OGGI VI RACCONTO DI UGO TRAMBALLI

Cominciando con un pezzo di Sergio Della Pergola

La crociata dei falsari

In un suo blog (Arriva la terza intifada, Bocchescucite: Voci dai territori occupati, 21 giugno) Ugo Tramballi scrive: “E se con il rapimento dei tre giovani coloni israeliani fosse iniziata la terza Intifada palestinese? Lo sostiene Dan Segre, una delle poche grandi firme del glorioso “Giornale Nuovo” fondato da Indro Montanelli il 25 giugno di 40 anni fa, che ancora scrive nel “Giornale” di oggi. Dan è uno di quegli israeliani – un altro è il demografo Sergio della Pergola – con i quali ogni volta che dissento ho il sospetto di avere torto…”. Molto gentile da parte del giovane Ugo. Io, in perfetta reciprocità, penso che lui sia uno di quei giornalisti con i quali ogni volta che dissento so per certo che lui ha torto. Non entro qui nella parte più densa della sua analisi politica, svolta sempre con tono da crociata, unilaterale e lacrimosa, ma sulla quale bisognerebbe scrivere a lungo e in maniera circostanziata. Non ora e non qui. Mi soffermo invece su un solo piccolo particolare dal quale deduco la serietà professionale e lo spessore umano di Tramballi. Il quale scrive: “I tre giovani non sono stati rapiti sul lungomare di Tel Aviv ma nei Territori occupati da 47 anni. Un israeliano che decide di viverci, in molti casi con motivazioni ideologiche, sa che corre dei rischi”. E torniamo alla già citata frase iniziale: “… il rapimento dei tre giovani coloni israeliani…”. Allora analizziamo attentamente il testo di Tramballi su questo solo punto: la scelta e il significato del luogo di abitazione dei tre giovani rapiti e uccisi. Innanzitutto nella logica di Tramballi i coloni sono evidentemente degli esseri non legittimi, che amano prendere rischi, e dunque rapirli e ucciderli non costituisce reato, o comunque costituisce reato minore rispetto a rapire e uccidere dei non-coloni. Fin qui la caratterizzazione o meglio demonizzazione del soggetto. Ma ora esaminiamo i fatti: dove esattamente vivevano i tre ragazzi? Eyal Yfrach studiava nella yeshivah Shavei Hebron e viveva a El’ad, Naftali Frankel viveva a Nof Ayalon e studiava al liceo religioso Mekor Haiim di Gush Ezión, e il suo compagno di scuola Gil’ad Shaa’r viveva a Talmon. I due luoghi di studio si trovano in Cisgiordania. Ma dove si trovano le tre località di abitazione, dove stanno le case, i genitori, i fratelli e le sorelle? El’ad è una cittadina israeliana nei pressi di Rosh Ha’ayn, all’interno della linea verde che demarcava il territorio di Israele prima della guerra dei sei giorni. Nof Ayalon è una piccola località fra il kibbutz di Sha’alvim e la città di Modi’in, anch’essa in territorio israeliano all’interno della linea verde. Talmon è un piccolo insediamento comunitario a nord-ovest di Gerusalemme e fa parte dell’amministrazione di Giudea e Samaria. Dunque, due delle tre vittime vivevano in Israele, non nei territori. Nella terminologia di Tramballi, due dei tre non erano coloni. Ma nell’odiosa logica di Tramballi tutti e tre lo erano, e tutti e tre costituivano pertanto normale oggetto di aggressione. Cambia qualcosa nella sostanza dell’avvenimento? O nella sua interpretazione? Ben poco, salvo che nel suo esercizio di demonizzazione Ugo Tramballi, se fosse un giornalista serio, avrebbe potuto almeno fare i compitini di casa. Cambia poco perché per Tramballi e i suoi simili è reato non solo abitare nei territori, ma anche studiarvi, o magari farci una gita, o chiedere un passaggio alla prima autovettura in transito. O portare la kippah sul capo. O essere un israeliano orgoglioso. E dunque diventa legittimo rapire e uccidere questo tipo di persone. Ma questo esula dal giornalismo, fa già parte della guerra combattuta in cui Ugo Tramballi dimostra essere parte attiva nel ruolo di tifoso fiancheggiatore.
Sergio Della Pergola Università Ebraica, Gerusalemme (2 luglio 2014)

Proseguo con la replica di Ugo Tramballi.

“Non sono un militante”

Ringrazio l’amico Sergio Della Pergola per avere involontariamente creato l’opportunità che ora mi permette di scrivere sul notiziario quotidiano Pagine Ebraiche 24: è un onore parlare ai lettori della stampa ebraica. E sono costernato per ciò che un omonimo di Sergio Della Pergola ha scritto di me in un articolo intitolato “La crociata dei falsari” e pubblicato qualche giorno fa. L’occhiello del commento era “Pilpul”: in realtà, più che spaccare il capello in quattro quel Sergio che non conosco ha usato il napalm. Ho impiegato un po’ per chiedere ospitalità a Guido Vitale, perché ero deluso. Di solito non rispondo agli insulti e alle minacce: sono infortuni del mestiere che vanno accettati. Ma Sergio per me era speciale: 39 anni fa celebrai a casa sua il mio primo Shabbat. Il tono del suo intervento non rende onore alla cultura, l’intelligenza e l’equilibrio dell’uomo che conosco e seguo da molto tempo. Sergio mi rimprovera di aver scritto che le tre giovani vittime israeliane erano coloni. Ha ragione: due su tre non lo erano. Non ho verificato ed è colpa mia. Partendo da questo dettaglio Sergio deduce l’assenza di “serietà professionale e lo spessore umano di Tramballi”. Perché dico dettaglio. Perché quel che conta non è dove abitassero ma che fossero lì, nei Territori occupati. Nella mia “odiosa logica” i tre ragazzi erano “normale oggetto di aggressione”. Non è la mia logica ad affermarlo, è la realtà sul campo: anche nell’area “C”, sotto il pieno controllo d’Israele, gli israeliani sono in pericolo perché i palestinesi non accettano la condizione di occupati. In tutto l’articolo di Sergio, dunque, il problema è il mio errore sulla domiciliazione delle vittime, non l’occupazione. Per me “un israeliano orgoglioso” non sono i coloni ma le autorità militari che hanno messo agli arresti i loro pochi soldati razzisti. Israeliani orgogliosi sono i creatori delle startup, i giornalisti della stampa più libera d’Occidente, i professori che si chiedono quale sia la logica anche demografica di occupare i Territori. Come per esempio fa il Sergio Della Pergola che conosco. http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/ è il link sul quale trovate, se volete, il mio articolo incriminato del 21 giugno, “Arriva la terza Intifada”. Anche Sergio non è accurato: non è apparso sul sito cattolico di Bocchescucite, ma sul mio blog di politica internazionale “Slow News”. Nell’immenso mare del web chiunque è libero di riprendere i miei commenti. Spesso lo fa anche Informazione Corretta e non me ne dolgo. Sul mio blog troverete anche un secondo post sul tema, “Israeliani e palestinesi o la Grande Faida”. Via mail Della Pergola ha criticato anche questo, accusandomi di militanza. Credo che invece il militante sia lui e ha tutto il diritto di esserlo in coerenza con le sue scelte di vita che non contesto affatto. Al contrario, in qualche modo gliele invidio. So che alcuni lettori di PagineEbraiche24 e di Moked la pensano come lui, ma io non sono un militante: cerco solo di capire e possibilmente di spiegare, spesso sbagliando. Non mi riferisco solo al domicilio delle giovani vittime: a volte commetto errori ancora più gravi perché riconosco che israeliani e palestinesi per me sono molto più di un impegno giornalistico. Ma non voglio sembrarvi unilaterale e lacrimoso, come mi accusa di essere Della Pergola. Sergio è convinto di avere ragione ogni volta che dissente da me. Io no. Nonostante l’autore de “La crociata dei falsari”, resto della mia opinione. Della Pergola rimane per me uno di quegli israeliani con i quali sospetto di avere torto ogni volta che dissento. Alle sue certezze continuo a preferire i miei dubbi. Grazie ancora per l’ospitalità.
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore (6 luglio 2014)

Se siete riusciti ad arrivare fino in fondo, apprezzerete sicuramente l’estrema moderazione di Della Pergola nel commentare l’articolo di Tramballi. Chi fosse eventualmente interessato, potrà trovare qui la controreplica di Della Pergola. E adesso per completare il quadro, vi propongo la mia recensione del libro di Tramballi uscito nel 2002, all’epoca della cosiddetta seconda intifada, e pubblicata su Informazione Corretta.

UGO TRAMBALLI, L’ULIVO E LE PIETRE, MARCO TROPEA EDITORE

Poiché siamo fanatici sostenitori dell’understatement. Poiché il politically correct è il nostro credo. Poiché aborriamo i toni sopra le righe. Per tutte queste ragioni tratteniamo il respiro, contiamo fino a dieci, concentrati nello spasmodico sforzo di controllare le nostre reazioni emotive e ci accontentiamo di dire, sommessamente: questo libro fa vomitare.
Ci tiene molto, il nostro Tramballi, a chiarire che lui non fa parte dei giornalisti schierati: né dei giornalisti con la keffiah, né di quelli con la kippà: lui è semplicemente un giornalista onesto. E per dare la misura della sua onestà ci racconta di quando era acceso filoisraeliano e della sua meravigliosa esperienza di vita in kibbutz. Poi un bel giorno del 1983 viene inviato a Beirut. Vede la Beirut distrutta dai palestinesi già PRIMA che vi arrivassero gli israeliani, incontra i palestinesi scampati al massacro operato dall’esercito giordano nel Settembre nero, e di colpo capisce tutto. Capisce che “Certo, i palestinesi sono vittime anche dei loro stessi errori, delle circostanze, dell’andamento a volte casuale della Storia. Ma restano soprattutto vittime degli israeliani”. E immediatamente dà la stura a tutto il solito ciarpame grondante di odio antiisraeliano – e forse non solo antiisraeliano: gli israeliani fascisti e razzisti, da oppressi diventati oppressori, autori di una radicale pulizia etnica, che usano l’Olocausto come strumento, che hanno uno stato di apartheid, superficiali nei confronti della questione palestinese, responsabili di colpe collettive, affetti da mania di persecuzione. A Oslo il problema non è Arafat, bensì Rabin, essendo evidente che gli israeliani non vogliono impegnarsi, mentre i palestinesi sono pronti a giocarsi tutto. Ma quello che più colpisce è la totale assenza, in tutto il libro, di PERSONE israeliane: ci sono i soldati israeliani, i coloni israeliani, gli occupanti israeliani, ma le persone no. E il terrorismo è come la pioggia in un romanzo d’amore: c’è, ma non è che abbia molto a che fare con le vicende narrate; capita, inevitabilmente, di doverlo nominare, ma non ci sono vite distrutte, famiglie smembrate, madri disperate, giovani in sedia a rotelle, niente del genere: come una pioggia di primavera, anche il terrorismo passa e va, praticamente senza lasciare traccia. Le PERSONE palestinesi invece riempiono il libro: hanno sentimenti, soffrono, raccontano le loro vicende, amorosamente raccolte dalle simpatetiche orecchie di Tramballi. Ne troviamo molte, di storie e storielle raccontate in questo libro, per esempio questa: “Soldati che sparavano per divertimento ai serbatoi dell’acqua sui tetti delle case; che gridavano slogan offensivi mentre pattugliavano i campi o battevano alle porte per terrorizzare i bambini; che per futili ragioni confiscavano i documenti d’identità, sapendo che per i palestinesi era illegale non averli. C’erano i funzionari del fisco che si prendevano pause di ore, lasciando la gente in piedi ad aspettare sotto il sole; le guardie di frontiera che rovesciavano a calci le bancarelle cariche di verdura; le basi militari che gettavano la loro immondizia davanti alle case dei palestinesi”. Questa storiella è riferita da Amira Hass, la giornalista condannata da un tribunale israeliano per aver pubblicato notizie clamorosamente e palesemente false, ma di questo a Tramballi poco importa. Così come riferisce le dichiarazioni dello “storico” palestinese Walid Khalidi, che gli racconta della lotta palestinese contro il nazismo – e Tramballi non fa una piega – e gli espone la sua personale battaglia per ristabilire la verità dei fatti, perché “Tante persone credono davvero in buona fede che nel 1948 Israele fosse vicino all’estinzione, che i palestinesi erano gli aggressori e gli ebrei favorevoli a un compromesso”. Non cercate palestinesi cattivi, in questo libro: non ce ne sono. Al massimo disperati, ma cattivi mai. I cattivi stanno tutti dall’altra parte, così come dall’altra parte stanno tutti gli inganni, tutte le menzogne (“Bibi e le sue menzogne”), tutta l’aggressività, tutto il razzismo, tutte le colpe. Ci viene spiegato che tra lo sceicco Yassin, che in un’intervista gli dichiara apertamente di combattere per la distruzione di Israele e il “colono” Bob, che rivendica il suo sacrosanto diritto a difendersi dalla distruzione non ci sono differenze, tranne una: Yassin è la vittima, Bob è “il simbolo cosciente delle sofferenze palestinesi”. Assistiamo a un continuo parallelismo, per non dire totale identificazione, fra israeliani e nazisti. Quanto agli ebrei, l’autore ci espone il suo pensiero citando Pat Buchanan: “La collina del Campidoglio è un territorio occupato: occupato dalla lobby ebraica”; e forse è per questo che l’America è “scandalosamente favorevole a Israele”. E anche l’11 settembre dimostra l’incomparabile superiorità dei palestinesi sugli israeliani, in quanto “Arafat aveva capito, Sharon no”. Ma il vero capolavoro di Tramballi è la ricostruzione della vicenda di Mohammed al Dura, il bambino ucciso all’incrocio di Netzarim*: qui non solo supera se stesso, ma riesce addirittura a superare persino i palestinesi. Narra infatti il nostro che ad un certo punto i palestinesi avevano smesso di sparare, ma gli israeliani no. Gli israeliani hanno continuato a sparare, accanendosi PER BEN VENTI MINUTI contro quel bidone dietro il quale si nascondevano Mohammed e suo padre, riuscendo alla fine a centrarli: neanche Arafat era arrivato a questi vertici di invenzione fantastica! E così, di menzogna in menzogna, di falsificazione in falsificazione, arriviamo alla fine del libro: “Incapaci di una raffinata e realistica definizione della realtà, spinti da un irrefrenabile istinto al suicidio politico, una volta di più i palestinesi persero una grande occasione. Ma lo fecero con l’aiuto di Sharon, che non aveva smesso per un secondo di provocare i palestinesi, rendendo ancora più insopportabile l’occupazione: assassinando presunti terroristi e bambini, distruggendo case e umiliando la gente. L’evidente autolesionismo palestinese aveva da mezzo secolo lo stesso istigatore: Israele. Continuando una politica di repressione dai tratti razzisti, sabotando ogni negoziato, Sharon aveva deliberatamente agito perché la questione palestinese restasse una faida e non evolvesse mai in un caso politico risolvibile con i mezzi della politica. Salvo poche eccezioni, tutti i primi ministri d’Israele hanno affrontato il problema allo stesso modo: come medici che non curano ma aggravano deliberatamente lo stato di depressione del loro paziente”. Ignoranza? Non si direbbe, a giudicare dai capitoli dedicati al Settembre nero e alla guerra civile in Libano, in cui Israele non era implicato – non direttamente, almeno, perché è fuori discussione che delle sofferenze palestinesi Israele è sempre e comunque responsabile. In quei due capitoli Tramballi appare straordinariamente ben informato, e non esita ad attribuire con grande lucidità colpe e responsabilità, e a scandalizzarsi per la mancata punizione di Eli Hobeika, il responsabile del massacro di Sabra e Chatila. E dunque non di ignoranza si tratta, bensì di consapevole e intenzionale mistificazione dettata da un odio senza limiti.

*All’epoca dell’uscita di questo libro era già stato inequivocabilmente dimostrato che quella posizione non era raggiungibile dalla postazione israeliana, ma non era ancora stato chiarito che il bambino non era affatto morto, per questo nel mio commento non ho contestato questo particolare.

Bene, adesso sapete chi è Ugo Tramballi e, come si diceva anni fa per l’AIDS, se lo conosci lo eviti.

P.S.: vado, ci vediamo fra qualche giorno.

barbara

MA NON PARLATE DI DUE PESI E DUE MISURE

Tre ragazzi israeliani vengono rapiti mentre fanno autostop per tornare a casa da scuola. Diciotto giorni più tardi verranno trovati i loro cadaveri.
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Un ragazzo palestinese viene rapito, assassinato e il suo corpo bruciato.
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Per tutti i diciotto giorni da moltissime parti – mass media, politici, Onu – si parla di ragazzi “scomparsi”, “allegedly kidnapped”, all’Onu si dichiara che “non vi sono prove che i ragazzi siano stati rapiti.
Nonostante l’esistenza di altre possibilità (una faida in atto fra la famiglia del ragazzo e un’altra famiglia; la notoria omosessualità del ragazzo, a causa della quale era stato precedentemente minacciato di morte all’interno della propria famiglia; l’esistenza di un video che sembrerebbe mostrare cose diverse da quelle raccontate dai presunti testimoni), immediatamente tutti, mass media, politici, opinione pubblica, gridano alla vendetta dei “coloni” israeliani, etichettati in massa come “ebrei fanatici”. Tutti sanno come sono andate le cose, tutti sanno chi è stato, nessun dubbio, nessun bisogno di aspettare indagini e prove.
I tre ragazzi israeliani vengono regolarmente chiamati “coloni”, se non addirittura “coloni nazisti”.
Il ragazzo palestinese viene chiamato unicamente “ragazzo” o “ragazzino”, o addirittura “bambino”.
L’intera “Palestina” è in festa per il rapimento dei tre ragazzi israeliani, si distribuiscono dolci per le strade, si inventa il gesto delle tre dita a imitazione di quello delle due dita con la V di vittoria, si disegnano festose e spiritose vignette come quella dei tre topolini con la stella di David sulla schiena presi all’amo, e si festeggia anche in molti siti e blog e forum stranieri.
L’intera Israele inorridisce per l’efferato delitto. Siti, blog e forum filoisraeliani condannano l’assassinio senza mezzi termini.
L’autorità palestinese invita la popolazione a fare tutto il possibile per ostacolare le ricerche.
Il governo israeliano chiede di mettere in atto ogni mezzo per scoprire gli autori del crimine, da qualunque parte si trovino, e la popolazione israeliana chiede giustizia.
La madre di uno dei presunti assassini dichiara che, se il figlio fosse realmente responsabile del rapimento e dell’assassinio, ne sarebbe orgogliosa.
Quando la polizia israeliana arresta alcuni ragazzi ebrei che sembrerebbero essere effettivamente gli autori del rapimento e dell’assassinio del ragazzo palestinese, gli israeliani dichiarano la propria vergogna ad avere tra di loro simili mostri e chiedono che vengano puniti nel modo più severo possibile.

Nel frattempo una ragazza israeliana viene rapita da due arabi ma questa volta la polizia arriva in tempo a liberarla, e ovviamente nessuno ne parla. Nel frattempo, la stessa notte di Muhammad Hussein Abu Khdeir, è stata rapita e assassinata anche Omaima Jaradat,
Omaima
ragazzina palestinese. Purtroppo non c’è mai stata, neanche per un momento, la possibilità di darne la colpa agli ebrei, e io che sono molto maligna oso insinuare che sia per questo che nessuno ne ha parlato. E nel frattempo, nel silenzio generale dei mass media, dei politici e della cosiddetta opinione pubblica, i missili da Gaza continuano a cadere a centinaia su Israele. Ma che non vi venga in mente di accusare i bravi pacifisti di usare due pesi e due misure, perché loro sono tanto tanto buoni e gli israeliani (gli ebrei?) sono tanto tanto cattivi. E questo è un dogma che nessuno si deve permettere di mettere in discussione.

barbara

MESSAGGIO A CHI STA DALL’ALTRA PARTE

(Faccio ancora in tempo, prima di partire, a postare questo bellissimo testo)

Caro amico non ebreo,

non far finta di essere triste per questo orribile, ennesimo omicidio. Durerà poco l’ondata di solidarietà, tanto lo so. Dura sempre meno. La storia ce lo insegna. Da quando un giovane stato sotto attacco di cinque eserciti in cui c’era la possibilità di finire a pezzi e rigettati in mare, è stato sempre così. Qualche frase di circostanza – qualche volta nemmeno quella – e poi via con la vita normale.
Non sono riusciti ad impietosirti gli attentati diretti agli adolescenti nelle discoteche, le bombe nei matrimoni. Non ti hanno scosso i corpi che saltavano nelle pizzerie di Gerusalemme e nei caffè di Tel Aviv. Probabilmente nemmeno te li ricordi. Non ti hanno turbato le mamme che mettevano i figli su due autobus diversi per evitare che un kamikaze glieli portasse via tutti e due. Non ti ha impietosito la morte di un neonato al quale un cecchino ha sparato nella culla, e nemmeno quella di un’intera famiglia sgozzata nella notte, infanti compresi. Non ti ha fatto riflettere un giornalista americano sgozzato in diretta come un animale perché ebreo, gli spari ai bambini della scuola ebraica di Tolosa e quelli ai visitatori del museo di Bruxelles. Non hai avuto nemmeno un tremore per le torture inflitte al giovane commesso Ilan Halimi, sequestrato in uno scantinato di Parigi e ucciso in modo atroce, anche lui perché ebreo. Non hai memoria per la scia di sangue che ha attraversato gli anni ’50, ’60, ’70, delle stragi perpetrate ai danni degli israeliani per mano araba, una striscia di sangue che non si è mai arrestata. Strage di turisti davanti ai banchi dell’ELAL di Fiumicino, strage di atleti alle Olimpiadi di Monaco. Attentatori particolarmente solerti con i bambini come Stefano Tachè, il piccolo romano ucciso da un commando terrorista o i disabili come Leon Klinghoffer, gettato in mare con tutta la sedia a rotelle.
Ti sei però appassionato ai carnefici, a quelli che hai tentato e tenti ancora di giustificare in tutti i modi. Sei segretamente innamorato di coloro che ti hanno truffato e ti truffano ancora. C’è un’industria in palestina e tutto il medio oriente che lavora proprio per sfruttare questa tua debolezza: loro sanno che tu anziché cercare di capire e ricordare la storia, per te sarà più facile sospirare davanti ad una foto di un bambino senza scarpe che a quella di un giovane militare di leva. Sono abili a nascondere bene che ricevono milioni di euro che spendono in armi e i dirigenti palestinesi lavorano con la complicità di occidentali bene addestrati per comprare la tua a compiacenza, la tua compassione. Per comprarti usano tutto quello che è in loro possesso, perché nella propaganda sono senza scrupoli così come nel terrorismo. Usano foto false, immagini di altri conflitti e quando non hanno niente estorcono dichiarazioni false e fabbricano prove in laboratorio. Dimmi: hai mai visto la foto di una neonata israeliana sgozzata? E sai perché no? Perché per Israele la vita è sacra. E una battaglia mediatica non può valere la profanazione di un innocente. Nemmeno quando è tutto vero.
Ieri sera amico mio, mi sono sentito ancora più solo di quanto non mi senta di solito. Perché sento che coloro che sostengono il terrore contro Israele hanno messo a segno una delle più grandi vittorie. Con i corpi di tre giovani adolescenti ancora caldi, mentre in Israele si pregava nelle piazze e in palestina si sparava in aria per il giubilo, tu e il resto del mondo vi siete così affrettati a dirvi “preoccupati per la reazione di Israele” che vi siete dimenticati di dispiacervi. Persino di circostanza, per la morte di due sedicenni e un diciannovenne rapiti, uccisi a sangue freddo e gettati due settimane in mezzo ad un campo. Questa è la vittoria della barbarie sulla civiltà. E la tua scelta purtroppo, indica la parte dove hai deciso di stare.
Alex Zarfati

Nel frattempo Rosa Schiano:

Sta girando in questi minuti notizia, diffusa da Al Jazeera, secondo cui l’esercito israeliano abbia ritrovato i corpi dei tre coloni rapiti. Invito alla cautela in quanto non si ha ancora la certezza che i corpi appartengano ai coloni.  In ogni caso, io credo ed ho sempre creduto che ci troviamo di fronte ad un’operazione organizzata giusto in tempo per bloccare e distruggere i passi positivi fatti fino a quel giorno (riconciliazione, approvazione da parte di Usa, Onu ed Ue del nuovo governo palestinese di unità nazionale, attenzione mediatica sui detenuti palestinesi). Ricordo anche che nessun gruppo palestinese ha rivendicato il rapimento. Attendiamo conferme …e probabili reazioni

barbara

HEVRON, PARLA LA MADRE DEL TERRORISTA

“SE MIO FIGLIO AVESSE RAPITO I RAGAZZI ISRAELIANI, NE SAREI ORGOGLIOSA”

[…] Non è stato lui a rapire Eyal, Gilan e Naftalì, secondo la madre, ma “se fosse stato Amar, sarei orgogliosa di mio figlio fino alla fine dei miei giorni”, ha rivelato in una intervista al canale israeliano Arutz 10. Secondo la donna, i figli sono stati cresciuti secondo gli insegnamenti dell’islam: “Sono ragazzi religiosi, onesti e con le mani pulite” – ha continuato – “il loro unico obiettivo è quello di portare l’islam alla vittoria”. […] (qui)

Poi degli arabi hanno attaccato a sassate l’ambulanza dell’esercito che trasportava i corpi dei tre ragazzi.

ambulance
Ma mi raccomando, non commettete l’errore di confondere palestinesi con terroristi: i terroristi sono una sparutissima minoranza, frange del tutto irrilevanti; la popolazione in generale è tutta di specchiata onestà. Infatti ogni volta che qualcuno di questi rarissimi terroristi compie qualche mattanza di ebrei – per colpa della costruzione di appartamenti nel quartiere ebraico di Gerusalemme, suppongo – sono costretti a ingaggiare dei marziani per inscenare i festeggiamenti in strada, i caroselli di auto che neanche se avessero vinto il mondiale (i marziani si portano anche la benzina da casa perché lì c’è l’embargo, you know, loro non ne hanno mica, di benzina) e tutto il resto. Probabilmente i marziani sono anche responsabili dell’elezione di Hamas a stragrande maggioranza.
candele

(PS: noi ci vediamo a fine settimana)

barbara

POSSO DIRE CHE L’HO SEMPRE SAPUTO?

Eyal-Gilad-Naftali
Non ho mai scritto bring back our boys, da nessuna parte, non ho firmato nessuna petizione, perché l’ho sempre saputo che non c’era niente da restituire: conosco troppo bene quei rettili immondi. Adesso spero che Tsahal scateni davvero l’inferno, che quelle carogne putrefatte abbiano a maledire il giorno in cui sono nati, che abbiano a maledire le madri che li hanno partoriti, che sappiano anche loro che cos’è l’inferno. Quello vero.

barbara

È ESAGERATO RIEVOCARE GLI ANNI TRENTA?

Ebrei messi al bando dal vertice dell’Unione Africana

Rifiutate le dichiarazioni programmatiche di sostegno da parte delle nazioni africane; i rappresentanti della Lega Araba esigono che siano mandati via gli “israeliani” per poter iniziare il summit.
La cerimonia di apertura del 23° vertice dell’Unione Africana di giovedì a Malabo stava per cominciare con la dichiarazione, da parte di un certo numero di Stati partecipanti, in sostegno dei tre ragazzi israeliani rapiti, finché il cattivo sangue non ha portato le tensioni allo stato di ebollizione.
“Non avevo mai assistito a una tale forma di razzismo e di antisemitismo. Siamo stati umiliati”, hanno dichiarato alcuni degli ebrei presenti, i quali hanno lasciato la Guinea Equatoriale di fretta, dopo aver anticipato il loro volo.
«Tutto è iniziato quando uno dei delegati arabi, dall’Egitto, ci ha avvicinati a cena la sera prima dell’apertura, chiedendoci cosa facessero qui, indicando gli uomini che indossavano la chippà”, ha detto l’imprenditrice israeliana Yardena Ovadia, che aveva organizzato l’invito della delegazione ebraica al summit.
Ovadia, che ha stretti legami con il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang, ha detto di aver spiegato al delegato che lei e i suoi amici erano ebrei provenienti dagli Stati Uniti, ma non israeliani. Il giorno seguente, i rappresentanti della Lega Araba si sono rifiutati di entrare nella sala fino a quando tutti gli ebrei (o come li chiamavano loro, la “delegazione israeliana”) non fossero andati via.
“Eravamo già seduti nella sala conferenze”, ha detto Ovadia. “quando i capi della Lega Araba hanno annunciato il boicottaggio della conferenza fino a quando la ‘delegazione israeliana’ nono fossa andata via. Abbiamo dichiarato ufficialmente che siamo Americani e non Israeliani, ma non è servito a nulla.”
“C’era una rappresentante del Congresso degli Stati Uniti con noi. Era scioccata e ha detto che seguirà una dichiarazione ufficiale del governo”, ha aggiunto Ovadia.
Quattordici delegati della delegazione della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane si sono alzati e hanno lasciato la sala, e la cerimonia di apertura è stata posticipata di un’ora.
Era in programma la partecipazione del presidente palestinese Mahmoud Abbas, ma questi si è fatto sostituire dal suo vice. Il Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon era nella hall, così come il presidente egiziano al-Sisi, nonché il primo ministro spagnolo, quattro ministri iraniani, e di altri dignitari stranieri.
Lo scontro con la “delegazione israeliana”, è stato avviato dal presidente della Mauritania.
Il rappresentante dell’Autorità palestinese, ha detto nel suo discorso al vertice che gli ebrei hanno sperimentato un olocausto, ma che attualmente stavano istigando un olocausto contro il popolo palestinese. Una dichiarazione rilasciata dal capo della delegazione ebraica ha detto che nessun orecchio avrebbe potuto assorbire tali parole minacciose.
“Nel nostro hotel ci sono quattro ministri iraniani di alto livello”, ha detto Ovadia. “Sono stati molto cordiali fino al giorno dell’apertura del vertice. Poi ci hanno sbattuto la porta in faccia ingiustificatamente. Ciò non rimarrà senza risposta.”
Ha aggiunto: “Il presidente della Guinea Equatoriale ci ha chiamato per scusarsi personalmente e ha invitato la Conferenza dei presidenti di delegazione a una cena speciale, ma noi avevamo già riprogrammato il loro volo privato di rientro e già erano andati via.” (qui, traduzione FDD)


Gravissimo atto antisemita alla Unione Africana. ONU ed UE silenti

Quanto successo ieri al summit dell’Unione Africana che si teneva a Malabo, in Guinea Equatoriale, è davvero uno dei fatti di antisemitismo più gravi mai avvenuti nella storia della Istituzioni mondiali, non tanto per l’evidente manifestazione di antisemitismo alle quali ci si è fatta l’abitudine, quanto piuttosto per la sostanziale indifferenza dimostrata da ONU e rappresentanti europei.

L’antefatto

Una delegazione di ebrei americani era stata invitata al summit dell’Unione Africana dal Presidente della Guinea, ma quando la delegazione si è presentata è stata subito attaccata dalla delegazione della Lega Araba che si è rifiutata di entrare in sala fino a quando gli ebrei non se ne fossero andati. Alla Lega Araba si sono uniti anche alcuni stati africani e, naturalmente, l’Iran. Tutto questo nel più completo silenzio del Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Mon e dei tantissimi rappresentati dell’Unione Europea presenti. Solo pochi minuti prima durante l’apertura dei lavori il Presidente della Guinea Equatoriale, Teodoro Obiang, aveva fatto una dichiarazione a sostegno dei tre ragazzi israeliani rapiti da Hamas.

Il seguito
Il rappresentante della ANP è arrivato a congratularsi per questa scelta in quanto, a sua detta, «gli ebrei hanno sperimentato l’orrore dell’olocausto ma stanno attuando un olocausto contro il popolo palestinese». Quando qualcuno gli ha fatto notare che un olocausto è lo sterminio di un popolo e che, solo nei territori contesi i palestinesi sono quintuplicati negli ultimi 20 anni e che quindi non c’è alcun olocausto, il rappresentante palestinese ha abbandonato l’aula.

Il vergognoso silenzio delle Istituzioni mondiali
Tutto questo è avvenuto nel completo e vergognoso silenzio delle maggiori istituzioni mondiali, a partire dall’ONU e dall’Unione Europea, quasi si trattasse di “silenzio-assenso”. Ormai le manifestazioni di antisemitismo e di odio verso Israele vengono sostanzialmente accettate e persino avvallate. Andrebbe ricordato a certi personaggi che ieri stavano allegramente pranzando insieme a un gruppo di “grandi violatori di Diritti Umani”, gente persino ricercata dal Tribunale Penale Internazionale per crimini di guerra e genocidio, che il 100% dei rappresentanti della Lega Araba rappresentano Stati in cui non esiste il concetto di Democrazia e di Diritti Umani. Ormai le istituzioni mondiali hanno perso anche l’ultimo barlume di dignità.
Claudia Colombo (qui)

Poi magari, volendo, ci sarebbe anche questo.

barbara

TRE DITA E UN FORNO

Lei è Samantha Comizzoli, quella che qualche giorno fa aveva definito i tre ragazzi rapiti “3 coloni nazisti israeliani”. Adesso ha messo su FB questa significativa immagine
samanta
Ora, considerando che la “signora” non fa di mestiere né la fornaia, né la pizzaiola, vogliamo fare uno sforzo per immaginare quale possa essere il significato del forno? (Sì, lo so, si chiama legittima critica eccetera eccetera) (E non mi si venga a dire che questo liquame va ignorato: questo liquame va combattuto, questo liquame va eliminato. Per fortuna che ogni tanto ci pensano i loro amici palestinesi, a eliminarli, come hanno fatto con quell’altro. Speriamo che prima o poi lo facciano anche con lei)

barbara