POI I PILOTI ISRAELIANI (11/1)

hanno attuato quello che in tutto il mondo viene ormai chiamato uno “sciopero all’italiana”, cioè non proclamano lo stato di sciopero ma, al momento di imbarcarsi, si ammalano. Tutti. L’aereo era lì, davanti al nostro naso, ma non c’erano piloti da poterlo portare in Italia. Il volo era previsto per le 18:20; all’arrivo al gate era segnato per le 18:55, poi è passato alle 20:30, poi alle 22:30… Tutti espedienti per tenere tranquilla la gente, per far credere che ci fosse un programma, delle notizie, e invece non c’era niente. Alla fine si è saputo che si erano finalmente trovati dei piloti, e che verso le undici e mezza saremmo partiti. Con un problema: Malpensa, come tutti gli aeroporti vicini a centri abitati, di notte sospende ogni attività, e quindi non si sapeva dove si sarebbe atterrati. Poi, dopo frenetici giri di telefonate fra tutte le autorità competenti, Malpensa ha eccezionalmente accettato di farci atterrare. Alle undici e un quarto siamo partiti e alle due siamo atterrati.
Era stato stabilito che io e Antonella avremmo dormito da Eyal, per poi la mattina dopo prendere il treno per le rispettive destinazioni, quindi, usciti dall’aeroporto, prendiamo la navetta che collega Malpensa 1 e Malpensa 2 per andare a prendere la sua macchina, al parcheggio per i dipendenti dell’aeroporto. La navetta rimane in funzione tutta la notte, anche se con orari più diradati, e quindi dopo mezz’ora di attesa la prendiamo e andiamo fino al parcheggio. Eyal sale, inserisce la chiave, la gira, e non succede niente: batteria scarica. I cavetti non ci sono: c’erano ma sono stati trasferiti su un’altra macchina. Ci mettiamo a fermare tutte le auto che passano (sono le tre e trequarti di notte) ma nessuno li ha – cosa per me incomprensibile: io nelle mie auto li ho sempre avuti – sta di fatto che lì non li ha nessuno. Alla fine ci rassegniamo a tornare all’aeroporto e ci dirigiamo alla fermata della navetta, non senza continuare a provare a fermare le auto di passaggio. Capita anche un’auto della polizia ma, incredibilmente, non li hanno neanche loro. Alla fine arriva, se non proprio un colpo di culo, almeno un colpettino di culino: arriva un ingegnere meccanico spagnolo che lavora sui motori degli aerei; i cavi non li ha neanche lui, ma inverte la marcia, ci carica su e ci riporta lui all’aeroporto. Qui, mentre io e Antonella aspettiamo sedute su una panchina, Eyal va ai taxi e ne trova uno che ha i cavi e che, dietro consistente compenso, lo porta al parcheggio e gli fa fare ponte. Eyal arriva con la macchina finalmente resuscitata, carichiamo i bagagli e si parte.
Il serbatoio è quasi vuoto, ma non si arrischia a fermarsi prima di essere sicuro che la batteria sia sufficientemente ricaricata da poter reggere una rimessa in moto. Alla fine, dopo qualche decina di chilometri, il carburante è ormai agli sgoccioli; quindi si ferma alla prima stazione di servizio, fa il pieno, paga, risale, gira la chiave, l’accensione fa cla e la batteria entra definitivamente in coma – e sono le quattro e mezza di mattina. Chiede al gestore della stazione di servizio se ha cavetti e quello dice sì, quanti ne vuole basta solo che li compri. Dice, ma se io li compro, voi mi fate fare ponte? Lui dice che non può perché ha la batteria nascosta, il dipendente dice che non ha la macchina (è noto che i dintorni delle autostrade sono pieni di abitazioni per quelli che ci lavorano, in modo che possano andare al lavoro a piedi), e ricomincia il rosario di auto fermate, pronti a comprare i cavetti se si trova qualcuno che non li ha ma è disposto a fermarsi un momento a fare ponte. Alla fine uno si trova, Eyal corre a comprare i cavetti, quello posiziona la macchina ma, nonostante abbia una 2300 non riesce a far mettere in moto la nostra neanche con l’acceleratore a tavoletta. La salvezza arriva infine da un furgone, e col suo motore più potente di quelli delle auto, finalmente si riesce a ripartire.
Alle sei e un quarto, arrivati finalmente a casa, sono salita in mansarda, dove dormono anche i bambini, mi sono spogliata, mi sono infilata sotto le coperte e mi sono addormentata di schianto. Non ho sentito, io che mi sveglio se qualcuno respira a cento metri da me, la loro mamma salita un’ora dopo a svegliarli, non ho sentito loro alzarsi, non ho sentito niente di niente: ho dormito come un sasso fino alle nove e tre quarti, quando la vescica mi ha cortesemente suggerito di alzarmi un momentino.

Poi magari, dovesse per caso passare di qui qualche avvocato, piacerebbe sapere se con cinque ore di ritardo dovuto non a cause naturali o a problemi tecnici, bensì a una scelta, si abbia diritto a qualche risarcimento. So che il rimborso del biglietto è previsto per ritardi sopra le otto ore, ma anche un ritardo di cinque determina conseguenze non da poco.

barbara

ISRAELE DIECI (18)

Io con

Un po’ di gente, per concludere. Innanzitutto io con la nostra bellissima Martina, infaticabile attivista del KKL.
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Poi con la nostra ottima guida, Na’amà Campagnano.
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Col nostro fighissimo autista (porca vacca quanto era figo).
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Con Yaniv Fingale, studente – oggi laureato – di Trieste che due anni fa era venuto a Udine per assistere alla mia conferenza e inaspettatamente incontrato alle grotte di Rosh Hanikra (e io con la faccia ancora spaventosamente gonfia di cortisone).
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E infine io da sola in questa foto in cui si vede bene l’ovetto che la scorsa primavera mi è improvvisamente comparso alla base del collo, giusto perché sappiate di che cosa si trattava (adesso c’è ancora, ma va e viene).
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E per chiudere in bellezza un bell’uccello israeliano.
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Che è una semplice cornacchia, come ce ne sono un sacco anche da noi, ma questo qui è israeliano, ecco.
E adesso aspettatemi che quando torno vi racconto il prossimo. Se sopravvivo.

barbara

ISRAELE DIECI (17)

Le penultime cose

Beit Shean

Antichissimo insediamento menzionato già nel XV secolo avanti era volgare. Non l’ho visitata perché lo avevo già fatto in un viaggio precedente e ho preferito risparmiare le mie scarse forze, ma siccome vi voglio bene vi ho fatto qualche foto dall’alto (chi desiderasse notizie più approfondite, si rivolga a san Google).
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Le case di Tel Aviv

Ad un certo punto, nel corso dello sviluppo della città, si è presentato il problema delle vecchie costruzioni: impensabile demolirle, rappresentando una parte della storia della città, restaurarle era costosissimo, che fare dunque? La soluzione trovata è stata questa: a chi chiedeva l’autorizzazione a costruire un grattacielo, veniva concesso il permesso di costruire due piani in più a condizione che si incaricasse del restauro di una casa storica. Ed è così che a Tel Aviv abbondano immagini come queste, di case antiche accando a modernissimi colossi.
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barbara

DUE RIGHE VELOCI VELOCI

sui fatti miei. Dopo tre settimane di riabilitazione quotidiana ho tuttora il divieto di sollevare e portare pesi, correre, saltare, fare scale, piegare la colonna vertebrale in avanti o indietro. Stamattina, dopo una notte insonne, mi sono alzata con vomito, diarrea, brividi di freddo e testa nel pallone.
Domani parto per Milano e dopodomani per Israele. Se dopo avere fatto i bagagli e sistemato un’altra dozzina di cose ce la faccio, vi piazzo qui gli ultimi due post (l’ultimo ancora da scrivere) sul viaggio precedente.

barbara

ISRAELE DIECI (16)

Gerusalemme

Di cui non vi mostrerò le solite cose che si vedono dappertutto e che in parte avete già visto anche da me. Vi faccio vedere invece questa immagine di una via qualunque, in pieno centro,
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perché in Israele è così, il colore ti viene incontro anche quando proprio non te lo aspetti.
Poi succede che esci dall’albergo, percorri un isolato, imbocchi un sentiero
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e ti ritrovi in mezzo a un parco, interamente irrigato con acqua riciclata, naturalmente, come si può riconoscere dalle tubature viola.
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E di sentiero in sentiero
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si arriva a questo bellissimo monumento agli eroi che hanno difeso Gerusalemme nella guerra di indipendenza.
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Il tutto a due passi dal mulino Montefiore,
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che tre anni fa avevo fotografato così.
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barbara

ISRAELE DIECI (15)

Il monte Herzl

Sul monte Herzl si trovano lo Yad Vashem, un grande cimitero militare e le tombe di vari personaggi importanti della storia di Israele e del sionismo.
La prima tomba visitata è stata quella di Golda Meir. Le foto purtroppo fanno pena, perché la tomba è costantemente circondata da maree di visitatori, e sono riuscita a trovare un momentaneo spiraglio unicamente qui,
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da dove ho potuto riprendere solo un angolo, e poi qui,
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con l’immagine deturpata dalla classica testa di caparozzolo salmistrato che si fa riprendere mentre depone il sasso sulla tomba, ovviamente senza un solo sguardo alla tomba, che è l’ultima cosa al mondo a poterle interessare. Chiedo venia (per me, naturalmente, non per la testa di caparozzolo salmistrato): di meglio non ho potuto fare. E colgo l’occasione per ricordare quanto era bella Golda da giovane.
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Sulla sommità del monte, proprio in cima in cima, c’è la tomba di Theodor Herzl,
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all’estremità della grande piazza su cui si svolgono manifestazioni e commemorazioni
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(il tizio col cellulare è il nostro addetto alla sicurezza e al pronto soccorso, che come tutti gli altri addetti alla sicurezza e al pronto soccorso viveva letteralmente di cellulare).
E poi, poco prima di arrivare all’uscita – che sarebbe anche l’ingresso, ma noi eravamo entrati dalla parte di Yad Vashem – questa singolare chanukkiah, che per la vostra gioia ho ripreso sia dal lato A che dal lato B.
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barbara

ISRAELE DIECI (14)

Aravà 3

La fattoria Ofaimme

L’ultima tappa della visita alla valle dell’Aravà è stata questa fattoria. Il contadino
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che la conduce insieme alla moglie ci ha raccontato, prima di iniziare la visita, della vita in fattoria, del lavoro ecc. Tutto molto bello e suggestivo, tranne una cosa, che ha fatto un’impressione piuttosto negativa a tutti noi: i suoi figli, ha detto, non vanno a scuola, preferisce istruirli lui insieme alla moglie. Conoscendo Israele, è difficile credere che l’area sia priva di scuole o di mezzi per raggiungerle, quindi si tratta sicuramente di una scelta. E, anche ammesso che lui e la moglie abbiano competenza sufficiente a insegnare tutto ciò che i bambini possono imparare in una scuola, c’è il fatto che la scuola non è solo apprendimento, ma anche socializzazione, gioco, racconti, confronto con gli altri, imparare a gestire relazioni e contrasti: in una parola, imparare a vivere nel mondo: ai suoi figli tutto questo è negato, e non mi sembra una bella cosa.
Dopo le spiegazioni abbiamo visitato la fattoria. Il pollaio (foto non mia)
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lo abbiamo visto da fuori. Come si può vedere, i polli non sono inscatolati ma hanno abbastanza spazio per muoversi, e in fondo è aperto.
Poi abbiamo visto il recinto delle capre
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dall’occhio sornione,
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gran leccone, a quanto pare,
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e, in fondo, i caprettini.
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Ogni tanto ci danno un’occhiata e pensano: “Chissà come soffrono quei poveretti chiusi dietro le sbarre”.
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Non avevo mai visto le mammelle di una capra, e le ho trovate davvero impressionanti.
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Per fortuna era ormai l’ora della mungitura, e le hanno liberate da quella tensione, che deve essere notevole.
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E siamo, non dimentichiamolo mai, in pieno deserto.
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Poi abbiamo cenato, lì alla fattoria, con un sacco di cose deliziose (anche se io, per una volta, non ho fatto onore a tutto, perché i formaggi erano esclusivamente di capra, il cui sapore mi disgusta, ma mi sono rimpinzata più che a sufficienza lo stesso.

barbara

ISRAELE DIECI (13)

Aravà 2

Le coltivazioni

Poi siamo andati qui, da dove è possibile avere un’ampia panoramica delle coltivazioni dell’Aravà, e dove ho fatto foto tutto intorno, a 360°, comprese alcune immagini del deserto, affinché sia chiaro in mezzo a che cosa sono andati a impiantare la vita. Di cose da dire ce ne sarebbero molte, e infatti è venuta su insieme a noi una tizia apposta per dircele, ma siccome io ero in giro a fare foto, spesso al di fuori del raggio di ricezione dell’auricolare, non ho sentito molto, tranne il fatto che ci sono molti giovani che lasciano le città per andare a vivere in mezzo al deserto e creare nuova vita lì, cosa sicuramente più gratificante di un lavoro in un ufficio o in una fabbrica.
Inserisco qui una breve annotazione personale. Mi accade spesso, a causa delle mie posizioni e della mia attività, di venire sommersa di insulti. Tralascio qui quelli volgari, ossia quelli attinenti all’ambito coprologico e quelli relativi alle mie presunte attitudini sessuali con annessi calcoli sul grado di sfondamento di un paio di mie aperture, per occuparmi unicamente di quelli “intellettuali”, diciamo così, che sono: stupida, idiota, ignorante, razzista, fascista, islamofoba… Per ultimo viene lasciato il peggiore di tutti, il più tremendo, il più micidiale, il più velenoso, la bomba che riuscirà sicuramente a tramortirmi, ad annichilirmi: SIONISTA!
Ecco, quello che state per vedere è sionismo puro. Quello che vedrete nelle foto postate qui sotto è ciò che il sionismo ha saputo ricavare da uno scatolone di sabbia. Buona visione.
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barbara

ISRAELE DIECI (12)

Aravà 1

La valle dell’Aravà si trova nel deserto del Negev, a sud del Mar Morto, e rappresenta uno dei molti miracoli che caratterizzano Israele: utilizzando ciò che la natura ha messo a disposizione, terreno salino, acqua (poca) e un sole micidiale, i coltivatori dell’Aravà hanno dato vita a una fiorente produzione di peperoni, pomodori, meloni, datteri, fichi, uva, fiori e altro studiando, con l’aiuto della tecnologia informatica, quantità e grado di salinità dell’acqua in grado di dare i migliori risultati.
La prima tappa della nostra visita è stato il Centro Visitatori Vidor, che è una cosa spettacolare, ma proprio perché era così spettacolare mi sono dimenticata di fare foto. Comunque visto che ci torno fra pochi giorni, spero di ricordarmene e ve le farò vedere al mio ritorno. Oppure, se di nuovo resterò troppo affascinata per perdere tempo a fotografare, pescherò le foto da qualche parte. E dunque parto con la seconda visita che è

Il Centro Ricerca e Sviluppo Hatzeva

che si trova qui.
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La serra che abbiamo visitato, e che ora vi faccio vedere, ha funzione dimostrativa, ossia mostrare ai visitatori e agli interessati del settore, il tipo di coltivazioni che si possono trovare qui e i metodi impiegati.
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Va da sé che anche questo centro si avvale del contributo del KKL.

barbara