UN PICCOLO MEMENTO E ALTRE STORIE

Il Tet impose una tremenda devastazione, distruggendo quarantottomila abitazioni vietnamite e creando quasi mezzo milione di nuovi profughi. La citazione attribuita da un giornalista a un anonimo ufficiale statunitense («È stato necessario distruggere la città per salvarla») la si ritiene ora inventata di sana pianta; la frase sembra tuttavia riflettere accuratamente l’atroce contraddizione insita nella guerra portata dall’America «per preservare la libertà sudvietnamita». Weyand aveva parlato con orgoglio della «difesa riuscita» della capitale discorrendo con Abrams, ma costui, andando via in elicottero dal quartier generale di Westmoreland, vide che «a Saigon si levava il fumo, le fiamme si innalzavano fino al cielo. Ho calcolato che possiamo riuscire a difendere Saigon altre sette volte, e poi ci troveremo di fronte all’imbarazzante situazione che, di città, non ne sarà rimasta più nessuna». (Hastings, Max. Vietnam: una tragedia epica 1945 -1975, p.611, Neri Pozza)

Anche loro, gli americani, per sconfiggere il Nord comunista, erano pronti a battersi fino all’ultimo vietnamita (ma anche fino all’ultimo americano, per la verità, visto l’ingentissimo numero di perdite che continuavano a subire senza che mai li sfiorasse il sospetto di avere sbagliato qualcosa) e a distruggere fino all’ultima casa vietnamita. Alla fine comunque hanno perso, così come hanno perso in Afghanistan, e mi auguro caldamente che sia davvero valido il detto che non c’è due senza tre. Il problema è che un conto è avere a che fare con comandanti cinici, lucidamente cinici, altro è sapere i codici nucleari in mano a un demente che sempre più spesso non sa neppure quello che dice, non sa dove si trova, non sa quello che fa e porge la mano ai fantasmi.
E ora torniamo all’attualità.

“Tutto questo l’hanno fatto i neo-nazisti dell’Azov!” La Rai torna servizio pubblico per una sera con un servizio di testimonianze da Mariupol

La Rai torna servizio pubblico per una sera e apre uno squarcio di verità nel mare di propaganda filo Nato di questi mesi.
E’ bastato che Manuele Bonaccorsi di Report facesse il suo lavoro, telecamera in spalla, e settimane di fake news si sono sciolte all’improvvisto come neve al sole. 
Nel servizio, di cui è altamente consigliata la visione completa [guardatelo: è meno di un quarto d’ora], fatto a Mariupol e nel resto del Donbass emergono le testimonianze dirette dei cittadini.
Ascoltatele, diffondetele e iniziate a porvi alcune domande. Coltivate il dubbio. 
Come l’AntiDiplomatico vi proponiamo due stralci per noi molto significativi. Buona visione.

Primo stralcio.

“I militari ucraini mettevano dei barattoli rossi per segnalare dove mettere le armi sul tetto. Noi lo abbiamo tolto e ci siamo salvati. Chi non l’ha fatto si è trovato il palazzo distrutto.”
“Hanno fatto saltare le rotaie era impossibile lasciare Mariupol prima”.
“Il battaglione Azov ha sparato contro casa mia. Sono sicura che erano loro. Avevano la bandiera ucraina sulla divisa”.
Fonti ucraine hanno parlato di deportazione, chiede il giornalista alle persone in arriva a Donetsk da Mariupol. “Ma smettetela. Nessuno ci ha deportato stiamo lasciando l’inferno. Hanno messo l’artiglieria nei palazzi anche se c’era scritto bambini sui muri. Ci hanno trattato come scudi umani”.
“I militari hanno messo i carri armati al primo giorno di guerra e non era possibile più partire. Solo quando la Russia ha conquistato tutta la costa è stato possibile”.  

“E’ stata l’Ucraina che ci ha bombardato. Tutto questo l’hanno fatto i neo-nazisti dell’Azov. Abbiamo lavorato e vissuto tranquillamente fino al 2014. Poi ci hanno vietato di parlare in russo”.

Secondo stralcio.

Che dire? La Rai è tornata servizio pubblico almeno per una sera e complimenti da tutta la redazione de l’AntiDiplomatico per il coraggioso Manuele Bonaccorsi. (Qui)

E a voi, proprio non è ancora suonato un campanello d’allarme? Due domandine non ve le volete porre?

E sbufaliamo un’altra leggenda.

Il “Fantasma di Kiev” che uccide i russi? Non è mai esistito: svelata la bufala

Si sgonfia la leggenda sul pilota che avrebbe abbattuto 40 aerei russi in combattimento

Chissà se il nuovo “Ministero della Verità” di Joe Biden si interesserà anche di questo caso. E di tante altre leggende che in questi due mesi abbondanti di guerra hanno riempito le cronache mondiali. Dopo i martiri dell’isola dei Serpenti ancora vivi e vegeti, dopo le fosse comuni di Mariupol che fosse comuni pare non fossero, dopo le foto dei macellai di Bucha che non erano mai stati a Bucha, adesso arriva l’ultimo capitolo delle “fake news dei buoni“: il fantomatico Fantasma di Kiev, il pilota eroe dei cieli, non esiste. Alla faccia delle bufale.
Lo avevano chiamato così perché pareva fosse in grado di abbattere ogni cosa indossasse una bandiera russa. L’eroe in grado di evitare la supremazia aerea di Mosca sull’Ucraina. Una storia meravigliosa, degna di un film di Hollywood. Peccato che il comando dell’aviazione militare ucraina, passate settimane e settimane, alla fine ha capitolato e ha raccontato su Facebook che questo mito dei cieli tale era. Un mito. Cioè non esiste proprio.
“Il Fantasma di Kiev è un supereroe leggendario creato dalla fantasia degli ucraini”, si legge nel post per smentire le notizie circolate sui media britannici, a partire dal The Times, e poi riprese da buona parte dei giornali italiani. “Esortiamo il nostro popolo a controllare le fonti di informazione, prima di fare circolare una notizia. Più che il record di un singolo uomo, il Fantasma di Kiev è l’immagine collettiva dei piloti della 40esima Brigata Aerea che difendono il cielo sopra la capitale”. Allo spasmodico desiderio di dare un volto a questo “fantasma”, i grandi media internazionali avevano avanzato l’ipotesi che potesse portare il nome di Stepan Tarabalka, decorato come “Eroe dell’Ucraina”. Ma l’Aviazione smentisce: “Non è il ‘Fantasma di Kiev’ e non ha colpito 40 aerei. Il 13 marzo 2022, il maggiore Stepan Tarabalka è stato eroicamente ucciso in un combattimento aereo con le forze degli occupanti russi. Il Fantasma di Kiev invece è un supereroe-leggenda il cui personaggio è stato creato dagli ucraini”. Il comando ucraino ci ha tenuto a precisa anche che i piloti militari di Kiev non si stanno affatto addestrando sugli F-16 all’estero e soprattutto non ci sono caccia Usa che sorvolano l’Ucraina. Di fake news, invece, ne volano eccome. A stormi. (Qui)

E ancora un Paolo Liguori da manuale

(E che spettacolo un intervistato che parla pacatamente, un’intervistatrice che lo lascia parlare, e che esibisce la sua professionalità e non le sue tette e le sue cosce)

E dopo il tango dell’altro ieri, oggi un bel valzer, sempre da quei russi che gli amanti della giustizia escludono dalle gare per vincere più facile.

POST SCRIPTUM molto molto OT (ma non posso aspettare che finisca la guerra per raccontarvelo): oggi ho inaugurato la faccia (ero uscita anche ieri, ma unicamente per cose mediche e quindi con obbligo di bavaglio), e per l’occasione ho messo uno dei miei rossetti più sfolgoranti (la foto allo specchio del bagno non rende granché, ma almeno un’idea la dà):

Mi guardavano tutti stralunati come se stessero vedendo un marziano – e la stragrande maggioranza ancora mascherati.

barbara

UN CUMULO DI MACERIE

Vi ricordate Jenin? Sì, quella di quella spaventosa strage con migliaia di morti. Ma oltre che quella della strage, era anche la città che i perfidi giud sionisti, quelli che come tutti sanno sono peggio dei nazisti, avevano ridotto a un cumulo di macerie, e giornali e televisioni ve l’hanno fatto sapere, ve l’hanno mostrato, affinché tutti foste testimoni degli orrendissimi crimini perpetrati dai nazisionisti nipotini di Hitler:

La realtà però era questa,

e chi vi faceva vedere il ritaglino mentiva sapendo di mentire; le pecore ci hanno creduto e hanno a loro volta diffuso la menzogna, i cervelli funzionanti si sono fatti qualche domanda, hanno cercato la verità, e l’hanno trovata, e poi diffusa, tra vagonate di insulti e minacce di morte (sì, ho ricevuto anche quelle) della controparte ma non preoccupatevi: ho le spalle robuste, e di esserini come voi posso reggerne centurie e legioni.

Cumuli di macerie, dicevo. Adesso ce ne raccontano altri, di cumuli di macerie, che potrebbero anche essere veri, intendiamoci, ma io, anche se “quelli dalla parte giusta” lo definiscono immorale e osceno, le domande continuo a porle, e le verità preconfezionate ad uso e consumo del padrone di turno, le rispedisco al mittente. Ai cumuli di macerie – soprattutto dopo le montagne di menzogne già smascherate – ci crederò quando ne avrò le prove, le quali NON consistono in un paio di inquadrature.

Musica molto diversa da altre parti del mondo

E che quella messa in atto dagli Stati Uniti sia stata una provocazione finalizzata e scatenare la reazione russa, gli Stati Uniti l’hanno sempre saputo. Ve l’ho già mostrato, ma ora ve lo rimostro da un’altra angolazione

Questo è per chi continua a negare che siano nazisti

E questo è uno che ci ha vissuto in mezzo

Questo invece è uno splendido articolo di Andrea Nicastro.

Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca

Tra i fondatori del battaglione «nazista» dell’Ucraina di cui Putin vuole disfarsi, ex capo degli ultras della Dinamo Kiev, ma ora le tracce del suo passato sono state cancellate da Internet. E 14 mila soldati e decine di missili sono pronti per lui

Sull’edizione russa di Wikipedia, il nome Denis Projipenko è messo in cima alla lista dei comandanti del battaglione Azov. Il più alto in grado. Il nemico numero uno di Mosca, l’uomo che personifica sul campo quell’Ucraina «nazista» da cui Putin vuole liberarla. Sui siti di Kiev, invece, nulla. Projipenko non c’è. Scomparso, la memoria digitale cancellata. Pulizia totale di tutto quanto lo riguardava. Fosse per Internet, l’ufficiale in capo della resistenza militare a Mariupol sarebbe un uomo senza passato, senza gloria, ma anche senza i sospetti di simpatie neonaziste che oggi nuocerebbero alla causa ucraina. Uno e novanta, biondo, naso sottile e occhi azzurri, il maggiore Denis Projipenko è uno dei fondatori del Battaglione Azov.

Addestrato come un incursore, bello come un attore, da anni è in prima linea contro i filorussi del Donbass e oggi, adesso, in questi minuti, è in trappola a Mariupol. Accerchiato senza possibilità di rinforzi. Bombardato dal cielo e dal mare. Braccato dai droni e dalle orecchie elettroniche. Basta una sua comunicazione, un avvistamento, una soffiata per potergli indirizzare contro un missile. Mosca sa come fare. Ci riuscì durante l’assedio di Grozny, in Cecenia, negli anni ’90 contro il presidente indipendentista Dudaev. E allora le tecnologie erano molto più arretrate.
A Mariupol 14-15mila militari russi stanno riversando una marea di esplosivi sulla città per eliminare lui e i suoi uomini. Decine di missili sono pronti a disintegrarlo, migliaia di soldati a reclamare la taglia che il presidente ceceno Ramzan Kadyrov, intimo del leader del Cremlino Putin, ha messo sulla sua testa. Vivo o morto. Mezzo milione di dollari. Ciò che sta succedendo ai soldati che difendono Mariupol e al loro comandante Projipenko, ha lo spessore tragico delle grandi battaglie che cambiano il corso della storia e ispirano forti sentimenti. Anche se, nel frattempo, i protagonisti sono tutti morti. I 960 zeloti di Masada. I 300 spartani alle Termopili. Gli affamati di Stalingrado. Tutti sacrifici, vittoriosi o perdenti non è così importante per la storia, capaci però di segnare la consacrazione di un’identità non più negoziabile. Per il maggiore Projipenko, il riferimento più diretto è un altro, inciso persino in un bassorilievo dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés a Parigi. E’ la battaglia combattuta a metà del 1600 dai liberi cosacchi della steppa di Zaparozhzhie contro l’esercito lituano-polacco di re Giovanni II Casimiro. Ortodossi contro cattolici. Un impero dell’ovest contro le steppe dell’est. La battaglia di Berestenchko è, probabilmente, il più grande scontro terrestre di un secolo per nulla pacifico. I cosacchi di Crimea e del bacino del fiume Dnipro non volevano sottomettersi. Persero, ma 400 anni dopo, Denis Projipenko continua ad ispirarsi alla loro lotta per giustificare la sua.
È, probabilmente pronto a diventare il nuovo eroe nazionale ucraino. E le sue simpatie politiche, verranno strumentalizzate o meno a seconda di chi si impossesserà della sanguinosa leggenda. Ex capo degli ultrà della Dinamo Kiev, con la guerra del Donbass, Projipenko accorse volontario nel 2014 alla difesa del Paese. Da allora è diventato un soldato professionista, si è addestrato, ha imparato a combattere battaglie vere, non contro i lacrimogeni degli stadi. I russi dicono che abbia avuto istruttori stranieri, dai Delta Force alla Legione Straniera.
Il nucleo dei primi volontari del 2014 si struttura con il passare dei mesi. Riceve armi. Entra a far parte della Guardia Nazionale nell’autunno del 2014 ed è a quel punto che si libera di alcuni elementi di estrema destra. Da allora, in teoria, dovrebbe seguire le regole dell’esercito nazionale per cui l’apologia del nazismo è vietata. Il clima dentro il battaglione diventato brigata resta quello della sua iconografia, il simbolo così simile alla runa nazista, le t-shirt nere, le teste rasate, il saluto con il pugno al petto. Tutto molto militarista, machista e super nazionalista e forse oltre. (Corriere della Sera, grazie a Erasmo)

Non possono mancare, in onore ai nazisti ucraini, i nazisti di casa nostra, che si danno da fare, nel loro piccolo per non restare troppo indietro in fatto di infamia.

Aggiungo questa foto spettacolare di Bucha, che può dare la misura della “tragedia” in atto: sei fotografi intenti a fotografare un gatto (ma dico io!)

e due cose dedicate a chi ha un condizionatore: questa è una

e questa è l’altra

E già che ci siamo beccatevi anche questo

No, dico, ma ve lo immaginate Mattarella?

barbara

QUALCHE ALTRA TESTIMONIANZA

La ragazza greca

L’ebreo ucraino

E infatti:

Fulvio Del Deo

Numero di aggressioni antisemite violente nel 2020, per paese.

I primi 4 classificati nel mondo:

1. USA 119
2. Germania 59
3. Regno Unito 46
4. Ucraina 22

Rapportando il numero di aggressioni al numero di ebrei presenti, si ha questa classifica di aggressioni/migliaio di ebrei:

1. Ucraina 0,511
2. Germania 0,5
3. Regno Unito 0,156
4. USA 0,02

La conduttrice ucraina russofona

https://www.conduttricitv.com/2022/03/dasha-dereviankina-kiev-ci-dicevano-che.html

Fausto Biloslavo sul battaglione nazista Azov

E Marcello Foa sempre sullo stesso tema sette anni fa

Alessandro Orsini su un po’ di cose che non sappiamo

e che per avere dato queste informazioni è stato epurato dalla sua università e cancellato da Wikipedia,

oltre a essere stato sommerso di contumelie su tutti i social, nei quali gli è stato imputato quale grave elemento a carico anche il suo parlare pacato e a voce bassa – cosa effettivamente molto rara di questi tempi.

La figura di merda della nostra informazione

Qualche considerazione realistica

UCRAINA: OGNI GIORNO CRESCE IL PREZZO DELLA PACE

La guerra scatenata dalla Russia è terribile, siamo d’ accordo. Invadere un paese sovrano è la più grave violazione del diritto internazionale, anche quando si accampano giustificazioni più o meno plausibili come il diritto all’ autodifesa e quello all’ “ingerenza umanitaria”. Invitiamo i Russi a farsi un’ esame di coscienza e, già che ci siamo, facciamolo pure noi: ci siamo indignati altrettanto quando i “nostri” hanno invaso Yugoslavia, Afganistan, Iraq e Libia e bombardato alla chetichella un’ altra manciata di paesi, creando un mondo in cui conta solo la forza e dando a Putin una lezione che quello, da studente sveglio e voglioso di apprendere qual è, si è diligentemente annotata?
Ad ogni buon conto, quando saremo stanchi di far prediche agli altri e magari anche a noi stessi, potremo fermiamoci a riflettere. Gli slanci emotivi portano poco lontano: se non vogliamo che la nostra aspirazione alla pace resti una petizione di principio o, peggio, venga intesa come appoggio a iniziative che provocherebbero in maniera quasi automatica una disastrosa estensione del conflitto (vedasi alla voce no fly zone), occorre sforzarsi e tentare una lettura approfondita e razionale.
Una delle questioni più urgenti da definire (e tuttavia più trascurate) è quella degli obiettivi di guerra russi. Eppure determinare cosa voglia il “nemico” è il punto di partenza indispensabile per ogni trattativa e per verificare se vi siano spazi per un compromesso.
Riavvolgiamo, dunque, la pellicola degli eventi fino allo scorso 15 dicembre, quando la Russia ha presentato le proprie richieste agli Stati Uniti sotto forma di bozza di trattato. La parte riguardante l’ Ucraina prevedeva la neutralità e (implicitamente) la smilitarizzazione del paese. Come noto le richieste furono respinte in omaggio all’ “irrinunciabile” principio NATO delle “porte aperte”. A pensarci ora, a soli tre mesi di distanza, viene un po’ da mangiarsi le mani, vero? Difendere il diritto della NATO ad espandersi all’ infinito valeva davvero tutto questo? In ogni caso abbiamo detto di no: e quella porta negoziale è ormai chiusa per sempre.
Secondo passaggio: il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk il 21 febbraio e l’ inizio delle operazioni militari (tre giorni dopo). La Russia ha immediatamente enunciato le proprie quattro richieste: riconoscimento dell’ annessione (ricongiunzione, dicono loro) della Crimea (un fatto compiuto da ormai 8 anni) e dell’ indipendenza di Donetsk e Lugansk, tanto per cominciare. E poi epurazione dei nazionalisti a Kiev, impegno formale alla neutralità del paese.
Queste richieste sono state ripetute più volte:  da Putin in persona, in occasione di un colloquio con Macron il 28 febbraio e di uno con Scholtz il 4 marzodalla delegazione russa alle trattative bilaterali che si tengono in Bielorussia (1 marzo), e dal ministro degli esteri Lavrov (il 2 marzo).
Abbiamo subito risposto di no anche a queste proposte (con una punta di indignazione), o meglio lo ha fatto, su nostra imbeccata, il governo Ucraino. In particolare Zelensky ha ribadito che la posizione negoziale di Kiev è il ripristino dei confini del 1991 (quindi non solo con il Donbass, ma anche con la Crimea). Una pretesa un po’ ambiziosa, provenendo da un tizio che vive in un bunker.
Tuttavia i Russi, messi in difficoltà da una resistenza risoluta e dall’ allungarsi delle linee di rifornimento, sembrano segnare il passo, e quella base negoziale su quattro punti potrebbe essere ancora valida (il ministero degli esteri russo l’ richiamata ancora il 17 marzo), nonostante, soprattutto nei primi giorni, il controllo di Mosca si sia esteso penetrando di cento, duecento chilometri in territorio ucraino.
Siamo però ad un passaggio cruciale. E’ evidente che, per costringere gli Ucraini ad accettare i “quattro punti” Putin dovrà andare ancora avanti. In che direzione? Qualcosa si scorge fra le righe delle dichiarazioni, nelle direttrici di avanzata delle truppe di Mosca e nella gestione dei territori occupati. Un piano che diviene più concreto ogni giorno di conflitto che passa e che prevede, di fatto, la cancellazione dell’ Ucraina dalle mappe o almeno un suo drastico ridimensionamento.
Non è un mistero che Putin sia convinto l’ Ucraina non sia un vero stato, ma un Frankenstein creato dagli esperimenti politici di pazzi scienziati bolscevichi. Ne parlò per la prima volta il 25 gennaio 2016: “i confini (interni dell’ URSS n.d.A.) furono determinati in modo completamente arbitrario e non sempre ragionevole. Ad esempio, il Donbass fu inserito nell’ Ucraina. Con il pretesto di aumentare la percentuale del proletariato in Ucraina, per contare su un maggiore sostegno sociale. Un’ assurdità”. Concetto sviluppato il 21 giugno 2020 quando il Presidente disse come avrebbe regolato lui il diritto di separazione previsto dalla costituzione dell’ URSS: “Se una repubblica, entrando a far parte dell’URSS, avesse ricevuto un’enorme quantità di terre russe, tradizionali territori storici russi, e poi avesse deciso di lasciare questa Unione, avrebbe dovuto andarsene con quello con cui è entrata. E non portarsi via i regali del popolo russo!”. E ancora, nel saggio pubblicato il 12 luglio 2021, e nel discorso della guerra, il 21 febbraio scorso nel quale, dopo aver precisato che l’ Ucraina è una costruzione politica del tutto artificiale, ha minacciato: “Volete la decomunistizzazione? Bene, ci va bene. Ma senza fermarsi a metà strada. Siamo pronti a mostrarvi cosa significa la vera decomunistizzazione per l’Ucraina.”. In pratica una citazione da Taras Bulba di Gogol “la vita: come te l’ ho data, così te la tolgo”. Con Russia 24 pronta a mostrare la “mappa” dei regali da restituire: il Donbass, certo, ma anche Kharkov e tutta la costa del Mar Nero fino al confine con la Moldavia.
Il canale Telegram Rezident vanta entrature nell’ amministrazione ucraina: più probabilmente è uno strumento di propaganda russa. Sia come sia è interessante leggere come Rezident ha descritto la quarta tornata di incontri negoziali fra Russi e Ucraini. I Russi avrebbero detto, in sintesi: accettate le nostre prime richieste e la chiudiamo qui. Se no procediamo, e ci prendiamo tutto il sud del vostro paese.
Ecco cosa succederà se Zelensky, istigato dagli alleati occidentali, si ostinerà a non sedersi al tavolo delle trattative. La musica è già cambiata a Melitopol, la prima grande città ucraina occupata e “vetrina” da presentare al mondo: in un primo momento (il 24 febbraio) al sindaco è stato consentito mandare un messaggio alla popolazione davanti alla bandiera ucraina, mentre poi (12 marzo) sia il sindaco che la bandiera sono stati sostituiti: ora a capo della città c’è Galina Danilchenko, dell’ opposizione russofona, mentre gli edifici pubblici espongono il tricolore russo, che nel frattempo  è comparso anche sui palazzi dell’ amministrazione provinciale di Kherson, il primo capoluogo caduto in mano alle truppe di Mosca. L’ appetito, come si dice, vien mangiando, e alla lunga, per i Russi, potrebbe diventare difficile restituire, in aprile o maggio, i territori occupati (pagando un alto prezzo di sangue) per forzare l’ accettazione delle richieste di marzo.
E’ una spirale di rilanci: non si vuole lasciare a Putin la Crimea? Si prende Donetsk. Non gli si concede Donetsk? Eccolo a Mariupol. Non gli si vuole cedere Mariupol? Sbarco ad Odessa. Non vi basta ancora? Attacco a Kiev. In ogni richiesta respinta c’è la base di un nuovo rilancio ed una nuova, cruenta, situazione di fatto che poi rischia di cristallizzarsi in una nuova pretesa negoziale.
Alla fine di questa spirale si sono solo due possibili esiti.
O la Russia, spostato il baricentro delle proprie relazioni in Asia, si troverà a gestire l’ occupazione impossibile di una enorme distesa di macerie abitata da una gente impoverita e forse per sempre nemica mentre, oltre ad un confine tracciato dai crateri e da montagne di cadaveri, un’ Europa occidentale invasa da milioni di profughi e fiaccata dalla crisi economica, visceralmente ostile, verrà aggiogata alla Nato con un laccio secolare.
Oppure (ed è quello in cui sperano i sostenitori della linea dura), il baratro dell’ Ucraina finirà per inghiottire anche il vicino: la Russia salterà per aria sfiancata dallo sforzo e collasserà. Una prospettiva che in teoria può anche attrarci, ma che in pratica significherebbe undici fusi orari pieni di materie prime indispensabili, disseminati di armi nucleari e abitati da 200 gruppi etnici, sprofondati nel caos.
Non c’è dubbio che convenga a tutti (o meglio: a tutti gli abitanti dell’ emisfero orientale), fermare questo vortice ora, facendo un bagno di realismo. Solo a prezzo di montagne di cadaveri Donetsk Lugansk e Crimea possono tornare Ucraina. Solo allo stesso prezzo Odessa e Kiev possono tornare Russia. Se ne prenda atto. Si spinga Zelensky all’ accordo ed alla troppe volte differita resa dei conti con gli estremisti interni, si inchiodi ora Putin alle sue prime, in fin dei conti ragionevoli, pretese. Si faccia dell’ Ucraina uno spazio disarmato in cui la Russia e gli altri paesi europei possano esercitarsi, se non alla cooperazione, almeno alla convivenza.
Se nelle stanze dei bottoni europee c’è qualcuno che vuole davvero la pace, ignori le masse irretite dalla propaganda di guerra, e batta un colpo. Le cose possono andare assai peggio e non c’è più tempo per gli indugi.
Marco Bordoni, qui.

E infine uno dei commenti più intelligenti usciti negli ultimi tempi

questa società finirà nel condannare un gazzella che cerca di scappare dalla presa mortale di un coccodrillo?

E infatti chi di noi non ha visto nella savana branchi di coccodrilli lanciati al galoppo all’inseguimento delle povere gazzelle? (E con questo livello di intelligenza e di informazione – e stendiamo un velo pietoso sulla conoscenza dell’italiano – come stupirci delle bestialità che sparano a velocità superiore a quella della creatura del buon Michail Timofeevič?)

Chiudo con la più sobria – e forse la più intensa – dichiarazione d’amore della storia del cinema

Chissà, forse anche fra i civili imprigionati per settimane come scudi umani dagli eroici ucraini nel teatro di Mariupol e altrove, saranno nati embrioni di storie d’amore destinati a svanire nel vento.

barbara

LA PAROLA AGLI SCUDI UMANI FINALMENTE LIBERATI

Lorenzo Capellini Mion

Mariupol, Ucraina
Dopo che la Russia ha negato l’attacco al teatro che l’Italia vuole ricostruire una rifugiata racconta, con dovizia di particolari, come siano stati i militanti del battaglione Azov, durante la ritirata, a farlo saltare in aria.
E racconta quali bugie vengono sui russi per disincentivare la voglia di fuga e di questa povera gente terrorizzata tenuta per giorni senza cibo e acqua, bambini compresi. Lei era con loro.
Inoltre spiega come i militanti banderisti schierino equipaggiamenti militari vicino a rifugi antiaerei ed edifici residenziali per usare i civili come scudi umani.
Ora dopo aver mentito su Chernobyl, sul presunto attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, dopo aver usato e immagini di un incendio di una fabbrica cinese del 2015 e quelle dei videogiochi da cui hanno preso persino il nome della inesistente città di Tarkov, sull’ospedale pediatrico che era stato evacuato e usato come roccaforte militare, sulla strage di Donetsk eccetera eccetera non mi aspetto nessuna correzione da parte del giornale unico trasformati in un grande talk show propagandistico di guerra.
Io non mi sento in guerra con nessuno e quindi non ho nessun interesse di fare propaganda per alcuno ma se nel mio piccolo vengo a conoscenza di notizie che ritengo fondamentali per ristabilire appena appena la realtà dei fatti non rimarrò in silenzio.
Fino a quando non mi silenzieranno; logicamente, nell’attesa dell’inevitabile, nessuno è obbligato a frequentare la pagina FB o il canale telegram.

Lorenzo Capellini Mion

Ucraina
I nazisti o banderisti chiamateli come volete, che con il voto di oggi devo supporre siano nostri alleati, si nascondono in un asilo per godersi il “tempo tranquillo”.
Nei commenti lo dichiarano apertamente che non esista posto più sicuro per i loro “fratelli” delle scuole e gli asili nido.
Per quando si sente parlare di crimini di guerra.

Lorenzo Capellini Mion

Mariupol, Ucraina
Buone notizie, dopo che le truppe del battaglione Azov hanno ripetutamente impedito l’evacuazione dei civili, sparando a coloro che cercavano di lasciare la città, finalmente i “difensori” hanno iniziato a rilasciare in massa le persone.
Si registrano lunghe file di auto e autobus.
I civili fuggiti e fino a oggi usati come scudi umani parlano degli orrori che hanno dovuto sopportare durante le battaglie cittadine; secondo loro, ci sono molti civili morti in città, che non hanno nessuno che li seppellirà.
Adagiarsi sulla narrativa dominante, non doversi difendere da chi ti accusa di “intelligenza con il nemico”, dividere il mondo tra “buoni” e “cattivi” a prescindere dai fatti, sarebbe più comodo ma io proprio non ce la faccio.
E siccome per me non ci sono vittime innocenti di classi diverse se non vi va di guardare anche all’altra metà del cielo basta un click.

Una testimonianza.

EX PREMIER UCRAINO: PUTIN HA SALVATO CENTINAIA DI MIGLIAIA DI VITE

In un messaggio su Facebook, Azarov ha sottolineato che la NATO aveva pianificato un attacco nucleare alla Russia.
“La NATO voleva scatenare una terza guerra mondiale usando armi nucleari contro la Russia”, ha detto Azarov. “Dal dicembre 2021, la Russia riceveva informazioni sui piani della NATO per posizionare quattro brigate dell’esercito in Ucraina”. Una di quelle brigate avrebbe avuto testate nucleari.

Terza guerra mondiale

Secondo Azarov, la NATO voleva schierare truppe in estate. “Per evitare la terza guerra mondiale e l’attacco nucleare alla Russia, il governo russo ha deciso di rimettere le cose a posto in Ucraina”, ha detto Azarov, che è stato primo ministro nel 2004, 2005 e di nuovo nel 2010.
Ha affermato che l’esercito ucraino aveva anche pianificato di lanciare un’operazione militare nel Donbass e spazzare via la popolazione di lingua russa. L’attacco era coordinato con gli Stati Uniti e doveva essere lanciato il 25 febbraio.
Una delle principali fonti dei media ucraini, Hromadske, aveva descritto il Donbass come una regione che ha un “numero enorme di persone assolutamente inutili”. Dei 4 milioni di anime a Donetsk dell’epoca, 1,5 milioni erano “superflue” e “semplicemente devono essere eliminate”. Il Donbass dovrebbe essere visto solo come una “fonte di risorse”, ha affermato una fonte vicina all’amministrazione Zelensky.

Centinaia di migliaia di vite salvate da Putin

Il presidente russo Vladimir Putin ha salvato centinaia di migliaia di vite a Donetsk e Luhansk, ha detto l’ex primo ministro. Azarov ha sottolineato che le truppe della Repubblica popolare di Donetsk sono riuscite a mettere le mani su una mappa che mostrava come sarebbe stato lanciato un attacco su larga scala al Donbass.
Azarov ha lasciato l’Ucraina dopo che la sua auto è stata colpita da colpi di arma da fuoco il 21 febbraio 2014. Sua moglie era in macchina in quel momento. È sopravvissuta all’attacco, ma è rimasta gravemente traumatizzata.
Sembra che l’attuale presidente degli Stati Uniti sappia abbastanza bene cosa sta facendo la NATO per incitare una guerra con la Russia. Su C-Span, Biden aveva spiegato nel 1997: “L’unica cosa che può provocare la Russia in una risposta ostile e vigorosa è l’espansione della NATO agli stati baltici”.
Il confine dell’Ucraina con la Russia sembra essere il doppio dei confini dei due piccoli staterelli messi insieme.
Fonte: https://freewestmedia.com/2022/03/08/former-ukrainian-pm-putin-saved-hundreds-of-thousands-of-lives/

Autore:  FWMSTAFF, qui.

E poi c’è questa tizia, di cui non condivido proprio tutto tuttissimo, ma il modo in cui mena botte da orbi su tutti senza guardare in faccia nessuno mi induce a ritenerla affidabile. L’articolo è meraviglioso, e meravigliosa è la passione che lo ispira.

Vi spiego chi è veramente Zelensky

Due cose che so:

1) Putin non è il popolo russo.
Il popolo russo è un popolo pacifico e ospitale legato all’Ucraina: molti russi hanno genitori, mogli, parenti, amici ucraini che parlano la loro stessa lingua. Putin è un oligarca violento e antidemocratico amante del lusso sfrenato, con un patrimonio valutato decine di miliardi (impossibili stime ufficiali), un omofobo guerrafondaio, un ex agente del kgb che perseguita e uccide gli oppositori politici e i giornalisti e ha tessuto rapporti con tutta l’estrema destra europea. È l’idolo di Le Pen e di Salvini: Salvini che non festeggia il 25 Aprile e che ha candidato, eletto e portato al potere con la Lega decine di esponenti del Movimento Sociale Italiano. Che l’obiettivo dell’idolo delle destre sia quello di «denazificare» l’Ucraina è ridicolo.
Migliaia di russi senza patrimoni miliardari scendono in piazza contro Putin per fermare la guerra rischiando l’arresto, come ha fatto ieri la giornalista Marina Ovsyannikova irrompendo in diretta sul primo canale della tv russa con un cartello che denuncia le menzogne della propaganda e venendo immediatamente arrestata.
Pensare di boiocottare Putin boicottando Dostoevskij e l’insalata russa (che comunque non è russa) e la vodka (che comunque non è prodotta in Russia ma in Svezia, seguita da Francia, Polonia, Paesi Bassi, Stati Uniti, Lettonia e – toh! – Italia) è ripugnante e idiota. Boicottare il caviale – IL CAVIALE – è una roba che può venire in mente solo a chi trova normale riunirsi nella reggia di Versailles mentre i popoli patiscono la guerra e la fame, un po’ come scendere in piazza il 25 Aprile con le foto di “Coco Chanel, patriota europea” (a forza di governare con Berlusconi e Salvini agli antifascisti si confondono le idee).

2) Zelensky non è il popolo ucraino.
Il popolo ucraino è un popolo pacifico e ospitale legato alla Russia: molti ucraini hanno parenti e amici russi che parlano la loro stessa lingua. Molti sono fuggiti in Russia prima e dopo lo scoppio della guerra. Tra le braccia dei loro amici e parenti, non tra le braccia di Putin.

La vice premier ucraina Iryna Vereshchuk ha detto ieri sera a Otto e Mezzo che il 90 per cento degli ucraini sono con Zelensky: non è vero.
Zelensky ha vinto le elezioni nel 2019 con la promessa di sconfiggere la corruzione sistemica degli oligarchi, portare il benessere economico, porre fine alla guerra in Donbass. Ha disatteso tutte e tre le promesse. Ha perseguitato come il suo predecessore gli ucraini russofoni, ai quali viene impedito di studiare nella propria lingua. Stipendia i neonazisti degli ex corpi paramilitari come il battaglione Azov, legato a Casapound (vedi foto), diventati esercito regolare ucraino – dunque pagati con le tasse versate dagli ucraini – e accusati dall’Ocse e dall’Onu di atroci crimini contro l’umanità. Crimini commessi per lo più in Donbass, durante una guerra che si combatte da 8 anni e ha fatto – stando solo ai morti certificati dall’Ocse – 14 mila vittime. Una guerra che Zelensky prometteva di fermare e che invece continua a combattere sparando razzi contro quello che dice di essere il suo popolo.
Nemmeno prima di deludere le aspettative del “suo” popolo Zelensky rappresentava il 90 per cento degli ucraini.
Celebre comico televisivo, protagonista della serie “Servitore del popolo”, dove vestiva i panni di un professore di storia che si candidava alle lezioni con l’ambizione di sconfiggere la corruzione e il sistema degli oligarchi, porre fine alla guerra e portare l’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato, cambia carriera fondando un partito che si chiama “Servitore del popolo” e si candida alle elezioni del 2019 con l’ambizione di sconfiggere la corruzione e il sistema degli oligarchi, porre fine alla guerra, portare l’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato.
Zelensky deve però la sua popolarità al più ricco degli oligarchi che dice di voler combattere.
Si tratta dello stesso oligarca che ha finanziato il famigerato battaglione Azov (nel caso qualcuno vi avesse già spiegato che quelli di Azov non sono nazisti ma nazionalisti, lascio la parola al portavoce di Azov, Andriy Diachenko, che nel 2015 ha spiegato che “solo” il 20 per cento dei componenti del battaglione si dichiara apertamente fan di Hitler, benché tutti loro adottino le svastiche, la simbologia e i saluti nazisti perché pervasi “dall’ideale di difendere l’Ucraina come Hitler difese la Germania”). L’oligarca in questione è il proprietario della tv 1+1, che produce e trasmette lo show-partito politico di Zelensky: il magnate e politico Ihor Kolomoisky, uno degli uomini più ricchi al mondo secondo Forbes, governatore della regione di Dnipropetrovsk fino al 2015, fondatore della più grande banca d’affari ucraina, la Privatbank, fallita dopo aver riempito le tasche di Kolomoisky e rifinanziata a spese del popolo ucraino, come prassi anche da noi.
Nel 2019, Zelensky ottiene il 30 per cento dei voti al primo turno di elezioni non democratiche. Non democratiche perché i partiti comunisti, che avevano il 15 per cento dei voti, sono stati banditi nel 2015 e mai riabilitati e i loro militanti perseguitati come qualunque partito, rivista, sindacato, giornale manifesti idee comuniste (non solo riferite all’Unione Sovietica ma anche critiche nei confronti di Stalin e legate al pensiero di Karl Marx e Rosa Luxemburg, ai quali in Ucraina erano dedicate vie e piazze che oggi hanno cambiato nome).
Ancora qualche giorno fa, a Kiev, Mikhail Kononovich, leader dell’ala giovanile del fuorilegge Partito Comunista ucraino (CPU), e suo fratello, Aleksandr Kononovich, sono stati arrestati dalle autorità ucraine e ora rischiano l’esecuzione.
Alle elezioni non prende parte la popolazione delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk, che ha già votato per oltre il 90 per cento a favore dell’indipendenza da Kiev ma che ieri sera la vice premier ucraina ancora annoverava, insieme alla popolazione della Crimea, nel 90 per cento di ucraini con Zelensky, considerando la Crimea e i territori delle autoproclamate repubbliche popolari “territori occupati” (come del resto ha fatto tutto l’occidente, che riconosce il diritto all’autodeterminazione dei popoli solo quando conviene alla Nato). In aggiunta, nella parte delle regioni di Lugansk e Donetsk ancora sotto il controllo di Kiev, e dove quindi nel 2019 si svolgono le elezioni, Zelensky viene sconfitto sia al primo che al secondo turno. Il primo partito è quello di Yuri Boiko, fautore della ripresa delle relazioni con la russia, votato perché garante del diritto degli ucraini russofoni di tornare a parlare, insegnare, pubblicare giornali nella propria lingua.
Al secondo turno, il servitore del popolo Zelensky sfida il presidente uscente Poroshenko, oligarca proprietario di catene commerciali (sua la cioccolata “Roschen”), altro miliardario censito da Forbes e responsabile del conflitto in Donbass, persecutore degli ucraini russofoni e legato anche lui al magnate Kolomoisky, l’editore di Zelensky, con il quale Poroshenko arriva alla rottura nel 2015, quando preme per le sue dimissioni da governatore.
Con la promessa di porre fine al conflitto, Zelensky ottiene al ballottaggio il 73 per cento dei voti. Una volta eletto, invece di attuare come promesso gli accordi di Minsk sull’autonomia del Donbass firmati dal suo predecessore, chiede di rinegoziarli. Spinge l’acceleratore sulla guerra mai cessata. Nel paese del servitore del popolo la corruzione è ancora sistemica: come mi ha detto una volta un’avvocata: «In Ucraina serve pagare per ottenere qualunque cosa e qualunque cosa si ottiene pagando». Quest’estate, a Marrakech, ero colpita dai molti annunci delle università ucraine di medicina: «Vieni a laurearti in Ucraina!». In Ucraina? Perché? «Perché basta pagare e diventi medico. Poi vengono a operare qui, ma se stanno male vanno a curarsi in Francia». «Ah». Gli stipendi pubblici sono miserrimi: gli impiegati faticano ad arrivare alla fine del mese. Le famiglie sono tornate a vivere tutte sotto uno stesso tetto, tre e anche quattro generazioni. Nonostante le difficoltà, non ho mai incontrato persone così ospitali e generose come in Ucraina.
Ci sentiamo ogni giorno. Sperano che la guerra finisca presto.
Non conosco nessuno che la stia combattendo. “Combattono i professionisti”, mi dicono. Quelli pagati, quelli obbligati. Gli altri sono scappati in tempo per non dover combattere o si nascondono. Chi ha i soldi si è rifugiato negli alberghi o nelle case al confine, chi non ha i soldi per scappare o non vuole lasciare la propria casa, il lavoro, i genitori anziani, i figli piccoli, si nasconde in cantina, aiutando come può, costruendo una rete di solidarietà, di soccorso, di aiuto, portando l’acqua e le medicine alla popolazione.
Non vogliono armi per combattere, vogliono tornare presto a vivere in pace. Per questo Zelensky è stato costretto a arruolare legionari stranieri, a distribuire armi a chiunque le accetti e a varare una legge aberrante che consente a chiunque di sparare, facendo saltare la distinzione tra civili e militari e autorizzando l’aggressore a colpire i civili di un popolo che sta ripudiando la guerra meglio di noi, che dovremmo farlo per Costituzione.
Il popolo ucraino non è Zelensky, con la sua villa da 4 milioni a Forte dei Marmi, è Alina con la sua mamma badante a Roma, che ieri ho accompagnato in lacrime dall’altra parte della città con sua figlia di sei anni, rifugiate in attesa di poter tornare a casa, presto: “Appena finisce la guerra”.
Abbiamo raccolto vestiti per loro. C’era un cappotto. Alina non lo ha voluto perché qui fa caldo e quando tornerà in Ucraina troverà i suoi cappotti che la aspettano a casa insieme a suo marito, che aveva aperto una falegnameria e l’aveva inaugurata il giorno prima dello scoppio della guerra.
Il popolo ucraino non è Zelensky in mimetica che, al sicuro da qualche località segreta, augura la morte a chi scappa (“Смерть бігунам!!”, “morte a chi scappa”, ha dichiarato in video riferendosi agli uomini tra i 18 e i 60 anni che non possono lasciare il paese), il popolo ucraino sono le decine di ragazzi maschi con i quali siamo in contatto e che sono scappati in tempo per non combattere perché non hanno nessuna intenzione di morire per Putin né per Zelensky o che si sono nascosti in cantina aiutando la popolazione come possono.
Mi è chiaro che delle ragioni che spingono questi nostri fratelli e sorelle a non imbracciare le armi non freghi niente a Zelensky, a Biden, a Draghi, a Putin, ai molti giornalisti, politici e analisti ospiti dei talk show che preferiscono eccitarsi per la bambina ucraina che imbraccia un fucile e farne un simbolo della resistenza, un’immagine che fino a qualche mese fa avremmo utilizzato per denunciare la violazione dei diritti dell’infanzia in remoti paesi africani non democratici.
Frega però parecchio a me, per questo ci tengo a dare loro voce. A dare voce a chi, in Ucraina, chiede la pace. Sogno in collegamento a Otto e Mezzo una madre, un ragazzo che spera di non morire e che la guerra finisca presto, cioè l’opposto della terza guerra mondiale evocata da Zelensky e dalla sua vice premier che insiste a chiedere la No Fly Zone da parte della Nato anche quando le viene spiegato che questo comporterebbe lo scoppio di un conflitto globale tra potenze nucleari, cioè l’inasprimento della guerra e la fine di quasi tutto per quasi tutti.
Io non so e non voglio sapere se Putin, Zelensky e gli altri oligarchi hanno pronta l’isola, il bunker, l’astronave per Marte o se sono semplicemente meno empatici, meno svegli, meno liberi o più malati di come ce li raccontiamo.
So che la guerra i popoli non la vincono mai, nemmeno quando la vincono i loro governi. I soldati muoiono o tornano a casa feriti nel corpo e nell’anima, spesso inadatti alla vita che avevano. Gli ospedali, i ponti, le fabbriche le stazioni, le scuole vengono distrutte, le famiglie terrorizzate e divise, le terre bruciate e chi vive di questo – andando a scuola, coltivando la terra, guidando un treno, lavorando in fabbrica o in un ospedale – si ritrova senza la vita che aveva da vivere, con tutto da rifare.
In molti stiamo ricostruendo gli obiettivi economici e strategici di Putin e di Zelensky, le cause del conflitto, le possibili conseguenze in termini di confini, equilibri commerciali, forniture di materie prime, alleanze militari. È giusto farlo. È giusto comprendere i ruoli e le responsabilità storiche di tutti gli attori coinvolti compresa la Nato, Stalin, Lenin e Pietro il Grande (magari ecco, ricordando chi è ancora sulla scena e chi no, chi oggi potrebbe fare la differenza e chi no).
Vorrei però che con lo stesso sforzo con cui ponderiamo le richieste dei contendenti, dell’aggressore che però se ne sta al caldo senza combattere e dell’aggredito che pure non sta al fronte, ponderassimo quelle attuali del popolo ucraino.
Le motivazioni che spingono Putin a insistere e Zelensky a resistere non sono infatti quelle dei loro popoli. Non sono quelle di donne, uomini, bambine, bambini, vecchi, soldati, profughi.
Cosa pensate direbbero se potessero essere loro – Marina, Yura, Olga, tutti nomi di fantasia che uso per non scrivere i nomi di chi mi scrive – a sedersi al tavolo delle trattative? Chiederebbero le nostre armi? L’intervento della Nato? La terza guerra mondiale? L’integrità territoriale del paese? Ci avete pensato? Li conoscete?
Cosa stabilirebbero se potessero sedersi loro al tavolo delle trattative, un russo e un ucraino, come i genitori di Marina Ovsyannikova, la giornalista arrestata per aver fatto irruzione sulla tv russa?
Cosa desidera in cuor suo oggi il 90 per cento del popolo ucraino? Di porre fine alla guerra a qualunque condizione. Questo mi dicono i miei amici in Ucraina: “Speriamo che finisca presto”. Non discutono i confini orientali, l’ingresso nella Nato o l’annessione della Crimea alla Russia, le responsabilità storiche.
“È facile chiedere la pace!”, mi viene detto da chi evidentemente considera Marina, Yura, Olga, mio figlio e me ingenui o vigliacchi o entrambi.
No. È più facile fare la guerra, perché chi la dichiara non deve combatterla.
Chi dichiara guerra non resta senza cibo e riscaldamento, ha messo per tempo al sicuro i propri cari in qualche confortevole residenza di una qualche località segreta, non rischia di perdere la casa perché ne possiede parecchie e parecchie altre può comprarne.
La pace, invece, si fa una fatica porca a farla e a chiederla, ma è l’unica soluzione praticabile per chi di casa ne ha una e di stipendio pure e ha i figli sotto le armi e rischia ogni giorno in più di guerra di perdere tutto quello che ha.
La guerra è praticabile solo per chi produce e vende armi e non le imbraccia, solo per chi le guerre le sta a guardare in tv come si guardano le partite di calcio, facendo il tifo per una squadra e per l’altra senza capire quali sono realmente le squadre in campo: gli oligarchi contro i poveri cristi, in ogni guerra.
La pace, per i poveri cristi, non è un’utopia: è un’utopia la guerra, la pace e il disarmo sono l’unica via.
Poi magari quello che scrivo non serve a niente, serve solo a voi sorelle e fratelli che mi leggete con il traduttore di google per sapere che non siete soli. Siamo in tante, in tanti, anche qui, anche in Russia, a chiedere la pace. Siamo in tanti qui in Italia a gridare, e non da oggi, che i popoli non si proteggono aumentando la spesa militare di 37 miliardi e diminuendo quella sanitaria di 25 miliardi, come abbiamo fatto qui in Italia. Si proteggono con la giustizia sociale, la cooperazione, l’internazionalismo. Siamo in tanti a chiedere di non armare la guerra. Quella in Ucraina e le altre 33 guerre in corso nel resto del mondo, delle quali non amiamo pubblicare le foto dei civili morti perché le bombe, quasi sempre, le abbiamo prodotte, vendute e sganciate noi o qualche dittatore utile nostro amico.
Vi penso ogni istante. Teniamoci stretti.
Francesca Fornario, qui.

Nello stesso blog c’è, sempre strettamente in tema, anche questo articolo, di otto anni fa: Bruciati vivi. Gli stomaci delicati si limitino a leggerlo e lascino perdere le immagini alla fine dell’articolo.

Se poi vogliamo parlare di aggressioni, potrebbe essere il caso di ricordare che l’Italia ha aggredito l’Austria-Ungheria di cui fino al giorno prima era alleata, la Libia, l’Eritrea, l’Etiopia, la Somalia, la Grecia, l’Albania, la Francia, la Russia (giochetto costatoci 77.000 – secondo altre fonti oltre 90.000 – fra morti e dispersi e 40.000 feriti e congelati. Chissà che cosa ci costerà questa volta). E infine ha dichiarato guerra alla Germania, al cui fianco aveva combattuto per tre anni e tre mesi, senza neppure prendersi la briga di avvertire che avevamo cambiato fronte. Abbiamo proprio la patente per montare in cattedra e brandire la spada della giustizia, noi.

Concludo con La forza del destino, anche se noi, più che al destino, siamo in mano al più inetto governo della storia d’Italia e, dopo Mussolini, anche il più pernicioso. Ci sono due direzioni migliori di questa – già proposte in altra occasione – ma siccome sto dalla parte dei perseguitati, mi sembra giusto mettere Gergiev.

barbara

SGOMENTA

Ho trovato in giro diversi commenti che, senza nominarmi esplicitamente, parlano di me: con stupore, con delusione, con incredulità, incapaci di capire come una persona solitamente così lucida possa avere preso una simile deriva. Ebbene: la cosa è assolutamente reciproca. Anch’io non riesco a capacitarmi che persone fino a ieri così lucide si siano lasciate prendere dal pensiero unico del nemico comune, che abbiano sostituito gli orwelliani due minuti di odio con ventiquattr’ore di odio ininterrotto, pronti a bersi la più becera propaganda distribuita a piene mani, si siano accodati al terrorismo mediatico che imperversa ovunque e che ha affiancato quello sanitario (calano fortemente i ricoveri ordinari, calano fortemente le intensive, calano i morti MA i contagi sono aumentati dell’ 0,7%, guai abbassare la guardia!), e soprattutto stiano facendo di tutto per estendere il conflitto a livello globale, e pazienza se poi diventerà nucleare e farà qualche miliardo di morti e ridurrà il pianeta all’età della pietra. Non riesco a capacitarmene e sono sgomenta. Atterrita. Pietrificata.

Vogliamo parlare del terrorismo mediatico? Uno dei temi grossi del momento è Chernobyl: il bombardamento dei russi su Chernobyl, l’incendio della centrale nucleare di Chernobyl, il rischio di olocausto nucleare da Chernobyl: TUTTE le notizie in questione sono clamorosamente false, documentatamente false, e anche se fossero vere il rischio sarebbe comunque pari a zero (e magari se non avete fretta leggete anche questo). Ma voi continuate a diffondere terrorismo.

Quanto alla campagna di odio abbiamo la notizia che campeggia ovunque: BOMBE SUI BAMBINI! con tutto il corollario di indignazione, raccapriccio, odio, maledizioni, anatemi, grida di vendetta. Ma il fatto, puro e semplice, è che in quell’ospedale non c’erano né bambini né puerpere: c’erano i miliziani nazisti del battaglione Azov, che ne avevano cacciato dieci giorni prima i legittimi occupanti per installarvi il proprio covo (identici ancora una volta ai palestinesi), cosa che, in base alle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja ha automaticamente reso l’edificio legittimo obiettivo militare, essendo stato trasformato in edificio militare (chi volesse saperne di più sul battaglione Azov può documentarsi qui). Dite che avete visto le immagini di quella povera donna incinta, col bellissimo viso ferito,

evacuata con mezzi di fortuna?

Sì, l’ho vista anch’io:

Tra l’altro, non è curioso che prima scende le scale e attraversa a piedi, da sola, lo spiazzo antistante l’ospedale, con tutte le sue cose tra le braccia, e poi (o era prima?) la devono trasportare con quella specie di barella improvvisata? E comunque già in precedenza la Russia aveva informato l’Onu che l’ospedale era stato trasformato in base militare

– non che alle menzogne e alle vigliacche partigianerie dell’Onu non siamo più che abituati.

Poi ci sarebbe quella bazzecolina dei laboratori di armi biologiche che l’America ha impiantato in Ucraina, che la Russia ha denunciato,

ma ci hanno assicurato che non era vero niente, era la solita disinformazione da parte della Russia E se lo ha detto la Russia è chiaro che deve per forza essere una menzogna, no?

E io vi chiedo, anime belle: chi ha portato la guerra a casa di chi?

Ho visto poi, su più profili FB, un video sull’Holodomor, lo sterminio perpetrato novant’anni fa da Stalin, per mezzo di una carestia fabbricata a tavolino, sul ceto contadino in generale e su quello dell’Ucraina in particolare (tema di cui questo blog si è più di una volta occupato), affinché non si dimentichi chi sono i russi, che cosa sono capaci di fare, e quali sono i loro sentimenti nei confronti degli ucraini. Quindi nessuno si stupirà se per spiegare che razza di feccia immonda sono gli italiani e di come dobbiamo guardarcene vi ricorderò di quando, ottant’anni fa, requisivano agli ebrei (notoriamente tutti ricchissimi) vecchi zoccoli di legno, stracci usati, uncinetti termometri schiaccianoci calze rammendate pettini bicchieri portasapone lampadine rotte mestoli scolapasta pantofole gomitoli di lana… Spero che a nessuno al mondo venga mai in mente di fidarsi di questa gentaglia e di credere a quello che dice. Adesso, per inciso, tramite l’invio di armi all’Ucraina abbiamo di fatto dichiarato guerra alla Russia, che non aveva portato la guerra a noi, ed è la seconda volta che lo facciamo. Spero che stavolta ci costi un po’ meno di 77.000 morti e dispersi (ma secondo altre fonti oltre 90.000 ) e 40.000 feriti e congelati, lo spero davvero, però ce lo meriteremmo – o almeno lo meriterebbe chi lo ha deciso, chi lo ha fatto e chi ha caldamente approvato. Il problema è che noi – non solo nel senso di noi italiani – non siamo molto bravi a vedere la realtà che ci sta davanti, e preferiamo crogiolarci in qualche sogno di pace universale, siamo tutti fratelli, il mondo non ha confini – tranne quando vengono violati dal nemico che ci è stato ordinato di odiare –, se qualcuno ti odia tu dagli amore e anche lui ti amerà.

“L’Occidente viveva in un paradiso. Non ha avuto realismo nei rapporti con la Russia”

Intervista-podcast per la newsletter con Efraim Inbar, uno dei maggiori strateghi in Israele. “Tutti sapevano che avvicinare l’Ucraina alla Nato avrebbe innescato una reazione dell’orso russo”

La terribile guerra in Ucraina ha due settimane. Ma in questo breve lasso di tempo lo spazio del dibattito si è già fortemente ristretto. Nessun punto di vista è stato stigmatizzato così rapidamente come la teoria secondo cui l’espansione sempre più a est della Nato ha svolto un ruolo significativo nell’infiammare le tensioni tra la Russia e le potenze occidentali e nel far precipitare la guerra. Chi lo dice è “pagato dal Cremlino” o è il “sicofante di Putin”.
La Federazione Russa ha spiegato cosa vuole dall’Ucraina: no all’ingresso nella Nato, indipendenza del Donbass e riconoscimento della Crimea nella Russia (il presidente ucraino Zelensky ha aperto al compromesso). Donbass e Crimea erano da anni già di fatto indipendenti, il primo come repubbliche non riconosciute e la seconda come parte della Russia dopo un referendum. Perché Vladimir Putin insisteva tanto per tenere l’Ucraina fuori dalla Nato?
“I tanti esperti russi nei ‘think tank’ pensavano davvero che Putin avrebbe piazzato un esercito al confine con l’Ucraina perché si stancava di rievocare la battaglia di Borodino con i soldatini di latta?”, si domanda Henryk Broder su Die Welt.
Già nel 1997 Joe Biden, allora senatore del Delaware, diceva che “l’unica cosa che potrebbe provocare una risposta russa ‘vigorosa e ostile’ sarebbe se la Nato si espandesse oltre gli stati baltici”.
Sempre nel 1997 Jack F. Matlock Jr., ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica dal 1987 al 1991, avvertì che l’espansione della Nato “incoraggia una catena di eventi che potrebbe produrre la più grave minaccia alla sicurezza dal crollo dell’Unione Sovietica”. Anche nei giorni scorsi, Matlock è tornato a spiegare perché l’apertura della Nato all’Ucraina è stato un errore strategico.
Il segretario alla Difesa di Bill Clinton, William Perry, nelle sue memorie scrive che per lui l’allargamento della Nato è la causa della “rottura dei rapporti con la Russia” e che era così contrario che “forte della mia convinzione, ho pensato di dimettermi”.
Stephen Cohen, uno dei più famosi studiosi americani di Russia, avvertiva nel 2014 che “se spostiamo le forze della Nato verso i confini della Russia questo militarizzerà la situazione e la Russia non si tirerà indietro, è esistenziale per loro”.
Il direttore della CIA di Biden, William J. Burns, ha messo in guardia sull’effetto provocatorio dell’espansione della NATO dal 1995. Fu allora che Burns, ufficiale dell’ambasciata americana a Mosca, riferì a Washington che “l’ostilità nei confronti dell’espansione della Nato è quasi universalmente avvertita in tutto lo spettro politico”.
Nel 1997, 50 diplomatici americani scrissero una lettera in cui spiegavano che “l’espansione della Nato sarebbe un errore di proporzioni storiche”.
Cosa sapevano tutti questi dirigenti americani?
Che in gioco nella mentalità russa c’è il “divario di Volgograd”, la fascia di terra fra il Mar Caspio e il Mar Nero. Durante la Seconda guerra mondiale, i nazisti la conquistarono, arrivando al Caspio e fermati soltanto a Stalingrado (al costo di 1.1 milioni di vite russe). Un anno fa, nell’aprile 2021, Caspian Report ha pubblicato un dossier dal titolo “Russia e Ucraina preparano una nuova guerra”, in cui si spiegava l’importanza della regione per tutti.
Ora si aprono due scenari.
Se la Russia assumerà il controllo totale dell’Ucraina, creerà una nuova minaccia alla sicurezza dell’Occidente e assisteremo alla nascita di un nuovo ordine mondiale, con la creazione di una nuova cortina di ferro che andrà dai confini orientali della Finlandia ai confini sudorientali della Romania.
Se l’Ucraina si unisse alla Nato, i Russi dovrebbero difendere 1.500 chilometri di pianura. In questo scenario, la Nato si troverebbe a 200 chilometri da Volgograd (ex Stalingrado). Questo è il motivo per cui, nella “logica” della Russia, Mosca deve assicurare la neutralità dell’Ucraina, anche a costo di questa guerra spaventosa. Anche il generale Marco Bertoliniex comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, ha spiegato che l’Ucraina nella Nato avrebbe “privato la Russia dell’accesso al Mar Nero”.
Chiunque, fino al 20 febbraio, credeva che non sarebbe successo niente facendo dell’Ucraina il grande terreno di scontro fra due super potenze atomiche e che ora pensa che tutto “tornerà alla normalità” vive in un pericoloso paradiso per stolti.
C’è una parte del discorso di Putin che avrebbe dovuto allarmarci: “Non ho più spazio per arretrare”. E un impero, perché è così che si sente ancora la Russia, quando non arretra, attacca…

Ne parlo per la newsletter con Efraim Inbar, uno dei maggiori strateghi in Israele, presidente del Jerusalem Institute for Strategic Studies e prima del Begin-Sadat Center, consigliere dell’ex premier Benjamin Netanyahu.

Lei ha scritto un articolo a ottobre sul Jerusalem Post in cui invitava al realismo nei rapporti con la Russia…
Ho proposto la realpolitik, sì. Nei media, che sono tutti di sinistra, dicono che dobbiamo essere più idealisti sull’Ucraina, ma questo non riflette la popolazione israeliana. Abbiamo un interesse diretto nel rapporto con l’orso russo. Gli ucraini non dovevano parlare di entrare nella Nato. Per i Russi sarebbe stato come per noi la Giordania che diventa un satellite dell’Iran.

Ok, ma le risponderebbero che la Nato non minaccia i propri vicini, a differenza della Russia…
Non importa, i Russi hanno paura della Nato. ‘Non è razionale’, dice l’Occidente, ma i Russi non ragionano così. Il governo israeliano per questo ora cerca di navigare fra considerazioni morali e strategiche. L’Occidente ha una posizione non realistica.

Molti ufficiali americani in passato hanno detto che sarebbe stato un errore strategico espandersi sempre più a est…
Sono d’accordo con loro. Ne ho scritto. Fu un errore strategico incorporare i paesi baltici. E ora abbiamo una crisi. E se l’Occidente non è disposto a combattere, perderà. Se uno viene con un fucile e l’altro con le parole, chi ha un fucile ha un vantaggio.

Lei sta dicendo, ‘se non sei disposto a vincere la guerra, devi fare un compromesso’…
La finlandizzazione dell’Ucraina era il compromesso. Consentire che l’Ucraina fosse una democrazia, ma nell’orbita di sicurezza russa. Realismo.

Cosa pensa del fatto che si dice che Putin sia irrazionale, folle e senza sostegno popolare….
Nessuno sa quello cosa pensi l’opinione pubblica russa. C’è una opposizione, ma è in galera. Putin è stato molto popolare, la sua idea ‘Make Russia great again’ ha un appeal nella popolazione.

La debacle americana in Afghanistan ha giocato un ruolo nella percezione della debolezza e della naiveté?
Certo. Ma da prima. Putin ha preso un pezzo di Georgia. E non è successo niente. Putin ha preso la Crimea. E non è successo niente. Putin ha stabilito due repubbliche in un pezzo di Ucraina. E non è successo niente. E ora l’Occidente si sveglia.

Cosa potrebbe succedere se ci fosse una disintegrazione russa? C’è un grande shock economico al momento…
Le sanzioni non funzionano. Cuba è sotto sanzioni e non è successo niente. L’Iran è sotto sanzioni e non è successo niente. La Corea del Nord è sotto sanzioni e non è successo niente. Non sono sicuro che la pressione economica avrà risultati tangibili. L’Occidente dovrebbe togliere la Russia alla Cina, la loro alleanza è il vero pericolo. Avremmo dovuto fare un accordo come Kissinger negli anni ’70.

L’Occidente non prende sul serio la storia come fanno i Russi o Israele…Perché?
L’Occidente è consumato dal presente. Vive bene. Non vuole sacrifici. E questo ha portato a una amnesia. E ora paga. Forse ci sarà un risveglio da quello che pensavate fosse il paradiso.
Giulio Meotti

Aggiungo ancora una riflessione pacata e sensata.

Debrief

Ciò che il Generale Marco Bertolini, già capo del Comando Cperativo interforze (COI) e presidente dell’Anpdi, che alla Verità e al Messaggero dice:
1. Le armi all’Ucraina sono “un atto di ostilità che rischia di coinvolgerci” nella guerra, mai visto prima: “Bastavano le sanzioni, anche inasprite”.
2. Putin non è un pazzo né il nuovo Hitler: “Voleva interrompere il percorso che avrebbe dovuto portare l’Ucraina nella Nato” per non perdere “l’agibilità nel Mar Nero”.
3. Il governo italiano non conta nulla e Di Maio che dà dell’ “animale” a Putin “ci taglia fuori da ogni trattativa”, diversamente dalla Francia di Macron.
4. Guai a seguire Zelensky sulla no fly zone, che “significherebbe avere aerei Nato sull’Ucraina e l’incidente inevitabile”.
5. I negoziati non sono un bluff, ma una “dimostrazione di buona volontà delle due parti”.
6. La sconfitta di Putin esiste solo nei nostri sogni e nella propaganda occidentale: la Russia s’è già presa l’Est, collegando Crimea e Donbass; “le grandi città al momento sono state risparmiate e non è partita la caccia a Zelensky” per “precisa volontà” di Mosca, che finora ha limitato al minimo “i bombardamenti dall’alto” per non moltiplicare le stragi e non provocare un “intervento della Nato”.
7. Putin non ha bombardato la centrale di Zaporizhzhia: “Non ho visto missili, ma bengala per illuminare gli obiettivi” degli scontri con gli ucraini lì vicino: le radiazioni avrebbero colpito pure il Donbass e la Russia, che le centrali vuole controllarle, non farle esplodere.
8. Putin non vuole conquistare l’Europa, né rifare l’Urss né “governare l’intera Ucraina”, ma “trattare una ricomposizione”: un regime fantoccio sull’intero Paese scatenerebbe anni di guerriglia antirussa.
9. “La Russia vuol essere europea e noi non facciamo che schiacciarla verso Asia e Cina”.
10. Un successo ucraino è, purtroppo, fuori discussione. I possibili esiti sono due: una vittoria russa dopo “una lunga guerra”; o un negoziato che i soli mediatori credibili – Israele, Francia, Cina e Turchia – possono favorire se aiutano le due parti a trattare con reciproche concessioni anziché “istigarle a proseguire” nella guerra.
Molti di noi avevano sollevato le stesse osservazioni giungendo alle medesime conclusioni.
Dire queste cose con pacatezza e realismo non significa prendere le parti di nessuno ma capire il perché del precipitare degli eventi.
Significa conoscere per deliberare e scongiurare altre inutili vittime.

POST SCRIPTUM, che ieri mi sono dimenticata di aggiungerlo: Hava Nagila suonata col cazzo – in realtà col playback, ma ai fini del discorso la cosa non cambia – è la dimostrazione di quanto questo pseudo ebreo sia disposto a prostituire il proprio ebraismo, esattamente come il nostro saltimbanco buffone ebreo di casa nostra, che mi rifiuto di nominare. Dedicato a chi si fida di lui “perché è ebreo”.
E per concludere, al posto dei soliti pattinatori russi, oggi vi regalo questa spettacolare intervista di una giornalista americana mandata, un anno e mezzo fa, a “demolire” Putin.

barbara

UCRAINA, ANCORA QUALCHE DOCUMENTO

E qualche testimonianza

I prodromi

Sara Rivka de Angelis

(commento di introduzione al video che segue, in risposta a un altro commento) la Georgia… Cioè quella nazione che fiancheggiando gli USA ha permesso l’attuazione del colpo di stato della CIA del 2014 in Ucraina? Molto interessante l’intervista ai cecchini georgiani, tutti ex militari scelti o poliziotti che hanno raccontato come si sono svolti i fatti di piazza Maidan. Sono stati scelti dall’allora presidente georgiano Saakashvili in persona per sparare sia sui poliziotti (presidenza filorussa) sia sui dimostranti (filooccidentali ignari e infiltrati organizzati dalla CIA) creando il panico che permettesse di arrivare alla cacciata del legittimo presidente eletto dal popolo Viktor Janukovyč senza passare dalle elezioni che temevano di non vincere. Sembra che il presidente georgiano non si facesse tanto scrupolo ad ammazzare gente e creare guerre.

Una testimonianza sullo stesso tema

Testimonianza di don Vladimir Kolupaev sacerdote Russo cattolico che da anni esercita il suo ministero sacerdotale nella parrocchia di Seriate (Bergamo)

CRONACHE DAL DONBASS

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Cari amici lettori,

per riuscire a vedere un panorama bisogna sempre allontanarsi un poco nello spazio e, per comprendere una crisi politico – militare in atto, è necessario allontanarsi un po’ nel tempo.
Torniamo al 2014. L’Ucraina era un paese assolutamente tranquillo e negli U.S.A Obama era presidente e Biden suo vice. La famiglia Biden aveva consistenti affari in quel lontano paese, uscito dalla Russia alla caduta dell’Unione Sovietica, alla quale aveva fornito un paio degli ultimi presidenti. L’Ucraina, fino a quel momento, era in eccellenti rapporti con la Russia di Putin.
A un certo punto scoppia la rivoluzione arancione. Non c’è dubbio che quel disordine, come tutte le rivoluzioni che hanno sconvolto la pace mondiale negli anni in cui Obama era presidente, Biden vice e la Clinton ministro, sia stato appoggiato e finanziato dagli americani, forse per mettere le mani sul Mar Nero, forse anche perché la finanza americana, ivi compresi i figli di Biden, potessero più proficuamente svolgere i propri lucrosi affari. Il presidente ucraino in carica è costretto a fuggire dal paese. La forte minoranza di lingua russa comincia a insorgere contro il nuovo governo, i cui comportamenti spesso giustificano quest’ostilità: si pensi alla strage di Odessa del 2 maggio 2014, in cui sono uccisi quarantotto dimostranti, molti dei quali arsi vivi.
La Russia reagisce a quella che possiamo tranquillamente definire un’invasione americana, occupa la Crimea, mentre gli insorti s’impadroniscono di parte del Donbass, estremità orientale dell’Ucraina. Entrambi i territori sono non soltanto russofoni, ma anche filorussi, come dimostrerà il referendum con cui gli abitanti della Crimea votano plebiscitariamente l’ingresso nello stato russo.
Gli accordi di Minsk, di cui, ovviamente, non conosciamo quella parte delle clausole che, come sempre accade, rimane segreta, riducono le ostilità fra Russia e Ucraina, ma la guerra civile nell’estremità orientale del paese continua senza sosta, causa i falliti continui tentativi ucraini di rientrar in possesso dei due territori autoproclamatisi repubbliche autonome.
Alla Casa Bianca va Trump e in Ucraina, a parte le continue scaramucce fra governativi e insorti, non succede più nulla. La crisi ucraina esce dai notiziari.
Ritorna Biden, quello che ha il figlio con affari in Ucraina, e si ricomincia a parlare di Ucraina nella Nato. La Nato, alleanza difensiva diventata offensiva dopo la fine della guerra fredda, è, in sostanza, il nemico della Russia. Si parla (è la Germania a farlo), di ammissione non sull’agenda. Intanto, però, armi dei paesi Nato arrivano in Ucraina. Le grandi manovre russe sono una prova di forza, cui si contrappone l’arrivo di truppe Nato nei paesi di confine.
L’Ucraina non rinunzia agli attacchi a Est e, infine, Putin riconosce le due piccole repubbliche e vi manda le forze armate. Siamo arrivati a ieri.
L’America vuole sanzioni, che danneggerebbero l’Europa ancor più della Russia e manderebbero l’Italia alla fame. Ma Draghi, filoamericano fino al midollo, non può tirarsi indietro e ci condanna al disastro.
Questi l’antefatto e la situazione. Ora io mi domando: perché le minoranze basca, irlandese e sudtirolese sono buone e meritano tutela, mentre quella dei russofoni ucraini è cattiva e deve morire? Perché teniamo tanto al Grillo ucraino (il presidente di quel paese faceva il comico come il fondatore dei cinque stelle) e tanto poco al gas, alla luce e al pane di casa nostra? Perché i pensionati italiani debbono morire (di fame) per Kiev e gli affari dei Biden?
Se vogliamo ragionare sul serio, fornite delle risposte accettabili, prego.

Per chi nega, o ignora il fatto che il colpo di stato fosse etero diretto, qualche stralcio di giornale dell’epoca

(non volendo rischiare di postare di rimando cose tarocche, ho fatto una piccola ricerca e ho trovato conferma che sono autentiche)

E concordo con l’amico Fulvio Del Deo che la scelta, da parte di Soros, di un comico ebreo è stata un autentico colpo da maestro: appoggio garantito da tutti gli ebrei del mondo e da Israele anziché fuga in massa degli ebrei da uno degli stati più antisemiti del pianeta. E, come si vede, ha perfettamente funzionato. Anche noi qui in Italia abbiamo un comico ebreo antisemita che sfrutta cinicamente l’ebraismo per i propri sordidi fini. E nel frattempo il comico ucraino frigna perché non ha visto Bennet avvolto nella bandiera ucraina. L’ho già detto che questa gentaglia ha preso in tutto e per tutto i metodi pallestinari, e continuano a dimostrarlo.

Il massacro

Sara Rivka de Angelis

(commento di introduzione al video che segue) quanta solidarietà agli ucraini in fuga… In fuga ma vivi e interi. Gli ucraini del sud est invece? Dopo 8 anni di genocidio e 14.000 morti neanche un servizio in tv. Quella stessa tv che ordina cosa pensare, cosa fare, chi odiare oggi. Questo è il documentario di un giornalista tedesco che in Donbass è stato 9 mesi nel 2014. Non lo si può accusare quindi di essere d’accordo con l’invasione di Putin né di essere russo. All’epoca in cui hanno finito le riprese erano arrivati solo a 6.000 morti. Ma già si sapeva perfettamente che l’Ucraina era sovrana quanto lo possono essere i Paesi africani con la moneta e le risorse controllate dalla Francia. L’Ucraina aveva già le risorse naturali nelle mani delle compagnie occidentali, un colpo di stato organizzato dalla CIA con cui venne cacciato il presidente eletto, un governo fantoccio che aveva già mandato il proprio esercito ad ammazzare i propri cittadini prendendo di mira case, scuole e sbudellandoli per strada giocando al tiro al piattello ed usando l’uranio impoverito per sterminare la propria gente. La maggior parte degli italiani non lo sa ancora oggi. Così è morto anche il nostro giornalista Andrea Rocchelli, preso di mira dai buoni dell’esercito ucraino e ammazzato a colpi di mortaio affinché non raccontasse cosa facevano laggiù i carri armati e i soldati ucraini, come il governo avesse smesso di pagare le pensioni e gli stipendi per affamate quella gente, il gas e la corrente nel freddo dell’inverno continentale per convincerli ad abbandonare le proprie case, come i soldati buoni ucraini bloccavano la rete dei telefoni cellulari e la corrente prima di sparare sui civili, insieme all”interprete Andrey Mirnov che, tra l’altro, ironia della sorte era un oppositore di Putin. Ma gli ha detto male perché un giornalista francese si è salvato e ci ha raccontato questa storia e sono stati trovati i corpi. E i media che vergognosamente chiamavano le vittime disarmate e inermi “terroristi” e titolavano che le vittime della stage di Odessa ad opera dei fascisti erano separatisti che si erano uccisi da soli. Come se uno potesse malmenarsi da solo fino a lasciarsi esanime a terra e poi incendiare dall’esterno l’edificio dandosi alle fiamme.

Una testimonianza in loco

Elio Cabib

Un italiano, Paolo Bari che vive in Ucrania :

“Quando questa mattina ho aperto la connessione Internet e ho visto come prima cosa il titolo di Repubblica “E’ iniziata l’invasione russa. Città bombardate. Centinaia di vittime”, devo dire che ho avuto un attimo di profondo smarrimento e ho pensato che Putin doveva essere impazzito. Poi, con il passare dei minuti, e con le notizie in arrivo da altre fonti indipendenti, dalla tv russa e dai tg moldavi, la situazione si è fatta più chiara. E’ apparso evidente che venivano colpiti esclusivamente obiettivi militari e che venivano aperti dagli stessi russi corridoi umanitari per consentire alla popolazione civile di evacuare in sicurezza. Molti degli stessi militari ucraini abbandonavano le posizioni e disertavano. Emblematico il servizio in diretta del tg di LA7 la cui corrispondente dal Donbass indossava elmetto e giubbotto antiproiettile e descriveva una situazione drammatica per la popolazione, mentre dietro di lei le persone passeggiavano tranquillamente per la strada. A Kharkiv, uno dei principali centri russofoni del Donbass che già nel 2014 tentò di proclamarsi indipendente come Donetsk e Lugansk prima di essere soffocata dalla repressione dell’esercito ucraino, la bandiera russa veniva innalzata sul palazzo comunale nel tripudio della popolazione.
Ho così maturato la convinzione che Putin non aveva altra scelta e che a questa reazione egli era stato letteralmente costretto dall’ottusa classe dirigente ucraina e dall’ arroganza espansionista verso est degli USA e della NATO.
Se c’è qualcuno che ha fermato l’orologio della storia alla guerra fredda è solo l’ Occidente.
Chi non lo capisce dovrebbe per prima cosa studiare la geografia e vedere dov’ è l’ America rispetto alla Russia. Con che diritto gli americani pretendono di avere loro basi a ridosso del confine russo ? Forse che i russi pretendono di avere loro basi a ridosso del confine USA ?
Poi magari studiare anche un po’ di storia non farebbe male. Nel 1963 gli USA erano pronti a scatenare la terza guerra mondiale se L’ URSS avesse messo sue basi a Cuba. E perché mai oggi Putin dovrebbe accettare la stessa cosa a parti invertite ?
Putin ha chiesto in maniera netta quattro cose, specificando che quelle erano la “linea rossa” che non avrebbe mai permesso a USA e NATO di oltrepassare per non mettere in serio pericolo la sicurezza del suo Paese.
Proviamo a ripeterle per chi non capisce alla prima.

1. no alla NATO in Ucraina. Risposta della NATO: se Putin non vuole la NATO, gli daremo più NATO.
2. l’Ucraina rinunci ad aderire alla NATO. Risposta di Zelinsky: noi aderiremo alla NATO
3. l’Ucraina riconosca che la Crimea è russa. Risposta di Zelinsky: riprenderemo la Crimea militarmente.
4. l’Ucraina rispetti l’ indipendenza delle repubbliche del Donbass. Risposta di Zelinsky: riprenderemo Donetsk e Lugansk e continuiamo i bombardamenti.

Nel frattempo ogni giorno tonnellate e tonnellate di armi sofisticate arrivavano in Ucraina con aerei e navi da Germania, Gran Bretagna, USA, Canada ecc ecc ……
Che doveva fare Putin? Fare due chiacchiere in stile di Maio ?
I media nazionali italiani oggi dipingono l’Ucraina come vittima dell’imperialismo russo, ma dimenticano di ricordare agli italiani di corta memoria che l’attuale leadership ucraina è al potere grazie a un colpo di stato violento che ha provocato decine di vittime a Kiev a inizio 2014. Colpo di stato sostenuto grazie alle milizie paramilitari neonaziste del battaglione Azov e di Pravi Sector. Quelli che sfilano con le svastiche naziste per intenderci.
Violenze che, con uno stomachevole doppiopesismo, qui in occidente sono sempre state giustificate, perché chi usa violenza per fare entrare il proprio Paese in UE è un patriota, chi invece la usa per fare uscire il proprio paese dalla UE è un pericoloso terrorista.

A proposito del battaglione Azov, che fa strettamente parte dell’esercito ucraino: si tratta di un corpo militare nazista a tutti gli effetti. Alcune immagini per chi lo nega o lo ignora.

E come se non bastasse, il parlamento celebra ufficialmente un criminale nazista, esattamente come fanno i palestinesi con i terroristi

Un’altra testimonianza in loco

Lo sfogo del reporter italiano: “Nel Donbass l’Ucraina bombarda da 8 anni, dove eravate?”

Redazione — 1 Marzo 2022

“Questo è il centro di Donetsk che in questo momento viene bombardato [qui nell’articolo potete vedere (e sentire!) il video] e non dalla Russia, non da Putin ma dall’esercito ucraino“. E’ lo sfogo del reporter italiano Vittorio Rangeloni che dal 2015 vive nel Donbass. “In questi giorni sono tante le persone che scendono nelle piazza d’Italia e non solo nel mondo e invocano la pace, condannano la Russia, manifestano contro la guerra. Tutto questo è fantastico, è giusto, la guerra è qualcosa di sbagliato, di ingiusto ma è altrettanto sbagliata l’ipocrisia di chi se ne fotte del fatto che…”.
Originario di Lecco, Rangeloni attacca: “Non è una cosa che accade in questi giorni ma sono 8 anni che tutti i giorni sparano contro queste città e a voi non ve n’è fregato assolutamente niente, solo oggi siete pacifisti e ipocriti e questa cosa è ancora peggiore. Scusate lo sfogo…“. Raggiunto anche dall’Adnkronos, il reporter parla di “bagno di sangue” a Mariupol, nel sud dell’Ucraina, accerchiata oggi dalle truppe russe e dalle milizie popolari di Donetsk, nel Donbass. ”Ci saranno enormi perdite, scorrerà molto sangue da entrambi le parti” e a pagare ”saranno anche i civili”, perché ”le milizie popolari hanno creato due corridoi umanitari dando alla popolazione la possibilità di uscire da Mariupol e andare a Donetsk o nella Federazione russa, ma i soldati ucraini glielo stanno impedendo facendo da scudo con i loro corpi”.
Poi aggiunge: “Domani o dopodomani andrò a Mariupol, o almeno lì vicino, per capire quello che succede”. Per ora dice di ricevere ”messaggi dalla popolazione di Mariupol che dicono di stare attenti, che sono stati minati i ponti, le strade e che i militari ucraini hanno creato posizioni nel centro della città, nei parchi gioco e negli asili”. Secondo Rangeloni “da domani inizieranno le operazioni di bonifica della città”, ovvero ”si cercherà in modo molto difficile di avanzare o di far deporre le armi all’esercito ucraino, o di colpirlo dove si trova”. Ma sarà ”una battaglia molto difficile”. Anche perché a Mariupol ha la sua base il reggimento Azov, reparto militare ultranazionalista ucraino, e la 36esima brigata della Marina militare ucraina. ”Si sono trincerati in città e la città ora è assediata. Purtroppo ci sono tutte le premesse per una battaglia pesante”, afferma.

Ma niente paura: ci ha pensato Biden a cantargliele chiare, a quel losco figuro di Putin!

Biden: “E ora Putin ha deciso di invadere la Russia. Non è successo niente del genere dalla seconda guerra mondiale”
E qualcuno ha commentato:

Let’s go Brandon! qualcuno lo porti a guardare i cantieri

E concludo anche la puntata odierna con lo sboicottamento di un altro russo infame, dalla musica talmente potente da sconfiggere perfino l’Alzheimer.

barbara