LA SIGNORA GIULIA GRILLO,

ministro della sanità (per farmi dire ministra dovrete passare sul mio cadavere). Quella delle autocertificazioni e dell’obbligo flessibile, che le convergenze parallele al confronto diventano di una scientificità degna di Galileo e Einstein messi insieme. Da sempre leggo che è medico, ma c’è una cosa curiosa: questa è una pagina dell’Albo dell’Ordine dei Medici;
albo medici
Grillo Giulia dovrebbe stare fra Grillo Giovanni e Grillo Giuliano, e invece non c’è. Interessante, no?

barbara

FRANCIA: IL TRIONFO DEL MULTICULTURALISMO

E’ la vita degli ebrei di Francia

Interi quartieri che si svuotano, proiettili a casa, omicidi e l’abbandono dell’intellighenzia.

di Giulio Meotti

ROMA – “Gli ebrei si sentono minacciati nelle loro case”, aveva detto appena il mese scorso Francis Kalifat, che guida le comunità ebraiche francesi. Due giorni fa, il portone di una casa nel Diciottesimo arrondissement di Parigi è stata imbrattata con la frase: “Qui vive la feccia ebraica”. Racconta un corposo dossier del mensile Causeur che “un nuovo antisemitismo imperversa nei sobborghi francesi e spinge molti ebrei a partire”. In un anno, ci sono stati due omicidi islamisti dentro alle case degli ebrei (Sarah Halimi e Mireille Knoll, che si aggiungono ad altre dieci uccisioni).
A fine agosto, un’ala del Parlamento francese è stata evacuata a causa di una lettera di minacce di morte contro un parlamentare di origine ebraica, insieme a diversi grammi di polvere bianca. Il “maiale sionista” è Meyer Habib, che da questa estate è protetto da quattro agenti della gendarmeria. “Hanno minacciato di decapitarmi”, ha rivelato Habib.
Il magazine Causeur di Élisabeth Lévy racconta l’islamizzazione dei quartieri ebraici. “In dieci anni, la comunità si è dimezzata, da 800 famiglie a 400, gli ebrei fuggono dall’islamizzazione”, testimonia David Rouah, presidente della comunità di Vitry-sur-Seine. “Quando usciamo dalla sinagoga, ci sputano, ci tirano lattine, uova, pomodori. Moto e auto ci suonano il clacson, gridando ‘Allahu Akbar’. Quando c’è un evento politico in Israele, i musulmani attaccano gli ebrei. Gli ebrei vogliono trasferirsi. Rimangono i poveri, chi non può permettersi di mettere i figli nelle scuole private o trasferirsi. Ebrei e poveri. Doppia punizione”.
A Villepinte ci sono 60-70 famiglie ebree delle 150 di dieci anni fa, ha spiegato Charly Hannoun, presidente della comunità: “La maggior parte è andata in Israele. Chi rimane si sta facendo la domanda: restare o andarsene?”
Tanti ebrei sono scappati nel 17esimo arrondissement di Parigi. Di 173 mila abitanti, 42 mila oggi sono ebrei. “E’ un esodo interno e quasi tutti i sabati si ricevono nuove famiglie”. Jean-Pierre S., direttore di una società di costruzioni, ha ricevuto una lettera con un proiettile accompagnato da “Allahu Akbar, siete tutti morti”. E’ solo una parte del numero del dossier di Causeur. “Sono estremamente preoccupato, tanto per gli ebrei francesi quanto per il futuro della Francia”, ha detto Alain Finkielkraut in un’intervista di poche settimane fa con il Times of Israel. “E’ il peggiore antisemitismo che abbia mai visto in vita mia e peggiorerà”. Finkielkraut ha raccontato che non si sente più sicuro a vivere nel quartiere dove è cresciuto con i genitori tra Place de la République e la stazione della Gare du Nord. “Quello che mi preoccupa molto è l’abbandono degli ebrei da parte di una parte importante dell’intellighenzia”, ha spiegato Finkielkraut. “Hanno scelto il loro campo, che è quello dei palestinesi contro gli israeliani, e in Francia, i musulmani contro gli ebrei. Questa è una delle cose più difficili con cui vivere oggi”.
Il New York Times ha appena raccontato che a Aulnay-sous-Bois da 600 famiglie ebraiche si è scesi a 100; a Le Blanc Mesnil da 300 a 100; a Clichy-sous-Bois da 400 a 80; a La Courneuve da 300 a 80. Ouriel Elbilia, rabbino, ha detto che il fratello a Clichy ormai non officia più i servizi in sinagoga: ché non c’è più nessuno. “Negli ultimi venti anni, intere comunità si sono trasferite”, ha detto Ariel Goldmann, che guida una agenzia di servizi sociali ebraici. “Questi posti si stanno svuotando”.
Per un quadro più generale, oggi a Montecitorio il Centro Machiavelli presenta il dossier realizzato da Fiamma Nirenstein sull’antisemitismo nell’Europa contemporanea. Si parla di “israelofobia” e di una nuova “malattia cognitiva della società”. C’è quel dato, terribile: E’ fuggito dall’Europa un ebreo su quattro”. I minatori erano soliti portarsi dietro dei canarini per avvertire la presenza di gas. Se cadevano a terra significava che l’aria era ammorbata. Gli ebrei sono i canarini delle società europee.

(Il Foglio, 26 settembre 2018)

Gli atti di intimidazioni, minacce, aggressioni verbali e fisiche contro gli ebrei, attacchi vandalici su sinagoghe e cimiteri durano da decenni, con una interessante particolarità: quando la matrice era presumibilmente neonazista, l’intera Francia si levava indignata; ora che sono indiscutibilmente di matrice islamica, non fiata più nessuno (ma il cattivo pericolosissimo fascista razzista eccetera eccetera e naturalmente antisemita è Orban. Con Salvini a fargli da valletto).
Coexistence
barbara

NON RIDETE, BASTARDI!

Genova (Sto male dal ridere)

I centri sociali organizzano un corteo contro il razzismo e la polizia fascista,
Genova antifascista
invitando i profughi.
I profughi vedendo il locale dei centri sociali attrezzato decidono di rimanere lì.
I compagni spiegano ai profughi che non possono stare lì perché non saprebbero come mantenerli e li invitano ad andarsene.
I profughi decidono di occupare lo stabile dei compagni.
I compagni sono costretti a chiamare la polizia fascista per riappropriarsi del centro sociale.
I profughi mentre vengono portati via ammanettati dalla polizia fascista inveiscono minacce di morte e accusando di razzismo i ragazzi dei centri sociali.
4 nigeriani sono stati denunciati dai ragazzi dei centri sociali per aggressione e una ventina di antifascisti denunciati dai profughi con l’accusa di razzismo.
(dalla pagina di Gino Briganti)

Non ridete, bastardi!

Da fare invidia ai mitici fratelli De Rege.

barbara

NOTA: mi si segnala che potrebbe trattarsi di una bufala. Prendo atto e segnalo a mia volta; tuttavia, se chiunque l’abbia letta l’ha presa per buona, è perché è straordinariamente realistica.

“ENTRATE NEGLI ASILI NIDO E UCCIDETE I BEBÈ BIANCHI.

Acchiappateli e impiccate i loro genitori.” Così canta il signor Nick Conrad, rapper francese di origine camerunense. Perché noi siamo antirazzisti, chi si azzarda anche solo a vedere i colori è razzista però, sia ben chiaro, bianco è brutto e nero è bello, i bianchi sono cattivi e i neri sono buoni, i bianchi sono oppressori criminali – tutti, indistintamente, neonati compresi – e i neri sono povere vittime. Tutti, indistintamente, azionatori di machete compresi. I neri devono vivere e i bianchi devono morire. E naturalmente, oltre che brutti sporchi e cattivi, siamo anche stupidi, perché non abbiamo capito niente: la canzone non ha intenti razzisti, assolutamente no: vuole solo fare riflettere su quanto accaduto ai neri, povero cocco. E allora riflettiamo, dunque. Per secoli è andata in onda la tratta dei negri in Africa, da deportare per lo più in America come schiavi, da sfruttare spesso in maniera brutale. Chi ordinava la tratta? I bianchi. Chi la organizzava? In gran parte gli arabi. Chi eseguiva materialmente le razzie? Spesso gli stessi negri, a volte gli arabi, raramente i bianchi (no, non sto dicendo che i bianchi fossero innocenti o poco colpevoli, ma chi cattura il proprio fratello per consegnarlo al carnefice, è forse meno colpevole del carnefice?). Perché quando si racconta la storia, bisogna raccontarla tutta, non solo la parte che porta l’acqua al proprio mulino. E questa, anche così completata, è una parte della storia. Perché poi ce n’è un’altra: quella dei bianchi catturati e ridotti in schiavitù dagli arabi, e non pochi di loro avrebbero fatto volentieri il cambio con i negri schiavi dei bianchi. E a questo va anche aggiunto che – sorpresa sorpresa – i bianchi schiavi degli arabi sono stati più numerosi dei negri schiavi dei bianchi. E magari mettiamoci anche – ciliegina sulla torta – che gli arabi continuano a praticarla tuttora, la schiavitù. Ma gli unici con diritto per grazia divina al frignamento perpetuo, secondo qualcuno che si autonomina portavoce dell’intera “razza”, sono i boveri negri berseguitati dai bianghi gattivi. Diritto al frignamento e allo sgozzamento dei neonati bianchi. Film, quello dello sgozzamento dei neonati nella culla, che abbiamo già visto: evidentemente è talmente piaciuto che ne vogliono girare altri episodi.

barbara

STRUMENTALIZZAZIONE

È il mantra del momento: i “populisti” strumentalizzano le paure della gente. Qui una risposta lucida ed esauriente di Giovanni Bernardini.

Poi c’è la storiella delle percezioni e delle statistiche: la presenza degli immigrati, dicono quelli buoni, è enormemente inferiore a quella “percepita”. Ora, io non so gli altri, ma io non mi sono mai sognata di fare ipotesi sul numero degli immigrati presenti sul territorio (sempre, tra l’altro, con la solita confusione fra immigrati regolari e clandestini): semplicemente guardo quello che succede, e dico che non va, tutto qui. E su questo tema vi invito a leggere qui.

barbara

VOGLIO ARRIVARCI VIVA

Il “ci” è la morte: è lì che Marina Garaventa, morta tredici giorni fa, era ben intenzionata ad arrivare viva. Impresa tutt’altro che facile, viste le premesse.

C’è chi nasce dove c’è sempre il sole, chi in una calda notte estiva. Io sono nata in un giorno di sciopero e i due imbecilli che mi fecero uscire, esclamarono: «Questo bambino è pelato!» Era il mio sedere! Parto podalico prematuro… un culo pazzesco!
Un eminente luminare dell’epoca informò i miei che sicuramente (e fortunatamente!) sarei morta e, se ciò non si fosse verificato, non avrei né parlato, né mangiato, né camminato, ecc. Contrariamente al parere dell’illustre clinico, i miei decisero di portarmi a casa e di tentare l’empirico allevamento della bestiolina che, nonostante tutto, pareva non aver intenzione di andare a far compagnia agli angioletti. A furia di cucchiaini di latte, di bugattine (ciucciotti di pezza imbevuti di latte e zucchero), a furia di coccole di tre nonni, due bisnonni e una zia, riuscii ad arrivare a quattro mesi e, a quel punto, mi depositarono tra le braccia di un uomo bellissimo. Fu amore a prima vista! Gli occhi azzurri del trentacinquenne prof. Silvano Mastragostino, primario della seconda divisione di ortopedia dell’Istituto G. Gaslini di Genova, comunicarono coi miei grandi occhi neri. «Io ti salverò!» disse lui. «Fai di me quello che vuoi!» fu la mia audace risposta.

Affetta dalla terribile sindrome di Ehelers-Danlos, all’epoca praticamente sconosciuta, fra interventi, busti, protesi, arresti respiratori, riesce a sposarsi, poi divorziare, incontrare un nuovo amore, svolgere intensa attività politica e molto altro ancora finché un giorno, a quarantadue anni, mentre sta salendo le scale si sente improvvisamente stanchissima. Si risveglia – non si sa quanto tempo dopo – in rianimazione, con tubi infilati da tutte le parti, paralizzata, sorda, impossibilitata a parlare dal respiratore che blocca le corde vocali, con dolori lancinanti alle cosce. E così ha vissuto per i successivi sedici anni, immobile, muta, nutrita tramite sonda – cioè senza mai più poter sentire un sapore in bocca. Ma con una mente viva, e una straordinaria determinazione a vivere, comunicare, lottare. Senza mai piangersi addosso. Litigando a volte coi medici, esattamente per i motivi per cui a volte ci litigo io: quando loro non riescono a capire che io non sono una malattia e non abito nei loro libri, e quando devo ricordare loro che “lei fa il medico da vent’anni, io faccio la paziente da sessantasette: il suo mestiere lo conosce lei, ma il mio corpo lo conosco io”. E anche per Marina, come per me, in caso di pareri discordanti, alla fine emerge sempre che avevamo ragione noi (e mi piace di avere almeno una piccola cosa in comune con questa donna grandissima). E dunque Marina vive, comunica, apre un blog (La principessa sul pisello), scrive un libro, si guarda intorno e ci racconta il mondo terribile della malattia e degli ancora più terribili pregiudizi sulla malattia.

Gaetano era un piccolo siciliano biondo di nove anni che scorazzava tutto il giorno sulla sedia a rotelle, nel reparto di Ortopedia II dell’Istituto Gaslini di Genova. Era sempre solo, non aveva nessuno che si occupasse di lui, che gli desse un po’ d’amore, fatta eccezione per quello che riceveva da medici e infermieri che, a turno, se lo portavano a casa per fargli passare un fine settimana in famiglia. Gaetano sembrava felice: parlava volentieri, giocava e rideva con tutti. Ogni mattina s’informava dei nuovi arrivi e, nel pomeriggio, andava a far visita alle matricole rassicurandole sulla bontà del vitto e sulla gentilezza del personale. Poi, con fare assolutamente naturale, raccontava la sua storia agghiacciante. «Io sono nato con le gambe malate, per questo mia mamma e mio papà non mi hanno portato a casa. Che se ne facevano di un bambino come me? Ma il dottore mi ha detto che con le operazioni e la ginnastica posso guarire. Così poi mamma torna a prendermi e mi porta a casa con i miei fratelli.»

Determinazione a vivere. E una robustissima dose di umorismo e autoironia.

Data la rarità della mia malattia e della mia capacità di resistenza, ricevo spesso visite di medici che vengono solo per la curiosità di vedermi. Come si va allo zoo a vedere i panda, vengono da me per osservare la sindrome rara e per capire i meccanismi che mi tengono viva e, miracolosamente, in salute. In questa categoria rientrano i più disparati elementi: l’oculista che mi porta i libri da leggere, il dietologo che mi parla di arte e del Genoa, il dermatologo che sentenzia «tutti dobbiamo morire» e le espertissime e affettuose infermiere del servizio sanitario che mi portano peluche e buonumore. Proprio da una delle infermiere, in una fredda nevosa giornata, mi arrivò il seguente sms: «Oggi ti porto un medico giovane e bello». L’occasione era ghiotta e, nonostante il cuore irrimediabilmente impegnato, non potevo mancare al gustoso invito: cambio di camicia e di pannolone, passando dalla versione ascellare a quella baby, pettinata veloce, zaffata di profumo e occhio, quello ancora buono, languido. Ora, come avrete capito, la maggior parte dei medici che mi frequentano viene più che altro per farsi una cultura, poiché io sono una sorta d’enciclopedia vivente per la quantità di sfighe e di patologie che concentro su di me. Il dottor F., effettivamente raro esemplare del genere maschile, assai affascinante e simpatico, dichiarò subito, bontà sua, di essere venuto solo per conoscermi (che, in poche parole vuol dire che voleva vedere, da vicino, la «rarità» medica!) e per sapere se avevo bisogno del suo aiuto, occupandosi lui di «terapia del dolore». Provvedendo a fare i debiti gesti scaramantici, sotto le coperte, sbattendo il mio occhio buono e scrivendo sul pc, lo rassicurai che per il momento non soffrivo di dolori e che, in ogni caso, lo avrei tenuto presente. La gaia conversazione si spostò poi su altri argomenti, allietata dalla presenza dei miei genitori e dalle due garrule infermiere, una delle quali sicuramente invaghita del dottore stile E.R. Preso dalla foga delle sue parole e affascinato dalla sua stessa voce, il novello George Clooney si lanciò in una domanda di carattere social-altruistico che segnò la sua rovina: «Ma a lei, signora, cosa manca?» Il silenzio cadde sugli astanti: tutti mi guardavano sorridenti e trepidanti, solo il volto di mia madre lasciava intuire l’orribile presentimento che soltanto un cuore di mamma può avere. Con calma, pregustando la mia gioia, presi a scrivere. In breve, sul video campeggiò la mia risposta: «Cosa mi manca? S-C-O-P-A-R-E!»

Vivere, comunicare, e insegnare.

Quando dico che la mia vita è una straordinaria avventura, credo proprio di non scostarmi troppo dal vero: come avrei potuto, infatti, immaginare di essere protagonista di un film? […]
Le persone nelle mie condizioni, spesso, non amano mostrarsi, se non in momenti estremi o per gesti estremi, ma io ho deciso di mostrarmi nella mia quotidianità, per diffondere l’idea che si possa essere vitali e sereni nonostante tutte le menomazioni e le difficoltà che un’esistenza come la mia impone. […]
Un giorno, per non riprendermi sempre nella stessa posizione e con la medesima angolazione, Cinzia decise di fare una ripresa da dietro le mie spalle, inquadrando le mie mani, lo schermo del pc e la panoramica della stanza, dal mio punto di vista. «Nessun problema», sentenziò Wilma. «Basta spostare in avanti il letto e infilarsi tra la spalliera e il muro.» Effettivamente, la cosa non sembrava complessa e, creato lo spazio necessario, Marzio Mirabella, operatore e fotografo, s’infilò, con la pesante macchina da presa sulla spalla, dietro la testiera e cominciò la ripresa. All’inizio tutto filò liscio, ma, terminato il primo ciak, soddisfatto e rilassato, Marzio si sfilò dallo spazio angusto con disinvoltura e, purtroppo, i suoi piedi, per niente disinvolti, si attorcigliarono nella miriade di cavi elettrici che collegavano le mie innumerevoli macchine alla rete. Fu cosa di un attimo: coi piedi legati dai cavi, Marzio perse l’equilibrio, compiendo un volo plastico verso la finestra. La macchina da presa carambolò sopra un mobile e, ovviamente, trascinato dalla caduta dell’operatore, il cavo di alimentazione del respiratore si staccò e scattarono tutti gli allarmi. Bip, bip, bip, bip! Ancora una volta la prontezza di Wilma fu decisiva: come un rapace, afferrò il cavo elettrico e, tenendo saldamente il respiratore perché non cadesse, infilò la spina nella presa ripristinando il collegamento. Assai più difficile fu convincere Marzio di non essere un assassino: convinto di aver distrutto il respiratore, giaceva a terra, giallo come un limone, immaginando di essere già condannato all’ergastolo.
«Pensa che bella pubblicità per il film», dissi io per sdrammatizzare. «Operatore uccide la prima attrice, così titolerebbero i giornali!» E Marzio svenne.

Ma senza mai dimenticare che non siamo tutti uguali, che ogni persona è diversa, ogni malattia è diversa, ogni situazione è diversa, e lottando quindi per i diritti di chi, come Welby – che, a differenza di lei, non aveva alcuna possibilità di comunicare – sceglie di porre fine a una vita che di vita non ha più nulla.
Doveva morire appena nata, è arrivata a cinquantotto anni, cinquantotto anni di vita “vissuta pericolosamente”, cinquantotto anni di territorio strappato alla  morte con le unghie e coi denti, tenacemente, giorno dopo giorno. Adesso lei non c’è più, ma la sua lezione ci resta.

Marina Garaventa, Voglio arrivarci viva, Tea
voglio arrivarci viva
barbara

LO ZEVINO

Ossia il giovane nipote del grande Bruno Zevi e di Tullia Calabi in Zevi. Purtroppo non ha preso dal nonno. Ora ci spiega qual è il problema della sinistra: le furbate sporche che le gioca la destra per farla sembrare ipocrita, e siccome la sinistra è candida e ingenua, ci casca e si fa fregare.

Ipocrisie

‍‍24/07/2018

Nella destra sempre a caccia di legittimazione culturale, e persino morale, si va definendo un nuovo genere letterario: sull’ipocrisia della sinistra. Si tratta ancora di un’operazione di nicchia, ma poggia su solide basi di diffidenza diffusa e popolare. Gli ingredienti sono: un finto profugo/profuga, una località di villeggiatura preferibilmente trendy, un personaggio noto dal conto in banca abbastanza pingue. Il provocatore – di questi tempi si direbbe: l’agente provocatore, che fa più sbirro – chiama o contatta il personaggio suddetto, e mentre quello si sta facendo lo shampoo, o parcheggia la macchina, oppure accompagna la moglie alla stazione e risponde al direttore oppure alla zia malata d’Alzheimer, a bruciapelo gli domanda: te lo prendi un migrante a casa tua? Se il malcapitato è sufficientemente reattivo e paraculo, a tono replica: ma certo, ho già preparato il letto in attesa della tua telefonata, se mi dai un attimo segno l’indirizzo e lo vengo a prendere. Fammi sapere se serve anche una seconda stanza che caccio mia moglie. Ma se invece esita – che ne so, magari non ha una stanza libera oppure ha un cane che in vecchiaia è diventato scontroso – allora è fregato. Il giorno dopo si scoprirà protagonista di un articolo su un giornaletto di destra, in calo di copie e che paga stipendi da fame ad aspiranti giornalisti d’assalto della nouvelle droite, con tanto di foto; se è sfigato, potrebbe addirittura finire sulla pagina Facebook di Salvini o di qualche altro capopopolo dei nostri tempi. Foto e video assicurati. Se poi lo beccano con l’orologio della laurea, quel Rolex comprato dalla nonna e poi indossato senza pensarci (una revisione in vent’anni, il Rolex, che io non possiedo, funziona molto bene), la frittata è completa. Il nostro uomo è assurto automaticamente a simbolo dell’ipocrisia della sinistra. Reietto del nostro tempo, non può più parlare, a meno di non appoggiare apertamente l’affondamento in mare dei barconi della speranza.
Intendiamoci: la sinistra e soprattutto i suoi dirigenti sono parsi, spesso giustamente, ipocriti e moralisti. Hanno ignorato le paure delle persone e hanno puntato il dito senza mettersi nei panni di chi sta peggio. E si sono fatti gli affari propri mentre la sconfitta franava inesorabile e meritata su un’intera tradizione politica. Ma se questo è il livello del dibattito le cose non possono che andare peggio, molto peggio. Con o senza Rolex, con o senza Capalbio.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas, su Pagine ebraiche, ‍‍24/07/2018

Si notino le note di colore: il giornale di destra che paga stipendi da fame, perché il destro è negriero nell’anima, e non può fare a meno di comportarsi da negriero in ogni suo aspetto della vita quotidiana. E vuole con tutto se stesso l’affondamento dei barconi in mare, perché il destro è cattivo, ma proprio cattivo dentro, a differenza del sinistro che è buono dentro e fuori, oltre che moralmente e antropologicamente superiore. I “barconi della speranza”, si prega di tenerlo presente, come quello raffigurato in fondo a questo post. È talmente scemo, povero Zevino, che fa perfino quasi tenerezza.
NOTA: l’articolo, come si può vedere, è di due mesi fa; non l’ho postato prima perché c’era sempre qualcos’altro di più urgente. Non c’è un motivo particolare per pubblicarlo oggi, tranne il fatto che per quello che avevo intenzione di fare oggi mi manca ancora un po’, e quindi lo dovrò fare domani.
Tobia-Zevi
barbara

SCENEGGIATA PALESTINISTA A VICENZA ORO

Introdotta da questo manifesto
V.O. manifesto
in cui, tra l’altro, è interessante notare come vengano calcolate le spese per l’esercito (senza peraltro approfondire i motivi che rendono necessaria una spesa così alta), ma non quelle per l’istruzione, per la cultura, per la ricerca scientifica, per l’innovazione tecnologica, per la medicina… Vabbè, questa poi è la sceneggiata:
bds 1
bds 2
bds 3
Ma che cosa succede a questo punto? Hehe! A questo punto ARRIVANO I NOSTRI! Ed eccoli qua,
Isr_Farina_Richetti_1
Isr_Farina_Richetti_2
Paola Farina ed Enrico Richetti, della gloriosa bandiera ammantati! Qui potete leggere un po’ di cronaca, in cui compare questa spassosissima frase: “Gli agenti di polizia hanno separato le due fazioni”. Cioè, Paola ed Enrico sono una fazione, capito? (non che quei quattro sfigati di pallestinari siano molti di più, comunque, anche se fanno molto più chiasso).

barbara

POI VENITECI A DIRE CHE EURABIA È UN’INVENZIONE

Per il primo dei tre capitoli eurabiani di questo post andiamo a Parigi, dove Marine Le Pen, per avere pubblicato foto degli orrori perpetrati dall’ISIS, queste per la precisione,
foto Marine Le Pen
ha ricevuto l’intimazione a sottoporsi a visita psichiatrica. Vi ricordate l’Unione Sovietica? Con Stalin i dissidenti finivano nei GULAG, in Siberia, da cui pochi uscivano vivi. Morto Stalin, il suo successore, Krusciov il Buono praticamente quasi Santo, ammorbidì, almeno formalmente, la lotta alla dissidenza, e la Siberia fu gradualmente, anche se non del tutto, sostituita dal manicomio. Ora, nella lotta alla dissidenza al Pensiero Unico (l’Islam è buono, l’Islam è pace, quegli orrori non vanno mostrati perché turbano le anime sensibili – le morti in mare dei clandestini che danno l’assalto all’Europa invece, non importa se vere o tarocche, vanno mostrate a ripetizione, meglio se di bambini, ma questa è un’altra storia), si riparte dal basso, per non rischiare di fare schizzare la rana fuori dalla pentola, se l’acqua è da subito troppo calda, per poi arrivare alle magnifiche vette del magnifico Grande Padre Stalin.

Spostiamoci ora di duecento chilometri verso nord ovest, e arriviamo a Londra, dove la presa di possesso del territorio da parte della popolazione islamica, con la creazione di no-go-zones e di corti islamiche che sostituiscono la Giustizia dello stato e tutta una serie di comportamenti intimidatori, ha portato l’antisemitismo, mai del tutto sopito, a livelli mai prima conosciuti.

Saliamo ancora, sempre verso nord ovest, di qualche altro centinaio di chilometri, e approdiamo a Belfast, dove assistiamo a questo incredibile episodio.

«Critica l’islam: consigliera perde il lavoro»

Chi critica l’islam finisce male. Non solo perché riceve minacce da integralisti o da fanatici che guai a muovere qualche obiezione nei confronti di Maometto o del Corano. Ma perché mette a rischio il posto di lavoro, o l’incarico pubblico che ricopre. È quello che è successo a Jolene Bunting, consigliere comunale indipendente di Belfast, Irlanda del Nord, che è stata sospesa dal suo ruolo per quattro mesi. Mai un provvedimento del genere era stato adottato. Il motivo della sospensione risiede nel fatto che la Bunting è accusata a vario titolo di aver criticato l’islam, e in tutto ha collezionato 14 denunce. Jolene Bunting è un consigliere indipendente, anche se in passato ha militato nel partito unionista TUV. Secondo le accuse la consigliera avrebbe arrecato un danno di immagine al consiglio comunale di Belfast e che non avrebbe rispettato il Codice di condotta del governo locale. La colpa della Bunting è quella di aver fatto commenti definiti denigratori sull’islam durante le riunioni del consiglio e aver appoggiato le analoghe dichiarazioni Jayda Fransen, del gruppo di estrema destra Britain First, già finita in manette per incitamento all’odio. La Bunting è stata denunciata anche per aver partecipato al raduno contro il terrorismo al municipio di Belfast dello scorso agosto. Inoltre la consigliera è finita nel mirino per aver difeso la distribuzione di alcuni volantini definiti istigatori di odio, nei quali si ammoniva contro l’islamizzazione dell’Irlanda del Nord, visto che le stime prevedono che nel 2066 i britannici nel Regno Unito saranno la minoranza. Nel volantino venivano poi snocciolati alcuni crimini compiuti dagli islamisti. Per non essersi opposta alla distribuzione di tale volantino la consigliera è finita nei guai ed è stata accusata di razzismo e fascism o. Tuttavia la Bunting non si dà per vinta e afferma che nonostante la sospensione nessuno potrà silenziarla. Definendo la sua sospensione un “giorno buio per la democrazia e la libertà di parola” ha dichiarato di voler far interessare al caso l’Alta Corte.

Ilaria Pedrali, Libero, 21/09/2018

Non so, vedete un po’ voi se è il caso che anche noi ci riempiamo di islamici ai livelli di Francia e Gran Bretagna.

barbara