di combattere fino alla morte, anche negli ultimi giorni della battaglia. Lo Sceicco Abu Al-Hija è stato citato dal quotidiano degli Emirati Arabi Uniti, Al-Bayan, per aver detto: “Dopo questi giorni di fermezza e di resistenza unica, i combattenti di Jenin ripetono il loro motto ‘Nessuna resa: o vittoria o martirio’. La nostra forza è nel nostro essere veri Mujahideen di fronte al nuovo nazismo” [14]. Fonti palestinesi non identificate hanno aggiunto: “Le munizioni dei combattenti nel campo sono finite, ed essi hanno scelto il martirio. Stanno combattendo con coltelli e pietre, e si fanno esplodere davanti ai soldati di occupazione”.[15] Haj ‘Ali, un comandante delle Islamic Jihad’s Al-Quds Brigades, ha detto che la resistenza palestinese continua la sua lotta intensa, e non permetterà ai soldati di occupazione di impossessarsi del campo”. [16]
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[1] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [2] Cioè guerrieri Jihad. [3] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002. [4] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [5] Citato in Al-Shaab (Egitto), 19 aprile 2002. [6] Centro palestinese per i diritti umani: rapporto settimanale sulle violazioni israeliane dei diritti umani nei territori palestinesi occupati, 11-17 aprile 2002. Dopo la comunicazione della sua morte in battaglia, è stato annunciato che il suo vero nome era Hazem Ahmad Rayhan Qabha. [7] Al-Jazeera (Qatar), 4 aprile 2002. [8] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [9] http://www.palestine-info.in fo, 20 aprile 2002. [10] Al-Sharq Al-Awsat (Londra), 7 aprile 2002. [11] http://www.ahram.org.eg/weekly/2002/582/6inv2.htm. [12] Al-Hayat (Londra), 5 aprile 2002. [13] Al-Hayat (Londra), 9 aprile 2002. [14] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 10 aprile 2002. [15] Al-Bayan (Emirati Arabi Uniti), 11 aprile 2002. [16] Al-Jazeera (Qatar), 8 aprile 2002.

*Ricordate le rabbiose accuse all’esercito israeliano di tagliare le tubature dell’acqua per farli morire di sete? [ndb]

Ricordiamo anche come all’epoca in televisione, sui giornali, in internet, venissero presentate unicamente immagini come questa
Jenin
per far credere che l’intera Jenin fosse ridotta a un cumulo di macerie. E magari venivano mostrate le riprese aeree
Jenin 1
La verità la dice invece Raed ‘Abbas: “Le battaglie tra loro e noi vengono ingaggiate in un raggio estremamente breve”. Esattamente così:
jenin 2
Perché la questione è tutta lì: quale parte scegli di inquadrare
solounaparte
barbara

MA GUARDATE COSA COMBINA L’AVIAZIONE ISRAELIANA!

Grazie a un’amica, leggo sul Corriere della Sera online: “L’aviazione israeliana ha lanciato oltre 800 razzi da Gaza su Israele in cinque giorni: più di 160 al giorno.” Ora, che il desiderio della stampa anche moderatamente terzomondista (e purtroppo di molti amici di sinistra) sia di addossare sempre su Israele la responsabilità dei mali del mondo è da tempo assodato. Che meno si nominano i terroristi di Hamas e i loro supporter e più si evidenzia l’esclusiva prepotenza israeliana è altrettanto evidente. Ma che a contrastarsi sulla scena del conflitto ci siano, da una parte e dall’altra, israeliani contro israeliani può apparire anche ai più prevenuti e smaliziati una verità poco plausibile. Anche gli errori e i refusi fanno parte della retorica della propaganda. E comunque, in situazioni come la presente emerge dall’animo e dalle menti anche della crème intellettuale tutta quella schiuma biancastra che darebbe anni di lavoro ad allievi di Freud sul rapporto più o meno inconscio fra antisemitismo e antiisraelianismo. Ciò che mette in movimento il sangue, anche a un illuso che volesse tentare di continuare a vedere le cose a colori e non in tutto bianco e tutto nero, è la ricerca del controbilanciamento che tenta il giornalista quando, a un telegiornale nazionale, commenta l’avvio di una campagna di propaganda palestinese in lingua ebraica, ma si sente in dovere di precisare incidentalmente: “propaganda di cui peraltro gli israeliani sono maestri”, senza aggiungere alcuna specifica che dia il senso di una frase enigmatica quanto bislacca. Non so se questo sia antisemitismo, come direbbe qualche amico, ma certamente è strabismo politico, stile retorico disonesto, prevenzione antiisraeliana che non fa onore a chi avrebbe il dovere di informare, prima che di commentare con opinioni che strumentalizzano, oltre che l’innocenza del linguaggio, l’ingenuità dell’uditorio.
Dario Calimani, anglista (15 luglio 2014)

E dunque dopo il centro per disabili colpito con due donne uccise che miracolosamente si trasforma in un orfanotrofio bombardato con tre bambini uccisi, e tante analoghe storielle amene, adesso abbiamo anche l’aviazione israeliana che si autobombarda. Aspettiamo i progressi alla prossima puntata. Nel frattempo guardate questo:

 

P.S.: Per tutti quelli che continuano a sparare, inorriditi, le cifre delle centinaia di morti palestinesi – in gran parte civili, si raccomanda di precisarlo! – contro le unità di quelli israeliani, a riprova del fatto che gli israeliani sarebbero i cattivi aggressori e i palestinesi le povere vittime innocenti:
a) le cifre dei morti palestinesi sono tutte di fonte palestinese, sulla cui attendibilità potremmo scrivere interi romanzi (vi ricordate i 3000 morti di Jenin con fosse comuni ecc. ecc., poi diventati i 500 morti di Jenin, alla fine risultati 52, di cui 42 combattenti e 10 civili, la maggior parte usati dai terroristi come scudi umani?)
b) i terroristi non hanno uniforme, quindi vengono tutti fatti rientrare nella categoria dei civili. Ma non lo sono
c) in base alle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja, abitazioni civili, scuole, ospedali ecc. usati per scopi militari (nel caso in questione come depositi di armi ed esplosivi e come basi da cui lanciare missili su Israele: tutto ampiamente documentato) diventano legittimi obiettivi militari, e la responsabilità per eventuali morti ricade interamente su chi ne ha fatto un uso illegittimo
d) è noto l’uso, da parte di Hamas, dei civili come scudi umani. Vi è stato un caso, nei giorni scorsi, in cui gli abitanti di un immobile erano usciti dopo l’avviso da parte di Israele che quell’immobile stava per essere colpito, e fatti poi frettolosamente rientrare dai loro capi dopo che il missile israeliano era già partito e non era più possibile fermarlo o deviarlo
e) un discreto numero di morti palestinesi sono causati da razzi palestinesi che ricadono all’interno di Gaza
f) i morti israeliani sono relativamente pochi perché gli israeliani non mandano i propri civili sui tetti a prendere i missili in testa, bensì nei bunker a ripararsi. E hanno Iron Dome che provvede a distruggere in volo i missili diretti verso zone abitate, e nella maggior parte dei casi ci riesce
g) c’è stato un tempo in cui ci si lamentava che Hitler ne aveva ammazzati troppo pochi; adesso ci si lamenta che ne muoiono troppo pochi: la bestia è sempre la stessa, viva e vegeta, altro che sepolta tra le ceneri di Auschwitz!

barbara

E PER RESTARE IN TEMA

(ri)godiamoci lo straordinario spettacolo di questo funerale in cui il morto, spaventato dall’elicottero israeliano che sta riprendendo la scena, casca giù dalla barella, scappa, torna indietro, ci risale sopra per poi ricascare giù dopo pochi momenti e ricominciare tutto da capo. Da fare concorrenza ai film di Ridolini.

E meno male che almeno una volta quelle schiappe colossali degli israeliani nel campo della comunicazione si sono fatti venire l’idea di documentare almeno una delle consuete bufale della controparte. E per un minimo di informazione supplementare può valere la pena di leggere, o rileggere, uno e due.

barbara

È ARRIVATO IL MOMENTO

dieci anni dopo, di tornare a parlare di Jenin. Innanzitutto guardando questo video che qualcuno – non so chi – mi ha fatto arrivare all’account email del blog (se passa di qui colgo l’occasione per ringraziarlo/a)

E poi rileggendo questo articolo. O, più probabilmente, leggendolo per la prima volta, dato che, nonostante lo abbiamo mandato a tutti i giornali, a nessuno è venuto in mente di prenderlo in considerazione: si tratta di quei famosi fatti che contrastano con l’ideologia, e vanno pertanto rigorosamente ignorati. Anzi, meglio, cancellati.

barbara