NOTIZIE SPARSE

Comincio con la nonna affranta

Certo che con tutta una famiglia così, povera ragazza, inutile provare a dire che hai paura, che hai tanta paura, che hai sempre più paura, che vorresti che lui sparisse dalla tua vita per non ricomparire mai più…

E a proposito di violenza sulla donne:

Stefania Malka Hepeisen

Forza, scendete in piazza per la Sierra Leone dove ci sono 10.000 stupri all’anno di ragazze sotto i 15 anni. Dove la sifilide cerebrale la fa da padrona, dove le bambine vengono drogate per subire lo stupro data l’anatomia non pronta ai rapporti sessuali.
Che aspettate?
Dove sta l’Onu? L’Unrwa?
Troppo impegnato con Israele?
La Sierra Leone non ha diritto ai diritti umani? Mentre le bambine lì muoiono, qui siamo occupati a combattere il patriarcato e Israele.

Insomma, praticamente così:

Poi c’è sempre chi proietta su di te le proprie perversioni sessuali

Qui.

Le ho chiamate perversioni sessuali in mancanza di un termine più adatto, ma sessuali non è il termine corretto, perché in questi casi il sesso, la soddisfazione sessuale non è lo scopo, bensì un mezzo: un mezzo per fare male fisicamente e per umiliare, per – come ha detto un prigioniero durante l’interrogatorio – “disonorarle”. E come si può chiaramente capire anche da queste testimonianze

E a proposito di queste violenze, due parole a Lucia Annunziata che ha visto le registrazioni, che ne è rimasta talmente sconvolta da non poter reggere fino alla fine, da sentire la necessità di denunciarle in un crudo e dettagliato articolo: dimmi, cara Lucia, adesso che hai visto coi tuoi occhi che cosa ESATTAMENTE fanno i tuoi beniamini sui civili innocenti – al punto da infierire perfino sui neonati – continuerai a trovare loro ogni sorta di giustificazione? Continuerai a scagliarti contro Israele chiamando crimini la sua lotta in difesa della vita? E prima di quest’ultima mattanza, di vederli direttamente in azione, non sapevi quello che facevano, che hanno sempre fatto da quando è nato l’islam senza mai smettere? E dimmi, così per curiosità, hai ancora…?

E inoltre

Emanuel Segre Amar

A proposito degli stupri del 7 ottobre (continuati poi magari sulle persone ostaggio dei nazi-terroristi.
Due particolari che iniziano a circolare.
Due donne tornate sono risultate essere incinte.
Su dei cadaveri di donne uccise sono stati trovati fino a 14 tipi di sperma.
Ma tutto ciò non interessa alle varie Boldrini and co. che sentenziano a ruota libera

(Nel caso qualcuno si chiedesse come mai gli sia venuta la bizzarra idea di andare a esaminare lo sperma: serve per identificare i responsabili fra i terroristi catturati e quelli che si stanno arrendendo a mandrie intere. Come si diceva una volta nei cortei: pagherete caro, pagherete tutto. Il tempo, oggi, non è più dalla vostra parte

No, decisamente no)

E come se non bastasse

Niram Ferretti

DENTRO L’ABIEZIONE

«Sappiamo che alcuni bambini rapiti da Hamas sono stati abusati sessualmente. Non sono tra i piccoli che abbiamo in cura noi qui, si trovano in una delle altre strutture mediche che hanno preso in carico gli ostaggi minorenni dopo il rilascio». Lo dice all’Ansa Omer Niv, vice direttore dello Schneider children’s medical center, il primo e più grande ospedale pediatrico di Israele e del Medio Oriente. Nell’istituto sono in cura 19 piccoli ostaggi tornati alla libertà dopo 50 giorni di prigionia a Gaza. «Sono come fantasmi. Soffrono di depressione profonda grave, sono tristi, camminano lentamente, non vogliono uscire dalla stanza, scoppiano a piangere se vedono un estraneo, hanno paura, masticano il cibo lentamente, temono ogni rumore», racconta il dottor Niv.
Che non si nasconde dietro al pudore e ammette che anche i team di medici che curano i piccoli pazienti stanno andando avanti per tentativi, a secondo delle reazioni che raccolgono: «Non ci sono nella letteratura scientifica esempi in cui bambini piccoli, di 2, 3, 4 anni, siano stati rapiti, tenuti in posti claustrofobici, in condizioni igieniche estreme, separati dai loro genitori, nutriti a malapena, torturati con false notizie come la morte di papà e mamma anche se non era vero. Non c’è mai stata una terapia per questi danni. Perché non era mai successo niente del genere nella storia dell’umanità», osserva Niv. «Con psichiatri, psicologi, pediatri, sociologi, affrontiamo i bambini caso per caso. In un certo senso ci sentiamo impotenti. Una madre con due bambine di 3 anni è con noi dal momento del rilascio, vogliono restare qui: la loro casa è stata bruciata, il papà è in ostaggio a Gaza, non vogliono uscire. Questi bambini probabilmente avranno bisogno di essere curati e seguiti per tutta la loro vita», conclude il vice direttore dello Schneider children’s medical center.

E poi c’è lo zio Sam, il “migliore alleato di Israele” quando gli interessi di Israele coincidono coi suoi, altrimenti Israele si fotta, e che con Obama e Biden è diventato un sordido nemico.

Con la ripresa dei combattimenti nella Striscia di Gaza, il segretario di Stato americano Blinken ha informato Israele delle restrizioni sotto cui gli Stati Uniti gli permetteranno di operare. Nessuno sfollamento della popolazione civile e meno vittime civili (anche se non ci sono numeri tranne quelli che provengono direttamente da Hamas). Nessun bombardamento su ospedali o  scuole, anche quando sono di fatto santuari delle truppe di Hamas. Nessuna interruzione della fornitura di carburante, che Hamas utilizza per mantenere i suoi tunnel illuminati e ventilati. Tuttavia ci viene detto di finire la guerra in fretta, perché il nostro “credito” sta finendo. E nel caso qualcuno pensasse che un giorno i bambini israeliani avranno il diritto di dormire sonni tranquilli nelle comunità del Negev occidentale, ebbene, non dovrà esserci alcuna zona di sicurezza sul lato di Gaza del confine e nessun controllo di sicurezza israeliano su Gaza. La minaccia implicita è che se Israele esce dalla riserva, gli Stati Uniti non gli forniranno munizioni e pezzi di ricambio essenziali per i nostri sistemi d’arma americani, né porranno il veto alle risoluzioni ostili del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Non so come Israele abbia risposto a queste richieste fatte al nostro gabinetto di guerra dove il signor Blinken ha evidentemente il diritto di sedere. Ma so come penso che dovremmo rispondere. E quindi invio quanto segue:

Caro Segretario Blinken,
Apprezziamo il sostegno che riceviamo dall’America nella nostra guerra contro il genocida  Hamas. Apprezziamo il fatto che sembriate capire che questi mostri devono essere rimossi dal potere a Gaza, da dove hanno promesso di ripetere ancora e ancora le atrocità commesse contro il nostro popolo il 7 ottobre, atrocità proporzionalmente venti volte maggiori di quelle perpetrate contro negli Stati Uniti l’11 settembre. Ma nonostante la vostra comprensione, insistete nel porre restrizioni su come possiamo combattere; di fatto, per noi, una micro gestione della guerra.
Parliamo francamente: ci state chiedendo, nel breve termine, di barattare la vita dei nostri soldati con quella dei civili di Gaza, e  state misurando la nostra capacità di soddisfare questa richiesta con i numeri forniti da Hamas! Ci state chiedendo di combattere in un modo che, nella migliore delle ipotesi, sconfiggerà Hamas solo parzialmente. Dite di volere che Hamas venga rimosso dal potere, ma il probabile effetto del seguire le vostre istruzioni non sarà questo. Ci state chiedendo di combattere in un modo che gli americani non hanno mai perseguito, né mai perseguirebbero. Non è così che avete combattuto durante la seconda guerra mondiale, in Corea, Vietnam, Afghanistan e Iraq.
Sul lungo termine, ci state chiedendo di rinunciare all’intero Negev occidentale, che diventerà inabitabile per gli ebrei se non manteniamo il controllo di sicurezza di Gaza e se non possiamo stabilire una zona cuscinetto tra esso e la nostra popolazione. Aspirate addirittura a creare uno stato palestinese unificato e sovrano in tutta la Giudea, Samaria e Gaza, qualcosa che porterebbe in breve alla fine dello stato ebraico.
Noi non accettiamo le vostre restrizioni e la microgestione della guerra, e non scambieremo la vita dei nostri soldati con nessuno, né con gli abitanti di Gaza (che sostengono in stragrande maggioranza la violenza omicida contro gli ebrei, sia da parte di Hamas che di altri gruppi), e nemmeno con le fortune elettorali della fazione Obama-Biden del Partito Democratico.
Insistiamo sul fatto che quando la guerra finirà, dovranno essere create condizioni adeguate per la sicurezza del Negev occidentale. E dobbiamo informarvi che se metterete in atto la vostra minaccia di tagliare la nostra fornitura di munizioni e ricambi per le nostre moderne armi americane, saremo costretti a combattere in modi meno moderni e per molto più tempo [ma secondo me potreste anche scegliere di combattere in modi MOLTO più moderni, e per molto meno tempo]. La crisi umanitaria, come conseguenza diretta, sarà molto più grave e voi ne sarete responsabili. Perché non smetteremo di combattere quella che consideriamo una battaglia essenziale nella guerra per la sopravvivenza della nostra nazione e del nostro popolo, anche se dovremo combattere con le armi più primitive.
Noi non abbiamo scelta. Ma voi l’avete: potete sostenerci, o potete di fatto sostenere coloro che pensano che l’omicidio, la tortura e lo stupro siano tattiche non solo accettabili, ma lodevoli. Potete aiutarci a finire la guerra in fretta, oppure potete prolungarla, con tutto il dolore e la sofferenza che ciò comporta. Ma sappiate questo: in ogni caso Hamas non sfuggirà al giudizio.
Cordiali saluti,
praticamente tutti in Israele (qui, traduttore automatico con correzioni a aggiustamenti miei)

Scenario già visto. E l’altra volta la risposta c’è stata davvero

Nel frattempo

Emanuel Segre Amar

Ma guardate che strano: in un camion che portava aiuti ai civili di Gaza (ai civili, mica a Hamas: e se fosse la stessa cosa?) sono stati scoperti dei droni.

Mentre in casa nostra

A quanto pare, anche se il sindaco è cambiato, i sentimenti da quelle parti restano sempre gli stessi.

Ma voglio chiudere con due cose almeno relativamente positive. Questa è Amit Soussana,

quarant’anni, avvocato. Questo è il suo rapimento (qui)

E questa è di nuovo lei, 55 giorni dopo

E questa è Emilia Aloni di ritorno all’asilo

barbara

AGGIORNAMENTI VARI

Il noto saltimbanco, prostituito fin dall’inizio della cosiddetta seconda intifada – ossia della guerra terroristica accuratamente preparata per anni e fatta esplodere approfittando della visita di Sharon, concordata con l’autorità palestinese, al Monte del tempio (il suo nome è questo, non spianata delle moschee) per fingere che fosse una spontanea reazione popolare – prostituito, dicevo, al terrorismo palestinese, ha dato come previsto i suoi responsa. Che non vi pubblico perché detesto far vomitare i miei lettori. E vi risparmio anche le esternazioni dei vari Vauro, Barbara Lezzi e compagnia eruttante sui crimini di Israele e tutta la solita paccottiglia sinistrorsa che ben conosciamo. Vi propongo invece questa breve conversazione tra Nicola Porro e Michael Sfaradi in cui vengono sottolineati alcuni dettagli importanti, che magari potrebbero sfuggire

E questa serie di video

Notare che la ragazza, oltre ad avere sangue sul viso, braccia, mani e caviglie, ha anche una vasta macchia di sangue sul didietro dei pantaloni – e non aggiungo commenti. Poi c’è questo:

Emanuel Segre Amar

I video delle violenze dei miliziani stanno facendo il giro della rete e l’episodio più orrendo riguarda una donna – forse un soldato israeliano – il cui cadavere seminudo è stato esposto come un trofeo.

Nel video diventato virale nel giro di poche ore, è possibile notare i militanti di Hamas mentre trasportano il cadavere di una donna quasi completamente svestita [le sono stati lasciati unicamente gli slip, ndb] a bordo di un camion aperto. La sequenza mostra i civili palestinesi che abusano del cadavere della donna, ma non solo: alcuni di loro vengono immortalati mentre le sputano addosso o, ancora, la schiaffeggiano. Uno spettacolo terribile, mentre in sottofondo è possibile ascoltare i criminali mentre urlano “Allah Akbar”.

E poi che secondo il Jerusalem Post Hamas avrebbe preso 164 ostaggi.

A fronte di tutto questo si leggono commenti di questo tenore

Otto Risotto

sono la persona piu’ lontana dai palestinesi, ma stavolta fanno bene. Questi giudei si devono dare una calmata, stanno monopolizzando le nostre vite, facendoci invadere coi lori capitali, coi loro giornali ,vedi gruppo Gedi, con le loro banche.

Non gli ci vuole molto a calare la maschera e a passare da Israeliani a giudei, da torti nei confronti dei palestinesi a denaro banche controllano il mondo. Vorrei poi riprendere, giusto per inquadrare meglio la situazione per chi non la conoscesse troppo bene, un mio post di 17 anni fa.

TRE PAROLE

“Si tratta con chi c’è”. “Non sempre gli interlocutori si possono scegliere”. “Se abbiamo di fronte Hamas bisogna trattare con Hamas. Dopotutto è il governo democraticamente scelto dai palestinesi in democratiche elezioni”. Già sentite – vero? – queste belle frasi. Miliardi di volte. Ecco, ora io vorrei chiedere ai sostenitori della trattativa: voi avete letto lo statuto di Hamas? Letto tutto? Letto bene? Io l’ho fatto, e vorrei scambiare con voi due chiacchiere su questa faccenda. Probabilmente avete intenzione di dirmi che non mi dovrei impuntare sulla questione pregiudiziale della distruzione di Israele, perché su quella magari si potrebbe anche indurre Hamas a venire a patti. Se è questo che volete dirmi, risparmiatevi la fatica: non intendo parlare di questo. La questione della distruzione di Israele non mi interessa. Non in questo momento. Non in questo contesto. Non intendo occuparmi neanche del rifiuto pregiudiziale da parte di Hamas di qualunque trattativa nei confronti di Israele: anche questo, dopotutto, è secondario. Ciò di cui voglio parlare è altro. Ciò di cui mi voglio occupare sono tre parole. Tre parole che nello statuto di Hamas non ci sono. Tre parole che rappresentano il mantra di tutti i fautori del dialogo ad oltranza: “Stato di Palestina”. Non ci sono. Lo statuto di Hamas non parla di stato di Palestina. Non c’è un articolo, non c’è un comma, non c’è un paragrafo, non c’è una frase in cui compaiano le parole “Stato di Palestina”. Lo stato di Palestina non fa parte dei programmi di Hamas. Lo stato di Palestina non è nei progetti di Hamas. Lo stato di Palestina non rientra negli obiettivi di Hamas. Se Hamas vincerà la guerra e distruggerà Israele, dalle ceneri di Israele non nascerà lo stato di Palestina. La domanda, alla quale i dialoghisti senza se e senza ma sicuramente avranno una miriade di risposte da proporre, è: su che cosa trattiamo, con Hamas? [E infatti quando l’ho postato, una – Gabrielita: qualcuno sicuramente la ricorderà – ha risposto immediatamente: “Si discute sui confini”. Cioè tra uno stato che non esiste e che non si ha intenzione di costruire e uno che è destinato a smettere di esistere, si discute sui confini. Lo riporto giusto per dare la misura dell’intelligenza della nostra controparte]

Che cos’è dunque che vuole Hamas? A quale scopo è stata creata questa organizzazione terroristica? Beh, è presto detto: l’obiettivo ultimo lo troviamo al capitolo 7 del suo statuto: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo” (qui). Quindi non solo, come è detto in altre parti, la lotta contro il sionismo, la cancellazione dello stato di Israele (e francamente fanno ridere – ridere per non piangere – quei gran soloni della politica che predicano che non si potrà fare questo e concedere quest’altro fino a quando Hamas non avrà cancellato dal suo statuto il proposito di distruggere Israele, quando questo è l’unico scopo per cui è stata creata), ma anche lo sterminio totale degli ebrei.

E gli altri? I “moderati”? Quelli che possiamo ragionevolmente considerare “partner per la pace”? Diamo un’occhiata alla Costituzione di Al-Fatah.
Articolo (2) Il popolo palestinese ha un’identità indipendente. Essi sono l’unica autorità che decide il proprio destino e hanno completa sovranità su tutte le loro terre.
Articolo (3) La rivoluzione palestinese ha un ruolo guida nella liberazione della Palestina.
Articolo (4) La lotta palestinese è parte integrante della lotta mondiale contro il sionismo, colonialismo e imperialismo internazionale.
Articolo (5) La liberazione della Palestina* è un obbligo nazionale che ha bisogno del supporto materiale e umano della Nazione Araba.
Articolo (6) Progetti, accordi e risoluzioni dell’Onu o di singoli soggetti che minino il diritto del popolo palestinese nella propria terra sono illegali e rifiutati.
Articolo (9) La liberazione della Palestina e la protezione dei suoi luoghi santi è un obbligo arabo religioso e umano.
Articolo (17) La rivoluzione armata pubblica è il metodo inevitabile per liberare la Palestina.
Articolo (19) La lotta armata è una strategia e non una tattica, e la rivoluzione armata del popolo arabo palestinese è un fattore decisivo nella lotta di liberazione e nello sradicamento dell’esistenza sionista, e la sua lotta non cesserà fino a quando lo stato sionista non sarà demolito e la Palestina completamente liberata. (Enfasi mia, qui, traduzione mia)

* Va ricordato, perché forse c’è ancora qualcuno che non lo sa, che loro per Palestina non intendono Gaza Giudea e Samaria, bensì tutto il territorio di Israele, e infatti gli slogan che i filo palestinesi gridano nelle manifestazioni sono in inglese Palestine will be free from the river to the see e in italiano Palestina vogliamo tutto, Israele dev’essere distrutto

E il “laico” Arafat? Ascoltiamolo in questo rarissimo e quasi introvabile video, esporre il suo vero obiettivo in un inglese incerto e rozzo ma perfettamente comprensibile

Per chi desiderasse altre fonti di informazione suggerisco queste

https://www.instagram.com/honestreporting/?hl=en

E infine la questione del Mossad e del suo colossale fallimento nel prevenire un’operazione di questa portata: come è stato possibile? Secondo qualcuno in effetti no: proprio per la portata dell’azione in corso, vera propria guerra di invasione, per la meticolosa preparazione che ha sicuramente richiesto, per il coordinamento di tante forze, non è possibile che non si siano accorti di niente. E la spiegazione per il non averlo impedito è che con un così massiccio e feroce atto di guerra finalmente Israele avrebbe finalmente potuto andare a fondo nel lavoro di pulizia senza venire bloccato dalle solite organizzazioni. Io non lo so, non ho elementi per sbilanciarmi in un giudizio. Da una parte sembra effettivamente impossibile che il miglior servizio segreto del mondo non si sia accorto di una cosa come questa (cosa però già successa con la guerra del kippur), dall’altra centinaia di morti (oltre 300 secondo alcune fonti, 500 secondo altre), oltre un migliaio di feriti, fra cui parecchi gravi e gravissimi, un paio di centinaia di ostaggi che qualunque azione dentro Gaza potrebbe ora colpire, oltre allo strumento di ricatto che rappresenteranno (considerando che non ci sarà modo di sapere se siano vivi o morti, e considerando che per il solo Gilad Shalit sono stati liberati oltre 1000 terroristi dalle mani sporche di sangue, quando in realtà l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di annunciare che avevano 48 ore – meglio ancora 24 – per restituirlo vivo e in buona salute, in caso contrario l’intero esercito sarebbe entrato in Gaza e ne avrebbe fatto terra bruciata), ecco, tutto questo rappresenta un prezzo davvero troppo pesante per poter pensare che sia stato previsto e accettato. E quindi niente, il mistero, almeno per me, rimane.

Concludo proponendo questo video che ho trovato casualmente questa notte durante una pausa dal lavoro per questo post, la cui prima parte mi ha indotta a pensare che, mutati mutandis… Però anche il resto, secondo me, dovrebbe piacere, soprattutto agli amici musicofili

barbara

COMUNQUE NON VEDO IL MOTIVO DI TANTO STUPORE

Non è andato anche lui dal papa in tenuta militare?

Se uno fa di mestiere il terrorista, mica smonta di servizio e si cambia come il dottore che a fine turno si toglie il camice o la commessa il grembiule, no? Se sei terrorista lo sei 24 ore su 24, e 24 ore su 24 resti vestito da terrorista.

Detto questo, passo al consueto sboicottamento

(attenzione, che quando è finito poi ricomincia)

barbara

IL PIANO TRUMP IN SOLDONI

Finora il giochino della dirigenza palestinese è stato questo:

– Che cosa volete?
– Vogliamo A.
– Va bene, vi diamo A.
– E anche B.
– Va bene, vi diamo B.
– E poi anche C.
– OK, anche C.
– E D ci spetta di diritto.
– E va bene, se proprio è necessario per avere la pace vi concederemo anche D.
– Assassini delinquenti farabutti! Allora ditelo che volete la guerra! State macchinando per derubarci dei nostri ancestrali e inalienabili diritti su E! Ebbene, avete voluto la guerra, e guerra sia.

E la guerra, o nel senso di intensificarsi degli attacchi terroristici come è avvenuto dopo l’invito indicato nella risoluzione ONU 242 a incontrarsi per raggiungere una pace negoziata (la risposta alla quale sono stati i “tre no di Khartoum”: no al riconoscimento, no al negoziato, no alla pace) e come puntualmente avvenuto, a partire dalla conferenza di Madrid nell’ottobre del 1991, ad ogni nuovo incontro per tentare di raggiungere un accordo di pace (con un delirante Rabin che continuava a farneticare di “terra in cambio di pace”, cieco e sordo al fatto che più terra concedeva e più riceveva in cambio terrorismo e morte e distruzione), e come, prevedibilmente, dopo il ritiro dal Libano e, più ancora, dopo il ritiro (leggi deportazione di ottomila ebrei) da Gush Katif in Gaza; o come guerra vera e propria come quella scatenata alla fine di settembre del 2000 dopo che Ehud Barak aveva offerto tutto, letteralmente tutto, quello che Arafat aveva chiesto, è infatti sempre arrivata..

Bene, adesso è arrivato il tanto vituperato Trump, che ha sparigliato tutte le carte. Si è deciso, primo nella Storia, a prendere atto che quel sistema ha dato vita a decenni di fallimenti e a migliaia di morti da una parte e dall’altra e, primo nella Storia, ha pensato che quel sistema forse non era tanto buono, e ne ha adottato un altro, molto semplice: noi vi diamo questo, prendere o lasciare. Che mi ricorda un episodio del romanzo “Peyton Place” – bizzarramente tradotto in italiano con “I peccati di Peyton Place”, perché a quanto pare in Italia se non c’è peccato non c’è vita. Il figlio del padrone della fabbrica ha messo incinta la figlia di un suo operaio, il quale va dal padrone per esigere riparazione. Il padrone prende il libretto degli assegni, ne compila uno per 1000 dollari (un vero capitale all’epoca) e glielo porge. L’altro tenta di alzare la posta recitando la parte del padre offeso nell’onore che non si svende per 1000 dollari, al che il padrone lentamente, senza dire una parola, fa a pezzi l’assegno, ne compila un altro per 500 dollari e glielo porge dicendo: “Il prossimo sarà della metà”. E lui abbassa la testa e lo prende, perché sa che il suo gioco è stato scoperto e che quella è l’ultima migliore offerta disponibile. Tutto questo lo hanno perfettamente compreso anche parecchi Paesi arabi, stanchi oltretutto di fare, come ha scritto qualcuno, il bancomat dei palestinesi, e hanno approvato senza riserve o quasi il piano di Trump. Non lo hanno naturalmente accettato i palestinesi, come non ne hanno mai accettato alcuno in precedenza, non perché questo o quest’altro aspetto non vada loro a genio, ma semplicemente perché qualunque piano che non preveda la cancellazione di Israele è per loro irricevibile. La differenza fra prima e adesso è che se non accettano le carte che vengono loro porte, resteranno semplicemente fuori dal gioco, e oltretutto senza più sostenitori, tranne l‘Iran, che con le violente proteste in corso ha le sue belle gatte da pelare, la Turchia, e quella sgangherata baracca che va sotto il nome di Unione Europea. Les jeux sont faits, rien ne va plus, e forse, grazie a Trump, una speranza di pace questa volta c’è davvero.

barbara                                                                                                                                                                                                                                                     

IL SINDACO DI PALERMO, ARAFAT E LA PACE

di Valentino Baldacci

Bene ha fatto l’UCEI a usare un linguaggio prudente definendo Yasser Arafat “un personaggio controverso” e “inopportuna” la decisione del Comune di Palermo di intitolare un tratto del lungomare al leader palestinese. Ha fatto bene a usare un linguaggio prudente per le responsabilità che gravano sull’organizzazione che rappresenta gli ebrei italiani.
Ma alla stessa prudenza non è tenuto il privato cittadino che, di fronte all’incredibile decisione del sindaco Leoluca Orlando, ha la possibilità e anche il dovere di parlare chiaro. E allora si deve dire che Arafat non è stato solo il capo di un’organizzazione terroristica ma che su di lui grava l’enorme responsabilità di aver distrutto ogni speranza di pace e di fine del conflitto israelo-palestinese. Fu lui a far fallire i colloqui di Camp David dell’estate del 2000 e di quelli successivi di Taba, quando la pace era a portata di mano, come alcuni leaders palestinesi hanno in seguito ammesso. La sua scelta di far fallire il negoziato getta una diversa luce anche sugli accordi di Oslo del 1993 che, sulla base degli eventi successivi, appaiono solo una mossa tattica di una dirigenza in difficoltà per guadagnare tempo e per assicurarsi una base territoriale da cui riprendere la lotta.
Ma se su Arafat ricade la responsabilità del fallimento della possibilità di un accordo di pace e quella della morte di tanti cittadini israeliani e palestinesi, questi ultimi gettati allo sbaraglio per mantenere aperto il conflitto, una responsabilità altrettanto pesante grava anche su coloro che – in Italia e più in generale in Occidente – fanno credere alla leadership e alla popolazione palestinese di avere un appoggio tale da consentire loro di non ricercare la pace e di continuare a perseguire i loro obiettivi con la violenza.
Sono gravi le responsabilità di Sindaci come Leoluca Orlando e come il suo omologo napoletano Luigi De Magistris, come lo sono quelle di altri rappresentanti delle istituzioni che contribuiscono con il loro comportamento a rafforzare nella leadership palestinese la convinzione che la lotta armata è il solo strumento per conseguire i propri obiettivi. Come grave è la responsabilità di tutte quelle organizzazioni (associazioni propal, centri sociali ecc.) che contribuiscono anch’essi a creare nella leadership palestinese l’illusione di un sostegno che in realtà riguarda solo alcune frange estremiste del quadro politico italiano. Lo stesso discorso si può fare per quelle organizzazioni internazionali – dall’ONU all’Unione Europea – che – dietro lo schermo degli aiuti umanitari – continuano a sostenere e a finanziare le organizzazioni palestinesi.
Se la leadership palestinese fosse messa davanti alla realtà dei fatti, e cioè che il sostegno alla loro politica viene soltanto da Paesi come l’Iran e dai suoi satelliti, mentre gli altri Paesi arabi moderati li hanno da tempo abbandonati, avrebbe da tempo accettato di sedere seriamente al tavolo della pace, risparmiando al proprio popolo, oltre che a quello israeliano, tante sofferenze.

(moked, 31 ottobre 2019)

Bene ha fatto il buon Valentino Baldacci a usare un linguaggio prudente nei confronti dell’UCEI, visto che ha pubblicato questo articolo sul loro giornale; ma noi, privati cittadini, non abbiamo la necessità di usare la stessa prudenza, e ci permettiamo di dire senza mezzi termini che la reticenza dell’UCEI nei confronti di Arafat e del sindaco Orlando è semplicemente inqualificabile. E Grazie a Valentino Baldacci che ha avuto il coraggio di chiamare le cose col loro nome.
soldigaza
barbara

LA BARRIERA DI SICUREZZA: UNA PREROGATIVA DI ISRAELE CONTENUTA GIÀ NEGLI ACCORDI DI OSLO

Un vecchio articolo che vale la pena di rileggere.

Aaron Lerner, 22 gennaio 2004

I documenti sul “processo” di Oslo non soltanto toglievano ai palestinesi qualsiasi pretesa a un qualsivoglia diritto universale a resistere in modo violento all'”occupazione”. L’accordo garantisce a Israele il diritto di erigere una barriera di separazione che avrebbe garantito sicurezza alle comunità israeliane situate oltre la Linea Verde.
“L’OLP si impegna al processo di pace in Medio Oriente e a una soluzione pacifica del conflitto fra le due parti e dichiara tutte le questioni in sospeso riguardo allo status definitivo saranno risolte con negoziati. … l’OLP rinuncia all’uso del terrorismo e altri atti di violenza e si assumerà la responsabilità su tutti gli elementi e il personale dell’OLP per assicurare il rispetto degli accordi, prevenirne le violazioni e punire i responsabili”.
Questo è quanto scrisse Arafat nella sua lettera del 9 settembre a Yitzhak Rabin, il primo ministro di Israele. E non fu facile far firmare queste dichiarazioni ad Arafat, in qualità di rappresentante del popolo palestinese, parole che abbandonano qualsiasi pretesa legale al diritto ad imporre continuamente il terrorismo e altri atti di violenza in quella che Arafat e i suoi sostenitori chiamano “lotta di liberazione”. Osservate le singole frasi. Arafat non rinuncia soltanto all’uso del “terrorismo” – una parola che gli arabi sostengono non possa mai essere applicata alle loro attività assassine – rinuncia anche all’uso di “altri atti di violenza”.
Arafat non voleva firmare queste dichiarazione, ma Rabin chiarì che erano imprescindibili.
Siamo di fronte a un Arafat dell’estate del 1993, in sostanza un vecchietto esiliato a Tunisi da Beirut che vedeva ogni giorno gli israeliani che accorciavano la loro lista di terroristi ricercati?
No. A differenza di quella che è diventata la storia in certi ambienti, non sono stati i “ragazzi delle pietre” che hanno tolto Arafat dal dimenticatoio della storia, è stato un gruppo di ideologi israeliani che cercavano un modo per facilitare il ritiro israeliano da Cisgiordania e Gaza.
Oslo è stata l’ancora di salvataggio di Arafat. Israele poteva prendere o lasciare. Arafat ha risposto più in fretta.
E non è finita qui.
“Israele continuerà ad essere responsabile per la sicurezza complessiva degli israeliani e degli insediamenti, allo scopo di salvaguardare la sicurezza interna e l’ordine pubblico, e avrà tutti i poteri per intraprendere le misure necessarie a tale scopo”:
Accordo ad Interim israelo-palestinese su Cisgiordania e Gaza, Washington, D.C., 28 settembre 1995, articolo XII, paragrafo 1.
“Niente in questo articolo potrà derogare dai poteri di sicurezza e dalle responsabilità di Israele in accordo con questa Intesa”.
Accordo ad Interim israelo-palestinese su Cisgiordania e Gaza, Washington, D.C., 28 settembre 1995, Annesso I, Articolo I, Ridispiegamento delle forze militari israeliane e trasferimento di responsabilità, paragrafo 7.
I palestinesi hanno accettato – per scritto – che Israele “avrà tutti i poteri per intraprendere le misure necessarie” non solo per proteggere gli israeliani dentro la Linea Verde, ma gli israeliani in generale. Non solo di proteggere le comunità israeliane entro la Linea Verde, ma anche gli “insediamenti”: scritto, nero su bianco. E così oggi, quando Israele ha deciso che l’erezione di una barriera di separazione con alcune parti oltre la linea verde è una “misura necessaria” è il massimo dell’assurdo che questa azione sia aggredita come se gli accordi di Oslo non avessero valore.
Che ironia: le stessi istituzioni e le stesse persone che fanno maggiori pressioni su Israele affinché baratti la sua sicurezza per avere altri pezzi di carta sono i primi a volgere le spalle ai pezzi di carta che Israele ha già pagato caro.

Traduzione: Valentina Piattelli .

E qui un paio di cose, anche relative alla cosiddetta Linea Verde, che può essere utile ricordare.
NOTA PER CHI NON HA LA POSSIBILITÀ DI SENTIRE: in coda al video i punti fondamentali compaiono scritti. 

barbara

CONOSCETE LILLI GRUBER?

I più giovani magari mica tanto, o per lo meno non in tutte le sue sfaccettature. È per questo, per riempire questa lacuna, che sono andata a ripescare nei miei archivi alcuni miei pezzi scritti per Informazione Corretta fra la primavera e l’estate del 2002, all’epoca dell’operazione Scudo di difesa, messo in atto per fermare la micidiale ondata di attentati che aveva provocato qualche centinaio di morti e un numero infinito di feriti, alcuni gravissimi e destinati a restare mutilati o comunque invalidi permanenti.

UNO STATO PALESTINESE PER SALVARE LA DEMOCRAZIA IN ISRAELE
di Lilli Gruber, 13/04/2002

Il nuovo attacco antiisraeliano di Lilli Gruber (dai toni – dobbiamo riconoscerlo – un po’ meno astiosi di quelli a cui ci aveva da lungo tempo abituati) ricorre a una tecnica divenuta ormai classica: si prendono alcune dichiarazioni – spesso estrapolate dal contesto – di un israeliano “dissidente” e si riportano come se fosse vangelo, come se le sue proposte fossero “la” soluzione. In questo caso si tratta di Ami Ayalon. Con una citazione non virgolettata Lilli Gruber fa notare che
l’uso della forza non attenuerà la rabbia palestinese, e che nemmeno l’uccisione di Arafat li farà desistere dal loro obiettivo: creare uno stato sovrano, in grado di sopravvivere dal punto di vista politico ed economico.
E noi non possiamo non chiederci: se l’obiettivo è la creazione di uno stato sovrano, perché da 54 anni non solo lo stanno rifiutando, ma stanno anche lottando con tutte le proprie forze per impedirgli di nascere? Non sorge in Lilli Gruber il sospetto che l’obiettivo possa essere un altro? E ancora:
“Tsahal è più forte che mai, i nostri servizi segreti sono eccellenti, allora perché il problema non è ancora risolto?”
A noi la risposta sembra molto semplice: perché Tsahal finora ha usato sì e no un centesimo della sua forza. Prosegue sostenendo che c’è un unico modo possibile
per fermare la violenza: smantellare le colonie ebraiche di Gaza e Cisgiordania e ristabilire la continuità territoriale dei due lembi di terra.
Forse la signora Gruber ha già dimenticato, a meno di due anni di distanza, che questo è esattamente quanto era stato proposto a Camp David, ed è stato rifiutato. Dimentica che quando Barak è arrivato ad offrire tutto e non gli è rimasto più niente da negoziare, Arafat ha scatenato la guerra. Dimentica che vari sondaggi hanno rilevato che la maggioranza dei palestinesi è decisa a continuare la guerra contro Israele anche in caso di completo ritiro dai territori. E conclude:
è ormai chiaro che solo l’istituzione di uno Stato palestinese preserverà il carattere ebraico e democratico di Israele.
Peccato che lo stato Palestinese come lo intendono i palestinesi si estenda dal Giordano al mare e non preveda affatto la presenza dello stato di Israele, democratico o no. Siamo sicuri che sia ragionevole chiedere a Israele di accettare questo?

BUSH E SHARON: LA FORZA VINCE SUL CAMPO
di Lilli Gruber, 18/05/2002

Ancora una volta Lilli Gruber, in questo suo sconclusionatissimo articolo pubblicato su Io donna del 18 maggio, si dedica al suo sport preferito: il tiro al bersaglio su Israele.
La conclusione più importante che ha tratto l’America – dopo un mese di violenze nei territori palestinesi – è che nel mondo “squilibrato” in cui domina, d’ora in poi nulla e nessuno si potrà opporre alla sua forza e a quella dei suoi alleati.
Viene da chiedersi da dove la signora Gruber abbia tratto la conclusione che l’America abbia tratto questa conclusione, dal momento che l’America non ha ancora mosso un dito, in nessun campo. Viene da chiedersi quale sia questo mondo squilibrato in cui dominerebbe l’America. E già che ci siamo, decidiamo di esagerare, e ci chiediamo anche come mai si occupi così appassionatamente del mese di violenze israeliane nei territori palestinesi e non si sia mai occupata dei cinquantaquattro anni di violenze palestinesi in territorio israeliano.
Ne era convinto anche il vicepresidente Cheney, appena rientrato dai paesi arabi, alla vigilia delle operazioni israeliane.
Gliel’ha detto lui? A noi non ha detto niente!
La “lezione israeliana” sarà perciò centrale nella decisione di attaccare l’Iraq.
No, un momento: se la decisione è stata presa ALLA VIGILIA delle operazioni israeliane, come fa ad essere una conseguenza della lezione israeliana?
L’Autorità palestinese è stata distrutta, politicamente e fisicamente
dunque, dato che sono state distrutte le strutture del terrorismo e sono stati eliminati o imprigionati i terroristi, la signora Gruber ammette che l’essenza dell’autorità palestinese è il terrorismo
Arafat è solo e umiliato.
Proprio lui che è tanto buono: che sofferenza!
I villaggi autonomi sono stati assediati, bombardati
bombardati no: in questo caso non ci sarebbero state decine di morti israeliani!
devastati
soprattutto dalle mine palestinesi (clic 1, clic 2)
Molti civili sono arrestati, interrogati, detenuti.
E perché non glielo va a dire lei che sono tutti innocenti e innocui come agnellini!
Gli impegni
quali?
e la legalità internazionale sono stati ancora una volta ignorati dal governo Sharon.
Non potrebbe essere un po’ più precisa e fare qualche esempio concreto, invece di lanciare sempre e solo discorsi vaghi?
Così come le risoluzioni dell’Onu.
Anche gli arabi. Tutti. Sempre. Come mai non se ne ricorda?
Seguono aspre rampogne ai paesi arabi che non si muovono mentre “la Palestina è in pericolo” e agli europei che invocano sanzioni contro Israele ma senza poi metterle in atto.
Mai però lo scetticismo è stato così forte rispetto alla validità nel lungo periodo del metodo antiterrorismo di Sharon.
Scetticismo? Dopo un mese quasi senza attentati? Ma dove vive la signora Gruber? Quanto al metodo antiterrorismo di Sharon, certo, sappiamo benissimo che la signora apprezza molto di più il metodo pro-terrorismo del suo carissimo amico Arafat …
Chiunque conosca la storia di queste terre ricorda l’invasione del Libano nell’82, conclusasi con una sonora sconfitta per Israele.
Noi conosciamo la storia di queste terre, ricordiamo l’invasione del Libano, e sappiamo che i risultati non sono stati quelli sperati perché Israele, i cui metodi non assomigliano a quelli dei suoi avversari, ha evitato di bombardare il centro di Beirut per non provocare troppe vittime civili e perché Israele, arrendendosi agli appelli internazionali, non è andato fino in fondo nella sua lotta al terrorismo e non ha eliminato il terrorista Arafat. Successi molto maggiori li ha invece ottenuti la Siria che, anziché il 5% del Libano, come Israele, ne ha occupato il 95% e non se n’è più andata.
E chi analizza le motivazioni dei terroristi sa che disperazione e desiderio di vendetta sono importanti.
E chi analizza le motivazioni dei terroristi sa che indottrinamento, lavaggio del cervello a partire dalla prima infanzia, libri di testo e programmi televisivi, in atto fin dal momento della nascita dell’ANP, sono molto più importanti. E una domanda: quale motivo di disperazione e di desiderio di vendetta avevano i palestinesi che, nel momento in cui è iniziata questa bestiale ondata di terrorismo, erano in procinto di ottenere lo stato, Gerusalemme est come capitale e lo smantellamento degli insediamenti, vale a dire una Palestina judenrein come la vogliono loro – e come, a quanto pare, la vuole anche Lilli Gruber?
La vicenda israeliana ha comunque confortato Bush nella sua convinzione che i paesi arabi – a prescindere dalle loro dichiarazioni pubbliche di ostilità -, gli europei – a prescindere dalla loro ostentata opposizione – e i russi – a prescindere dai loro ammonimenti – non hanno i mezzi per impedire agli Stati Uniti un attacco contro Saddam Hussein.
E allora perché non l’hanno ancora fatto – a prescindere dai vaneggiamenti della signora Gruber?

Caro Musharraf, rifletta sull’sperienza di Arafat
di Lilli Gruber, 24/08/2002

In questo straordinario pezzo Lilli Gruber riesce a dare prova, in una volta sola, di tutte le sue doti: fantasia sfrenata, sovrana indifferenza nei confronti della realtà, eroico sprezzo del senso del ridicolo.

Lettera immaginaria di Arafat a Musharraf, due leader che si confrontano con la politica Usa.

E già nel preambolo abbiamo due cantonate in una frase sola: primo, non sono loro due a confrontarsi con la politica Usa, bensì la politica Usa a doversi confrontare con loro due; secondo, Arafat non è un leader bensì un capo terrorista.
Caro presidente Musharraf, seguo le peripezie che sta attraversando il suo Pakistan e mi permetto di scriverle per evitarle qualche guaio con i nostri amici americani. Anch’io, sino a non molto tempo fa, ero uno dei loro atout più seri per fare la pace in Medio Oriente. Sono stato ricevuto alla Casa Bianca, quando arrivavo nella capitale federale ero ospite dei talk show e nella mia suite di un grande albergo entrava e usciva la gente che contava. Ma, come si sa, i presidenti cambiano,
a differenza di Arafat che, con grande coerenza, è rimasto sempre lo stesso terrorista
non come da voi
certo: quando mai nei Paesi arabi si sta a perdere tempo in quella pagliacciata che sono le elezioni? Lì prendi la guida del Paese e te la tieni finché crepi o finché ti ammazzano!
Avrà seguito su Cnn quanto mi è successo ultimamente: gli israeliani mi hanno chiesto di fare tutto ciò che potevo per fermare i terroristi, ma nello stesso tempo hanno distrutto il mio ufficio, tagliato le linee telefoniche, mi impediscono di uscire da casa mia.
Non esattamente. PRIMA è stato chiesto di fermare il terrorismo (e a Oslo Arafat si era impegnato a farlo); POI Arafat ha passato sette anni a fabbricare l’odio, a costruire il terrorismo e a preparare la guerra; DOPO è esplosa la guerra, e ALLA FINE, dopo un anno e mezzo di guerra spietata, Israele è intervenuto con le misure sopra elencate.
Come se non bastasse, il presidente Bush, dopo avermi chiesto di fare di più per garantire la sicurezza di Israele, decide che non sono più buono a nulla e che devo essere sostituito.
Non dopo avergli chiesto di fare di più per garantire la sicurezza di Israele, ma dopo aver constatato che sta facendo di tutto per conseguire la distruzione di Israele: anche se alla signora Gruber può non sembrare, è un dettaglio non del tutto insignificante.
È un po’ umiliante per chi ha fatto di tutto per accontentarli.
Se non stessimo parlando di una tragedia che sta portando alla distruzione di due popoli, potremmo premiare questa battuta come la miglior barzelletta del millennio.
Perciò le chiedo di stare attento. Gli americani le hanno chiesto una forte collaborazione nella guerra al terrorismo, tanto che i suoi concittadini l’hanno ribattezzata “Busharraf”. E le chiedono di più: bloccare gli estremisti che combattono nel Kashmir, chiudere le scuole islamiche, fermare i “barbuti” che hanno trovato rifugio nel suo Paese dopo l’attacco Usa contro l’Afghanistan.
Forse sarebbe il caso di precisare che quei “barbuti” non sono dei pittoreschi clochard, bensì gli appartenenti alla più feroce e micidiale organizzazione terroristica che mai il mondo abbia conosciuto. Temiamo che se questi “barbuti” continueranno a trovare rifugio, fra qualche tempo la signora Gruber potrebbe dover rinunciare ad esibire la sua famosa chioma rossa, e anche a firmare articoli sui giornali. Forse anche ad abitare su questo pianeta.
Intanto le organizzazioni per i diritti dell’uomo e il Congresso Usa si inquietano per il suo desiderio – legittimo peraltro per un generale – di avere un governo e deputati devoti.
Questo non è troppo chiaro: che cosa c’entrano le aspirazioni di un generale con la composizione del governo?
Tra poco le chiederanno di essere un dittatore contestualmente paladino della democrazia, e prevedo non sarà lontano il momento in cui cercheranno di farla fuori, perché non è riuscito nell’ardua impresa. Mi creda!
In psicanalisi si chiama “transfer”: la signora Gruber si è talmente immedesimata nella cultura arafattiana, da attribuire agli americani abitudini prettamente arabe.
Un’ultima cosa: ho saputo che gli israeliani venderanno sofisticati missili agli indiani. E che Casa Bianca e Pentagono non hanno nulla da ridire.
Un’ultima cosa: abbiamo saputo che vari Paesi islamici hanno venduto ad Arafat centinaia di tonnellate di armi pesanti. E che il resto del mondo, Lilli Gruber compresa, non ha avuto nulla da ridire.
Come vede, abbiamo entrambi gli stessi vicini di casa difficili.
Ma che disdetta, per uno che ha sempre dimostrato di essere un vicino di casa così pacifico, docile e malleabile come Arafat!
Cordiali saluti, Yasser Arafat.

Ancora una cosa vorremmo aggiungere: nonostante la scarsa stima che sempre abbiamo nutrito nei confronti di Arafat, siamo tuttavia convinti che una cosa tanto stupida non potrebbe mai arrivare a scriverla.

E questa è la signora Gruber, in carte e ossa – pardon, in botulino e silicone.
lilligruber
barbara

HUDNA

Normalmente viene tradotto con “tregua”, ma non ha niente a che vedere con ciò che noi intendiamo con tregua. Che cosa esattamente significa “hudna” nella cultura islamica, ve lo spiega lui
hudna
La hudna si accetta unicamente quando si è in condizioni di inferiorità; la hudna serve unicamente a riarmarsi per portarsi in condizione di superiorità e riprendere il combattimento; la hudna, qualunque sia la durata concordata, a voce o con accordo scritto, può essere rotta in qualunque momento, come lo stesso Arafat ricordò, all’indomani della storica stretta di mano con Rabin alla Casa Bianca il 13 settembre 1993, a chi lo criticava per l’accordo stretto con Israele: “Ricordatevi di Hudaibiya”: nel febbraio del 628 Maometto sottoscrisse una hudna con i nemici meccani (il “patto di Hudaibiya”, appunto) quando, da una posizione di inferiorità, constatando l’impossibilità di conquistare la sua città natale, s’impegnò a non farvi ritorno per 10 anni. Invece 2 anni dopo, diventato sufficientemente forte, ruppe la tregua. E questo fatto ha valore di precedente giuridico. Va inoltre ricordato che il Corano vieta la pace con gli infedeli: la tregua massima consentita è di dieci anni (Sadat, per avere violato tale divieto, ha pagato con la vita; più fortunato re Hussein di Giordania che ha potuto evitare la sentenza perché è arrivato prima il cancro).
E dunque, quando Israele inspiegabilmente respinge le tregue generosamente offerte da Hamas, cerchiamo di ricordare che cos’è che Hamas sta realmente offrendo.
E credo che sia arrivato il momento giusto per rileggere questo.

barbara

BASTA CON LA FROTTOLA DELL’ANTISEMITISMO

Gli eventi di questi ultimi giorni mi hanno indotta a ripescare dal mio archivio questo articolo di dodici anni e mezzo fa. Si era all’inizio della cosiddetta seconda intifada – in realtà violenta guerra terroristica accuratamente preparata da Arafat nel corso di lunghi anni – e l’evento, anziché solidarietà nei confronti di Israele che dopo aver tentato l’impossibile per accontentare ogni richiesta della controparte veniva brutalmente aggredita, aveva scatenato un’ondata senza precedenti dal secondo dopoguerra non solo di odio anti israeliano, ma anche di aperto antisemitismo. Che da allora non si è più fermato.
NB: i refusi sono tutti nei commenti originali.

Da  “Il Giornale” del 6 aprile 2001, articolo di Antonio Socci

Quei messaggi antisemiti del popolo di Repubblica

Il “caso” è questo. Una piccola bambina ebrea di 11 mesi, Shalhevet, viene uccisa a Hebron da un cecchino palestinese. Repubblica condanna (com’è naturale) il crimine, ma poi sorprendentemente usa questa tragedia per mettere sotto accusa “il governo israeliano” che sarebbe reo di usare una fotografia “come arma di guerra”. Quel governo avrebbe infatti “deciso, con il consenso dei genitori, la diffusione dell’immagine-choc della piccola Shalhevet”. Essendo una “foto forte”, terribile Repubblica spiega di aver “deciso di non pubblicare questa immagine”, come “atto di sensibilità verso i lettori” e “pietà per la bambina”. Però il giornale di Piazza Indipendenza nel suo sito Internet chiama i suoi lettori nel forum telematico a discutere sulla seguente domanda: “Cosa pensate della scelta israeliana? E’ giusto, in generale, mostrare gli orrori della guerra per utilizzarli come strumento nel conflitto?”
Qualche raro lettore ha protestato perché il governo israeliano non c’entra nulla con la foto la cui diffusione è stata voluta dai genitori della piccola. Eppoi altri hanno ricordato che nessuno si è fatto scrupoli nel mostrare le riprese della morte del bambino palestinese Mohamed Al Durra la cui uccisione fu attribuita all’esercito israeliano (a dire il vero poi si è scoperto che era stato colpito dai cecchini palestinesi). Ma quello che più sconcerta sono i messaggi dei lettori di Repubblica, che sono in gran parte “politically correct”, che fanno professione di pacifismo, di ostilità alla violenza, al razzismo e naturalmente all’imperialismo e alla famigerata globalizzazione. E’ quell’area di opinione che pretende di essere “l’Italia migliore”. Qualche esempio dai messaggi pubblicati nel Forum.
Un lettore si scatena contro “l’ottusità, il razzismo e il terrorismo dell’ideologia ufficiale del polipo eletto” (temo che quel “polipo” non sia un refuso) e minaccia di “scaricare sul forum sei milioni di tonnellate di documenti sulla superpatacca del XX secolo. E’ ora basta con la frottola dell’antisemitismo”.
Un altro si rivolge ai (pochi) filoisraeliani dicendo loro che “fascisti noti sono dalla vostra parte”. Una lettrice tuona: “Il Medio Oriente è troppo importante per loro. Inizio a pensare che l’Olocausto sia stata un messa in scena per giustificare un’ovvia strategia. La creazione di uno Stato fantoccio inteso come testa di ponte, nonché elemento destabilizzatore incuneato nel mondo arabo”, “esattamente come (le truppe americane) hanno occupato l’Europa per tenere a bada le bestie bolsceviche”.
Un altro lettore esprime “la più assoluta solidarietà al popolo palestinese per la brutale repressione posta in essere dai neofascisti mondiali di religione ebraica. Non è possibile che un popolo così brutalmente perseguitato in tutta la storia dell’umanità, ora si comporti alla stregua dei suoi nemici “nazifascismi”. Un altro si lancia in un curioso distinguo, riciclando i tipici stereotipi della storiografia di sinistra: “Non considero il popolo degli ebreo correo delle malefatte del governo israeliano più di quanto non considero il popolo italiano correo del terrorismo che la DC ha subdolamente creato negli anni Settanta. Detto ciò voglio dire senza mezzi termini che il governo israeliano è un governo razzista e ultraviolento, invasore e prepotente. Che il suo comportamento mi disgusta e scandalizza e che facendo leva sulla tragedia che ha commosso tutti noi è diventato il carnefice orrendo di un popolo che ha una sola colpa: non avere la potenza economica e bellica per opporsi a un invasore che gli è piombato in casa portando violenza, sopraffazione e sta perpretando un vero e proprio genocidio”.
In quasi tutti questi messaggi traspare una pressoché totale ignoranza dei fatti mediorientali. Un lettore scrive: “Caro Levy, voi sionisti siete nazisti”, “Israele è nata da una pulizia etnica ed è fondata sull’apartheid”. Un altro difende la scelta di Repubblica e attacca: “Quello che non mi stupisce è la scelta israeliana di pubblicare. L’Olocausto sembra un ombrello infinito per gli israeliani, una tragedia che garantisce un ampio margine di manovra”. Uno improvvisa una storia del secolo: “Sulle macerie dell’impero turco sono nate le colonie europee. Sulle macerie del nazismo nasce l’impero americano globale. Nasce anche lo Stato di Israele”. Un’altra voce: “Con una sorta di impunità morale, Israele, sostenuta dai potenti Stati Uniti che sanno che la lobby filoisraeliana negli USA fa eleggere o no i presidenti, continua imperterrita nel genocidio del popolo palestinese”. C’è chi aspetta il giorno in cui “bandiere rosse e bandiere verdi” sventoleranno insieme, mentre un altro attacca “il delirio di potenza sionista” denunciando i dollari che dagli Stati Uniti vanno Israele “per mantenere in vita un regime coloniale di terrore che nega i più elementari diritti umani, la cui negazione è tale da far impallidire la questione tibetana”. Parole stupefacenti se si considera che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente, circondata da regimi tirannici, ma che i lettori di Repubblica sembrano non conoscere. Uno che si definisce “anarchico” lancia una invettiva contro “le amenità che i fascisti e sionisti vari continuano a ripetere”, sono solo dei “provocatori”, ma “la ferocia e il nazismo dello Stato d’Israele è sotto gli occhi di tutti”, “Israele si sta comportando come la Germania delle SS e l’Italia delle camicie nere”. Infine sarebbe “un atto di sciacallaggio pubblicare la foto (della bambina)”. Un lettore fa sapere che pur essendo “gli ebrei” una “forza giornalistica”, una “forza cinematografica” e una “forza televisiva”, cionondimeno la maggioranza delle persone civili pensa che “Israele abbia torto”.
Come si vede una raccolta strepitosa di vecchi stereotipi, pregiudizi, odio che hanno indotto un lettore a scrivere a Repubblica: “Sono desolato per l’ondata di antisemitismo che siete riusciti ad evocare”.
Deborah Fait –da Israele- è intervenuta segnalando questo Forum per “uno studio sull’antisemitismo in Italia”. Se consideriamo rappresentativi questi messaggi “la situazione della democrazia in Italia è disperata” dice la Fait. Infatti “quasi tutti gli interventi sono contro Israele e a favore dei gruppi terroristici palestinesi. Non ho letto, se non da parte di qualche rara persona, un intervento che criticasse la scelta inqualificabile di Arafat alla guerra mentre poteva firmare la pace e la nascita della nazione palestinese”. Infine, si sono lette una quantità di accuse “ridicole e pericolose”, mentre si nota “un assoluto silenzio sul terrorismo internazionale islamico. E questo in nome del falso pacifismo italiano. Forse la redazione di Repubblica sarà soddisfatta poiché il forum da essa creato segue la linea del giornale da sempre anti-israeliani”.
Di pietà per la piccola Shalhevet in questo forum, in effetti, quasi non se n’è vista. Di comprensione per i violenti tantissimi.

Già, la pietà per le vittime non è di moda, ed è diventata merce rara su tutti gli scaffali.

barbara