LIBERTÉ EGALITÉ FRATERNITÉ

Boom di attacchi antisemiti dopo Tolosa. Francia sotto choc

Giulio Meotti

Due giorni fa, vicino alla scuola ebraica Beth Menahem di Villeurbanne, un sobborgo di Lione, tre ebrei con la kippah sono stati aggrediti a sprangate al grido di “sporco ebreo”. I dieci aggressori sono stati poi identificati come maghrebini. Il premier francese, Jean-Marc Ayrault, ha parlato di emergenza antisemita. Nei giorni scorsi un ebreo di Villeurbanne era stato attaccato con proiettili di gomma da un’auto in corsa.
La Francia si risveglia sull’incubo Tolosa, dove lo scorso 19 marzo quattro ebrei (un rabbino e tre bambini) sono stati assassinati da un islamista, Mohammed Merah. Finora non si conosceva l’impatto che l’attentato aveva avuto sul tessuto comunitario francese. Adesso arrivano i dati, in accordo col ministero dell’Interno francese, diffusi dal Service de Protection de la Communauté Juive, l’organismo che gestisce la sicurezza della più grande comunità ebraica d’Europa. Soltanto nei dieci giorni successivi alla strage si sono registrati in Francia 90 attacchi antisemiti.
Nove al giorno. In totale, fra marzo e aprile, 148 attentati, 43 dei quali “gravi”. Oltre agli attacchi a sinagoghe, centri comunitari, cimiteri e scuole ebraiche, ci sono gli affronti che ogni giorno gli ebrei devono subire per strada, o a scuola. Jöel Mergui, presidente del concistoro delle comunità ebraiche, ha detto che “non passa settimana senza che ci siano attacchi antisemiti in Francia”. L’artista Ron Agam ha dato la colpa agli imam: “Le autorità francesi devono fermare il lavaggio del cervello di decine di migliaia di musulmani di Francia. E’ inaccettabile che questa cultura razzista e antisemita sia tollerata da un numero significativo di musulmani”.
Il rabbino capo di Lione, Richard Wertenschlag, dove è avvenuto l’attentato, ha definito la situazione “insostenibile”. Un mese fa, nel presentare il rapporto del Kantor Center for the Study of Contemporary European Jewry all’Università di Tel Aviv, il presidente del Consiglio ebraico europeo Moshe Kantor aveva detto che l’antisemitismo in Europa è una “bomba ad orologeria”, che si tratta di una vera e propria “esplosione” di odio e persecuzione e che “il conflitto mediorientale è stato esportato in Europa”. Il 42 per cento degli attacchi sono individuali, il 20 alle proprietà ebraiche, il 18 alle sinagoghe, il 14 ai cimiteri e l’8 alle scuole ebraiche. Fra le nazioni che spiccano per antisemitismo ci sono Francia e Inghilterra, che assieme al Canada, sono i paesi in cui hanno luogo ben il 63 per cento di tutte le aggressioni antiebraiche nel mondo.
Secondo il ministero per l’Immigrazione israeliano, duemila ebrei francesi ogni anno stanno abbandonando la Francia alla volta dello stato ebraico. Avi Zana, direttore dell’Ami, l’organizzazione che fornisce assistenza a chi lascia la Francia alla volta di Tel Aviv, ha detto che potrebbe innescarsi una “fuga di massa”. Daniel Ben-Simon, parlamentare alla Knesset, ha anche scritto un libro, “French Bite”, per raccontare come gli ebrei francesi non si sentano più al sicuro. Simbolo di questa emigrazione di massa sono le acquisizioni immobiliari compiute in Israele in questi anni dagli ebrei parigini e della Provenza. Schiere di villette e appartamenti vuoti e pronti in caso in Francia la situazione volga al peggio, come a Tolosa. Il maggiore immobiliarista di Tel Aviv, Yitzhak Touitou, allo Spiegel ha rivelato che “un terzo dei miei acquirenti sono francesi”.
Il giornale israeliano Jerusalem Post, citando statistiche governative, parla di un ventisei percento di ebrei francesi pronti a partire per lo stato ebraico, dove già vivono centomila cittadini con passaporto francese. L’ex rappresentante dell’Agenzia ebraica in Francia, Menahem Gourary, parla della partenza probabile di 30- 33.000 ebrei verso Israele. Considerando lo scenario post Tolosa, il numero potrebbe drammaticamente salire.
IL FOGLIO 07/06/2012

La Francia, già, la douce France. La Francia di Dreyfus, la Francia di Vichy, la Francia di Carpentras, la Francia della tecnologia e del materiale nucleare forniti a Saddam Hussein, la Francia in cui una studentessa ebrea viene aggredita dai compagni e condannata a pagare una multa stratosferica per avere denunciato l’aggressione (Ebrea aggredita deve pagare), la Francia di Ilan Halimi, la Francia delle sinagoghe incendiate, devastate, distrutte, degli ebrei aggrediti per strada – ma guai a chiamarlo antisemitismo. La Francia, sì.


barbara

Una risposta

  1. C’è chi lo dice da anni, e tutti fanno orecchie da mercante… ora con il bravo Hollande che concederà voto a cani e porci, beh, meglio che gli Ebrei si sbrighino a partire, e con loro anche tutte le donne occidentali che vogliano mantenere qualche diritto civile…. Provate solo ad immaginare se il sindaco di qualche cittadina è un arabo mussulmano, che sino ad allora si è mostrato moderato ma poi… che ne sapete? Il Corano autorizza a dissimulare o sbaglio? Senza contare questo atteggiamento “Naif” che contraddistingue gli europei che non hanno la minima idea di quanto esso sia pernicioso alla sopravvivenza degli ideali che hanno spinto i nostri avi a morire per la patria. Se gli Ebrei se ne vanno è un segno davvero nefasto per la Francia e per l’Europa dal ventre molle! In Europa abbiamo pensato che la democrazia fosse esportabile tout court… voglio dire, una che porta la 50 potrà mai entrare in una 42? certo che no, non appena infilerà il vestito e cercherà di serrare le cerniere questo esploderà…. Benvenuti in Eurabia!
    Grazie Barbara per questi post, ti leggo sempre!

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  2. Sono riusciti incredibilmente a conservare un’apparente verginità nonostante non siano mai stati meglio della media europea.
    Nell’introduzione del bellissimo “Storia notturna” di Carlo Ginzburg viene raccontato come, dove e ai danni di chi iniziarono le persecuzioni degli inquisitori che funesteranno l’Europa per quattro secoli.

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  3. Pingback: Tessuto francese | Platwebz

  4. Pochi giorni fà è venuto a mancare Antoine Bernheim,ex presidente delle Generali e grande amico dell’Italia, da ebreo di Grenoble aveva detto:ifrancesi ci denunciavano,itedeschi ci arrestavano e gli Italiani ci liberavano lì è nato il mio amore per l’Italia.Ieri il corriere della sera ha pubblicato un bell’articolo se una volta tanto vogliamo ricordare un’amico vero….

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    • Sì, in Francia e in Grecia gli italiani hanno fatto i salti mortali per salvare ebrei. In Italia invece hanno collaborato alla grande coi nazisti nell’arrestarli e deportarli. Certo, molti di quei tre quarti dei nostri ebrei che si sono salvati, lo hanno potuto fare perché qualcuno li ha aiutati, ma le migliaia che abbiamo perso hanno avuto alle spalle gli elenchi ordinati dalle autorità italiane e diligentemente compilati dai funzionari italiani, le delazioni, le denunce, i tradimenti dei loro vicini, dei loro colleghi, dei loro concorrenti. Non abbiamo davvero lezioni da dare a nessuno, in questo campo.

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  5. CORRIERE DELLA SERA.it

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    Addio ad Antoine Bernheim, il signore francese di Trieste

    Corriere della Sera

    Il personaggio Aveva 87 anni. «La mia vita è il lavoro, senza divento stupido»
    Addio ad Antoine Bernheim, il signore francese di Trieste
    L’ infanzia a Grenoble «I francesi consegnavano gli ebrei ai nazisti, gli ufficiali italiani li facevano scappare» Dall’ ascesa in Lazard al sodalizio con Cuccia

    È morto a Parigi, l’ altra notte, nel sonno, l’ ex banchiere francese Antoine Bernheim, presidente onorario delle Generali, dopo esser stato presidente della compagnia di Trieste tra il 2002 e il 2010 e precedentemente tra il 1995 e il 1999. Aveva 87 anni. Bernheim è stato una figura chiave del capitalismo e della finanza francesi, partner di Lazard dal 1967 al 2005, mentore di imprenditori come Bernard Arnault, François Pinault e Vincent Bolloré. Fu insignito di numerose onorificenze francesi e italiane, tra cui quella di commendatore dell’ Ordine delle Arti e delle lettere (2006), Gran Croce della Legion d’ Onore (2007) e Gran Croce dell’ Ordine al merito della Repubblica italiana (2008). «Ogni volta che leggo necrologi sui giornali, trovo nomi di persone che conosco e mi stupisco di non trovarci il mio. Si vede che lassù non mi vogliono…». Questa era una battuta ricorrente di Antoine Bernheim, seguita da una visione talvolta stravagante della vita, del lavoro, del potere, dei soldi, considerati un «mezzo», ma mai abbastanza per ritenersi ricco. «Se non mi vogliono in cielo, perché dovrei smettere di lavorare. La pensione è l’ anticamera della morte. Se non fai funzionare i neuroni, ci si rincoglionisce…». Ho avuto numerose occasioni di raccogliere le sue confidenze, nell’ ufficio di Generali, Boulevard Haussmann, a Parigi, con il proposito di un libro di memorie che non si fece mai, vuoi perché Bernheim oscillava fra narcisismo e basso profilo («La mia vita non interessa a nessuno»), vuoi per dettagli contrattuali che sarebbe inelegante rispolverare. Sui segreti delle grandi fortune di Francia – in particolare gli imperi di Bernard Arnault, François Pinault e Vincent Bolloré -, cui aveva contribuito come banchiere d’ affari, abbondava di retroscena, attribuendosi il merito di avere inventato le «holding a cascata» che avevano consentito scalate, acquisizioni e costituzioni di grandi società ramificate in diversi settori. E sulle vicende che lo portarono per due volte alla testa di Generali – e come Napoleone, due volte nella polvere – era un fiume in piena di risentimento e amarezza. Volentieri si apriva al ricordo doloroso della sua infanzia, segnata dalla deportazione di entrambi i genitori nel campo di concentramento di Birkenau e dal coraggioso impegno per mettere in salvo amici e conoscenti della comunità ebraica di Grenoble. Ricordava che sua madre non aveva voluto che fosse circonciso: «Condizione che mi salvò la vita durante retate e perquisizioni, quando i nazisti ci facevano abbassare i pantaloni». «La mia età – raccontava a proposito della seconda defenestrazione da Generali, nell’ aprile di due anni fa – è stata solo un pretesto per farmi fuori. Si voleva a tutti i costi che Generali tornasse in mani italiane. Hanno vinto gli uomini di Mediobanca. Anche il mio amico Vincent Bolloré non ha fatto nulla per difendermi. Parlo poco l’ italiano, ma ho inventato una parola nella vostra lingua, la mediocrazia, il regno dei mediocri». Poi confessava che l’ idea di svegliarsi senza nulla da fare gli era insopportabile più della perdita del potere, peraltro mitigata da ricca e contestata buonuscita, da lui considerata «limitata e comunque dovuta». Da allora si era chiuso nel modesto studio privato – un divano, una scrivania, la tv e qualche libro – lontano da salotti parigini, cerimonie ufficiali e avvenimenti mondani che lo avevano visto onnipresente. «Mio padre non può stare solo. Ha l’ ossessione della morte», raccontava il figlio primogenito, recentemente scomparso. «Non mi ritengo una persona insostituibile, i cimiteri sono pieni di gente insostituibile, ma mi sono sentito umiliato, costretto a farmi da parte con manovre dietro le quinte che nulla c’ entravano con il bene della Compagnia. Mi hanno considerato un approfittatore, il che mi ha fatto ancora più male. Ma si sa, l’ Italia è il Paese di Borgia e Machiavelli. La regola è il tradimento. Bisogna guardarsi sempre alle spalle. Fu così anche la prima volta, con la congiura di Maranghi, il quale a onor del vero, comprese più tardi di aver fatto un errore e cercò di riconciliarsi con me. Anche Cuccia riconobbe l’ errore, ma ormai la frittata era fatta». Nonostante le amarezze, Bernheim amava profondamente l’ Italia, Venezia, Trieste, Milano, Roma, la Sardegna. «Il mio rapporto di amicizia con il vostro popolo cominciò durante l’ occupazione fascista di Grenoble. Le autorità francesi consegnavano gli ebrei ai nazisti, ma gli ufficiali italiani facevano di tutto per proteggerli e lasciarli scappare. Purtroppo, mio padre non riuscì a salvarsi. Venne arrestato. Mia madre andò al comando della Gestapo per chiedere notizie e non tornò più. Oltre al dolore, il dubbio che avrebbero potuto salvarsi mi ha tormentato tutta la vita». Bernheim ripeteva spesso un’ altra battuta: «La gratitudine non è un sentimento, bensì una malattia dei cani, non trasmissibile agli esseri umani». Immagine cruda, cinica, però rivelatrice della solitudine del personaggio e della sua idea del prossimo. Era schivo, sospettoso, riservatissimo, salvo commuoversi fino alle lacrime nel ricordare l’ olocausto e il destino della sua famiglia. Tradiva anche timidezza e – nonostante successi, conoscenze altolocate, relazioni politiche e finanziarie a livello internazionale – un incessante bisogno di riconoscenza pubblica. Avarizia e attaccamento al denaro gli avevano appiccicato addosso l’ immagine di un Arpagone del nostro tempo, anche se il suo rapporto con i soldi sarebbe più spiegabile con un trattato di psicoanalisi. Bernheim confidava di non sapere che farsene del denaro, salvo l’ immenso piacere di moltiplicarlo con gli strumenti del capitalismo finanziario che sapeva maneggiare da quando era entrato alla banca d’ affari Lazard, dopo le prime esperienze nel commercio e nell’ immobiliare. «Nessuna cassaforte segue un funerale», diceva. «Per creare un grande patrimonio è inevitabile derogare qualche regola, salvo inventare qualche cosa di geniale dal nulla, come nel caso di Microsoft. Non si possono fare soldi con gli affari rispettando sempre l’ etica. Non mi reputo un maestro di morale, ma ho sempre cercato di avere delle regole. Sono convinto che il capitalismo senza regole porti al disastro e all’ anarchia come sta avvenendo di questi tempi. Non credo sia possibile seguire contemporaneamente i propri affari e quelli degli altri. Per questo non sono diventato ricco». «Non so che cosa voglia dire il tempo libero, avendone pochissimo. Faccio qualche weekend a Venezia, gioco ancora a golf, ma sono un pessimo giocatore e partecipo a qualche torneo di bridge che serve a tenere allenata la mente. La più grande soddisfazione è stata battere Bill Gates». «La mia vita è stata una continua battaglia – diceva – e ho voglia di combattere ancora. Per questo non mi piacciono i bilanci». Nonostante rapporti di amicizia con alti prelati, fra i quali i cardinali Lustiger e Scola, era rimasto agnostico. «I miei amici cardinali non mi hanno mai dato risposte entusiasmanti. La fede è la più grande ricchezza della vita, ma non è concessa a tutti. Continuo a pormi delle domande e credo che la religione cattolica sia un po’ meglio delle altre. Contiene quel genere di aspettative che si chiama speranza. In che cosa non so. Io ho attese, non ho la speranza». RIPRODUZIONE RISERVATA **** I legami Mediobanca Il rapporto di Bernheim con Enrico Cuccia si incrinò nel 1999, con la chiamata di Gerardo Braggiotti da Mediobanca alla Lazard, la banca d’ affari francese dalla quale Bernheim aveva tessuto le trame della grande finanza d’ Oltralpe per quasi quarant’ anni. Cuccia «cacciò» Bernheim dalla presidenza delle Generali, incarico che ricopriva dal 1995 Gli incontri del banchiere Con Enrico Cuccia Bernheim è stato vicepresidente di Mediobanca dal 1988 al 2001 La compagnia di Trieste Con Vincenzo Maranghi (a sinistra) e Gianfranco Gutty L’ asse francese Con Tarak Ben Ammar e Vincent Bolloré, gli alleati francesi La grande politica Con Giscard d’ Estaing e Christine Lagarde nel 2010

    Nava Massimo

    Pagina 026.027
    (6 giugno 2012) – Corriere della Sera

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  6. An intriguing discussion is definitely worth comment. There’s no doubt that that you should publish more on this subject, it may not be a taboo subject but typically folks don’t speak about these topics. To the next! Cheers!!

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  7. Il problema degli Italiani è che amano troppo piacere e questo li porta a fare la brutta copia di arlecchino servo di due padroni.Comunque la si pensa Antoine Bernheim le previsioni le ha azzeccate tutte.

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    • Finalmente il nazistello, superesperto di diritto penale, superesperto di giornalismo mafia antimafia significati della lingua italiana comunicazione etica e sociologia scolastica, è uscito alla scoperto, e rimestando nel bidone della spazzatura è riuscito a trovare un po’ di immondizia.
      Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno.

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      • Mo pure nazistello so diventato??
        vedo che quando hai problemi a replicare, o capire i commenti, ti rifugi sempre nella diffamazione. ti piace vincere facile eh?:-))

        Cmq ho solo fatto notare che anche la cultura degli ebrei credenti, è impregnata di razzismo, una forma di disprezzo per il diverso anche più “feroce” e radicale della xenofobia islamica, che si limita alla religione. Mentre in questo caso si scagliano anche contro gli ebrei “colpevoli” di non essere razzisti, e di essersi innamorati e volersi sposare con non ebrei!
        Si arriva a paragonare il matrimonio misto, e l’integrazione, all’olocausto….poi sarei io il nazistello(non saranno mica più nazistelli gli ebrei credenti che odiano a morte e disprezzano i non ebrei?!)

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  8. Questo succederà col voto agli islamici, ai cani e a i porci:

    L’Eurabia ha una capitale: Rotterdam
    Qui interi quartieri sembrano Medio Oriente, le donne camminano velate, il sindaco è musulmano, nei tribunali e nei teatri si applica la sharia. Un grande reportage dalla città più islamizzata d’Europa

    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1338480

    Uno splendido reportage del Foglio del 2009 circa l’Olanda, che mi sa che abbiamo letto in pochissimi.

    Stella

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    • Hollande è stato eletto col voto degli islamici – mi è arrivato nei giorni prima del voto un video, che ho mandato alla mia mailing list, di propaganda dei musulmani per il voto a lui. Strepitosa la ragazza velata che si lamenta, con Sarkozy, della mancanza di laicità. Adesso comunque Hollande dovrà mostrare la sua gratitudine, cosa che sicuramente non gli creerà problemi di coscienza e di compatibilità con le sue convinzioni.

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      • Non per dire ma hollande mi sembra parecchio antislamico invece. Le sue politiche sinistroidi in genere mi fanno pena, ma le sue leggi non sono proprio le tipiche leggi gradite dai musulmani, questo almeno è ciò che leggo nelle news.

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        • In un blog ebraico francese che seguo, Hollande compare almeno un paio di volte la settimana per qualche porcata politicamente corretta messa in atto. Se capisci il francese (ma in ogni caso c’è sempre Google translate, o bing, che ultimamente hanno molto migliorato le loro prestazioni) si chiama Louyehi, lo trovi alla voce “blog” qui sulla destra.

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