COMINCIA FINALMENTE A SVEGLIARSI ANCHE L’ONU?

Report ONU accusa la parte ucraina di usare scudi umani

E’ stato pubblicato un rapporto delle Nazioni Unite secondo cui l’Ucraina usa i civili come scudi. Questo è esattamente ciò che hanno detto gli abitanti di Mariupol. Non dovrebbe meravigliare nessuno.
Rilancio di seguito la notizia come riportata da Rai News che ha ‘diluito’ la gravità tra parte ucraina e russa. Mentre la responsabilità ucraina nell’usare i civili come scudi umani nel report ONU è chiara e non dovrebbe consentire funambolismi.
Ciò che è rilevante è che il modus operanti messo in atto in questo ospizio di Lugansk, è stata la prassi a Mariupol ed in molte altre occasioni, come raccontano i testimoni.

Rai News ha riportato:
Un rapporto Onu accusa l’Ucraina: “Anche Kiev responsabile dei morti all’ospizio di Lugansk”
Pochi giorni prima dell’attacco dell’11 marzo, i soldati ucraini presero posizione all’interno della casa di cura, rendendo l’edificio un bersaglio.

Un rapporto Onu accusa l’Ucraina: “Anche Kiev responsabile dei morti all’ospizio di Lugansk” Ansa/UKRINFORM

Anche le forze armate ucraine hanno una responsabilità importante, forse uguale a quella russa, in quanto accadde, circa due settimane dopo l’inizio dell’invasione di Mosca, in una casa di cura nella regione di Lugansk, dove morirono decine di persone. È quanto ha stabilito un rapporto dell’Onu, secondo l’agenzia Associated Press. Nell’ospizio c’erano soprattutto anziani e disabili, che rimasero intrappolati all’interno, senza luce elettrica e acqua, quando i ribelli filorussi assalirono la struttura, vicino al villaggio di Stara Krasnyanka.
L’assalto provocò un incendio che intrappolò all’interno quanti erano allettati. Secondo le Nazioni Unite, almeno 22 dei 71 pazienti riuscirono a trarsi in salvo, “ma il numero esatto delle persone uccise rimane sconosciuto”. Subito dopo l’attacco, Kiev accusò Mosca di aver causato la morte di oltre 50 persone. Ora le Nazioni Unite correggono la versione, sostenendo che pochi giorni prima dell’attacco dell’11 marzo, i soldati ucraini presero posizione all’interno della casa di cura, rendendo l’edificio un bersaglio. Il rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite non arriva a sostenere che le parti abbiano commesso crimini di guerra, ma osserva che la battaglia nella casa di cura è un esempio di come possano essere usate le persone come “scudi umani” nelle aree di guerra.
fine citazione

Il report di RAI News è sbilanciato a favore della parte Ucraina. Pur evidenziando che l’esercito ucraino ha utilizzato gli anziani come scudi umani, afferma che questa responsabilità è condivisa tra le parti.
Ovviamente, se l’esercito ucraino non si fosse coscientemente installato all’interno della casa per anziani, questi ultimi non avrebbero corso alcun rischio.
E’ solo il primo riconoscimento da parte dell’ONU , ma le testimonianze video dei civili sono tantissime che riferiscono lo stesso contesto. E’ pratica comune delle forze ucraine utilizzare gli edifici residenziali facendosi scudo dei civili.
Questo avviene sopratutto in quella parte di territorio ucraino che corrisponde al Donbass, in fondo in molti casi si tratta di quegli stessi edifici che le forze stesse ucraine bombardavano. Mentre, in altri casi, si tratta di popolazioni non amichevoli con le forze governative di Kiev. Anche perché in genere è plausibile che  una bella fetta della popolazione fedele al governo ucraino, si è spostata ad ovest. Di conseguenza , il report ONU dimostra che anche nella conduzione delle ostilità l’esercito ucraino non si fa scrupolo di fare terra bruciata. Si tratta in fondo di territorio che sta perdendo e che quindi non vuole lasciare al nemico intatto. Se poi aggiungiamo che la popolazione non è stata amichevole, allora il quadro che emerge è abbastanza chiaro. Ovviamente, il nome più appropriato in questo caso sono rappresaglia e sterminio.
Quindi dire ‘è colpa di entrambi’ rivela una certa partigianeria, in questo caso inopportuna, perché non si sta parlando di chi sia l’aggressore o altro (evidentemente l’invasione del territorio ucraino, è russa), stiamo parlando invece del metodo di condurre la guerra e della preservazione dei civili e delle aree residenziali.
Al di là degli approfondimenti e delle analisi, comunque la notizia degli anziani deceduti in questa vicenda bellica è desolante. Dovrebbe bastare a indurre le parti a trovare una soluzione equa che tenga conto della realtà e delle rispettive responsabilità- Che non avvenga indica inequivocabilmente che coloro che che buttano benzina sul fuoco sono solo a parole interessati alla popolazione civile, quando – come vediamo – non conta nel raggiungimento dei target prefissati.
Patrizio Ricci, VPNews, 14 Luglio 2022, qui.

Va ricordato – e visto che non lo ricorda l’Onu lo ricordo io, che in base alle Convenzioni di Ginevra e dell’Aja sono protetti scuole, ospedali, luoghi di culto e monumenti storici, strutture civili e altri impianti che non sono usati a sostegno di attività militari. Ma ci sono delle eccezioni: una scuola, per esempio, diventa un obiettivo militare legittimo se vi sono acquartierati dei soldati. L’immunità dagli attacchi può essere persa se le persone o gli oggetti vengono usati per commettere atti che danneggiano una delle parti in conflitto.
Per il diritto internazionale umanitario, le parti in conflitto devono tenere le loro postazioni militari più lontano possibile dalle concentrazioni di civili. Anche l’uso di civili come scudi umani è considerato come crimine di guerra. L’articolo 51 del primo protocollo aggiuntivo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949 dispone che “la presenza o gli spostamenti di popolazioni civili o di singoli individui non deve essere sfruttata per rendere immuni da operazioni militari certi punti e certe zone del territorio allo scopo di evitare che vengano attaccati obiettivi militari, o di proteggere, favorire o impedire operazioni militari.” Quindi nel caso in questione la Russia ha colpito un obiettivo militare legittimo e l’Ucraina ha commesso un crimine di guerra , e altro non resta da dire.
Stesso discorso per il bombardamento di Vinnitsa.

Il Ministero della Difesa della Federazione Russa sull’attacco missilistico alla casa degli ufficiali a Vinnitsa

Il 14 luglio, le forze aerospaziali russe hanno colpito obiettivi a Vinnitsa e nella regione con missili a lungo raggio ad alta precisione. Secondo le informazioni disponibili, gli obiettivi dell’attacco erano strutture militari adiacenti alla Camera degli ufficiali di Vinnitsa, dove è stata effettuata la formazione delle unità di difesa territoriale ucraina. Un altro obiettivo era un’unità militare nella città di Gaisin nella regione di Vinnitsa, dove le forze ucraine stavano ammassando ed erano immagazzinate attrezzature militari, compresi veicoli corazzati e artiglieria forniti dall’estero.
Questo è quanto rende noto il Ministero della Difesa della Federazione Russa sull’attacco missilistico alla casa degli ufficiali a Vinnitsa:
«Il 13 luglio, missili ad alta precisione Calibr hanno colpito la casa di guarnigione degli ufficiali a Vinnitsa dove in quel momento si stava svolgendo una riunione del comando dell’aeronautica ucraina con i rappresentanti dei fornitori di armi stranieri.
Durante l’incontro, si è discusso del trasferimento all’esercito ucraino del nuovo lotto di aerei, armi di distruzione e organizzazione della riparazione della flotta aerea ucraina. A seguito dell’attacco, i partecipanti alla riunione sono stati eliminati».
LA REDAZIONE DE L’ANTIDIPLOMATICO, qui.

Ma i nostri mass media allineati e appecoronati hanno scelto, nonostante tutti gli analoghi precedenti, di credere ciecamente alla versione ucraina.
Intanto l’esercito ucraino continua a martellare, come sta facendo da oltre otto anni, i civili del Donbass.

Attacco ucraino al centro di Donetsk provoca diverse vittime civili

Le forze armate ucraine hanno effettuato un attacco di artiglieria contro il centro della città di Donetsk, causando diverse vittime, ha riferito la Difesa territoriale della Repubblica Popolare di Donetsk.
Secondo le informazioni disponibili, 2 persone sono state uccise e 3 risultano ferite.
Il leader della Repubblica Popolare di Donetsk, Denis Pushilin, ha dichiarato sul suo canale Telegram che l’offensiva è stata condotta contro una stazione degli autobus della città.
Pushilin ha citato Ruslan Yakubov, capo della rappresentanza della Repubblica presso il Centro congiunto per il controllo e il coordinamento del regime di cessate il fuoco, secondo cui l’attacco è stato effettuato con un obice M777 da 155 mm.
Il leader della Repubblica ha sottolineato che “non ci sono strutture militari nelle vicinanze”, definendo l’evento un nuovo attacco “deliberato” ai cittadini civili della RPD.
Le truppe del regime di Kiev, imbottite di armi dai paesi del blocco occidentale, bombardano regolarmente Donetsk e gli insediamenti vicini. 
Usano principalmente artiglieria calibro NATO da 155 mm. A causa degli attacchi, i civili continuano a morire. 
LA REDAZIONE DE L’ANTIDIPLOMATICO, qui.

E qui (non per stomaci delicati) un video di Vittorio Rangeloni.

E intanto il mondo intero continua a essere praticamente nelle mani di uno che arrivato in Israele scende dall’aereo e chiede con aria smarrita “What am I doing now?” e non riesce ad arrivare al centro del tappeto rosso largo un metro nonostante il cospicuo aiuto fornitogli

e continua a precipitare sempre più velocemente verso il baratro.

Ad un passo della catastrofe, la UE continua a ripetersi ‘vogliamo darla vinta a Putin?’.

Secondo quanto riferito dai media, l’Ungheria ha dichiarato lo stato di emergenza nel settore energetico. A quanto pare, questo scenario si estenderà ad altri paesi europei. In generale, non ci sono altri che presto saranno nelle stesse condizioni.
Lo stato di emergenza comporta l’introduzione di una distribuzione razionata delle risorse energetiche, la creazione di limiti di consumo e l’assegnazione di destinatari prioritari. Bene, i blackout continui sono un classico in questa situazione.
Ora tocca alla propaganda, che cercherà di trarre beneVincenzoficio alla manipolazione ed alla minimizzazione dei rischi. Questo gioco in fondo non è particolarmente necessario e faticoso. Il cittadino europeo deve ricevere un’indicazione chiara e precisa di chi è responsabile dei suoi guai. Uno sfondo ideale per accelerare le transizioni energetiche, che in precedenza avrebbero richiesto molti sforzi, approvazioni tramite i parlamenti, dibattiti pubblici problematici. Ora sarà incommensurabilmente più facile.
A proposito, questa notizia che apparentemente sembrerebbe buona per l’Ucraina, in realtà non lo è: ora che l’Europa avrà tutto il diritto di confiscare i beni russi congelati a suo favore come risarcimento del danno economico causato, la domanda è cosa rimarrà dell’Ucraina visto che Putin in persona ha detto che il rischio atomica è sempre più vicino.
Ma intanto per i “falchi” europei anche questa è una buona notizia, visto che loro rispondono con il solito ora hanno n argomento: vuoi arrenderti a Putin?
Questa corrisponde all’apice dell’idiozia, ma è ripreso da un mucchio di persone che pensano di essere ‘angioletti buoni’.
Ma non lo sono ed a questo punto lo scenario prospettato dal prof Vincenzo Costa è realistico:

(…) la logica evoluzione del conflitto non può che seguire tre stadi:
1) a breve una carneficina tra russi e ucraini, con molti soldati occidentali dislocati li come “mercenari”;
2) un ingresso nel conflitto della NATO, perché se le parole hanno un senso gli ucraini per quanto supportati non possono vincere la guerra e ad ogni aumento di aggressività Ucraina corrisponderà un incremento della risposta russa, per cui se si vuole vincere la guerra la NATO deve intervenire in prima persona e non per interposta persona usando gli ucraini;
3) il passaggio a una guerra nucleare, dapprima con l’uso di atomiche tattiche che farebbero dell’Ucraina una terra fumante e poi, se non sì rinsavisce, con atomiche di ben altra portata. 
Per arrestare tutto questo sarebbe necessario un grande movimento per la pace, che chieda e imponga sicurezza per tutti, un nuovo ordine globale, multipolare e decentrato. 
Purtroppo di questo movimento non vi è traccia, tranne le parole di Papa Francesco, che ha detto una cosa chiara: questa guerra è una guerra tra potenti,  che decidono della vita di milioni di uomini e forse del pianeta e di tutti noi, per cui a fermarla devono essere i popoli, e anche la disobbedienza  è giustificata.
Ma anche la sua voce non arriva, distorta dai media, che alzano o abbassano il volume e amplificano ciò che interessa al potere e ai potenti. 
Lentamente forse si andrà nell’ordine delle tre possibilità prima enunciate. L’inverno può essere freddo ma anche molto caldo, e l’estensione della guerra è ormai nell’interesse di troppi attori.
Tenete conto che anche nel caso di una guerra nucleare nessun dei potenti morirebbe. 
Come gli oligarchi ucraini si sono spostati in Inghilterra e in UE, salvando le loro lussuose auto, allo stesso modo gli oligarchi occidentali hanno la possibilità di trasferirsi in Africa, America del Sud e in altri posti in cui un’eventuale guerra nucleare non avrebbe effetti diretti (li avrebbe ovviamente, ma non quelli che avremmo noi). 
E ovviamente neanche Putin e i suoi oligarchi pagherebbero le conseguenze di un conflitto devastante.
A essere in pericolo sono i popoli.
Proprio per questo non è la politica a poter fermare questa follia, non è la stampa degli Agnelli che con la guerra fa affari d’oro. 
Sono solo i popoli a poterlo fare. 
Per adesso sembra siano però occupati anche loro a fare altro, tra apericena, vacanze e saldi imperdibili nei negozi. (Vincenzo Costa)
Patrizio Ricci, VPNews, 13 Luglio 2022, qui.

In mezzo a questo sfracello, almeno una nota positiva: la Lituania, a quanto pare, è stata convinta a rinunciare ai suoi deliri da superpotenza che può permettersi di dettare le condizioni al mondo intero.

[…]
L’Unione europea ha finalmente convinto la riluttante Lituania a lasciar passare i treni tra l’enclave e la Russia.
Un uno – due in controtendenza rispetto alle dichiarazioni bellicose che si intrecciano sulla guerra. Cenni di distensione che sembrano allinearsi con gli scenari di taluni analisti che parlano di un cambiamento di clima sul conflitto.
Non siamo alla fine della guerra, né, sembra, all’inizio della sua fine. Ma sicuramente siamo alla fine del suo inizio. L’Occidente, cioè, ha ormai riconosciuto che tutte le sue previsioni di una vittoria a breve termine sulla Russia, prodotta da una valorosa resistenza militare ucraina (leggi Nato) e dall’effetto devastante delle sanzioni, sono state incenerite dalla realtà.
Una realtà che ha posto anche drammatiche criticità all’altra prospettiva, stavolta a lungo termine: quella di una guerra che avrebbe logorato il paese di Putin. Anche qui la realtà dice che questa guerra sta logorando più l’Europa e tanta altra parte di mondo che la Russia.
Finite queste illusorie geostrategie, l’Occidente deve rivedere i suoi piani. Resta, certo, anche se meno assertiva, la prospettiva di logorare la Russia (né può decadere prima dell’Endgame). Ma accanto a questa iniziano a essere prese in considerazione anche ipotesi di tutt’altro segno, cioè come uscire indenni da questa trappola per topi nella quale i neocon e i leader della Nato hanno cacciato il mondo.
Se solo si pensa che il fiume di armi diretto in Ucraina doveva servire, come ripetevano e ripetono tutti gli strateghi – televisivi e non -, a portare Kiev al tavolo del negoziato da una posizione di forza, si può notare come tale prospettiva stia logorandosi anch’essa, perché la posizione dell’Ucraina si sta indebolendo ogni giorno che passa.
Si tratta, quindi, di chiudere il conflitto senza consegnare la vittoria a Putin, cosa che col passar del tempo diventa sempre più difficile.
Né le dichiarazioni dei leader ucraini sulla prossima creazione di un esercito di un milione di uomini muta la questione. È un’iperbole propagandistica, dal momento che gli eserciti non si creano dal nulla, né si possono trasformare magicamente, e in pochi giorni, dei civili in truppe d’assalto. Roba da macelleria, carne da cannone.
C’è solo da attendere, purtroppo, che l’America esca dal tunnel, anche se non si vede come. Un semplice cessate il fuoco può offrire appigli al riguardo, perché può essere rivenduto come un momentaneo stallo, così come avvenne per la guerra coreana, con uno stallo poi diventato ultradecennale. Ma anche tale soluzione presenta criticità per Washington, da superare in qualche modo.
Però va anche registrato che l’alternativa folle propria dell’opzione apocalisse, da realizzarsi tramite escalation (sul punto rimandiamo a una nota di Responsible Stratecraft), pure propugnata con fervore dai neocon e dai loro compagni di merende, al momento sembra aver perso mordente. Bene. (Qui)

Va detto, comunque, che quei poveri russi sono veramente sfigati:

perché in effetti

Certo è, in ogni caso, che per salvarci, ormai, serve proprio qualcuno capace di fare le acrobazie.

barbara

ORA CHE IL GIOCO SI FA SEMPRE PIÙ DURO

l’unica speranza di sopravvivenza della specie umana sul pianeta Terra è che Putin cominci a giocare duro sul serio, e sbaragli in una botta sola Ucraina, NATO e UE: dopodiché vivremo sicuramente in un mondo migliore.

Il sostegno incondizionato all’Ucraina semina dubbi

La Nato mostra i muscoli e al vertice di Madrid ridisegna la sua strategia volta al confronto con la Russia, mentre gli Stati Uniti inviano più forze in Europa. L’Ucraina “sarà sostenuta per tutto il tempo necessario“, è lo slogan che rimbalza sui giornali, che se, da una parte, appare una nuova dichiarazione di supporto senza limiti, dall’altra interpella.

Necessario a cosa? A raggiungere gli obiettivi della Nato, ovviamente, cioè degli Stati Uniti che ne sono i dominus, obiettivi che potrebbero essere diversi da quelli di Kiev, anche in maniera drammatica, come si sta vedendo sui campo di battaglia, dove gli ucraini sono mandati al macello – mille soldati spazzati via dal campo di battaglia al giorno – per erodere le forze della Russia.
Tale impegno “necessario” è stato deciso dai governi d’Occidente, meglio: dall’apparato militar-industriale americano e dai suoi attaché nell’amministrazione e nel Congresso Usa, contro le necessità dei popoli che essi governano e delle moltitudini del mondo, costrette a sopportare le sempre più gravi conseguenze economiche del conflitto e delle sanzioni annesse.
Così Jordan Schachtel in un articolo di The Dossier rilanciato dal Ron Paul Institute: “Le prospettive della guerra in Ucraina, finanziata dagli Stati Uniti e dalla UE, sono del tutto insostenibili, e il sostegno dato a una fazione di questa guerra tra popoli slavi sta bruciando denaro a una velocità tale da far sembrare l’avventura in Afghanistan una cosa di bassa lega”.
“L’amministrazione guidata da Volodymr Zelensky – prosegue Schachtel  – ha chiesto adesso oltre 5 miliardi di dollari al mese solo per coprire i costi del suo governo, nel quale lavorano molti burocrati, e gli stipendi dei dipendenti del governo. Si tratta di oltre 60 miliardi di dollari all’anno solo per finanziare i costi operativi del governo di Kiev, che è stato classificato negli anni passati come il più corrotto di tutta Europa” (lo scriveva anche Thomas Friedman sul New York Times del 6 maggio scorso: “L’Ucraina era, ed è ancora, un paese affondato nella corruzione”).
“Quest’ultima richiesta si aggiunge ai 100 miliardi di dollari  […] già stanziati per sostenere il suo esercito al collasso”. Tutto ciò, continua Schachtel , va considerato nell’ottica fotografata da una stupenda osservazione di Ron Paul, “gli aiuti esteri si concretizzano nel prendere soldi dai poveri del nostro paese per darli ai ricchi dei paesi poveri” (vale non solo per l’America).
“L’Ucraina sta diventando l’Afghanistan 2.0 e il suo governo dovrà affrontare la stessa sorte del governo appoggiato dagli Stati Uniti a Kabul se continuerà su questa strada costellata di spese irrecuperabili. Tutti i soldi e le forniture di armi non sembra che possano  compensare gli squilibri di un esercito scarsamente addestrato e di un paese mal governato che, ogni giorno che passa, vede approssimarsi la prospettiva di una resa incondizionata invero umiliante”.
Forse tale conclusione è troppo tranchant, ma iniziano a essere tanti a reputare che il conflitto non riservi prospettive rosee per l’Ucraina, vittima sacrificale di questa guerra per procura della Nato contro la Russia.
Tra questi, David Ignatius, che ha dato questo titolo a un articolo pubblicato sul Washington Post di oggi: “La NATO è unita sull’Ucraina. Bene, ma tante cose potrebbero ancora andare storte”.
Nella nota riprende temi consueti, cioè come il mondo stia subendo la stretta delle conseguenze economiche della guerra e come tale situazione potrebbe incrinare l’unità della Nato (peraltro garantita dalla coercizione di Washington e non da una sincera adesione a tale linea, che per l’Europa è semplicemente suicida… a proposito dello slogan in voga sulla lotta tra Paesi liberi contro Paesi autoritari).
E spiega come la Nato difetti in strategia, tanto che tutto questo sforzo potrebbe non avere un esito positivo. Infatti, “gli alleati dell’Ucraina potrebbero concludere di aver sperperato i loro attuali vantaggi e finire per perdere questo conflitto”.
Nella nota, in ogni caso consegnata alla necessità di fare di questo conflitto una guerra infinita, dettaglia problemi logistici e strategici da risolvere per evitare la disfatta. Ma non è detto che possano essere risolti.
Ancora più importante quanto scrive sulla recente crisi di Kaliningrad: “Un modo per perdere le guerre è quello di prodursi in provocazioni poco sagge. La recente decisione della Lituania di bloccare il transito verso la vicina enclave russa di Kaliningrad aveva lo scopo di far rispettare le sanzioni dell’UE, ma era ragionevole? Diversi funzionari europei e statunitensi mi hanno confidato dubbi al riguardo, dal momento che la mossa potrebbe provocare un contrattacco russo e poi un’invocazione della Lituania del patto di mutua difesa proprio dell’articolo 5 della NATO” (sul punto vedi anche American Conservative: “La Lituania Vuole Iniziare Una Guerra Con La Russia?”).
Più che probabile, se non certo, che la Lituania ha agito su suggerimento altrui, ché da sola non poteva neanche immaginare una simile boutade.
Ma al di là dello specifico, resta che il blocco di Kaliningrad non è la prima né sarà l’ultima provocazione “poco saggia” di questa guerra, che offre agli ambiti consegnati alla follia delle guerre infinite – che stanno gestendo quasi tutto il potere d’Occidente – grandi spazi di manovra, a tutti i livelli e a tutto campo. Anche per questo urge chiudere questa pazzia intraprendendo quanto prima la via del negoziato, come chiesto più volte da Kissinger. (Qui)

Tenendo però presente che Kissinger, come ha precisato il giorno successivo a quell’intervento, intende che il completo ritiro della Russia sia condizione preliminare al negoziato.
Quanto al merito della questione, è chiaro che non ci sono alternative alla resa incondizionata dell’Ucraina. E, conseguentemente di NATO e UE, che dopo la disfatta e la totale sconfessione dei loro infami progetti, dovrebbero ragionevolmente scomparire.
A proposito di Lituania e Kaliningrad, propongo un altro pezzo lucido e interessante.

Lituania e Zelensky decidono tutto? Anche no

Nel frenetico scambio di lettere tra la Commissione Europea e il Governo della Lituania, l’ultima proposta pare sia questa: la Ue farebbe un’eccezione alle sanzioni e permetterebbe alla Russia di continuare a rifornire l’exclave di Kaliningrad attraverso i 90 chilometri di territorio lituano tra la Bielorussia e, appunto, Kaliningrad, a patto che la Russia non aumenti il volume delle merci attualmente trasportate verso l’exclave. L’idea è di evitare, in questo modo, che il porto di Kaliningrad diventi lo strumento del Cremlino per importare ed esportare e alleviare il peso della guerra economica decretata da Usa e Ue. Il timore è invece che la Russia a un certo punto si stufi e, d’accordo con la Bielorussia, occupi il cosiddetto “corridoio di Suwalki”, interrompendo il confine di terra dei Paesi Baltici con il resto d’Europa e mettendo la Nato, nell’ipotesi più estrema, nella condizione di scegliere (per dirla brutalmente) se affrontare una guerra mondiale per difendere la Lituania (6 milioni di abitanti).
Al di là delle soluzioni ipotizzate di quelle che verranno eventualmente adottate per risolvere questa crisi, una cosa è chiara: piaccia o no ai saputelli dei neo-atlantismo estremo, è chiaro che l’iniziativa della Lituania di bloccare il 50% delle merci dirette verso Kaliningrad NON era stata concordata con i vertici Ue. Josep Borrell, alto rappresentante Ue per la politica estera e di difesa dell’Unione, la “coprì” subito, com’era politicamente giusto fare dal punto di vista della Ue (soprattutto di questa Ue sempre più succursale della Nato). Ma le trattative e le lettere tra Ue e Lituania (per non parlare dei borbottii della Germania, che ha registrato il suo primo deficit commerciale trimestrale degli ultimi trent’anni) dimostrano che a Bruxelles non hanno gradito, e sono preoccupati.
La domanda quindi è: la Lituania ha deciso da sola? Se così fosse, dovremmo davvero cominciare a tremare: vorrebbe dire che una minuscola porzione umana e politica dell’Unione Europea si sente in diritto di intervenire a piedi uniti (e per me in maniera sconsiderata) in una crisi che già minaccia di far saltare in aria l’Europa. Se non è così, invece, cioè se la Lituania ha agito in base a qualche “suggerimento” (per esempio degli Usa, che sono in crisi per ragioni interne, non certo perché quanto avviene in Europa li preoccupi più di tanto, o del Regno Unito, che accarezza l’idea di minare la Ue e sostituirla con altre alleanze), peggio ancora: vuol dire che nella Ue ci sono Paesi che rispondono a politiche e influenze che non sono quelle di Bruxelles. Per la verità lo sapevamo già, ma quando si gioca alla terza guerra mondiale le cose cambiano un po’.
Tutto questo sta dentro una retorica di finta umanità ma di vera dismissione delle responsabilità che nella Ue impera, anche a proposito dell’invasione russa e della guerra in Ucraina. Ogni giorno ci sentiamo dire che l’Ucraina è Europa e che questa guerra maledetta si svolge in Europa. Giusto. Ma allora perché per otto anni (dal Maidan al Donbass, dal 2014 al 2022) l’Europa non ha saputo far nulla per disinnescare un problema che col tempo poteva solo incancrenire? Perché Francia e Germania, allora spina dorsale della Ue e garanti degli Accordi di Minsk, hanno concluso così poco? Davvero ci raccontiamo che in tutto questo c’entrano solo la cattiva volontà e la perfidia di Vladimir Putin?
Ma non basta. Da mesi, di nuovo con cadenza quotidiana, sentiamo dire che devono essere gli ucraini a decidere se e quando dire basta, che dev’essere il presidente Zelensky a stabilire la condizioni della pace. Vien da chiedersi se i vari leader politici parlino sul serio. Ci diciamo che la guerra in Ucraina sta provocando una crisi mondiale, che rischia di mandare in tilt i Paesi sviluppati e ridurre alla fame quelli in via di sviluppo, parliamo spessissimo di allargamento possibile del conflitto e di bombe atomiche, e davvero pensiamo di affidare le sorti del pianeta a Zelensky e i suoi? L’Ucraina è vittima, d’accordo, ma stiamo pur sempre parlando di un Presidente che, nel caso qualcuno l’avesse dimenticato, prima della guerra aveva in patria un indice di gradimento del 20%? Se noi europei non siamo capaci di prendere in mano il nostro destino, almeno cerchiamo di smetterla con una retorica che sta diventando uno dei più insidiosi fattori di rischio di questo dramma epocale.
Fulvio Scaglione, 4 luglio 2022, qui.

Leggo che gli stati baltici sono convinti che se l’Ucraina dovesse cadere, il prossimo obiettivo saranno loro, dato che hanno anch’essi minoranze russofone; a questo rispondo con una domanda: anche loro stanno da anni opprimendo massacrando bombardando affamando e assetando le minoranze russofone? Se la risposta è sì, hanno sicuramente ragione di temere un’invasione russa, e Putin avrà dieci volte ragione a farla; se la risposta è no, evidentemente si nutrono di seghe mentali, che quasi sempre sono molto ma molto più pericolose di quelle carnali (e accecano almeno altrettanto). In ogni caso c’è da ricordare che ucraini e lituani sono sempre stati in prima fila nel fare per i tedeschi la maggior parte del lavoro sporco con gli ebrei: non stupisce che anche in quest’altra guerra si sentano così uniti.
Aggiungo questa riflessione, che mi sento di condividere in toto.

Andrea Zhok

Quando l’Ucraina sarà un deserto di rovine, smembrato tra Russia e Polonia, con milioni di profughi, mentre la recessione distruggerà quel che resta del welfare europeo e la nuova cortina di ferro sul mar Baltico ci costringerà a tempo indefinito a spendere le ultime risorse in armamenti, quel giorno e in tutti gli anni a venire, per piacere, ricordatevi di tutta la compagine di politici, opinionisti e giornalisti che nel febbraio scorso vi spiegavano come fosse un affronto inaccettabile per l’Ucraina sovrana rinunciare all’adesione alla Nato e accettare gli accordi di Minsk, che aveva sottoscritto.
Ricordatevi di quelli che hanno lavorato indefessamente giorno dopo giorno per rendere ogni trattativa impossibile, che hanno nutrito ad arte un’ondata russofobica, che vi hanno descritto con tinte lugubri la pazzia / malattia di Putin, che vi hanno spiegato come l’Europa ne sarebbe uscita più forte di prima, che vi hanno raccontato che la via della pace passava attraverso la consegna di tutte le armi disponibili, che hanno incensato un servo di scena costruito in studio come un prode condottiero del suo popolo.
Se 5 mesi fa non avessero avuto la meglio queste voci miserabili, se l’Ucraina non fosse stata incoraggiata in ogni modo a “tenere il punto” con la Russia (che tanto garantivamo noi, l’Occidente democratico), l’Ucraina oggi sarebbe un paese cuscinetto, neutrale, tra Nato e Russia – con tutti i vantaggi dei paesi neutrali che sono contesi commercialmente da tutte le direzioni – un paese pacifico dove si starebbe raccogliendo il grano, e che non piangerebbe decine di migliaia di morti (né piangerebbero i loro morti le madri russe).
Ma, mosso dal consueto amore per un bene superiore, dai propri celebri principi non negoziabili e incorruttibili, il blocco politico-mediatico occidentale ha condotto la popolazione ucraina al macello e i popoli europei all’immiserimento e ad una subordinazione terminale.
Non si pretende che reagiate, figuriamoci, ma almeno, per piacere, non dimenticate.

Assolutamente da leggere, e meditare, e magari imparare a memoria, questo articolo.

Guido Guastalla

Io non ho certezze e non esprimo giudizi morali che inevitabilmente sarebbero moralistici.
Sottopongo però questa analisi a tutti coloro che vogliono cercare di capire e non avere la verità in tasca, senza nulla concedere a chi la pensa diversamente o ha comunque dubbi!

Putin: “l’inizio della transizione verso un mondo multipolare”

L’ex comandante della NATO Philip Breedlove ha esortato l’Ucraina a far saltare in aria il ponte di Crimea. Secondo il generale, il ponte sarebbe un obiettivo legittimo per l’Ucraina. E forse non è un caso che il periodico tedesco Stern dia notizia che due soldati tedeschi avrebbero rubato armi ed equipaggiamento da alcune caserme per pianificare di far saltare in aria proprio il ponte di Crimea.
Nel frattempo le ostilità nei confronti di Mosca proseguono anche in ambito diplomatico. A Bali i ministri degli Esteri dei paesi del G20 non avrebbero scattato la tradizionale foto congiunta a causa del rifiuto di alcuni diplomatici, tra cui lo statunitense Blinken, di ritrarsi con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov che dal canto suo ha fatto sapere di non essere interessato a correre dietro agli Stati Uniti per chiedere incontri: “Se non vogliono parlare, sono affari loro e se l’Occidente non vuole negoziati, ma la vittoria dell’Ucraina sulla Russia sul campo di battaglia, allora non c’è nulla di cui parlare”, ha detto secco Lavrov affermando invece che la Russia sarebbe pronta per i negoziati con Kiev e Ankara sulla questione del grano. “Se l’Occidente desidera davvero fare uscire dall’Ucraina il grano, tutto ciò che serve è costringere gli ucraini a liberare i porti del Mar Nero dalle mine e consentire alle navi di attraversare le acque territoriali dell’Ucraina. Nelle acque internazionali la Russia, con l’aiuto della Turchia, è pronta a garantire la sicurezza di tali convogli verso il Bosforo”. Il capo della diplomazia russa ha poi abbandonato la sezione del G20 senza attendere il discorso del ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock.
Nel frattempo l’Euro per la prima volta in 20 anni scende al di sotto di $ 1,01 [nel 2008 era arrivato a 1,6038, ndb]. Il che significa che se anche le materie prime perdono valore sul mercato, con il crollo dell’euro il prezzo pagato per gli europei continua ad essere alto e l’Unione rischia di importare inflazione in una possibile situazione di recessione globale.
Per Putin anche questo è l’inizio della transizione verso un mondo multipolare. Queste le parole del capo del Cremlino: ”Se l’Occidente voleva provocare il conflitto per passare a una nuova tappa della guerra contro la Russia, allora si può dire che c’è riuscito, la guerra è stata scatenata e le sanzioni sono state introdotte. In condizioni normali sarebbe stato difficile farlo. Ma ciò su cui vorrei porre l’attenzione è che l’Occidente doveva capire che avrebbe perso sin dall’inizio della nostra operazione militare speciale, perché l’inizio dell’operazione significa anche l’inizio della rottura cardinale dell’ordine mondiale impostato all’americana. Questo è l’inizio del passaggio dall’egocentrismo liberale globalista americano al mondo davvero multipolare, un mondo fondato non sulle regole egoistiche, inventate da qualcuno per se stesso e dietro le quali non c’è niente, tranne l’aspirazione all’egemonia, un mondo fondato non sugli ipocriti doppi standard, ma sul diritto internazionale, sulla vera sovranità dei popoli e delle civiltà, sulla loro volontà di vivere secondo i propri valori e tradizioni, di costruire una collaborazione sulla base della democrazia, sulla giustizia e sull’uguaglianza. A causa della politica occidentale è avvenuta la demolizione dell’ordine mondiale e bisogna capire che fermare adesso questo processo non è più possibile. Il corso della storia è spietato e i tentativi dell’Occidente collettivo di imporre al mondo il suo nuovo ordine mondiale sono tentativi condannati al fallimento. Perciò voglio dire e sottolineare: noi abbiamo tanti sostenitori, negli stessi Stati Uniti, in Europa e a maggior ragione in altri continenti e paesi, e ce ne saranno sempre di più, su questo non c’è alcun dubbio. Ripeto, anche nei paesi che sono ancora satelliti degli Stati Uniti, cresce la comprensione del fatto che la cieca obbedienza delle élite governanti al “signore supremo” non corrisponde agli interessi nazionali, anzi, molto spesso li contraddice radicalmente. Alla fine tutti dovranno fare i conti con la crescita di questi umori nella società di questi paesi satelliti degli USA. L’Occidente, che un tempo proclamava i principi di democrazia, quali la libertà di parola, il pluralismo, il rispetto delle altre opinioni, oggi sta degenerando nell’esatto opposto: nel totalitarismo. Ha messo in moto la censura, ha chiuso i mezzi di informazione di massa, usa il sopruso e la prepotenza verso i giornalisti, i personaggi pubblici. Nonostante tutto ciò, noi non rifiutiamo le trattative pacifiche, ma coloro che le rifiutano devono sapere che più avanti si va, più difficile sarà mettersi d’accordo con noi”.

Che non posso commentare che con un convinto: Grande Putin!
E, connesso con le considerazioni di questo articolo, vorrei riproporre un brano che avevo già postato tre mesi e mezzo fa, e che mi sembra diventare sempre più attuale.

VIETNAM
di Max Hastings. È un malloppone di oltre 1000 pagine ma vale la pena di leggerlo, e comunque scorre via bene. E vale anche la pena di ricordare un paio di cose. La prima è che in quella che è passata alla storia come la sporca guerra del Vietnam di Nixon boia, l’escalation è stata iniziata da John Kennedy, democratico, e portata poi avanti dal suo vice, diventato poi presidente, Lyndon Johnson, democratico. Richard Nixon, repubblicano, quello rozzo, quello antipatico, quello col mascellone da duro, quello da cui nessuno avrebbe comprato un’auto usata, è stato quello che la guerra l’ha fatta finire. Il bilancio finale è stato di oltre 58.000 soldati statunitensi uccisi e più di 153.000 feriti. Il calcolo dei morti vietnamiti va da almeno mezzo milione fino a 4 milioni. La guerra è costata quasi 150 miliardi di dollari. I termini del trattato che ha posto fine a dieci anni di guerra sanguinosissima e alla carneficina da entrambe le parti sono gli stessi abbozzati da La Pira e Ho Chi Minh già otto anni prima. La seconda è che tutto è cominciato con l’invio di soldi, tanti tanti soldi, per sostenere governi amici, non importa quanto corrotti, poi anche armi, poi colpi di stato, anche cruenti, per sostituire i governi quando non erano più utili (il burattino Zelensky, socio e complice di Hunter Biden nei suoi sporchissimi affari e a conoscenza di tanti segreti che potrebbero renderlo scomodo, farebbe bene a ricordarsene. Sempre che lo abbia mai saputo. E sicuramente a ricordarglielo non sarà che gli scrive quei bellissimi e tanto commoventi copioni da recitare di fronte ai parlamenti mondiali). Meditate gente, meditate.

Qui, in realtà, quattro mesi e mezzo fa sarebbe potuta finire allo stesso modo, ma oggi no: prima che tutto questo cominciasse, la Russia si sarebbe accontentata del rispetto degli accordi di Minsk, che l’Ucraina ha firmato e mai rispettato; alla vigilia della guerra o a guerra appena iniziata si sarebbe potuta accontentare del riconoscimento della Crimea come appartenente alla Russia e dell’autonomia del Donbass: ma oggi? Dopo che NATO e Ucraina l’hanno costretta a mesi di guerra? A migliaia di morti? A enormi spese? Dopo che a questo prezzo ha conquistato il 20% dell’Ucraina dovrebbe accontentarsi dello stesso pezzo di pane che prima sarebbe stato gratis? Oltre a raccontarvi che è pazzo, adesso pretendete che sia anche scemo? E a proposito di chi è scemo, guardate un po’ questa:

E dopo tanto nerume, risolleviamoci un po’ lo spirito con un po’ di biancore (e con una piccola magia)

Fantasia d’inverno, Balletto Igor Moiseiev,

barbara

LA TERZA GUERRA MONDIALE È PROPRIO INIZIATA

Ovvero “83 anni più tardi…

Nessuno si faccia illusioni. (Ho preso il testo del traduttore automatico, che mi sembra eccellente, inserendo solo qualche correzione e aggiustamento) L’articolo è lungo, ma va letto tutto, perché spiega in modo chiaro ed esauriente come si è arrivati dove si è arrivati, ossia alla terza guerra mondiale sostanzialmente in atto.

Gli architetti del nostro presente disastro

La politica estera americana sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza.

Di Benjamin Braddock

14 marzo 2022

Girando e girando nel vortice allargato Il falco non può sentire il falconiere; Le cose non andarono a buon fine; il centro non può reggere; La mera anarchia si scatena sul mondo, la marea offuscata dal sangue si scatena, e dappertutto  la cerimonia dell’innocenza è annegata; I migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori  sono pieni di appassionata intensità.

—William Butler Yeats, “La seconda venuta”

Il centro non regge, le cose stanno andando in pezzi. Siamo passati dalla psicosi di massa per i vaccini alla psicosi di massa per l’urgente necessità di entrare in guerra con la Russia.
Le sanzioni sono già abbastanza gravi; le prime ricadute economiche che ne derivano stanno già causando dolore ai lavoratori e alla classe media americana. Ma abbiamo fatto sanzioni la scorsa settimana, il pubblico chiede di più. Fai qualcosa, anche se quella cosa è orribile nelle sue implicazioni. Due anni di rabbia dissociata repressa vengono incanalati e reindirizzati verso un obiettivo esterno dalle stesse persone responsabili della risposta al COVID-19, tra le peggiori atrocità della storia americana.
Gli americani di origine russa – la stragrande maggioranza dei quali non ha alcuna associazione con Putin o con lo stato russo, non che il loro maltrattamento sarebbe giustificato se lo facessero – stanno sopportando il peso maggiore di una campagna particolarmente feroce di odio razziale e attacchi. Piuttosto il contrasto con i primi giorni del COVID, quando i liberali inciampavano su se stessi per raggiungere il ristorante cinese più vicino per dimostrare che il razzismo era il vero virus. Joe Biden non ha trovato il tempo nel suo discorso sullo stato dell’Unione per menzionare i 13 americani uccisi in Afghanistan, ma ha trovato il tempo per celebrare l’idea dei pensionati ucraini che si gettano sotto le tracce dei carri armati russi. È difficile immaginare una fine più ignominiosa della Pax Americana.

La Pax Americana è morta e l’abbiamo uccisa.

Non doveva essere così. Mi viene in mente una citazione di Condoleezza Rice sulla mattina dell’11 settembre. Sapeva che le forze statunitensi che sarebbero andate a DEFCON-3 avrebbero innescato un’escalation simile da parte della Russia, quindi ha chiamato il presidente Putin e gli ha detto che i nostri militari sarebbero stati in allerta. Le disse che lo sapeva e che aveva ordinato alle sue forze di ritirarsi. Poi ha chiesto se c’era qualcosa che poteva fare per aiutare. La Rice ha raccontato di aver avuto un momento di riflessione: “La Guerra Fredda è davvero finita”.

La lacrima”, memoriale per le vittime dell’11 settembre donato dalla Russia agli Stati Uniti. Per quanto riguardava la Russia, la Guerra Fredda era veramente finita (immagini inserite da me).

Ma le scelte fatte all’indomani di quel giorno da persone come lei hanno scatenato uno zeitgeist distruttivo nella politica estera di Washington che ci ha portato a questo punto in cui lo spettro della guerra nucleare è ora sospeso nell’aria come durante i momenti più tesi della Guerra Fredda.
Gli attacchi dell’11 settembre 2001 sono stati l’inizio della fine per la finestra di opportunità che avevamo per stringere una partnership con la Russia. Solo un anno prima, il presidente Putin aveva espresso interesse ad entrare a far parte della NATO durante la visita del presidente Clinton a Mosca. La risposta esatta di Clinton non è stata riportata pubblicamente ma non è stata affermativa. In retrospettiva, era esattamente la partnership di cui l’Occidente aveva bisogno per contrastare l’ascesa della Cina. Ma Washington aveva passato il decennio precedente a trattare la Russia come un vassallo colonizzato, c’era scarso interesse nel permettere a un paese così arretrato e umiliato di entrare nelle sale dorate della NATO.
La Russia negli anni ’90 era un relitto. Sulla scia della caduta dell’Unione Sovietica, il governo russo divenne uno stato fantoccio dell’America e dell’Occidente e la sua economia fu un disastro monumentale. Le persone hanno smesso di essere pagate, l’inflazione mensile era a due cifre, i risparmi di una vita sono scomparsi dall’oggi al domani, le banche sono scomparse dall’oggi al domani. Il tasso di fertilità è crollato, insieme all’aspettativa di vita, con oltre cinque milioni di morti in eccesso registrate nel decennio, principalmente per morti per disperazione. Durante la privatizzazione post-sovietica, le grandi imprese statali venivano vendute per pochi penny sul rublo a persone politicamente ben collegate, ed è così che la maggior parte degli oligarchi ha acquisito le proprie fortune. E anche gli americani politicamente ben collegati hanno fatto fortuna in Russia.
Wayne Merry, un funzionario statunitense presso l’ambasciata a Mosca negli anni ’90, ha dichiarato in seguito: “Abbiamo creato un negozio virtuale aperto per il furto a livello nazionale e per la fuga di capitali in termini di centinaia di miliardi di dollari, e lo stupro di risorse naturali e industrie su una scala che dubito abbia mai avuto luogo nella storia umana”. Fu in questo contesto che Putin salì al potere. Abbastanza divertente, quando Boris Eltsin scelse Putin come suo successore presidenziale, chiamò Bill Clinton per ottenere l’approvazione. Putin è salito al potere con un desiderio ardente: rendere di nuovo grande la Russia e impedirle di essere umiliata come era nel suo decennio perduto.
Mentre Putin ricostruiva la Russia, l’America stava portando avanti progetti di rimodellamento nazionale in Iraq e Afghanistan che erano stati abbandonati appena dopo la fase di demolizione. L’idea era quella di diffondere i “valori” americani e il nostro “modo di vivere”, non importa quanto terribili fossero le conseguenze per le persone coinvolte. Il mio amico Sam Finlay ha descritto la situazione come quella in cui le azioni aggressive di un paese normale sono come quelle di un lupo: uccide per mangiare. L’aggressione serve in qualche modo gli interessi materiali di quel paese. Ma la politica estera americana è come un grosso cane stupido, cattura un coniglio per divertimento, lo uccide nel frattempo, e poi perde interesse e torna dentro a mangiare crocchette.

Esportare la democrazia

Durante tutta la sua carriera politica, Vladimir Putin ha assistito alla politica estera americana che si è scatenata nel mondo come un toro in un negozio di porcellane. Ha imparato come operano i nostri leader e comprende il tradimento di cui sono capaci. La Libia è un buon esempio. Il colonnello Gheddafi aveva collaborato con gli Stati Uniti. Interruppe il suo programma nucleare, rinunciò alle sue armi di distruzione di massa e iniziò ad aprire il suo paese e la sua economia al mondo. Verso il 2008, i leader militari statunitensi chiamavano la Libia uno dei principali alleati degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo transnazionale. Gheddafi permise l’apertura di un’ambasciata americana e, prima ancora che la vernice si asciugasse, i diplomatici e le spie appostate stavano già lavorando al suo rovesciamento. Hanno collaborato con ONG e fondazioni statunitensi e transnazionali per formare attivisti “pro-democrazia” e fondare un movimento di opposizione.
Quando è scoppiata la Primavera Araba nel 2011, in Libia sono scoppiate violente proteste, guidate da gruppi radicali armati di nascosto dagli Stati Uniti e dai loro alleati, e il governo ha cercato di sedare la ribellione e ristabilire l’ordine. Il ripristino dell’ordine è stato ritenuto pesante dagli Stati Uniti e dalla NATO e quindi è stato stabilito il pretesto per l’intervento. La NATO ha iniziato l’intervento istituendo una no-fly zone sulla Libia, che si è rapidamente trasformata in una campagna di bombardamenti e missili da crociera contro installazioni militari e infrastrutture civili.
La ricompensa del colonnello Gheddafi per aver collaborato con il governo americano è stata di essere sodomizzato con una baionetta sulla strada per la sua esecuzione sommaria. Piuttosto che esprimere rammarico o addirittura rispondere con un minimo di discrezione, il Segretario di Stato Hillary Clinton ha cantato: “Siamo venuti, abbiamo visto, è morto “. Il vicepresidente Joe Biden ha fatto eco ai suoi sentimenti, “Che sia vivo o morto, se n’è andato. Il popolo libico si è sbarazzato di un dittatore. La NATO ci ha azzeccato”. Sulla scia dell’omicidio di Gheddafi, la Libia si è trasformata in una totale anarchia con mercati degli schiavi dove si poteva comprare un essere umano per $ 40 e una guerra civile che è durata fino al 2020. Il paese è diventato un vivaio di terroristi. Il regime di Gheddafi si era fermato tra l’Italia e l’Africa subsahariana. Con lui fuori dai giochi, l’Italia e il resto dell’UE sono stati rapidamente invasi da immigrati illegali.
Il messaggio che l’episodio della Libia ha inviato ai governi di tutto il mondo è stato chiaro: puoi fare tutto ciò che gli americani chiedono, ma c’è ancora un’ottima possibilità che ti piantino un coltello nella schiena. Divenne dolorosamente ovvio che la politica estera americana era stata completamente separata da qualsiasi obiettivo razionale. Da quel momento in poi, Putin ha iniziato a lavorare attivamente contro l’interventismo americano, in particolare in Siria con il suo sostegno al governo del presidente Assad nella sua lotta contro ribelli e gruppi terroristici come l’ISIS, molti dei quali sono stati addestrati e armati dal governo degli Stati Uniti. Man mano che la Russia si allontanava ulteriormente dall’Occidente, l’antagonismo del governo statunitense nei confronti della Russia aumentò ulteriormente. Il prossimo obiettivo di una rivoluzione colorata sarebbe l’Ucraina.
Nel novembre 2013, un movimento di protesta noto come Maidan è iniziato nella piazza centrale di Kiev dopo che il presidente Yanukovich ha rifiutato una proposta di associazione politica e accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’accordo avrebbe aperto i mercati dell’Ucraina alle importazioni europee mantenendo i mercati dell’UE chiusi alle merci ucraine. Le proteste sono continuate per mesi e le richieste dei manifestanti sono cambiate da un appello a firmare l’accordo a una richiesta di dimissioni di Yanukovich e del suo governo. Queste proteste sono state esplicitamente sostenute dallo stesso governo degli Stati Uniti e dalle sue ONG partner. Centinaia di milioni di dollari sono stati versati in Ucraina da questi gruppi, tra cui l’Open Societies Institute di George Soros, la Freedom House e il National Endowment for Democracy finanziato dai contribuenti statunitensi.
La persona di riferimento per gli sforzi del Dipartimento di Stato americano per rovesciare il governo Yanukovich è stata Victoria Nuland, un’ex consigliera di Dick Cheney che ha servito come portavoce del Segretario Clinton prima di essere promossa a Assistente Segretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici. Ha visitato i manifestanti con l’ambasciatore statunitense Pyatt, annunciando “Siamo dall’America” ​​alla folla che non parla inglese e offrendo pezzi di pane da un sudicio sacchetto di plastica della spesa (i manifestanti sembravano disorientati e la maggior parte non ha preso il pane). In seguito si è vantata che gli Stati Uniti avevano speso cinque miliardi di dollari per “promuovere la democrazia” in Ucraina.
È trapelata una telefonata intercettata in cui Nuland e Pyatt hanno discusso i loro piani per chi avrebbe guidato un nuovo governo in caso di cacciata di Yanukovich, già una conclusione scontata a giudicare dal tono della conversazione . Da notare: Nuland dichiara “Penso che Yats sia il ragazzo che ha l’esperienza economica, l’esperienza di governo. Ciò di cui ha bisogno sono Klitschko e Tyahnybok all’esterno”, riferendosi ad Arseniy Yatsenyuk, Vitali Klitschko e Oleh Tyahnybok; Pyatt ha detto “vogliamo cercare di convincere qualcuno con una personalità internazionale a venire qui e aiutare a fare l’ostetrica in questa cosa” e Nuland ha risposto che Joe Biden era disposto; così come Nuland che dichiara “F-k l’UE”.
Il 20 febbraio 2014, i cecchini di Maidan hanno aperto il fuoco . Quando finalmente il fumo si è diradato, 48 manifestanti e quattro poliziotti giacevano morti nella piazza. La narrazione prese rapidamente piede secondo cui furono i paramilitari del governo a compiere il massacro. Quando il processo per il massacro si è finalmente tenuto anni dopo, la maggior parte dei sopravvissuti feriti ha testimoniato di essere stati uccisi dagli edifici tenuti da Maidan lungo la piazza o di aver visto cecchini posizionati in quegli edifici. L’ex capo dei servizi di sicurezza ucraini, Aleksandr Yakimenko, ha affermato che si trattava di mercenari portati da coloro che complottavano per abbattere Yanukovich. Erano lì tutti i giorni”.
L’operazione ha raggiunto il suo obiettivo. Il 21 febbraio Yanukovich, in un ultimo disperato tentativo di prevenire ulteriori violenze, ha firmato un piano mediato franco-tedesco-polacco per accettare poteri ridotti e ha chiesto elezioni anticipate in modo da poter essere rimosso dal potere. Il 22 febbraio, Right Sektor e le milizie neonaziste hanno preso d’assalto gli edifici governativi e hanno costretto Yanukovich e molti funzionari a fuggire da Kiev. Nuland ha disposto una procedura incostituzionale in parlamento per togliere la presidenza a Yanukovich. Arseniy Yatsenyuk, il “ragazzo” di Nuland, è stato nominato primo ministro e le potenze occidentali guidate dagli Stati Uniti lo hanno immediatamente dichiarato legittimo. L’80° tentativo di colpo di stato americano dal 1953 è stato un successo.
La base politica di Yanukovich ha reagito rapidamente, tenendo referendum per l’indipendenza dall’Ucraina; prima in Crimea, poi nella regione del Donbass, con la formazione della Repubblica popolare di Luhansk e della Repubblica popolare di Donetsk. Inizialmente, la Russia ha accettato il referendum in Crimea – dopotutto, la Marina russa ha mantenuto un porto fin dai tempi di Nicola II – ma era riluttante quando si trattava del Donbass. Fu solo quando il governo di Kiev inviò milizie neonaziste a svolgere operazioni di “antiterrorismo” a Donetsk e Luhansk che la Russia iniziò a prestare un tacito sostegno ai separatisti, anche se a volte li ostacolavano direttamente.
I separatisti hanno quasi preso Mariupol durante la controffensiva dell’agosto 2014. L’esercito ucraino è fuggito dalla città ed era aperta alla presa. Con la presa di questa importante città industriale, l’indipendenza del Donbass sarebbe stata un fatto compiuto . Ma la Russia li ha fermati, minacciando di chiudere il confine ed espellere i familiari dei miliziani che avevano cercato rifugio in Russia. I miliziani indietreggiarono e l’esercito ucraino riconquistò la città. Da quel momento in poi, il conflitto è rimasto in gran parte congelato.
Un mio conoscente russo si offrì volontario per combattere per la “Repubblica popolare di Donetsk”. Dal modo in cui ha parlato delle condizioni lì, ho pensato che fosse una causa persa, ma come meridionale, sono un fanatico delle cause perse. Il mio amico temeva che fosse un uomo segnato, che se mai fosse tornato in Russia potesse essere arrestato per la sua partecipazione. Privo di uomini, denutriti e disarmati, lui e i suoi compagni patrioti hanno resistito durante una guerra brutale che imperversa dal 2014, con numerose atrocità perpetrate sia dal governo ucraino che dai “battaglioni punitori” neonazisti contro la popolazione civile di Donetsk e Luhansk.
In una di queste atrocità, un uomo fu inchiodato a una croce imbevuta di benzina e bruciato vivo. In un altro, un uomo e una donna incinta avevano delle corde legate al collo, le corde passavano su una traversa sospesa tra due alberi e legata al retro di un’auto. L’auto è stata lentamente spinta in avanti e le due vittime sono state lentamente sollevate in aria e strangolate a morte. Le forze ucraine hanno bombardato a intermittenza gli abitanti di Luhansk e Donetsk, anche con munizioni al fosforo bianco contro obiettivi civili.
Complessivamente, la guerra nel Donbass è costata almeno 14.000 vittime, ne ha ferite altre decine di migliaia e ha sottoposto la popolazione di oltre 2,3 milioni di persone a Donetsk e Luhansk alle difficoltà della vita in una zona di guerra. Questo è stato un osso nella gola di molti russi, che vedono gli abitanti etnicamente russi di Donetsk e Luhansk come loro parenti. Ma fino a questo punto Putin ha scelto di non essere coinvolto militarmente in modo significativo. Il punto di svolta per l’invasione non è stata la sopravvivenza del Donbass, ma la sopravvivenza della stessa Russia.

Nato in espansione

Per decenni, la Russia ha chiarito che considera l’espansione verso est della NATO verso i suoi confini come una minaccia esistenziale. E i migliori diplomatici ed esperti di politica estera americani hanno compreso questa posizione. Il segretario di Stato James Baker ha dato alla Russia una “garanzia di ferro” che la NATO non si sarebbe espansa “di un pollice a est” della Germania se i russi avessero collaborato sulla questione della riunificazione tedesca. George Kennan, architetto della strategia statunitense della Guerra Fredda, ha definito l’espansione della NATO un “tragico errore”. Henry Kissinger ha affermato che, a causa della sua storia unica con la Russia, “l’Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO”. John Mearsheimer ha avvertito: “L’Occidente sta guidando l’Ucraina lungo il sentiero delle primule e il risultato finale è che l’Ucraina andrà in rovina… Quello che stiamo facendo è infatti incoraggiare quel risultato.
Ma il governo degli Stati Uniti ha portato avanti la sua agenda espansionistica della NATO. È ciò che ha portato alla prima grande frattura nelle relazioni USA-Russia nel 2008, quando l’amministrazione del presidente George W. Bush ha spinto con successo l’alleanza ad affermare alla conferenza di Bucarest che Georgia e Ucraina sarebbero diventate membri della NATO. Ciò ha portato a una rottura delle relazioni diplomatiche tra Russia e Georgia e allo scoppio della guerra russo-georgiana. Ciò avrebbe dovuto inviare un chiaro messaggio all’Occidente che la Russia era seriamente intenzionata a non accettare l’espansione della NATO alle sue porte. Era per la Georgia, che ha ritirato la sua offerta della NATO e da allora è stata in pace con la Russia.
L’establishment della politica estera statunitense o non ha recepito il messaggio della Russia, o l’ha fatto, e ora sta deliberatamente tentando di farci entrare in guerra con la Russia. È un pensiero inquietante ma in linea con il loro comportamento provocatorio.
Quando Hillary Clinton era in corsa per la presidenza, sostenne una no-fly-zone sulla Siria contro l’aviazione russa, che stava assistendo il presidente Assad nella sua lotta contro una conflagrazione di ribelli e terroristi armati e sostenuti da una serie di interessi esterni. Se la Clinton fosse stata eletta, la sua intenzione dichiarata era di incaricare l’aviazione degli Stati Uniti di abbattere i piloti russi e condurre attacchi aerei contro le unità di difesa aerea russe. L’elezione di Donald Trump ha impedito che quello scenario si verificasse. Invece, le forze armate statunitensi e russe hanno collaborato nel teatro siriano per portare a termine la distruzione dell’ISIS. Con il presidente Trump in carica, i peggiori eccessi dei Chickenhawks sono stati frenati, ma mentre le foto presidenziali negli uffici del Dipartimento di Stato e del Pentagono erano cambiate, non lo erano le persone che in quegli uffici lavoravano.
Nel 2019, il segretario di Stato Mike Pompeo sembrava cercare un ripristino diplomatico con il presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che aveva legami di lunga data con la Russia ma cercava anche relazioni con l’Occidente per evitare una dipendenza unilaterale da Mosca. Un accordo per le spedizioni di petrolio dagli Stati Uniti è stato concordato senza condizioni politiche. Ma durante la pandemia di COVID-19, Lukashenko è stato oggetto di aspre critiche dai media occidentali per essersi rifiutato di imporre restrizioni ai suoi cittadini, consigliando invece di praticare sport, bere vodka, recarsi regolarmente in sauna e lavorare nei campi per mantenersi in salute. Ha respinto le misure adottate da quasi tutti gli altri paesi definendole “psicosi”. Le sue azioni lo hanno reso una specie di paria tra i tecnocrati globali. In una telefonata con Lukashenko, il Fondo monetario internazionale ha offerto miliardi di dollari in finanziamenti alla Bielorussia, se il paese avesse implementato restrizioni di quarantena, isolamento e coprifuoco. Lukashenko ha rifiutato.
È stato in questo contesto che le relazioni tra l’Occidente e la Bielorussia, che si stavano risacaldando, hanno preso una svolta gelida. Più di un mese prima delle elezioni presidenziali, il Consiglio Atlantico ha pubblicato un post intitolato “Minsk Maidan?” che ipotizzava che Lukashenko sarebbe stato “cacciato via da una rivolta del potere popolare in stile Maidan simile alle rivoluzioni ucraine del 2004 e del 2014”. Prima che fosse espresso il primo voto, i media occidentali sostenevano già che qualsiasi vittoria di Lukashenko sarebbe stata necessariamente il risultato di una frode elettorale. Ma non importa, il  Time ha dichiarato: “Le battaglie di Lukashenko non finiranno con la sua vittoria quasi certa in elezioni fraudolente”. E avevano ragione. Lukashenko vinse facilmente il voto e poi trascorse le settimane successive combattendo una rivoluzione colorata sostenuta dagli Stati Uniti. Il funzionario del Dipartimento di Stato che sedeva nella sezione della Bielorussia? George Kent, un “esperto di rivoluzione colorata” che era stato coinvolto nella rivoluzione colorata del 2014 in Ucraina e ha testimoniato contro il presidente Trump nel suo primo processo di impeachment.
La rivoluzione colorata bielorussa del 2020 è stata un fallimento. Lukashenko ha mantenuto il potere in gran parte grazie all’attiva assistenza russa nel contrastare le tattiche occidentali. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno risposto con sanzioni e il rifiuto di riconoscere la legittimità di Lukashenko. Le aperture di Lukashenko all’Occidente sono state accolte con uno schiaffo in faccia. Da allora, è stato al passo con i russi, consentendo ai loro militari di attaccare l’Ucraina dal territorio del suo paese e inviando unità dell’esercito bielorusso in loro aiuto. Ma mentre gli Stati Uniti non sono riusciti a rovesciare l’ultimo uomo forte d’Europa, hanno avuto la possibilità di affinare il loro playbook della rivoluzione dei colori. Il prossimo non si svolgerà nell’Europa dell’Est, ma proprio qui negli Stati Uniti.

Il Deep State al Dipartimento di Stato

Nell’agosto 2020, il Washington Post ha pubblicato un articolo d’opinione , “Quello che gli americani dovrebbero imparare dalla Bielorussia” come parte di una raffica di articoli in cui si affermava che Trump era destinato a perdere le elezioni e che avrebbe tentato di prendere il potere con mezzi autoritari quando ciò fosse accaduto. Ha tracciato direttamente parallelismi tra le proteste del BLM e le proteste bielorusse e le ha correttamente identificate come lo stesso fenomeno. Non è stato detto che nessuno dei due movimenti era organico, ma in realtà erano manifestazioni di terrorismo sponsorizzato da élite contro le norme democratiche di ordinati processi politici e civili.
Un mese dopo, il giornalista investigativo Darren Beattie ha pubblicato un’indagine in cui avverte che la stessa costellazione di ONG e apparatchik di Washington che hanno coordinato le rivoluzioni colorate all’estero ne stavano attivamente pianificando una proprio qui a casa. Venne la notte delle elezioni e accadde: il famigerato arresto del conteggio dei voti; la dichiarazione coordinata dei media secondo cui Biden era stato eletto presidente prima del completamento del conteggio dei voti. Poi è arrivata l’immediata messa al bando sui social media di chiunque pubblicasse prove di frode elettorale. È stato un momento surreale nella storia americana. Chiunque mettesse in dubbio i dettagli o sottolineasse la natura coordinata di questa operazione è stato bollato come un teorico della cospirazione o addirittura come un traditore che tentava di sovvertire la democrazia.
Mesi dopo, il Time ha pubblicato un articolo intitolato “La storia segreta della campagna ombra che ha salvato le elezioni del 2020”. Ha spiegato: “C’era una cospirazione che si stava svolgendo dietro le quinte, che ha ridotto le proteste e coordinato la resistenza degli amministratori delegati. Entrambe le sorprese sono state il risultato di un’alleanza informale tra attivisti di sinistra e titani degli affari” e hanno descritto “una vasta campagna interpartigiana per proteggere le elezioni”. Ecco quanto sono sfacciate le persone che lo stanno facendo. Accendono a gas chiunque si accorga di quello che stanno facendo mentre lo stanno facendo, e poi si girano e si vantano di quello che hanno fatto dopo il fatto.
Il successo del rovesciamento della presidenza Trump ha riportato al potere lo stesso cast di personaggi che aveva portato avanti la rivoluzione colorata in Ucraina nel 2014. Joe Biden, che come vicepresidente aveva guidato l’accordo per istituire un regime fantoccio in Ucraina è ora presidente. Victoria Nuland è tornata come sottosegretario di Stato per gli affari politici. Jen Psaki, che ha servito come portavoce della propaganda per il Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Obama, è ora il portavoce della propaganda per la Casa Bianca di Biden. Biden ha dichiarato al suo insediamento: “L’America è tornata”, il che è vero solo se si definisce l’America come un governo gestito da pazzi pagliacci cleptocratici le cui capacità di risoluzione dei problemi equivalgono a quelle di un contadino che dà fuoco ai suoi campi di cotone per scacciare i punteruoli.
Queste sono persone che pensano di essere abbastanza intelligenti da affrontare potenti paesi stranieri gestiti da persone sane. Non lo sono, e quelle potenze straniere ne hanno preso atto. Il tipo di americani che il mondo teme o rispetta è stato espulso dal governo e dalla leadership militare e sostituito da un serraglio di pazienti in case di cura, donne delle risorse umane, assunzioni di azioni affermative, degenerati sessuali e generali obesi a quattro stelle che cercano posti nel prossimo consiglio di amministrazione di Theranos. Il giorno della resa dei conti è arrivato. Leader come Putin, Xi e Mohammed bin Salman non sono più suscettibili di essere presi in giro e moralmente perseguitati dai fanatici del circo che costituiscono il governo degli Stati Uniti.
La cabala di Washington ha a lungo trattato l’Ucraina come il proprio parco giochi personale. Dalle avventure di Hunter Biden con Burisma ai laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti allo status dell’Ucraina come principale paese di origine per le donazioni della Fondazione Clinton e per i bambini schiavi del sesso, il posto è una base per l’élite occidentale più corrotta. Non vogliono lasciarlo andare, che è in parte il motivo per cui hanno propagandato l’intero mondo occidentale in una mania frenetica per un’operazione militare che finora ha evitato la popolazione civile in misura molto maggiore rispetto alle passate operazioni della NATO in Libia e Jugoslavia.

Una terza guerra mondiale

Siamo già entrati funzionalmente in una qualche versione di una terza guerra mondiale. Finora, sia Biden che Putin hanno evitato un conflitto militare diretto, ma resta il pericolo che la logica degli eventi possa degenerare in una guerra disastrosa tra Russia e NATO. I repubblicani del Senato stanno facendo pressioni su Biden per alzare la posta fornendo all’Ucraina aerei da combattimento. I politici di entrambe le parti chiedono una no-fly zone, che, se ricorderete l’esempio della Libia, è il primo passo verso una guerra generale. Anche senza un coinvolgimento militare diretto ci troviamo già di fronte a ricadute economiche paragonabili a quelle di una guerra mondiale.
Le sanzioni contro l’economia russa stanno già reagendo contro il nostro stesso popolo. Attualmente, questo è sotto forma di aumento dei prezzi alla pompa di benzina e presto quei prezzi del gas influiranno sul costo dei generi alimentari e di altri beni. Ciò aumenterà i pericoli inflazionistici di cui avevo avvertito alla fine dell’anno scorso . La Russia ha anche sospeso l’esportazione di alcune materie prime chiave verso “paesi non amici” che porteranno a dolorose carenze globali, la più allarmante dei fertilizzanti, di cui la Russia produce oltre la metà della fornitura globale. È probabile che ciò porti a una resa dei raccolti significativamente inferiore, che porterà a una carenza di cibo per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. L’instabilità geopolitica che ciò causerà avrà conseguenze disastrose per il mondo.
Non ci siano dubbi: questo non è un momento transitorio ma l’ingresso in un nuovo paradigma geopolitico. Invece di tornare alla normalità come ci era stato promesso, l’emergenza COVID è stata sostituita con l’ennesima emergenza, mentre il COVID stesso continua a permanere e mutare attraverso la nostra popolazione. Siamo in un momento straordinario che rappresenterebbe una sfida per i leader più competenti. Al momento non ne abbiamo nessuno a portata di mano, ma forse lo avremo abbastanza presto.
L’impero americano sta cedendo alle sue stesse contraddizioni. Non abbiamo più il lusso della decadenza. Gli uomini deboli hanno creato tempi difficili, ma i tempi difficili creeranno uomini forti e, con uomini forti, il cambio di regime potrebbe finalmente essere alla nostra portata. (Qui, con tutti i link, che non mi è stato possibile inserire)

Ma dopo quanti morti e quanta distruzione e quanta miseria?

barbara

TANTI AUGURI DONALD!

Durante tutta la campagna elettorale ho sperato che vincesse lui considerandolo il male minore; ho sperato che vincesse lui come unica chance per evitare la terza guerra mondiale e un’ulteriore estensione dei massacri e distruzioni innescati dal suo predecessore; ho sperato che vincesse lui perché chiunque era preferibile alla corruzione fatta persona dalle mani sporche di sangue impersonata dalla sua avversaria. E quando è arrivato il momento ho passato la notte a guardare continuamente gli aggiornamenti dello scrutinio dei voti fino a quando non vi è stata la certezza che la vittoria era sua. Poi, benché in tutti i modi ostacolato e sabotato dall’anatra zoppa, ha cominciato ad agire, e a poco a poco ho smesso di considerarlo un male minore per prendere atto che è invece un bene maggiore, con le idee chiare su cosa fare e come farlo, a partire dalle nomine, nelle quali non ha sbagliato un colpo. Per questo sono felice di associarmi agli auguri formulati da Ugo Volli in questo splendido articolo.

Cari amici,

proprio perché è stato un sostanziale fallimento e ha avuto risultati meno negativi di quel che ci si aspettava, vale la pena di fermarsi ancora un momento a riflettere sulla conferenza di Parigi. I suoi scopi erano stati delineati abbastanza chiaramente e io ve ne ho parlato il giorno stesso: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=65053. Nei piani di Hollande e probabilmente anche di Obama, si trattava di disegnare, secondo il progetto palestinista le linee di una trattativa fra Israele e AP: blocco delle costruzioni negli insediamenti ebraici oltre la linea verde subito, fondazione e riconoscimento di uno stato di Palestina, confini predefiniti secondo le linee armistiziali del ‘49, cioè i famosi “confini di Auschwitz, compresa la cessione della sovranità della Città Vecchia di Gerusalemme agli arabi, magari una certa iniezione di “profughi” fra i cittadini israeliani, e dato che questa “carota” era certamente inaccettabile a Israele, minaccia di un bastone di sanzioni e isolamento internazionale, da far deliberare al consiglio di sicurezza dell’Onu subito dopo la fine della conferenza, prima dell’inaugurazione dell’amministrazione Trump. E, a proposito, solenne altolà ai progetti di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme.
Bene, gran parte di ciò non è accaduto. Né la definizione di “parametri per la pace”, né la minaccia di boicottaggio, né la condanna dell’ambasciata, e anche se mancano tre giorni e non si può esserne assolutamente certi, neppure il passaggio all’Onu. Perché queste minacce sono cadute? La ragione, è evidente, ha innanzitutto nome Trump. La conferenza, che doveva essere la cristallizzazione delle posizioni “ragionevoli” e “progressive” (cioè in realtà suicide e antioccidentali) di Obama, Hollande, Merkel, ha mostrato invece come sono già cambiati gli equilibri. Kerry, che continua a essere un difensore senza dubbi della linea di Obama (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/223388) non ha osato però mettere la sua firma su un comunicato in cui si provava e ricattare quello che da venerdì sarà il presidente degli Stati Uniti e dunque ha fatto cadere il punto sull’ambasciata.
L’ago della bilancia è la Gran Bretagna, con cui Trump mira a restaurare la tradizionale relazione privilegiata, ora che è libera dai vincoli europei (http://www.dailystar.co.uk/news/latest-news/559180/US-election-2016-Donald-Trump-President-Britain-Putin-changes-WW3-Brexit-Theresa-May) ed è stato ricambiato con entusiasmo. E’ arrivato a chiedere alla May di porre il veto se una risoluzione antisraeliana arrivasse al consiglio di sicurezza prima che possa farlo lui (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/223335). E la Gran Bretagna non solo ha snobbato la conferenza di Parigi mandandoci solo un funzionario di quart’ordine, ma ha anche rifiutato di firmare il comunicato finale. Non è un atteggiamento tanto coerente con il voto favorevole che il Regno Unito aveva dato alla risoluzione antisrealiana all’Onu di dieci giorni fa (anzi di più, con il ruolo attivo che aveva giocato nella sua formulazione: http://www.humanrightsvoices.org/site/articles/?a=9474) ma proprio questo sbalzo mostra la svolta che ci è stata. Di più, i giornali non ne hanno quasi parlato, ma è stata la Gran Bretagna (insieme ad alcuni paesi dell’Est Europa) a bloccare la mozione del Consiglio Europeo proposta da Mogherini che riprendeva e induriva il comunicato finale della conferenza (http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Britain-Balkan-countries-keep-EU-from-adopting-Paris-declaration-478630).
Naturalmente la buona vecchia Inghilterra, che fu la sola potenza a riconoscere l’invasione giordana con la relativa pulizia etnica fra il 49 e il 67, a non votare per il riconoscimento dello Stato di Israele all’Onu e che è spesso stata duramente antisraeliana e che alberga una quantità di politici antisemiti, compreso il capo dell’opposizione Corbyn, non ha cambiato pelle d’improvviso e non è stata illuminata dalla luce divina. Ha capito però che il gioco della politica mondiale sta cambiando e si è adeguata con più lucidità degli europei “scandalizzati” dalle cose ovvie che ha detto Trump (l’Europa dominata dalla Germania, la Nato vecchia e impotente ecc. https://www.bloomberg.com/politics/articles/2017-01-15/trump-calls-nato-obsolete-and-dismisses-eu-in-german-interview), anche per via del riflesso condizionato da un secolo dell’alleanza anglosassone.
E, dato che ci siamo, vale la pena di dire che Trump non è certo un angioletto o una persona incapace di errori: quello che tutti volevano “santo subito” (o forse Nobel subito) era Obama. Semplicemente Trump è un uomo che ha vissuto nel mondo reale, non in quello onirico delle aule di Harvard e che è fornito di un solido buon senso e di un altrettanto chiaro senso per i problemi reali, non per le ideologie astratte. Uno che per esempio sa che se si vuole combinare qualcosa in politica bisogna aiutare gli alleati e combattere i nemici, non il contrario come faceva Obama. E che in politica interna capisce che il problema non è puntare a una giustizia astratta, magari assumendosi le colpe storiche degli antenati, ma dare lavoro e sicurezza alla gente. E’ possibile che questa logica molto concreta lo porti a commettere degli errori e certamente in questo caso lo criticheremo. Ma i primi risultati, ottenuti già prima dell’inaugurazione della presidenza, sono molto positivi. Certo, c’è l’isterica opposizione di uomini di spettacolo, politici e ahimè anche rabbini che hanno scambiato la loro sinagoga per una sezione del partito democratico (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/223397). Ma questo fa parte di un conservatorismo della sinistra che ha letteralmente il terrore e il ribrezzo di tutto ciò che non sta nelle sue conventicole. Quel che conta è che in quel “villaggio elettronico” che è diventato il mondo, è arrivato un nuovo sceriffo, ben deciso a fare il suo lavoro. E questa è una cosa ottima. Con tre giorni di anticipo dico: Tanti auguri, Donald! Avevamo proprio bisogno di uno col tuo coraggio e con la tua indipendenza per dimenticare felicemente il pagliaccio che ti ha preceduto. (qui)

E dunque, grazie agli elettori americani che hanno evitato di ripetere il catastrofico errore di quattro anni fa, usando – checché ne dicano le anime belle (possiamo dire imbecilli? Vabbè, voi fate come volete, io dico imbecilli) – nel modo migliore lo strumento della democrazia, e grazie all’immediata mobilitazione del neoeletto presidente, la catastrofe avviata dal signor Hussein Obama, musulmano di religione e filo terrorista di professione, resterà incompiuta. E nessuno, possiamo esserne certi, considererà la sua incompiuta un capolavoro, a differenza di quest’altra.

barbara

HA UNA SUA COERENZA, PERÒ

DEMENZA DIGITALE – PELÙ, L’ISIS E IL GRANDE COMPLOTTO

“Io non ci credo che la Cia, il Mossad e i servizi segreti di tutto il mondo occidentale non sapessero nulla della nascita dell’Isis. Io non ci credo che non sappiano come debellarlo in una settimana senza far scoppiare l’ennesima Terza guerra mondiale. Io non ci credo che non si sappia come interrompere i fiumi di miliardi di dollari che alimentano questa nuova Jihad. Io non ci credo ai governi occidentali”. Musicista sul viale del tramonto con velleità di politologo ed esperto di conflitti internazionali, Piero Pelù torna a colpire attraverso il proprio profilo Facebook. Non pago di essersi coperto di ridicolo già a sufficienza nel recente passato, il volto storico dei Litfiba entra nel vivo di nuove questioni diffondendo sulla rete il peggior campionario complottista del terzo millennio. “Io credo che l’Isis sia l’immagine riflessa amplificata e distorta dell’arroganza colonialista occidentale reiterata per secoli e sempre peggiore. Io non ci sto che il mio destino sia in mano a un esercito di aguzzini guerrafondai assetati di denaro e sangue”, scrive l’artista fiorentino aggiungendo alle parole l’immagine di due mani insanguinate che si stringono. Nelle maniche di camicia le bandiere di Israele e Stati Uniti, mentre le gocce di liquido vitale cadono sopra una cartina artificiosa della Palestina che assorbe i confini dello Stato ebraico e non ne contempla l’esistenza. E viene da chiedersi: ma è lo stesso Piero Pelù che la scorsa estate si faceva fotografare sorridente davanti alla sinagoga di Firenze assistendo compiaciuto al successo del Balagan Cafè o si tratta in realtà di un suo sosia alla disperata ricerca di attenzioni e visibilità? (17 febbraio 2015, qui)

D’altra parte ricordiamo come abbia iniziato la sua carriera con un possente rutto: perfettamente logico, dunque, che la concluda con una scorreggia. Loffia, oltretutto. (Interessante, tra l’altro, quella “ennesima terza guerra mondiale”: voi quante terze guerre mondiali ricordate?)

barbara